La stanza del silenzio: Un enigma dal passato per il commissario Montefiori
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Enrico Luceri (Roma, 1960) è un autore di gialli. Fra i suoi romanzi: Linea retta (Mondadori, 2021), Il vizio del diavolo (Oltre edizioni, 2020), Le notti della luna rossa (Mondadori, 2019), Lo sguardo dell’abisso (DrawUp, 2019), L’ora più buia della notte (Mondadori, 2017), Dietro questo sipario (Damster, 2017), Le colpe dei figli (Mondadori, 2015), Buio come una cantina chiusa (Mondadori, 2013), Le strade di sera (Hobby&Work, 2012) e Il mio volto è uno specchio (Mondadori, 2008). In collaborazione, ha scritto i romanzi: Il prossimo novilunio (con Antonio Tentori, Oltre edizioni, 2020), Chi ha spento la luce (con Sabina Marchesi, Bertoni, 2019), La donna di cenere (con Marzia Musneci, Damster, 2018), La voce del buio (con Antonio Tentori, Mondoscrittura, 2017), Solo dopo il crepuscolo (con Sabina Marchesi, Damster, 2016). Ha creato con Giulio Leoni e Massimo Pietroselli la serie di romanzi Gli archivi segreti della sezione M, pubblicata da TEA (2019, 2020). Inoltre ha scritto i saggi Giallo Pulp (con Luigi Cozzi, Profondo Rosso, 2018), La porta sul giallo (con Sabina Marchesi, Prospettiva, 2010) e diversi articoli pubblicati in appendice ai Classici del Giallo Mondadori fra il 2009 e il 2011. Altri suoi racconti sono presenti nelle antologie I luoghi del noir (Fratelli Frilli Editori, 2020), Assassinii sull’Orient Express (Mondadori, 2020), Viterbo in noir (Fratelli Frilli Editori, 2019), Obscuria (Damster, 2018), Romanza noir (Damster, 2017), L’estate è una cattiva stagione (Damster, 2017), Delitti in giallo (Mondadori, 2015), in appendice a I Classici del Giallo Mondadori n.1329 (2013), in Delitto capitale (Hobby&Work, 2012) e Nero Lazio (PerroneLab, 2010). Nel 2008 ha vinto il premio Alberto Tedeschi, organizzato dal Giallo Mondadori.
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Anteprima del libro
La stanza del silenzio - Enrico Luceri
Dieci anni dopo
1.
La donna spinse ancora una volta il campanello accanto alla porta della villetta e tese le orecchie. Percepì con chiarezza l’eco del trillo meccanico che si diffondeva per le stanze, ma attese invano il fruscio di passi che si avvicinavano, il suono di una voce, o il rumore di una finestra spalancata. Allora la donna infilò una mano nella borsetta e trasse una chiave. Aprì la porta ed entrò nella villetta, chiamando ad alta voce:
Carla! Ci sei?
Il silenzio che regnava nel salone aumentò la sua inquietudine. Si aggirò per la stanza, ammirando come suo solito l’ordine dei soprammobili e degli oggetti posati sugli scaffali, il luccichio dei vetri, lo splendore dei pavimenti e delle superfici di legno del mobilio. L’aria era secca e frizzante, come fosse stata rinnovata fino a poco prima.
Quando lei si avvicinò a uno specchio appeso al muro, vide riflesso il viso di una donna poco oltre la sessantina, dal fisico ancora snello e tonico, il viso privo di rughe e i capelli tinti di un morbido color castano. Sospirò, preda di un’ansia che sentiva crescere attimo dopo attimo, ed esplorò in fretta la cucina. Una caffettiera era posata sopra un fornello, e lì accanto una tazzina vuota. Il suo sguardo fu attratto da flaconi, scatole e barattoli di medicinali accatastati su una mensola. Si affacciò sulla soglia del bagno, poi tornò nel salone e ripeté in tono preoccupato:
Carla, rispondimi! Dove sei?
Preda del presentimento sinistro di una disgrazia imminente, la donna rifletté qualche istante, prima di salire le scale. Giunta al primo piano, percorse il corridoio fino all’unica stanza dove la porta era socchiusa. La spinse e non trattenne un sospiro di sollievo quando vide la figura seduta sul letto, che pareva fissare la parete come ipnotizzata. Poi si accorse dei fogli del quotidiano squadernati sul pavimento e si morse un labbro.
Carla, finalmente! Perché non mi hai risposto?
Carla si voltò verso di lei lentamente, senza mutare quell’espressione impassibile, o assente. Con due dita, sfiorò una ciocca dei capelli tagliati a caschetto e tinti di un nero quasi violento. Lo stesso colore dei suoi occhi, che parevano luccicare febbricitanti, nel viso così pallido da sembrare terrorizzato.
Carla
, disse ancora una volta la donna, fermandosi stupita accanto a lei. Le accarezzò una spalla, ma ritrasse subito la mano perché Carla si era irrigidita.
Mamma
, sorrise infine Carla.
Ma fu un sorriso stentato, e la donna trovò una conferma alla propria inquietudine. Solo allora si accorse che una valigia era stata aperta vicino all’altra sponda del letto matrimoniale, e dentro di essa erano stati piegati con cura vestiti e biancheria. Sbirciò l’interno dell’armadio, attraverso l’anta accostata, e vide pendere delle stampelle vuote.
Parti?!
, domandò più stupita che spaventata, e subito aggiunse, senza attendere la risposta: Ti senti bene? Mi sembri strana, sconvolta, e cosa significa quel giornale gettato per terra che…
Non terminò la frase perché la figlia si alzò con un movimento fluido, indolente, e indicò con un dito sottile i fogli del quotidiano sparpagliati sul pavimento. Quando parlò, pareva recitasse una cantilena, con quella voce calma, lenta, dal tono quasi trasognato.
Stamattina ho sentito l’impulso di uscire presto. Camminavo senza una meta, una direzione, e mi sono trovata all’improvviso davanti all’edicola del giornalaio. Ho visto la locandina del ‘Corriere della Regione’ e ho provato l’esigenza di comprarlo. Non ne ho capito subito il motivo. L’ho scoperto quando sono tornata a casa. Ero andata in cucina, volevo fare il caffè. Ho riempito la macchinetta, preparato la tazzina. Sai, i miei gesti abituali, quelli che il dottor Zoratto trova rassicuranti.
Lo sono, cara.
Chissà. Però, prima di accendere la fiamma del fornello, mi sono seduta al tavolo e ho cominciato a sfogliare il quotidiano. Sapevo che dovevo cercare una notizia, ma ignoravo quale. Mi sembrava una specie di premonizione.
La madre taceva, aveva infilato le mani nelle tasche della gonna, per evitare che Carla si accorgesse che tremavano per l’ansia.
Cercavo, leggevo i titoli, guardavo le fotografie. Cercavo, ma non sapevo cosa
, continuò Carla. Mi sembrava di dover mettere a fuoco un’immagine sgranata. Tu mi capisci, vero, mamma?
Non credo
, ammise l’altra donna dopo una breve esitazione, scuotendo il capo.
Mamma!
, si spazientì Carla. ‘Il Corriere’ è un quotidiano regionale ma all’interno ha alcune pagine dedicate alla cronaca di Roma. Adesso capisci a cosa mi riferisco?
La madre la osservava a braccia conserte. Tacque e scrollò la testa, di nuovo.
Carla adesso camminava nervosamente per la stanza.
Insomma, mamma, piantala di restare impalata e muta! Hai capito benissimo. Si tratta di una notizia che riguarda la… morte di Roberto.
Vuoi dire che la polizia ha trovato l’assassina?
La madre spalancò gli occhi e fece un passo avanti.
No! E io devo sbrigarmi, mamma. Il palazzo dove si trova l’albergo sarà smantellato fra un paio di mesi. Diventerà una multisala cinematografica
.
Sbrigarti a fare cosa?
Possibile che tu non voglia capire? La notizia riguarda quell’albergo, mamma!
Mi sembri confusa, Carla. Stamattina hai preso le tue medicine?
No. Non ho inghiottito quelle porcherie che mi lasciano stordita. Quando fanno effetto, mi sembra di camminare come una sonnambula. Invece ora tutto mi è chiaro, non ho mai visto la realtà così nitida. Mi sento bene!
, concluse perentoria, con una sicurezza che dubitava di possedere sul serio.
Hai fatto un errore. Il dottor Zoratto ha detto…
Lo so cosa ha detto
, la interruppe Carla, perentoria. Non mi interessa più. Ormai so cosa devo fare. Parto, vado a Roma e mi fermo in quell’albergo, prima che sia distrutto. Scoprirò cosa accadde quel giorno.
Tu sei pazza!
, esclamò la madre, ma si pentì amaramente di aver pronunciato quella parola, che aveva sputato fuori come un insulto, e si sbrigò ad aggiungere:
Ti prego, non farlo. Sei stata male per anni, dopo la sua morte.
Non essere ipocrita, mamma. Roberto non è morto, semplicemente. Si è trattato di un omicidio. Mio marito è stato ammazzato.
D’accordo, un omicidio, hai ragione
, concesse la madre, conciliante. Ma subito dopo precisò con voce aspra:
Tuo marito è stato ammazzato da una prostituta, una di quelle con cui si accompagnava di solito quando il lavoro lo portava in città.
Era solo un sospetto della polizia, che Roberto frequentasse… quelle donne. C’erano indizi, ma nessuna prova decisiva. E se anche lo avesse fatto, è stata colpa mia. Ero troppo fredda, fragile, incerta… forse sono stata una delusione per lui, non riuscivo a essere la moglie che gli avevo fatto credere e…
Carla, tu sei stata sempre una ragazza sincera, di ottimi sentimenti e profondi valori morali, lui non ti amava, ti ha sposata per interesse. Io l’ho scoperto subito, infatti ti sconsigliai il matrimonio con un individuo simile.
Lo hai sempre detestato per gelosia. Tu non volevi che mi sposassi, ma speravi che restassi sola come un cane, come te, dopo che papà ti lasciò e…
Carla s’interruppe quando vide la madre abbassare lo sguardo verso il pavimento. Scusa, mamma, non volevo ferirti, ma tu sei stata così sincera e spietata.
Forse hai ragione, tronchiamo questa discussione dolorosa e inutile. Adesso ti aiuto a sistemare i vestiti nei cassetti e la valigia nell’armadio e non ne parliamo più.
Non ne parliamo più
, annuì Carla. Ma io parto lo stesso.
Tu sei…
Pazza? Lo hai appena detto. Forse, ma voglio sapere. O lo faccio adesso o non saprò mai la verità.
Non capisci che la tua è un’illusione? La Squadra Mobile indagò per mesi senza trovare quella donna e pensi di riuscirci tu, dieci anni dopo? La verità, dici! E quando l’avrai scoperta, ammesso che tu riesca dove ha fallito la polizia, a cosa ti servirà?
Solo io posso farcela, perché ho un motivo più valido di quello della polizia: voglio scagionare mio marito da un’accusa infamante. Essere rimasto vittima di un incontro clandestino che…
D’accordo, lui è stato una vittima, ma delle sue manie sessuali. Ha trovato la donna sbagliata, Carla, una prostituta matta o strafatta. Hanno litigato per i soldi, forse lei voleva troppo oppure lui ha rifiutato di pagare il prezzo che avevano concordato. O forse Roberto le ha chiesto qualcosa che lei non voleva fargli, oppure quella aveva già deciso di uccidere qualcuno ed è capitato proprio tuo marito. I moventi, o meglio, le cause che possono aver scatenato la reazione di quella donna, potevano esser state tante, lo dichiarò la polizia stessa. Che indagò a fondo per tanti mesi, senza poter risalire all’identità dell’assassina. Io stessa parlai con il magistrato, quando fu costretto ad archiviare il caso come omicidio a opera di ignoti. Mi fece capire che non avevano trascurato alcuna ipotesi. Devi rassegnarti.
Roberto è finito con la gola tagliata nella stanza di uno squallido albergo a ore che fra un mese sarà smantellato!
, gridò Carla.
La sua voce si smorzò con un singhiozzo e la madre temette che stesse per scoppiare in lacrime. Allora le strinse un polso esile, che sentì gelido, e la costrinse a sedere di nuovo sulla sponda del letto, una accanto all’altra.
Carla, ascoltami. Io ricordo benissimo le tue condizioni, quel giorno: avevi un febbrone ed eri a letto che deliravi, mentre lui se la spassava a Roma, fingendo di lavorare. Mentre era solo una scusa per andare a donne. Io ricordo lo shock che hai subito quando la polizia ha bussato alla porta di questa casa per informarti di cosa era successo, e meno male che c’ero io a prendermi cura di te. Sei stata ricoverata quasi un anno, dopo, in quella clinica, e la tua guarigione è stata lenta e faticosa.
Hai finito di rinfacciarmi il tuo aiuto?
Scusa, cara, ma volevo solo rammentarti il percorso lungo e doloroso che ti ha permesso di ritrovare un equilibrio. Anche se…
Io non sono mai guarita completamente, e sono passati dieci anni! Non rammento molto di quel giorno, solo che avevo la febbre alta. Non capisci perché dopo la mia… guarigione
, pronunciò quella parola quasi con disprezzo non abbia voluto frequentare altri uomini e magari sposarmi di nuovo, essere felice con qualcuno che ti piacesse, e avere dei figli? Be’, è evidente. E tu conosci la risposta anche se non ti piace: perché io amo ancora Roberto.
Il dottor Zoratto spiegò che un complesso di colpa, del tutto ingiustificato nelle tue condizioni, poteva anche starci, ma piano piano ne saresti uscita.
Quello strizzacervelli mi ha tenuta prigioniera per oltre un anno nella sua stramaledetta prigione mascherata da clinica, con la tua complicità.
Carla, ho sofferto tantissimo ma non potevo fare altrimenti. Sei stata ricoverata il tempo necessario a ristabilire un equilibrio…
Un equilibrio che non valeva nulla, se poi per altri due anni quel manichino di Zoratto mi ha costretta a fare avanti e indietro fra casa e prig… clinica. Mi ha fritto il cervello con le sue maledette terapie, che mi stordivano o rendevano euforica, a giorni alterni, come una maledetta droga. Mi ha fatto venire perfino le allucinazioni.
Il dottore diceva che era inevitabile ricostruire il passato in maniera frammentaria, non deliravi!
Basta, mamma, non voglio discutere con te di quello che ho passato. Dici che ho riacquistato il mio equilibrio? Bene, e allora sarò definitivamente guarita solo quando avrò scoperto la verità, e non ripetere che è una pazzia, perché io andrò fino in fondo.
Carla, che cosa è successo? Non parlavi di Roberto da anni.
Possibile che non vuoi capire? È stata la notizia che quell’albergo non esisterà più, che scomparirà. Sarà come se Roberto fosse ucciso un’altra volta. Ogni cosa svanirà. Diventerà una foto sbiadita, che il tempo consumerà fino a renderla vaga e confusa, irriconoscibile. Io… ho cercato inutilmente le carte che la polizia consegnò all’avvocato che mi rappresentava quando ero ricoverata. Non c’è nulla, qui in casa. Le hai fatte sparire tu, vero?
La madre distolse lo sguardo, imbarazzata.
Carla si alzò, chiuse la valigia, la sollevò e trasportò fino alla porta.
Mi sono sforzata di ricordare qualcosa, ma è tutto così confuso. La polizia accertò che Roberto era alla stazione Termini, aveva già comprato il biglietto per tornare a casa, da me. Poi un ferroviere lo vide vicino al binario, si avviava a prendere il treno però…
Fu adescato da una prostituta.
Fu avvicinato da una donna
, precisò Carla, trattenendo la rabbia a fatica. E si allontanarono insieme. Fino a quell’albergo, che si trova in una stradina a un centinaio di metri dalla stazione. Ora diventerà una multisala, un cinema. Pensa che ironia se proietteranno qualche film horror o thrilling dove un uomo è sgozzato con un rasoio!
, esclamò, e subito scoppiò in una risatina stridula.
Sua madre si alzò, puntellandosi con i palmi sulla coperta, e uscirono insieme dalla stanza.
Non mi lasci altra scelta
, annunciò.
Non puoi impedirmelo.
Non intendo farlo. Però avviserò il dottor Zoratto.
Allora digli che da stamattina ho smesso di prendere le sue maledette droghe!
Carla frugò nella borsetta finché i suoi lineamenti contratti si rilassarono, come se avesse finalmente trovato ciò che cercava. Fece scorrere la chiusura lampo e sorrise.
Mi dispiace, Carla
, concluse freddamente la madre.
La figlia scosse il capo, come se avesse intuito la minaccia nascosta in quella frase, ma ormai non avesse più importanza. E tuttavia rabbrividì, perché le sembrò definitiva come una sentenza.
2.
Carla scese dal treno e si avviò sotto la pensilina, camminando accanto al binario. Si muoveva con passo fluido, come se pattinasse sul pavimento della stazione Termini, convinta di rivivere le stesse sensazioni di Roberto, dieci anni prima. L’annuncio diffuso dagli altoparlanti del ritardo di un treno che proveniva da Napoli per un guasto sulla linea ferroviaria, i rumori dei trolley trascinati dai passeggeri che raggiungevano i vagoni o si affrettavano ad allontanarsene, le suonerie dei cellulari, le voci di chi le passava accanto, finirono per confondersi in un chiasso sgradevole che sfumò poco a poco. Carla si voltò all’improvviso, quando si accorse dell’uomo alto e snello che camminava al suo fianco, e per un istante credette che fosse Roberto. Scacciò quel pensiero assurdo scrollando il capo, come se fosse un insetto fastidioso, e strinse con energia le dita al manico della valigia. La posò, e si fermò, quando si trovò di fronte al primo binario. Da lì partiva dieci anni prima il regionale che avrebbe dovuto riportare Roberto a casa. Rammentò che la polizia raccolse la testimonianza di un controllore del treno. Aveva visto suo marito dirigersi verso una carrozza, e fermarsi subito dopo a parlare con una donna bionda, alta, che indossava un impermeabile nero. Insieme alla quale, aveva voltato le spalle al treno e si era avviato verso l’uscita.
Carla tirò un respiro profondo, sbatté le palpebre e si rimise in cammino. Accelerò il passo, cercando un sistema per concentrarsi. Trovò solo quello che l’aiutava quando era bambina, e associava la stazione ferroviaria del suo paese all’immagine della partenza di suo padre. Un dolore insopportabile come un’amputazione, o una lacerazione bruciante. Allora lei fissava le insegne dei pochi negozi, e ne staccava le sillabe, leggendole una per volta, poi le contava. Lo fece anche nel corridoio della stazione della città in cui era appena arrivata ma, quando si accorse che quelle scritte lampeggianti rosse, verdi e bianche l’attraevano con un magnetismo quasi ipnotico, distolse gli occhi. Che si spostarono impulsivamente verso una vetrina: osservò il suo viso