La verità è nel Principio: Milano, il primo caso dell'Agenzia Nero Wolfe
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About this ebook
Carla De Bernardi è nata ad Alessandria d’Egitto e ha trascorso l’infanzia a Parigi. Vive a Milano dal 1963 dove svolge l’attività di fotografa e scrittrice. Nel suo archivio sono presenti ritratti di personalità della cultura, musica, letteratura, teatro, cinema, imprenditoria etc. che ha esposto in numerose mostre personali e collettive. Dal 1997 al 2007 ha ricoperto un incarico come top manager presso Terme e Grandi Alberghi di Sirmione spa. Ama viaggiare a piedi sulle antiche strade che attraversano l’Europa. Ha percorso la Via Francigena, il Cammino di Santiago, il Cammino Aragonese, il Cammino di Assisi, la Via Micaelica, il Cammino Materano ed è sempre in partenza per nuove mete. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni tra diari di viaggio, romanzi, mémoire, saggi e monografie sul Cimitero Monumentale. Suoi contributi sono presenti in volumi di autori vari e collabora con quotidiani e periodici. Ha una rubrica radiofonica settimanale su RPL - La tua radio e su Radioparenti. Ha fondato, e ne è presidente, l’Associazione Amici del Monumentale di Milano ed è socia fondatrice dell’Associazione Movimento Lento che promuove il viaggio a piedi e in bicicletta.
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La verità è nel Principio - Carla De Bernardi
Pochi mesi prima
Il 15 ottobre Vigilio Moretti e sua moglie Anita sbarcarono, esausti ma gagliardi, dal volo Ryanair proveniente da Santiago de Compostela via Madrid e all’areoporto di Orio al Serio, trovarono i loro figli, Filippo e Michela, mimetizzati in un mazzo di rose.
Li pensavano occupati in tutt’altro, ma ne furono felici e i baci e gli abbracci sfociarono in una conversazione simultanea a quattro voci, una sull’altra, per dirsi la bellezza di quel ritorno a casa dopo oltre un mese di lontananza senza la possibilità di parlarsi.
I due coniugi avevano infatti percorso, zaino in spalla, gli 850 chilometri, metro più metro meno, del Cammino Francese, da Saint Jean Pied de Port a Finisterre, con il cellulare spento, portato appresso per sicurezza e avevano chiesto di essere contattati solo in caso di calamità. Per fortuna questo non era stato necessario.
Per qualche minuto non riuscirono a capirsi, tanto era il desiderio di scambiarsi informazioni e affetto.
Ma Filippo richiamò tutti sulla terra.
– Papà, mamma, c’è una novità esplosiva.
In un attimo i suoi genitori passarono in rassegna in silenzio le ipotesi più varie e più catastrofiche, un incidente, una morte improvvisa, una scomoda gravidanza?
– Mamma mia Filippo, così mi spaventi – disse Anita diventando bianca come una tovaglia nuziale.
– Ma no, mamma, scusami, non volevo. Ma la notizia è pazzesca.
– Dimmi allora – incalzò suo padre – e in fretta.
– Irene Lenzi…
– Irene Lenzi? Esclamarono i due reduci pellegrini.
– Proprio lei.
– Cosa ne sapete voi di Irene Lenzi?
– Fino a qualche giorno fa solo che era la prima moglie dell’avvocato Landriani e che non era coinvolta nel suo omicidio, ci hai parlato a lungo del caso, ti ricordi?
– Sì, certo, come posso dimenticarlo?
– Era stato archiviato, no?
– Infatti.
– E lei assolta.
– Non fu mai neppure accusata.
– In ogni caso tre giorni fa i giornali sono usciti a tutta pagina con la notizia che si è…
– Si è suicidata? – chiese Anita, pronta a versare lacrime preventive.
– Ma va mamma. La solita melodrammatica, mica sono tutte come le eroine delle tue opere.
– Allora?
– Si è costituita.
– Costituita? Urlò l’ex commissario.
– Proprio così.
– E per cosa? – chiese Anita che conosceva molto bene la risposta, ma che doveva sostenere la commedia.
– Ha ammesso di aver ucciso l’ex marito.
– Ma non è possibile! Gridò l’ex poliziotto, con un tono che riteneva convincente
– Sì invece. L’ha buttato dalla finestra.
– Non ci credo.
– Che l’abbia ammazzato o che abbia confessato?
Moretti preferì non rispondere.
– Lo leggerai a casa, papà, ho tenuto tutti i quotidiani. Su adesso andiamo, cari giramondo e non fatelo mai più di scappare di casa – disse Filippo agitando l’indice verso il padre.
– Non ci contare, fu la sincera risposta di sua madre.
– Per punizione dovrete raccontarci il viaggio passo per passo – disse Michela.
– Se proprio volete, sono più di un milione.
– Sul serio?
– Sì, un milione e cinquecentottantamila, ne parleremo nel fine settimana a Carzano. Perché andremo tutti sul lago, vero?
– Certo. Tra l’altro credo che ci sia la sagra del salame, aggiunse il figlio maschio.
– Sua Maestà il Salame di Montisola. Ottimo motivo per andare, confermò il padre.
Una volta a casa Moretti decise di raccontare nel dettaglio ai figli cosa fosse successo ai tempi dell’indagine sull’omicidio di Landriani.
Li riunì nella loro cucina, ancora ferma allo stile degli anni sessanta – piastrelle bianche, tavolo e sedie in formica azzurra e acciaio – come era solito fare quando la questione era importante.
– Vedete, ragazzi, all’epoca io scoprii che a uccidere l’avvocato fosse stata la moglie.
– Scherzi, vero, papa? Si sorpresero Michela e Filippo.
– No, non scherzo affatto. Irene Lenzi mi raccontò come suo figlio fosse stato separato da lei da piccolo e poi vessato, manipolato, seviziato psicologicamente dal padre, un uomo prepotente e narcisista, che lo dominava azzerando la sua autostima con insulti e maltrattamenti. Il ragazzo, dopo aver cominciato a lavorare nello studio paterno, uno dei più prestigiosi di Milano, dove veniva trattato come un fattorino e continuamente umiliato e offeso, aveva iniziato a usare sostanze stupefacenti, a bere, a giocare d’azzardo, a sperperare la sua vita, aiutato dal denaro profuso a piene mani proprio per asservirlo e renderlo succube.
Vittorio, così si chiamava, venne mandato dalla madre di nascosto in una comunità in Canada dove riuscì a guarire. Ma pochi giorni prima del suo ritorno Irene, terrorizzata dalla certezza che riprendendo il rapporto con il padre e tornando a lavorare con lui sarebbe ricaduto nello stesso meccanismo perverso e odioso di sperpero e abusi, decise di uccidere l’ex marito. E così fece.
– Ma dai, papà, sembra un romanzo.
– Lo so.
– E quando l’hai scoperto perché non l’hai denunciata?
– Ne abbiamo parlato tanto, intervenne Anita Moretti, e non è stato facile decidere, credetemi, ma alla fine abbiamo pensato che l’inferno in cui Landriani faceva vivere suo figlio, debole certo, ma innocente e non certo meritevole di tutto quel dolore e il terrore che rendeva da sempre la vita di sua madre un incubo, fossero motivi sufficienti non ad assolverla, ma a capirla e così, invocando una specie di legittima difesa
, vostro padre ha deciso, abbiamo anzi deciso insieme, pur con tormenti morali e grandi sofferenze, di tacere e di lasciarla libera. Inoltre il bambino a cinque anni era stato portato via alla madre con una causa di divorzio per colpa montato ad arte con false testimonianze e la donna aveva anche questo motivo per odiare l’ex marito.
– E adesso, secondo voi, ha deciso di confessare perché non riesce a sopportare il peso del suo crimine?
– Sì, crediamo che sia così. È una donna coraggiosa, leale, sincera, quello che ha fatto le è costato moltissimo e ora preferisce pagare il suo debito, rinunciando al futuro con il secondo marito e il figlio che ha avuto da lui, Luca, che ha dieci anni meno del fratello.
– Ma adesso, papà, se lei racconterà che hai nascosto la verità passerai dei guai anche tu?
– Io non credo che lo farà, non mi trascinerebbe mai con lei nel baratro, ma se succedesse sono disposto a pagare la mia parte. Sapevo di fare una scelta discutibile. Lo sapevamo entrambi, vero Anita?
Sua moglie annuì, con uno sguardo confortante.
– Di cosa potrebbero accusarti?
– Di occultamento di prove, per esempio. Non sono un avvocato anche se ho studiato legge e tanto meno un penalista, ma lo scoprirò presto, se dovesse succedere.
– Papà!
– Ma non accadrà, vedrete. Andrò presto a parlarle così potrò rassicurarvi. Ora però mangiamo, ho fame. Sognavo gli spaghetti al pomodoro e basilico a occhi aperti in Spagna, dopo decine di menu del pellegrino.
Questa affermazione suscitò la curiosità dei due giovani, che venne subito esaudita da Anita.
– In tutte le trattorie, le locande, i ristoranti e gli alberghi, a volte anche in quelli lussuosi che chiamano parador, esiste questo menu speciale, una scelta tra due primi e due secondi, un bicchiere di vino de mesa, da tavola, e un dolce a prezzi decisamente bassi, da 8 a 15 euro al massimo. Si sa che i camminatori hanno risorse limitate e questo permette loro di stare in giro a lungo senza spendere una fortuna.
La curiosa Michela volle sapere nel dettaglio in cosa consistesse.
– Beh, il primo può essere una zuppa di lenticchie oppure patate alla Riojana, con chorizo, il salame piccante spagnolo, o minestrone, ma anche riso o fusilli, che di solito sono cotti in modo primordiale, almeno per noi italiani.
Di secondo baccalà o petto di pollo, a volte alla diavola e per dolce un budino di quelli confezionati o, se sei fortunato, il dolce di Santiago, una specie di torta Paradiso.
Vino della casa in caraffa ovviamente, ma puoi prendere una bottiglia di buon doc della Navarra o della Rioja e pagare il sovraprezzo.
Il pulpo a la gallega, con paprika e patate e i gambas al ajillo, all’aglio, li trovi spesso, ma non certo nel menu per camminatori. Per non parlare dei formaggi, come il queso de Arzùa.
E ci sono ristoranti tipici ottimi, una sera a Rabanal del Camino ci siamo regalati un Cocido Maragato, vero Vigilio?
– Un che?
– Un bollito misto non molto diverso da quello piemontese, a parte la presenza di musetto e orecchio di maiale e ceci. E ti ricordi Anita, il rosso che abbiamo bevuto?
– Una delle migliori sbornie della mia vita, tanto che ho preso nota dell’etichetta. Un Convento San Francisco Ribera del Duero del 2006.
– Complimenti, mia signora, stai diventando un’esperta. Chissà se a Milano si trova, lo cercherò in quella bella enoteca di via Stradella, sapete, dove c’è quella coppia non giovanissima, così gentile, mi sembra che si chiami La Vineria.
– E ti ricordi Vigilio, arrivando al villaggio, il coro di voci d’angelo che avvolgeva la chiesetta all’ingresso del paese?
– Certo, e non dimentico neppure il tè delle cinque all’ostello della Confraternita inglese di Saint James.
Anita chiuse gli occhi per rivivere quella magia.
– E che tramonto quasi africano, ma basta con le rimembranze Vigilio, ti prego, altrimenti la nostalgia mi ucciderà. Sarei pronta a ripartire domani, come tutti i pellegrini, deve essere una specie di malattia contagiosa della mente e dell’anima.
– O una maledizione?
– Smettila, sai cosa voglio dire, sono certa che lo provi anche tu, caro il mio scettico blu.
– Scettico blu? E chi sarebbe?
– È una canzonetta degli Anni Venti che parla di un tipo strambo.
– Vabbè, ne sai sempre una più di me, mia cara, ma non dirmelo, ribatté Moretti. Lo so che non è difficile e che sono ignorante, ma potrebbe smetterla di farmelo notare – disse a se stesso.
Dopo pranzo si immerse nella lettura degli articoli sulla vicenda che segregarono la sua attenzione per ore.
Non voleva avvertire nessuno del suo ritorno almeno per un paio di giorni per riflettere con calma, sapeva troppo bene come fossero tutti curiosi di conoscere la sua reazione e il suo parere.
Sarebbe andato al suo
commissariato di San Siro quando avesse avuto le idee più chiare.
I ragazzi confermarono che il telefono di casa squillava da tre giorni senza sosta visto che era irreperibile: gli ex colleghi, Antonio Fumagalli detto Il Fuma che aveva preso il suo posto, Fabio Montale che ne era diventato il vice e l’ispettore Salvatore Esposito, detto Tore.
Tutti loro avevano collaborato alle indagini, ma si erano fatte vive anche la gentilissima portinaia Bruna e la smagliante fidanzata della vittima, Emma Viacava.
E poi il questore Marco Veronesi in persona e Gloria Serpieri, l’anatomopatologa che aveva eseguito l’autopsia del Landriani e a cui Moretti era legato da sincera amicizia e persino l’Orbo, che era stato il principale indiziato, seppur subito discolpato da un alibi inattaccabile.
– Andrò a trovare Irene in carcere appena possibile, Anita.
– Lo immaginavo, Vigilio. Ma cos’hai capito da quello che hai letto?
– Niente di importante, sai come sono i giornalisti. Hanno banalizzato buttando tutto sul pettegolezzo. La vedova nera, le bugie hanno le gambe lunghe e altre scemenze. L’unica cosa certa è che lo ha fatto spontaneamente, non perché siano emersi elementi a suo carico e che sarà difesa dall’avvocato Riccardo Venturini, un penalista noto per la sua visione etica della professione e quindi, si suppone, della vita, a differenza di quello squalo del Landriani.
Credo che i due non si siano mai scontrati in tribunale, ma so per certo che Venturini è persona di indubitabile spessore morale e di grande competenza. Stimato da tutti. Irene non poteva trovare un difensore migliore. Forse l’ha scelto proprio perché è così diverso dal suo ex marito.
– Ma secondo te ha qualche speranza?
– Non lo so, essendo reo confessa, ma forse potrà avere delle attenuanti soprattutto se il suo legale porterà in aula il parere di uno psicologo o uno psichiatra.
– Nel senso?
– Nel senso che forse può sostenere che si sia trattato di una forma di legittima difesa, come dicevi tu e che il terrore per la salute mentale e l’incolumità del figlio possa averla spinta sull’orlo della follia.
– Come se in quel momento non fosse stata capace di intendere e di volere?
– Proprio così, Anita mia.
– Ma c’è la premeditazione, Vigilio, noi sappiamo che ha programmato tutto.
– Hai ragione, come sempre, ma il pubblico ministero non lo sa. Infatti io le consiglierei di dire che ha avuto un raptus, magari scatenato proprio dalla vittima e che, trovandosi in una situazione favorevole, se così si può dire, sul terrazzino con lui ubriaco e senza difese…
Insomma non ha bisogno di dire che aveva previsto tutto. Il fatto che l’abbiano trovato con i pantaloni abbassati può far pensare a un tentativo di violenza.
– Ma il colpo alla nuca con l’oggetto appuntito che aveva con sé?
– Potrebbe dire di averlo trovato in casa.
– Ma Emma Viacava, la fidanzata, la smentirebbe.
– Già, non ci avevo pensato. Ma non è detto neanche questo, nessuno sa cosa fosse, potrebbe dire di avere trovato qualcosa a portata di mano in cucina, un cavatappi, ad esempio, visto che stavano bevendo del vino, che poi ha nascosto o buttato. Vedremo. Magari andrò a fare due chiacchere con il suo legale.
– Mi sembra un’ottima idea, mio caro commissario.
– Ex commissario, purtroppo.
– Non si diventa mai ex in certe situazioni, lo sai. Resti e resterai sempre un commissario a tutti gli effetti.
– Ma senza uniforme e senza distintivo non valgo nulla.
– Ma smettila, non è da te autocommiserarti e noto con piacere che la confessione di Irene Lenzi ha subito scatenato la tua fantasia di poliziotto.
– È vero, ma non credo di poter fare molto.
– Non è così, Vigilio, ora che sei un investigatore puoi esserle utile, seppur in modo diverso da prima. E puoi fare cose che prima non potevi, come telefonare a Emma direttamente per sapere cosa dirà nel caso venga convocata come testimone.
– Ci proverò, sono certo che ha deciso di costituirsi per la sua integrità morale e non merita una pena troppo dura. Non posso non pensare ai suoi figli. Vittorio che ha tanto sofferto, Luca che è ancora un ragazzo.
– Sono certa che hanno capito il motivo per cui l’ha fatto.
– Lo spero, cercherò di incontrare anche loro.
– Io sono qui, amore mio, qualsiasi cosa possa succedere, se posso esserti di aiuto.
– Grazie Anita, tu sei la mia forza. A proposito, hai poi deciso se andare a trovare la tua amica a Nizza?
– Pensavo di partire la settimana prossima, ma preferisco rimandare finché non sarai più tranquillo.
– Prometto di fare in fretta, così puoi andare e io ti raggiungerò nel fine settimana. Magari per un giretto in Provenza.
– Ottimo programma, commissario.
– Ma prima…
– Prima?
– Anita, non ti ricordi che dobbiamo trovare la sede per la nostra agenzia? Per ora sappiamo solo che la chiameremo Nero Wolfe, ma dove e come sarà è ancora un mistero.
– Sto girando per il quartiere per vedere se trovo qualcosa di adatto, la vuoi su strada, vero?
– Ma no, preferisco un ufficio angusto in periferia in un brutto condominio anni ’50, magari sulla Scala B e con la portinaia spettinata in pantofole di feltro. Mi è sempre piaciuto l’odore del cavolfiore bollito.
– Ma smettila. A volte ti comporti proprio da babbeo, ma credo di aver capito cosa intendi, una vetrina con una bella insegna come nei film polizieschi americani.
– Come sempre non occorre che ti spieghi nulla, mia gentile signora.
– Troverò qualcosa di speciale, te lo prometto.
– Non ho dubbi, ma occhio ai prezzi, la mia liquidazione non è granché e alla pensione manca un secolo.
– Bene, mi metto all’opera, Philip.
– Philip?
– Philip Marlowe.
– Ma dai, non fumo, non bevo, non sono un seduttore e neppure un’anima solitaria e inquieta. E non assomiglio certo a Humphrey Bogart.
– Se è per questo neppure io assomiglio a Lauren Bacall.
– Ne sei sicura? Secondo me sì, invece, l’ho pensato fin dalla prima volta che ti ho visto, ma non te l’ho mai detto perché sapevo che ti avrei messo in imbarazzo. I tuoi capelli ondulati color miele di castagno, gli occhi obliqui a volte verdi, a volte azzurri, la bocca soffice e intelligente e le tue gambe poi. Una meraviglia.
– Smettila, non prendermi in giro.
– Non ci penso neanche. Comunque noi ci chiameremo Agenzia Investigativa Nero Wolfe perché lui è un simpaticone e un bon viveur, amante della cucina, ribelle alle buone maniere e burbero, non uno sciupafemmine ombroso autodistruttivo come Marlowe. Un bel tipo, anche se è misogino e pignolo.
– Giusto. E mi piace anche che coltivi le orchidee. Il suo assistente Archie Goodwin e il cuoco Fritz sono fenomenali. E immagino che vorrai una poltrona di cuoio capitonnée come la sua.
– Ovviamente e una lampada da ufficio in vetro opalino verde.
– Sarà fatto, mio signore. Anche tu assomigli a un attore, sai?
– Scherzi?
– Per niente.
– E chi sarei?
– Sei identico a Fabrizio Bentivoglio, adesso che ha i capelli grigi e li tiene lunghi. Avete lo stesso naso pronunciato, la stessa statura, la stessa età.
– Non mi adulare, strega.
– Lo penso davvero. Solo gli occhi sono diversi, lui li ha chiari e trasparenti, tu color palude e insignificanti.
– Color palude e insignificanti? Stai scherzando vero?
– Ti prendo in giro, uomo sciocco e vanesio. Anche le mie amiche, sai, lo pensano.
– Che sono sciocco e vanesio?
– Ma no, che assomigli a Bentivoglio.
– Ringrazia le gentili dame da parte mia.
– Sarà fatto capo. E stasera paella.
– Ma sei matta? Ne ho abbastanza di cucina spagnola. Pretendo un risotto allo zafferano con il midollo o una cotoletta alla milanese, scegli tu.
– Tu compra il vino per favore.
– Baron D’L mia signora?
– Non dire stupidaggini, costa una fortuna.
– Era il vino preferito da Landriani e l’ultimo che ha bevuto prima di morire.
– Appunto.
L’incontro
L’incontro con Irene Lenzi era previsto quella mattina alle nove e Vigilio Moretti si sentiva inquieto. Aveva faticato non poco a ottenerlo e se ci era riuscito era solo per la stima che aveva lasciato dietro di sé e che Enrica Polo, la direttrice del carcere femminile – sua compagna di studi – condivideva nei suoi confronti.
Decise di andare a piedi per poter riflettere e ricordare i dettagli di quanto era accaduto solo qualche mese prima.
Attraversò il ponte della ferrovia Garibaldi dove si fermò come sempre a guardare le rotaie in fuga che gli facevano desiderare – ogni volta – di correre in stazione e di saltare sul primo treno diretto non importa dove.
Proseguì e si trovò davanti al Monumentale, immoto nel suo abbagliante splendore, e decise d’impulso di entrare.
Guardò l’orologio: aveva tempo.
Raggiunse il piazzale con le magnolie poco lontano dalla gloriosa e immensa Ultima Cena in bronzo in cui Cristo sta spezzando il pane sotto gli occhi attenti degli apostoli, tutti desiderosi di mostrare le belle mani pulite
, eccetto Giuda, il Grande Necessario Traditore.
Si sedette su una panchina di pietra e si lasciò andare a riflessioni filosofiche, seppur da pensatore della domenica.
Quel giorno la sua mente non trovava pace.
Rifletté su come sia facile morire in ogni singolo istante dell’esistenza.
Un attimo prima sei qui, quello successivo sei dall’altra parte.
Chi è che aveva scritto si può morire oggi pomeriggio
?
Se una macchina impazzita lo avesse investito, se il giorno dopo fosse stato colpito da un infarto, se il famoso vaso di fiori gli fosse caduto in testa?
E poteva prendere l’aereo sbagliato, cadere in un burrone durante un’escursione – e non sapeva ancora che questa evenienza si sarebbe manifestata presto nella sua vita per un nuovo drammatico caso – o annegare durante una nuotata.
Poteva capitare di andare dal medico per una vista di controllo e uscirne con una condanna alla pena capitale come era accaduto al commissario che l’aveva preceduto.
Era spaventoso, soprattutto ribaltando questi timori sulle persone amate.
E non era successo proprio a lui di veder morire il suo piccolo Luca, in braccio alla mamma, dopo una vaccinazione?
Il bimbo era diventato pallido e il