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La psicologia della meditazione indiana
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La psicologia della meditazione indiana

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A cura di Horia-Corneliu Cicortaș
Frutto delle ricerche condotte in India sotto la guida di S. Dasgupta e redatto nei primi anni Trenta, La psicologia della meditazione indiana (Psihologia meditației indiene) è il primo lavoro scientifico di ampio respiro del giovane Eliade: si tratta della sua tesi di dottorato, sostenuta nel 1933, che gli aprì le porte alla carriera universitaria.
Il dattiloscritto della tesi fu scoperto negli archivi dell’università di Bucarest dallo studioso Constantin Popescu-Cadem, che lo pubblicò, inizialmente sulla Revista de istorie și teorie literară (1983-1985) e successivamente (1992) come volume indipendente.
Il lettore ha davanti il testo-base o lo “Yoga zero”, all’origine degli sviluppi successivi sfociati nei vari libri che lo studioso romeno avrebbe dedicato all’argomento a partire dal 1936; esso getta nuova luce sull’approccio e le fonti di una ricerca sullo yoga, pionieristica e ancora in fieri, intrapresa da Mircea Eliade durante il suo decisivo contatto con la cultura indiana.
LanguageItaliano
Release dateApr 10, 2017
ISBN9788827227602
La psicologia della meditazione indiana
Author

Mircea Eliade

Mircea Eliade (1907-1986), formatosi come filosofo e storico delle religioni all’Università di Bucarest, insegnò Storia delle religioni all’École des Hautes Etudes di Parigi e all’Università di Chicago. È considerato uno degli storici delle religioni più importanti del Novecento. Famoso per i suoi studi sulle religioni indiane e lo sciamanesimo, Eliade è noto anche come scrittore di romanzi e racconti, pubblicista, saggista, autore di letteratura diaristica e memorialistica. Tra le sue opere ricordiamo Lo sciamanesimo e le tecniche dell’estasi e Mefistofele e l’androgine pubblicate in Italia dalle Edizioni Mediterranee.

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    Book preview

    La psicologia della meditazione indiana - Mircea Eliade

    Orizzonti dello spirito / 108

    Collana fondata da Julius Evola

    In copertina:

    Brahma, scuola Pahari, XVIII sec.

    acquarello su carta

    Traduzione dal romeno di Horia Corneliu Cicortaş

    ISBN 978-88-272-2760-2

    Titolo originale dell’opera: PSIHOLOGIA MEDITAŢIEI INDIENE. STUDII DESPRE YOGA - © Copyright Sorin Alexandrescu - Per l’edizione italiana: © Copyright 2016 by Edizioni Mediterranee, Via Flaminia, 109 – 00196 Roma - Digital version by Volume Press

    Finito di stampare nel mese di dicembre 2016, CSR, Roma

    INDICE

    Introduzione: Il giovane Eliade e lo yoga, di Horia Corneliu Cicortaş

    Nota del Curatore

    I. C ONSIDERAZIONI PRELIMINARI

    1. Generalità sullo yoga

    2. La psicologia del rituale

    3. Le origini dello yoga

    4. Rito e rituale

    5. Il culto vedico

    II. A SCETISMO E YOGA NELLA LETTERATURA BRAHMANICA

    1. Il sacrificio nei Brāhma a

    2. Idee non arie nello yoga.

    Nota sulle origini non arie dello yoga

    III. C ONTEMPLAZIONE E ASCESI NEL B UDDHISMO

    1. Il Buddhismo delle origini

    2. La meditazione nel Buddhismo delle origini

    IV. I L SĀ KHYA E LO YOGA NELLA LETTERATURA EPICA

    1. La difficoltà del problema nelle due epopee

    2. Le vie di salvezza secondo il Mahābhārata

    3. La distinzione tra il sā khya e lo yoga nel Mahābhārata

    4. L’ipnosi nell’induismo

    5. La Bhagavad-gītā – sintesi della soteriologia indiana

    V. I L SĀ KHYA E LO YOGA

    1. Premesse filosofiche della meditazione yoga

    2. Principi ontologici e cosmogonici nel sā khya

    3. L’anima, il dolore dell’esistenza e la salvezza

    4. L’evoluzione della natura e il formarsi dell’organismo psichico-mentale

    5. La logica e la teoria della conoscenza

    VI. L A PSICOLOGIA YOGA

    1. La struttura dell’attività psichica normale

    2. La tecnica yoga

    3. La morfologia della meditazione

    VII. C ONCLUSIONI

    APPENDICI

    I. Gli autori greco-latini sull’ascetismo indiano

    II. Gli autori orientali sulla mistica e l’ascesi indiana

    III. Sui kānphatā-yogī , aghorī e aghora-panthi

    Indice dei nomi propri

    INTRODUZIONE

    Il giovane Eliade e lo yoga

    Giugno 1933, Bucarest. In un’aula dell’università, il ventiseienne Mircea Eliade sostiene la sua tesi di dottorato in filosofia, dinanzi a una commissione formata dai professori Dimitrie Gusti (sociologo), Petre P. Negulescu (filosofo) e Constantin Rădulescu-Motru (filosofo e psicologo), in presenza di una ventina di amici e invitati. Cinque anni prima, appena laureato, era partito per l’India, stabilendosi a Calcutta dove si era immerso nello studio delle tradizioni filosofico-religiose indiane, sotto la guida del professor Surendranath Dasgupta, rinomato studioso di filosofia indiana. Durante i tre anni del suo soggiorno (1928-1931), oltre a pubblicare diversi saggi su tematiche indiane, scritti letterari, articoli e cronache ispirati dai viaggi nel subcontinente o dalle sue osservazioni quotidiane, Eliade aveva raccolto, in inglese, una serie di appunti in vista della futura tesi di dottorato sullo yoga. Era tornato in Romania nel dicembre del 1931, dovendo tra l’altro espletare il servizio militare, con l’idea di tornare in un secondo momento in India o, eventualmente, di proseguire la sua attività di studioso in un Paese occidentale.

    Negli intervalli liberi dalle incombenze militari, grazie anche ad alcuni congedi che gli furono concessi per intervento di Rădulescu-Motru, il giovane dottorando, nel rimettere mano a quell’abbozzo in inglese della tesi, lo tradusse in romeno e lo integrò, approntando così la struttura definitiva del testo dattiloscritto, che consegnò alla segreteria dell’Università nel novembre del 1932. Nel frattempo, già da gennaio, era stato invitato a tenere conferenze alla radio pubblica su vari argomenti ed esperienze vissute in India¹. Raccolse inoltre una serie di brevi riflessioni filosofiche e religiose tratte dai suoi taccuini indiani, pubblicandole in un volumetto intitolato Solilocvii².

    Nell’attesa che fosse fissata la data della dissertazione della tesi, Eliade scrisse, all’inizio del 1933, il romanzo autobiografico Maitreyi, ambientato in India, che venne premiato e dato alle stampe nel mese di maggio, riscuotendo subito grande successo di critica e di pubblico; la prima tiratura del romanzo si esaurì infatti rapidamente, tanto da richiedere ristampe ravvicinate³. Così, alla vigilia della sua dissertazione, Eliade aveva raggiunto la notorietà, non come studioso, ma come romanziere esotico.

    Esotici dovettero risultare anche l’argomento e il titolo della tesi ai tre esaminatori – nessuno dei quali di formazione orientalistica – che, stando a una testimonianza del tempo, apprezzarono tuttavia l’impianto scientifico del lavoro (Rădulescu-Motru), la novità dell’argomento (Negulescu) e il copioso apparato bibliografico (Gusti). Al termine di un colloquio pacato e sobrio, non di lunga durata, il giovane Eliade ottenne i complimenti della commissione e conseguì il titolo di dottore, andando poi, verso sera, a festeggiare il lieto evento con gli amici⁴. Secondo la commissione, la tesi, scritta in romeno, poteva essere pubblicata anche in inglese o francese⁵.

    Il testo originale della tesi è rimasto inedito per più di cinquant’anni. Dopo la discussione nel 1933, il lavoro fu radicalmente ripensato, ampliato considerevolmente, tradotto dal romeno e dall’inglese in francese, e infine pubblicato nel maggio del 1936, col titolo di Yoga. Essai sur les origines de la mystique indienne⁶, monografia che per certi versi posò la pietra miliare per l’affermazione internazionale del suo autore come studioso delle religioni indiane, fornendogli allo stesso tempo una base di partenza per ulteriori ricerche, rielaborazioni e approfondimenti personali nello studio dello yoga, affrontato nella prospettiva della storia delle religioni.

    Al termine della Seconda Guerra Mondiale, quando il volume del ’36 era ormai irreperibile, Eliade pubblicò un saggio introduttivo, ma illuminante, sulle Techniques du Yoga, pronto nel 1946 per Gallimard, su proposta di Georges Dumézil, ma uscito solo due anni dopo⁷. Venne poi il turno del libro che coronò le opere di Eliade sullo yoga, considerato tutt’oggi un classico autorevole e imprescindibile per gli studi nel settore: Le Yoga. Immortalité et liberté, dato alle stampe nel dicembre del 1954 presso Payot, pubblicato poi in numerosi Paesi ed edizioni⁸. A questi due saggi si aggiunse infine il volumetto di taglio divulgativo Patañjali et le yoga (1962), commissionato dall’editore Seuil per la sua collana di maestri spirituali⁹.

    Sul libro del 1936 – il primo della serie di volumi dedicati al tema dello yoga e legato da una parentela più stretta al testo originario della tesi di dottorato – avremo modo di tornare in un secondo momento. Intanto, ripercorriamo brevemente il contesto biografico, la gestazione e gli aspetti più rilevanti del lavoro consegnato nel 1932, il cui frutto più immediato fu quello di aprire al giovane studioso romeno le porte dell’insegnamento universitario, a partire dal novembre del 1933, come assistente onorario e supplente di Nae Ionescu, il suo professore preferito (nonché costante sostenitore)¹⁰.

    * * *

    Mircea Eliade aveva manifestato il suo interesse per l’India e l’Oriente già dall’adolescenza. Lo testimoniano le sue sconfinate letture, espressione di una viva ed enciclopedica curiosità intellettuale, come anche gli articoli pubblicati e i contatti stabiliti con alcuni orientalisti e storici delle religioni stranieri, fra cui quelli italiani ebbero un ruolo particolarmente importante. Occorre ricordare che lo studente di filosofia Eliade aveva scelto di dedicare la propria tesi di laurea ai Contributi alla filosofia del Rinascimento¹¹, facendo nel 1927 e nel 1928 tre viaggi in Italia, nel corso dei quali incontrò scrittori, filosofi e storici delle religioni con le cui opere aveva familiarizzato già da qualche anno, tanto da entrare con alcuni di loro in rapporti epistolari.

    Ancor prima, negli anni delle scuole superiori, segnati da una passione per il sapere nella sua totalità, Eliade si era interessato anche all’occultismo, all’alchimia, alla teosofia e ai fenomeni paranormali. Attraverso la lettura dei libri sull’orfismo e sulle religioni dei misteri, l’adolescente Mircea aveva cercato una conferma della sua credenza nell’esistenza di forze arcane della psiche umana, impiegate nelle iniziazioni religiose e nelle pratiche di tipo magico. Negli ultimi due anni di liceo, si era avvicinato sempre più alla storia delle religioni proprio attraverso la problematica dei misteri che, insieme alla questione delle correnti sotterranee – magiche e orientali – del pensiero rinascimentale, continuò a ossessionarlo nel periodo dell’università (1925-1928). Un interesse, quello per i misteri, che lo spinse a stabilire un contatto diretto con gli autori che lo interessavano di più, i quali a loro volta gli spedivano i propri libri, spesso recensiti e commentati da Eliade sui periodici romeni.

    Nel 1926, il nostro studente universitario avvia dunque una fitta rete di rapporti epistolari con alcune decine di studiosi di vari paesi, fra i quali certamente l’Italia è il più rappresentato: dal vecchio idolo Giovanni Papini a storici delle religioni e orientalisti come Ernesto Buonaiuti, Vittorio Macchioro, Raffaele Pettazzoni, Carlo Formichi e Giuseppe Tucci. I loro nomi compaiono puntualmente nelle recensioni e negli articoli pubblicati da Eliade negli anni 1926-1928, precedenti il soggiorno indiano. Buonaiuti e Macchioro li incontrò nel corso del primo viaggio in Italia; con loro, la corrispondenza si mantenne abbastanza intensa prima, durante e in seguito al periodo indiano. In più, la rivista diretta da Buonaiuti (Ricerche religiose), avrebbe anche ospitato i suoi primi studi di filosofia pubblicati all’estero¹². Anche i rapporti con Formichi e Tucci furono, come vedremo più avanti, tali da avere un certo peso nelle varie scelte che Eliade dovette intraprendere alla vigilia e nelle prime settimane successive all’arrivo in India.

    Fra questi autori, il fondatore della scuola italiana di storia delle religioni, Raffaele Pettazzoni, fu chiamato da Eliade "mon premier et le plus précieux Maître en [recte: dans] l’étude des religions"¹³: riconoscimento di un apporto formativo decisivo, di una prospettiva per certi versi complementare al proprio approccio, prevalentemente fenomenologico ed esistenzialistico¹⁴; è suggestiva, da questo punto di vista, l’annotazione diaristica del 3 agosto 1964, in cui viene ricordata la prima lettura di una monografia dello studioso italiano:

    Nell’autunno del 1924 lessi I misteri di Raffaele Pettazzoni. Più di tutti gli altri, questo libro è stato decisivo per la mia vocazione di storico delle religioni. Nella mansarda di strada Melodiei, nelle fredde e umide notti di novembre, col libro di Pettazzoni davanti, sognavo di scoprire un giorno il segreto portato nella tomba dell’ultimo ierofante¹⁵.

    Nel febbraio del 1926 Eliade pubblicò una recensione di quel libro – occasione per scrivere la prima lettera a Pettazzoni, segnalandogliela e pregandolo di inviargli altre opere. La loro corrispondenza si protrae per alcuni mesi, per riprendere vita, al termine di un vuoto epistolare di due anni e mezzo, nei primi mesi del 1929, dopo l’arrivo e l’insediamento di Eliade a Calcutta. I carteggi conservati dei due studiosi registrano, a partire dalla primavera di quell’anno, sette anni di un silenzio che venne interrotto, come si diceva prima, proprio in occasione della pubblicazione dello Yoga, nel 1936¹⁶. Nonostante l’esiguità del carteggio risalente al periodo indiano, le poche lettere in questione ci aiutano a capire il contesto, la prospettiva e i primi orizzonti del lavoro che il giovane dottorando si appresta a realizzare¹⁷. Così, nella prima missiva che gli scrive dall’India, oltre a inviare al professore italiano il denaro per l’acquisto dei quattro volumi annuali (1925-1928) di Studi e materiali di storia delle religioni – periodico diretto insieme al sanscritista Carlo Formichi e a Giuseppe Tucci (indologo, sinologo e soprattutto tibetologo) – e a segnalargli la pubblicazione, in Romania, del periodico internazionale Logos (in cui aveva scritto un ampio dossier di recensioni critiche su opere recenti di vari studiosi delle religioni dei misteri, ivi incluso Pettazzoni¹⁸), in vista di una futura collection d’histoire des religions roumains, Eliade gli dichiara:

    Je vous prie de n’oublier pas que l’histoire des religions a resté – et restera – mon sujet d’études. Je suis venu en Inde pour apprendre le sanscrit et me préparer pour mes futurs travaux religieux sur l’Asie¹⁹.

    Egli precisa poi che i suoi studi riguardano lo yoga e il tantra, sicché vous devinez l’intérêt religieux et magique de mes travaux²⁰. In queste poche righe troviamo ben definiti gli obiettivi del suo viaggio in India: lo studio dello yoga e del tantrismo – all’epoca ancora poco esplorati dagli studiosi occidentali – nel loro contesto asiatico e nella prospettiva (comparata) della storia delle religioni, con l’ausilio degli strumenti filologici necessari (nella fattispecie, il sanscrito e altre lingue asiatiche).

    Il piano di lavoro, comunque, appare tracciato fin dall’arrivo nel subcontinente indiano. Consapevole dell’importanza della lingua sanscrita per i suoi studi, Eliade aveva iniziato a studiarla già a bordo di Hakone Maru, il traghetto giapponese con cui aveva attraversato il mar d’Arabia, diretto a Colombo. In una lettera scritta dieci giorni prima di quella a Pettazzoni all’amico Petru Comarnescu, il giovane studioso lo informava dei progressi raggiunti in sanscrito, apprezzati dal suo professor Dasgupta, e delle prime traduzioni dall’opera novellistica Hitopadeśa (esercizio per il primo anno), annunciandogli anche i primi studi che avrebbe pubblicato a partire dall’anno successivo: una Introduzione al sā khya e La critica del concetto di causa nel Buddhismo²¹. Il primo di questo saggi, su cui torneremo più avanti, fu completato e pubblicato puntualmente all’inizio del 1930, a differenza del secondo, pensato nell’ottica di un’eventuale ricerca sul Buddhismo, da condurre con Tucci a Dacca, come fanno supporre altre sue lettere²². Infatti, almeno in una prima fase, quando doveva peraltro risolvere anche i problemi legati agli aspetti materiali della sua permanenza in India, il nostro autore non era certo di lavorare con Dasgupta all’università di Calcutta. Un piccolo passo indietro nel tempo ci aiuterà a capire meglio questo dilemma.

    Nel corso del suo ultimo viaggio in Italia, nella primavera dell’anno precedente, Eliade si era trattenuto per alcune settimane a Roma, svolgendo ricerche finalizzate alla tesi di laurea sulla filosofia del Rinascimento, sostenuta poi a ottobre. Ma quel soggiorno romano non fu destinato solo a quel tipo di studi:

    Completavo allo stesso tempo la mia documentazione sull’India e in particolare sulla filosofia indiana. Attraverso la rivista Bilychnis avevo saputo, alcuni anni prima, del viaggio di Carlo Formichi e di Giuseppe Tucci in India. Con il professore di sanscrito Formichi ero già in corrispondenza e da lui avevo ricevuto libri e articoli²³.

    Così, un giorno di maggio andò a cercare Tucci all’Università, dove gli fu detto che questi si trovava ancora a Dacca; gli fu comunque permesso di lavorare nella biblioteca del seminario di indianistica²⁴. È lì che avvenne una scoperta che avrebbe cambiato il destino di Eliade. Leggendo la prefazione al primo volume dell’opera di Dasgupta A History of Indian Philosophy, egli apprese che l’autore aveva portato avanti il proprio lavoro col sostegno finanziario di un noto filantropo indiano, sovrano del piccolo regno di Kassimbazar ma attivo in tutto il Bengala del tempo (che comprendeva anche il territorio dell’attuale Bangladesh): il mahārāja Manindra Chandra Nandy. Senza pensarci più di tanto, Eliade scrisse subito una lettera al mecenate indiano per chiedergli una borsa di studio²⁵. Atto prestabilito o illuminazione del momento, l’iniziativa era, a ogni modo, consustanziale all’interesse consolidato che il ventenne di Bucarest nutriva per le filosofie orientali e al desiderio di esplorare altri orizzonti culturali. Evidentemente, egli era ormai custode di un’India interiore, scoperta sullo sfondo di una passione, tutta romantica, per le discipline sotterranee della cultura europea e per temi poco esplorati degli universi esotici, quali l’alchimia asiatica e il tantrismo²⁶.

    D’altra parte, è accertato che Eliade avesse stabilito in precedenza anche un contatto diretto con l’India. Ad esempio, aveva ordinato alcuni libri sulla chimica e sull’alchimia indiana, che gli vennero spediti il 17 novembre 1927 da Calcutta²⁷. Ancor prima, nei primi mesi del 1926, aveva scritto una lettera a Tucci domandandogli, tra l’altro, informazioni sui cataloghi delle case editrici presenti nelle principali città indiane, soprattutto Dacca, Benares, Bombay, Calcutta, nonché un suo intervento a favore di tale invio di libri²⁸.

    Insomma, considerati nel loro insieme, i fatti fin qui illustrati rivelano un crescente interesse del giovane intellettuale romeno per lo studio comparato delle religioni, le filosofie orientali e le correnti sommerse del pensiero, in grado di costituire il quadro teorico di un umanesimo integrale, al cui centro ci fosse un’idea più ampia di uomo universale. In quella fase transitoria, i progetti di Eliade implicavano, sì, un eventuale soggiorno all’estero, ma piuttosto in un paese occidentale, anche in virtù dell’assenza di una tradizione accademica di studi asiatici nella Romania di allora:

    Non c’è dubbio che senza questa lettera la mia vita sarebbe stata un’altra. Sapevo che il miglior posto per imparare la lingua sanscrita e per studiare la filosofia indiana era un’Università dell’India, ma non osavo sperare di potervi arrivare tanto in fretta. Pensavo che avrei ottenuto, probabilmente, una borsa per una delle Università occidentali, nel qual caso mi proponevo di studiare la filosofia comparata. È per questo che le mie ricerche sulla filosofia del Rinascimento non mi sembravano senza senso. Contavo di completarle più avanti con uno studio approfondito della filosofia orientale.²⁹

    Andava però scelta l’ubicazione e il coordinatore dei suoi studi da intraprendere in India. In attesa di ricevere una risposta dal mahārāja, il 4 settembre del 1928 Eliade scrisse anche a Dasgupta, che gli rispose il 12 ottobre. La risposta più decisiva, in termini economici, fu quella del mecenate indiano, che gli scrisse finalmente il 5 settembre, in maniera favorevole, aggiungendo come post scriptum anche la disponibilità di Dasgupta a seguirlo³⁰.

    Ma ancor prima, non avendo trovato a Roma né Tucci né Formichi – che si trovava in quel momento all’Università della California, Berkeley, dove era stato nominato titolare della nuova cattedra di cultura italiana –, scrisse anche a quest’ultimo³¹. Dalla risposta dello studioso napoletano, datata 19 settembre, risulta che il giovane romeno gli si era rivolto per chiedergli informazioni o suggerimenti per gli studi da intraprendere in India. Su questo punto, Formichi fu molto chiaro: affermò di conoscere molto bene l’Università di Dacca e gliela consigliò calorosamente, dicendogli di prendere a tal fine contatti col suo allievo Tucci, che vi insegnava da alcuni anni³².

    Quanto a Dasgupta, nella sua lettera di risposta, menzionata prima, egli disse che l’università di Calcutta era probabilmente the best place where you can study Indian Philosophy³³. Eliade gli aveva già chiesto informazioni sul costo della vita in India, esprimendo l’intenzione di restarvi solo un anno, come si evince dalla lettera del professore indiano³⁴.

    Insomma, finito l’effetto euforico della scoperta fatta a Roma nel mese di maggio, non era chiaro se Eliade si sarebbe diretto a Calcutta, come proponeva Dasgupta, o a Dacca – come gli consigliava Formichi³⁵. In una lettera spedita ai familiari da Madras, il 18 dicembre del 1928 (pochi giorni dopo il suo arrivo in India), egli indicava come indirizzo permanente quello di Dasgupta, ma prospettava due possibilità: di restare a Calcutta o di stabilirsi a Dacca. Ma, a sorpresa, egli incontra il professore indiano dopo qualche giorno, nella biblioteca della Società Teosofica di Adyar, dove questi si era recato per studiare manoscritti tantrici che gli servivano per il terzo volume della sua monumentale History of Indian Philosophy³⁶. Sembra che quest’incontro fortuito abbia messo fine ai progetti turistici iniziali, come anche all’eventualità – presa seriamente in considerazione – di recarsi a Dacca per studiare con Tucci, contattato per lettera come gli aveva suggerito Formichi³⁷. Avrebbe conosciuto l’orientalista marchigiano l’anno dopo, proprio a casa di Dasgupta³⁸.

    * * *

    A Calcutta, dopo un primo anno in cui aveva scelto come alloggio una pensione anglo-indiana, il giovane studioso fu invitato da Dasgupta ad abitare presso la propria abitazione, il che avvenne all’inizio del 1930. Fu per lui un’esperienza privilegiata di immersione nella vita familiare indiana (e di una fantasticata indianizzazione), che da un lato rafforzò la collaborazione e i rapporti personali con Dasgupta, ma dall’altro occasionò una relazione sentimentale con la figlia adolescente di lui, Maitreyi Devi. A metà settembre, la scoperta della liaison dei due giovani – ventitré anni lui, sedici lei – condusse all’espulsione di Eliade dalle mura domestiche, per offesa e ingratitudine nei riguardi del guru; è quanto gli comunica Dasgupta, con una breve ma durissima lettera d’addio in cui lo diffida dal contattare qualsiasi membro della propria famiglia³⁹.

    Si trattava di una violenta interruzione della romantica quanto problematica love-story, ma anche dei rapporti maestro-allievo, insomma un duro colpo per Eliade, il cui unico referente all’Università era proprio Dasgupta. Non solo: siccome il maharāja di Kassimbazar era morto nel novembre del 1929, il Nostro doveva fare affidamento unicamente sulle fonti di sussistenza provenienti dalla Romania: una borsa erogata dall’Università di Bucarest, le cui rate erano peraltro alquanto irregolari, e il compenso per gli articoli che pubblicava, principalmente sul giornale Cuvântul di Nae Ionescu.

    In seguito al precipitare degli eventi, Mircea fece i bagagli e ritornò nella pensione angloindiana dei signori Perris, in Ripon Street. Aveva bisogno di ritrovare il suo baricentro e un po’ di serenità. Ma il suo stato d’animo era tale da non poter più vivere tranquillamente in quell’ambiente; era troppo turbato per l’accaduto e si era imposto, obbedendo alla diffida di Dasgupta, di respingere i tentativi segreti di Maitreyi di contattarlo tramite telefono o lettere. Sicché la soluzione provvisoria fu di lasciare per un po’ di tempo la città, soluzione che prese le sembianze di un ritiro ascetico, coerente con la sua (supposta) indianizzazione.

    Di conseguenza scelse di dirigersi verso

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