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Comissario Boccadoro - Genova, i crimini negati
Comissario Boccadoro - Genova, i crimini negati
Comissario Boccadoro - Genova, i crimini negati
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Comissario Boccadoro - Genova, i crimini negati

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Febbraio 1941: il corpo di una prostituta viene rinvenuto, travolto da un treno, in una galleria che sbocca alla stazione Brignole. Un capomanipolo della Milizia Ferroviaria, nonostante il fatto venga archiviato come incidente, sospetta si sia trattato invece di omicidio ed esprime i suoi dubbi a Boccadoro che, vincendo la ritrosia del Questore e l’ostracismo del Centurione responsabile dello scalo, inizia a indagare. Domenica 9 le vittime saranno moltissime: una strangolata nel gabinetto di un convoglio ferroviario, centoquarantaquattro provocate dal pesante bombardamento navale inglese. Dopo aver assistito in un clima surreale - trascinato dal brigadiere Beccacini - a Genova-Juventus, il Commissario inizia una serrata caccia all’uomo e, setacciando le realtà delle “case chiuse”, si imbatte in un pervertito che appare come colpevole ideale. Ma è lui che aggredisce le donne che viaggiano sole? Mentre Boccadoro conduce caparbiamente la difficile inchiesta – fiocamente illuminata e vagamente inquietante, come uno scompartimento di notte – la sua famiglia, sfollata a Calice Ligure, conduce una vita relativamente tranquilla, sebbene i riverberi della guerra si riflettano anche sul paese nell’entroterra del Ponente: ormai l’Italia intera, sottoposta a coprifuoco e tesseramento, vive all’ombra di paura, sfiducia e violenza. Questo quarto romanzo ambientato ai tempi del fascismo – dopo Nero Dominante, Boccadoro e il cappotto rosso e Boccadoro e la calda estate – è un noir insieme torbido e avvincente dove il meccanismo del giallo si intreccia con le atmosfere di un periodo storico che ancora incombe sulla nostra nazione; a stemperare morte e degrado morale provvedono moglie, figli e suoceri di Boccadoro, ma non solo: il commissario incontrerà su un treno una delle più ammirate attrici italiane che...

Armando d’Amaro, nato a Genova nel 1956, vive a Calice Ligure. Dopo studi classici e laurea in giurisprudenza ha praticato attività forense ed accademica, abbandonate per dedicarsi alla scrittura noir. Per Fratelli Frilli Editori ha pubblicato Delitto ai Parchi (2007), La Controbanda (2007; 2016 in Italia Noir per Repubblica-l’Espresso), La farfalla dalle ali rosse (2008), Liberaci dal male (2010, col criminologo Marco Lagazzi), Il testamento della Signora Gaetani (2014), La mesata (2016), Nero Dominante (2017), Boccadoro e il cappotto rosso (2018), Il maresciallo Corradi e l’evaso (2019), Boccadoro e la calda estate (2020) e ha curato le antologie Incantevoli stronze (2008), Donne, storie al femminile (2009), Una finestra sul noir (2017), 44 gatti in noir (2018), Tutti i sapori del noir (2019), I luoghi del noir (2020); altri racconti sono usciti in raccolte per altri editori o su riviste; il suo monologo Atlassib è rappresentato con successo a teatro; numerosi i testi scritti per artisti, tradotti anche in inglese e russo.
LanguageItaliano
Release dateApr 26, 2021
ISBN9788869435300
Comissario Boccadoro - Genova, i crimini negati

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    Comissario Boccadoro - Genova, i crimini negati - Armando d'Amaro

    SABATO 8 FEBBRAIO 1941

    Svegliati pigrone, tu devi prendere il treno e le ragazze andare a scuola. Elena mi scuote. Ma è dura abbandonare il calduccio del letto per affrontare il viaggio che mi riporterà a Genova e al lavoro, dopo appena ventiquattrore di tregua, specie quando noto i ghirigori di brina che ornano il vetro della finestra. Di nuovo lontano dai miei cari, sfollati qui a Calice in una casa dei miei suoceri. Ma chi è causa del suo mal… si sono trasferiti o no su mia insistenza? Ma non me ne pento: la cosa più importante, per me, è la sicurezza della famiglia, tenerla lontana dai bombardamenti è una priorità.

    Cara mogliettina, mi prepareresti na’ tazzulella e’ cafè? Mi permetterebbe di staccarmi da queste coltri.

    Sissignore. Mi risponde la mia metà, ridendo.

    Quando, dopo un tempo che mi è parso brevissimo, sento provenire l’aroma di surrogato dalla vicinissima cucina, mi alzo. Giulia, Irma e Umberto sono già intorno al tavolo e mi accolgono festosi, ma l’atteggiamento di Elena è mutato. Cosa può averle provocato questo cambio di umore in pochi minuti?

    Lo sai che ho l’abitudine di spazzolarti e riassettarti i vestiti prima che tu li rimetta, vero?.

    Certo, ieri sera mi hai persino stirato il vestito! Mi hai sempre detto e ripetuto che un funzionario dello Stato non può andarsene in giro come un barbone… e ti sono grato delle tue attenzioni. Ma a casa sono solo e faccio quello che posso, poi, vedendo il cappotto che tiene sul braccio: Era stazzonato?.

    Non è questo il punto. Sai cosa ho trovato nel sistemarlo, in attesa che passasse il tuo caffè?.

    Non ne ho la minima idea.

    Ah no?.

    No.

    I nostri figli guardano, perplessi, ora l’uno ora l’altro, non riuscendo a capire cosa stia succedendo.

    Ne ho svuotato come al solito le tasche, che riempi sempre tanto da sformarle.

    Starò più attento, ma ora non mi sembra il caso di….

    Sembra a me invece, sembra eccome: guarda cosa c’era nel taschino interno, esclama sventolando violentemente un cartoncino. Continui a sostenere di non saperne nulla?.

    Aggrotto la fronte perplesso.

    Fai lo gnorri?. Insiste lei, ma più calma, notata la mia espressione.

    Fammi vedere, veramente non so di cosa si tratti.

    Te lo dico io di cosa si tratta: una fotografia con dedica.

    Di una donna, immagino, interviene Irma ridendo e scuotendo la testa riccia. Bella, mamma?.

    Stai zitta tu, sbotta Elena. Comunque dietro c’è scritto: al mio fascinoso ammiratore, con simpatia, segue la firma. Evidentemente hai fatto colpo.

    Non è certo rivolta a me, dico prima di mettermi a ridere. Fascinoso? Forse un tempo… guardate come sono ridotto, e faccio una smorfia infossandomi le gote con le dita, suscitando le risate di Irma e Umberto.

    Io trovo che tu sia ancora bello, commenta Giulia, seria.

    Grazie, ma non buttare benzina sul fuoco, la rintuzzo. Poi, rivolto a sua madre: Si può sapere chi è questa donna? Hai detto che l’immagine è firmata sul retro….

    Anche se non lo fosse sarebbe lo stesso, guarda, mostrandomi la foto.

    La Valli… allora era lei!.

    E bravo il mio commissario, che dall’alto della sua esperienza confessa subito!, esclama Elena.

    Papà, hai conosciuto Alida Valli e non ci hai detto nulla? Racconta!. Irma è tutta agitata, il piccolo Umberto ride divertito, Giulia ha le gote più colorite del solito.

    Allora?, interviene mia moglie, rispondi a tua figlia, cosa aspetti?.

    Ieri mattina, quando sono salito sul treno per Finale, ho notato una donna, seduta non distante, che mi è parso di conoscere….

    Questa?. Domanda Elena indicando la foto.

    Fammi parlare. Mi ero chiesto dove la avessi già vista o se per qualche motivo mi conoscesse, perché a un certo punto si era girata verso di me, accennando un sorriso.

    Per notarlo vuol dire che non le hai tolto nemmeno per un attimo lo sguardo di dosso. Commenta, cogliendo nel segno, la mia consorte. Ma mi guardo bene dal dire che qualsiasi uomo, davanti a quegli occhi magnetici incastonati in un viso perfetto, le labbra carnose e quelle gambe…

    Ti sbagli: non l’ho fissata con insistenza, non volevo certo mi giudicasse come un pappagallo. Ma mi sembrava solo strano incontrare una donna di quel tipo su un treno.

    Un tipo come? Diversa dalle altre? Diversa da me?.

    Fraintendi. Volevo dire che fanciulle….

    Ora è diventata una fanciulla?.

    Perché potrebbe essere mia figlia! Quanti anni avrà, venti?, sbotto guardando la nostra primogenita. Comunque stavo dicendo che… persone così sofisticate si immagina di vederle viaggiare su auto di lusso. E poi la guardavo perché non ero certo si trattasse di lei: stava sempre a testa bassa, immersa nella lettura di un plico di fogli che continuava lentamente a sfogliare. Mi domandavo dove potevo averla già incontrata: per motivi di lavoro? Nel nostro quartiere?.

    Certo non qui a Calice, interviene Giulia.

    Meglio così, dice Elena, ma facciamo finire il resoconto al tuo paparino.

    "A un certo punto ha appoggiato la testa sulla spalliera della poltrona, sollevando gli occhi dal dattiloscritto: allora ho potuto vedere meglio i tratti del volto. In quel momento mi è comparsa un’immagine di lei in costume settecentesco… ecco dove l’avevo già vista: al cinema! Elena, ti ricordi che verso Natale eravamo andati a vedere La prima donna che passa?¹ Allora me ne sono praticamente convinto: se non era Alida Valli le assomigliava moltissimo".

    Allora hai lasciato il tuo posto e, come un lumacone, sei strisciato a domandarle un autografo, commenta Elena acida.

    No. O meglio, per un attimo ci ho pensato, magari chiedendole due righe dedicate a tutta la famiglia. Poi mi sono detto: la disturberei, probabilmente quel plico di fogli che legge con tanta concentrazione è un copione.

    "Ho letto da qualche parte che Mario Mattòli ha scelto lei per interpretare una collegiale in un film²". Commenta, a confermare, Irma.

    Allora questa cosa, chiede Elena brandendo la fotografia, come ti è finita in tasca?.

    "Ero andato nel corridoio per fumarmi una sigaretta, poi in bagno per sciacquarmi la faccia. Nel frattempo il treno si fermava a Savona; al mio ritorno nello scompartimento lei non c’era più, evidentemente era scesa. Arrivato a Finale, nel dubbio di aver preso un abbaglio e comunque senza prove dell’avvenuto incontro, ho deciso che sarebbe stato meglio non raccontare nulla: non ho certo l’intenzione di trascorrere ogni mio futuro soggiorno a Calice additato come quel nescio che si è inventato… sai le risate alle mie spalle? Evidentemente, quando mi sono allontanato, lei ha messo la foto nel cappotto, che avevo lasciato appeso nello scompartimento, diversamente la dedica recherebbe il mio nome, o no? Questo è tutto".

    Questo è tutto? Bene marito, ti credo. Ma per la tranquillità di tutti è meglio…, Elena apre sorridendo lo sportelletto della stufa a legna, che la prova dell’avvenuto incontro, come lo hai definito tu, sparisca, e butta la foto nel fuoco tra i noo! costernati dei nostri figli e il mio, non espresso, "ommo ‘nzurato, ommo ‘nguajato³".

    ***

    C’è il commissario?.

    No, risponde Beccacini al collega che si è affacciato all’ufficio di Boccadoro.

    Sai se rientra?. Insiste l’altro.

    Dovrebbe arrivare stamani, col treno. Perché me lo chiedi? Se c’è qualche problema puoi dire a me.

    Vedi…, l’altro brigadiere, distaccato a un ufficio amministrativo, tentenna.

    Allora? Sai che sono il suo braccio destro: è come parlassi con lui.

    "Forse non ti ho mai detto che mio cognato è capomanipolo della Milizia ferroviaria⁴ in forza qui, alla terza legione…".

    Poco importa. Vuota il sacco.

    Bene: qualche giorno fa hanno trovato una donna sui binari, evidentemente travolta da un treno, in una galleria che immette alla stazione Brignole.

    Suicidio?.

    Sai che in questi casi si deve parlare di incidente mortale. Così è stato rubricato e archiviato.

    E invece? Perché evidentemente c’è un qualcosa che non quadra.

    Beccacini, ricorda che….

    Che ai vertici non si vuole dare risalto ai crimini per non creare panico, per cui i giornali devono comunicare solo lo stretto necessario, lo so bene.

    E aggiungo che comandante generale della Milizia è il Duce, e suo capo di stato maggiore Starace. Comunque, in poche parole, mio cognato ha notato che in un bagno del convoglio sul quale viaggiava la donna, cosa risultata evidente perché giunto in stazione con uno sportello aperto, c’era una sua scarpa: fatto che nessuno ha saputo come giustificare.

    È certo fosse della vittima?.

    Sì: l’altra, identica, era non lontana dal corpo, sulla massicciata. Ma la cosa che lo ha insospettito maggiormente è saltata fuori quando ha esaminato la poveretta: le gambe erano macellate dalle ruote, ma il resto del cadavere non avrebbe dovuto presentare lesioni diverse da quelle provocate dal treno.

    E invece?.

    Gli è sembrato di notare ecchimosi sul collo, come l’avessero strangolata.

    Chi era questa donna? L’avete identificata?.

    Sì, una prostituta.

    Allora sarà difficile che qualcuno prema per riaprire il caso.

    "Infatti: già il centurione⁵, quando mio cognato gli ha riferito i suoi dubbi, lo ha cazziato duramente. Ma lui non se ne vuol stare… Ne parlerai con il commissario?".

    Appena arriva, non ti preoccupare. E con il massimo riserbo.

    ***

    Parzialmente consolato per il triste epilogo del caso Valli da un’abbondante colazione, esco di casa ben intabarrato per il freddo pungente: visto che non avremmo fatto in tempo a prendere l’omnibus a cavalli – che infatti è già passato – mia moglie, sempre previdente, ha fatto venire un’auto pubblica, che ci aspetta davanti al portoncino, la caldaia a legna⁶ aggrappata al posteriore.

    Saluto calorosamente i miei suoceri e salto a bordo accanto all’autista: la Lancia verde nera si avvia, lasciandosi dietro una nuvola di fumo misto a polvere, verso Finale, e cinque chilometri più a valle si ferma in piazzale Vittorio Veneto – non distante dal mare e dalla Piaggio⁷ – davanti alle scale della stazione, ornate da un fascio littorio sostenuto da due aquile imperiali.

    Mentre l’autista, appoggiato alla sua vettura, attende per il viaggio di ritorno, i miei figli si sperticano in baci e abbracci mentre cerco di far loro le solite raccomandazioni. Poi è il turno di Elena: Non ti saresti proprio potuto fermare fino a domani?.

    No cara, ti ho detto che domani andrò alla partita con Beccacini: sono anni che mi chiede di accompagnarlo, e alla fine ho voluto accontentarlo. Oggi ne approfitterò per mettere un po’ d’ordine a casa. Ma tornerò presto, te lo prometto.

    E se incontrerai di nuovo Alida Valli?.

    Cambierò scompartimento, va bene?.

    Parlale pure… non sono gelosa. Sussurra mentendo. E lo credo! Nessuna donna ti può superare, nemmeno in bellezza!. Le dichiaro fissandola nei luminosi occhi azzurri. Ora andate, devi ancora lasciare le ragazze a scuola. Poi le sfioro le labbra con un bacio e mi avvio; quando supero l’ultimo gradino mi volto per un ultimo saluto alla famiglia schierata: Elena agita la mano, Giulia fa saltellare il piccolo Umberto e Irma…

    Irma, impettita, con voce squillante attacca a cantare: "Il treno parte/ad ogni finestrin ripete allegramente il soldatin/io ti saluto! Vado in Abissinia/cara Virginia, ma tornerò/Appena giunto nell’accampamento/dal reggimento/ti scriverò…⁸".

    Sorridendo supero l’atrio e raggiungo il binario tre, pensando che mi piacerebbe avere un apparecchio fotografico per immortalare certi momenti; ma quell’immagine rimarrà, come tante altre, per sempre in me, da qualche parte. O almeno lo spero.

    Il tempo di fumare una sigaretta e il treno arriva, arrestandosi stridendo. Salgo a bordo e mi trovo in una carrozza che risuona di un chiassoso vociare di bambini in età prescolare, tutti in divisa da figli della lupa⁹ – il bianco di cinturone e bretelle a risaltare sul resto: Camicie Nere come i fez e le scarpine, pantaloni e calze grigio-verdi – accompagnato in sottofondo da un non meno fastidioso chiacchiericcio proveniente dalle loro madri. Suppongo stiano andando a una qualche manifestazione organizzata per il sabato fascista¹⁰; abbandono lo scompartimento per cercarne uno più tranquillo.

    In quello successivo adocchio un posto libero vicino a un uomo anziano, entrambe le mani appoggiate su un bastone da passeggio tenuto tra le gambe, il viso severo incorniciato dalla barba bianca: immaginando una difficoltà di deambulazione, abbinata a una scarsissima voglia di relazionarsi con gli altri, mi tolgo il cappotto e mi siedo di fronte a lui. Sbagliando almeno una delle mie supposizioni.

    Infatti, dopo pochi minuti dal distacco dalla banchina, mi domanda: Avete visto quei due giovani seduti là, indicandoli con un movimento del mento, "il nostro esercito ha bisogno di uomini validi, sia in Africa che in Grecia. Chissà perché non

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