Digitalizzare un'impresa 2: Riflessioni sul futuro digitale fra impresa e società
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Il tutto, ancora una volta, con un linguaggio non tecnico, ampio uso di esempi, aneddoti, metafore ed un pizzico di ironia. E da un punto di vista che non vuole essere quello dello specialista ma quello dell’imprenditore, e dell'uomo dietro di lui che, ogni giorno, deve affrontare le sfide legate alla crescita dell’azienda e delle professionalità di chi ci lavora.
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Digitalizzare un'impresa 2 - Pier Alberto Guidotti
Collana: I Saperi
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati.
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ISBN 978-88-6155-926-4
Proprietà letteraria riservata
© Giraldi Editore, 2022
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Edizione digitale realizzata da Fotoincisa BiCo
Ai miei collaboratori e agli utenti dei software che ho creato.
Senza di loro né questo libro, né quello che l’ha preceduto, sarebbero mai stati scritti.
Prefazione
Nei due anni che sono trascorsi dall’uscita del mio primo libro¹, fiumi di parole sono stati scritti e detti sulla Trasformazione digitale. Perché dal concetto di Industria 4.0 si è passati in poco tempo a quello di Impresa 4.0, e si è poi pensato che più che qualcosa che riguardava le aziende, quella che stiamo vivendo è una modifica profonda del nostro modo di agire, dentro e fuori il lavoro, ed è quindi più opportuno parlare di trasformazione
.
Queste righe le avevo scritte a gennaio 2020, poi a febbraio è successo l’impensabile. Nel giro di un mese, un virus sconosciuto ha letteralmente bloccato il mondo, manifestando i suoi effetti proprio a partire dal nostro paese, portando le persone a restare chiuse in casa e a dovere svolgere le proprie attività lavorative, quando possibile, dalla propria abitazione.
E se prima si parlava di Trasformazione digitale come di qualcosa a cui le aziende dovevano tendere, improvvisamente sono state le persone, nella loro vita privata e lavorativa, a non potere fare a meno di utilizzare gli strumenti digitali, pena l’impossibilità di lavorare, studiare e, in fin dei conti, vivere il più possibile normalmente. Stando chiusi in casa.
Affermare che il 2020 resterà nella storia come uno spartiacque, uno di quegli anni che segnano un prima
e un dopo
, è fin troppo ovvio. Così come lo è affermare che esisterà un prima del 2020
e un dopo il 2020
anche per il modo di vivere, lavorare e studiare. Pensare di fare a meno di una connessione digitale sarà impossibile, non fosse altro che per garantirsi una vita normale nel caso la pandemia si ripresentasse. E lo stesso vale per le aziende, molte delle quali si sono trovate improvvisamente nell’impossibilità di operare proprio a causa del fatto che non si erano adeguatamente digitalizzate. E hanno dovuto farlo in fretta e furia, investendo sulla connettività e su strumenti per consentire al proprio personale di lavorare in remoto (il cosiddetto smart-working, che poi tale non sempre è, come vedremo più avanti).
Ma questa digitalizzazione forzata e improvvisata ha portato alla luce alcuni problemi, che ho affrontato nel primo libro, come quello della scarsa disponibilità di banda larga o quello della cybersecurity. Ma, specialmente, quello della arretratezza culturale nell’ambito informatico delle nostre aziende, soprattutto le cosiddette PMI, piccole e medie imprese.
E fa quasi sorridere sentire parlare di Intelligenza artificiale, Realtà virtuale o aumentata, tecnologie avanzatissime e potentissime, quando per molte aziende è un problema perfino gestire una situazione di magazzino aggiornata usando bene il proprio software gestionale (il cosiddetto ERP).
Queste tecnologie, che vengono anche definite abilitanti
(come se senza di esse si fosse, in qualche modo, non abilitati
), sono spesso usate per fare marketing, e, quindi, colpire l’interlocutore per attirarlo con effetti speciali e vendergli altri servizi. Nella realtà, la loro velocità di introduzione e assimilazione da parte delle aziende è ancora molto inferiore rispetto a quella che sarebbe auspicabile.
Manca evidentemente qualcosa. C’è probabilmente un elemento che viene trascurato e che fa sì che il fare
sia ben lontano dal dire
.
Se guardiamo l’evoluzione dell’informatica negli ultimi cinquant’anni, non possiamo non notare da un lato che molta strada è stata fatta nell’uso degli strumenti digitali ma, dall’altro, che il gap fra quello che è possibile fare e quello che realmente si fa è enormemente aumentato. In altre parole, la tecnologia si è evoluta molto più velocemente di quanto le aziende siano state in grado di recepirla.
Se pensiamo al modo in cui si gestivano, ad esempio, l’amministrazione e la corrispondenza nel 1985, e lo confrontiamo con ciò che si faceva nel 1995, ci rendiamo conto che in quel decennio c’era già stata una profonda trasformazione data dal digitale. E la stessa cosa è accaduta nei decenni successivi. Ma, forse, anche nei precedenti, sebbene in ambiti più ristretti. Pensiamo solo al fatto che senza il digitale sulla Luna non ci si sarebbe andati².
Quindi, qual è l’elemento nuovo che giustifica il parlare di Trasformazione digitale
? La risposta l’abbiamo pienamente compresa in occasione della pandemia: la (cosiddetta) pervasività
, cioè la presenza, a volte obbligata, del digitale in un numero enorme di attività che l’uomo svolge, e che, senza il digitale stesso, non potrebbe probabilmente svolgere.
E qui torniamo all’elemento mancante, quello che non permette ancora di passare dal dire
al fare
. Che è, nelle aziende, anche quello che ha reso a volte doloroso l’uso forzato del digitale quando non se ne è più potuto fare a meno. Di cosa si tratta? Proprio della consapevolezza del ruolo dell’essere umano in tutto questo. Un conto è la persona che usa una tecnologia studiata per venire incontro alle proprie esigenze personali in un ambito non lavorativo. Un altro è la stessa persona che usa una tecnologia studiata per consentirle di svolgere al meglio le proprie attività all’interno di un’organizzazione complessa.
Vi siete mai chiesti come mai la stessa persona che usa con disinvoltura uno smartphone di ultima generazione e relative applicazioni social ha poi grandi difficoltà ad assimilare il funzionamento di un’applicazione aziendale studiata per rendere più efficienti le attività? E, ancora, perché, quando è stata costretta ad usare un collegamento remoto, o un applicativo di videoconferenza, per lavorare da casa, non ha avuto in fin dei conti troppi problemi?