Conversando con Federico Garcìa Lorca
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Anteprima del libro
Conversando con Federico Garcìa Lorca - Rita Parodi Pizzorno
Introduzione
Ho sul mio tavolo alcuni dei libri recenti di Rita Parodi Pizzorno.
Ritratti di vecchi amici: Angelo, Margy, Adriano, Paola. Dello zio Tiberio, reduce dal Brasile. E di personaggi in ogni senso remoti, da Paola Gonzaga, contessa di Gorizia, al marinaio della prima guerra mondiale, che un infausto destino rivendica per sé nel 1919 a soli 23 anni. Figure colte ora tra le quinte di una dimora borghese prospiciente la piazzetta del centro storico, ora tra gli arredi d’antan di un club esclusivo, ora assise sulle poltroncine di un teatro nel quale ci si vede riflessi in replica, ora intente a salire le scale di sontuose magioni…- Ovvero, incastonate nei campi lunghi dell’Atlantico traguardato dalla coperta della Leonardo, delle pianure Nordamericane degli Emigranti, o della città dalmata di Zara di Suor Serafina. Di qua, sciabordar d’onde, stoppie riarse, pontili con masse cenciose in attesa d’imbarco…, di là merletti e pizzi, tovaglie di organza, centrotavola ricamati.
Una galleria tutt’altro che esigua. E che il libro presente arricchisce di un personaggio d’eccezione. Un incontro annunciato, quello con García Lorca! E poteva forse essere altrimenti? Mito letterario, Federico, tra i più prepotenti del Novecento. In vita e in morte. E figura esemplare di una terra essa pure convertita in mito. La Spagna, luogo d’iperboli, di contrasti e spettacolo
(Dolfi). E in specie l’Andalusia dei muri di calce, del giallo dei campi, dei patios di fontane e azulejos
(tutta la mia infanzia è Fuentevaqueros, villaggio, campi, sole, solitudine, semplicità, insomma
). Popolare e gitana: inondata di colore, e di cascate di note (auspice l’incontro con Manuel de Falla a Granada, che introduce Federico ai misteri melodiosi del Cante jondo). La Spagna della tradizione: del Romancero, della comedia
barocca, della tauromachia (confluita nel Llanto por la muerte de Ignacio Sánchez Mejías, 1935). Dei classici rifratti nel suo teatro e rappresentati di villaggio in villaggio con la celebre Barraca
, compagnia di giro che sembra rinverdire i fasti della commedia dell’arte. Incontro con un poeta autentico, incorreggibile, istintivo
(de nacimiento
), dotato di una facilità
espressiva (o artistica) che sa prescindere dalle astuzie
della letteratura
. E, per converso, capace di una ricchezza di toni e di registri, di una profusione di echi che lo segnalano poeta coltissimo, mèntore e testimone delle grandi scuole che scandiscono i primi decenni del secolo (e parlo del Lorca della Residencia de estudiantes
, compagno di strada e sodale di Salvador Dalí e Luis Buñuel, della consuetudine con il surrealismo e il cubismo). Poeta di prodigiosa versatilità, istrionico, camaleontico. Mimetico "nelle nenie infantili, legiferante nel cubismo dell’Oda a Salvador Dalí, restauratore del puro ritmo e spirito epico tragico del romanzesco nei romances gitani (1928), espressionista e surrealista nei poemi newyorkesi (Poeta en Nueva York, 1929-30), orfico ed esaltato nelle stilizzazioni arabe delle casidas del Diván del Tamarit (1940), antico universale nel tragico di Bodas de sangre e La casa de Bernarda Alba (1933), pindarico e picassiano nel Llanto (Macrì). Sempre in bilico come fu tra l’irriverenza blasfema e una certa vena sentimentale che lo inclina all’autocommiserazione e persino al pianto. Che lo abilita, lui
diverso", alla solidarietà, a comprendere come nessuno i tormenti degli outsiders (delle donne mediterranee dei suoi drammi rurali, tra sterilità, ossessione dell’onore e tormento del maschio e dei neri della New York tentacolare e disumana). Il Lorca infine assassinato a Viznar, tra il 19 e il 20 agosto del 1936. Una morte così incomprensibile e insieme così supremamente simbolica da incarnare l’eccesso e l’assurdo della guerra civile. E da esaltare, antifrasticamente, l’innocenza inconsapevole e il suo sbalordimento di poeta.
Con lui, e per queste determinatissime ragioni, era fatale che Rita Parodi Pizzorno intrecciasse una fitta conversazione.
E siamo alla forma
del libro. Che si modella sul filo di una definizione. Cos’è la conversazione? Non un discorso argomentativo in cui coloro che parlano sollevano istanze razionali […] e neppure un incontro manipolatorio dove i partecipanti cercano costantemente di avere la meglio gli uni sugli altri
. L’incontro conversazionale – precisa il filosofo inglese Michael Oakeshott – non è un’impresa disegnata per produrre un profitto estrinseco, una gara in cui il vincitore ottiene un premio
. è piuttosto un’inaspettata avventura intellettuale
. Al decano degli studi filosofici europei dobbiamo una aggiunta, illuminante. In Verità e metodo, Hans-Georg Gadamer sottolinea come il dialogo proceda attraverso la struttura della domanda e della risposta
. Domandare – scrive – significa stabilire un’apertura. Contro la stabilità dell’opinione, il domandare pone l’oggetto con le sue possibilità in uno stato di sospensione… Nella conversazione, nel dialogo, la fase che domina è quella della domanda
. A questo ho pensato, leggendo Rita Parodi Pizzorno che conversa con Federico. Nessuna pretesa di competere, naturalmente. E nessun filo argomentativo desumibile dall’alternarsi delle voci. Piuttosto una eco protratta. Tra immagini, figure, atmosfere. Con il poeta andaluso che impone temi e cadenze. Che si nasconde e si espone. E la sua interlocutrice che lo insegue passo passo accostando la sua predilezione per le penombre alla luce abbagliante