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Biografia di uno Yogi: Paramahansa Yogananda e le origini dello yoga moderno
Biografia di uno Yogi: Paramahansa Yogananda e le origini dello yoga moderno
Biografia di uno Yogi: Paramahansa Yogananda e le origini dello yoga moderno
Ebook440 pages6 hours

Biografia di uno Yogi: Paramahansa Yogananda e le origini dello yoga moderno

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About this ebook

“Biografia di uno Yogi di Anya P. Foxen, offre una vera e propria svolta nello studio dello yoga e della spiritualità indiana dei nostri giorni. […] La Foxen documenta e analizza in maniera meticolosa la vita e l’opera di Yogananda, dando forma a una nuova visione sia dei movimenti fondati sulla figura del guru, sia sullo yoga moderno in generale." Andrea R. Jain, autore di Selling Yoga: From Counterculture to Pop Culture
Grande Maestro dell’India, filosofo, mistico. Paramahansa Yogananda guru è stato il primo maestro spirituale indiano a trascorrere la maggior parte della propria vita in occidente passando alla storia per aver divulgato la pratica dello yoga al mondo occidentale. Il primo che attraverso lo yoga ha saputo unire la spiritualità orientale a quella occidentale.
Incarnando in maniera equilibrata lo yoga tradizionale, la filosofia vedica e grazie ad una predisposizione per le luci della ribalta, Swami Yogananda ha ispirato in tutto il mondo innumerevoli persone a praticare lo yoga. In particolare ha trasmesso gli esercizi di ricarica - la sua tecnica yoga chiamata Yogoda - in cui combina soluzioni pratiche alle sfide della vita moderna con l’evoluzione spirituale propria delle tradizioni indiane.
Questa biografia esamina la vita di Paramahansa Yogananda, la sua disciplina yoga e i suoi precetti nel più ampio contesto dello sviluppo dello yoga nel XXI secolo noto come yoga posturale moderno. Focalizzando la propria attenzione sugli Yogi operativi durante la prima fase di diffusione in occidente, la Foxen mette in evidenza le continuità nel concetto di Yogi come superuomo, e traccia il processo di trasformazione dello yoga da pratica spirituale olistica a odierna attività fisica posturale.

Indice Libro
Elenco delle immagini
Prefazione
Nota sui termini sanscriti
Dramatis Personae
Introduzione
Capitolo 1: Il superuomo col turbante
Capitolo 2: Yogi senza frontiere
Capitolo 3: Ecco che arriva lo Yogi
Capitolo 4: La callistenia dello Yogi
Capitolo 5: Agiografia di uno Yogi
Epilogo
Appendice
Bibliografia
LanguageItaliano
Release dateJul 16, 2019
ISBN9788827229637
Biografia di uno Yogi: Paramahansa Yogananda e le origini dello yoga moderno
Author

Anya P. Foxen

Anya P. Foxen è docente universitaria, insegna presso la facoltà di Scienze religiose della California Polytechnic State University, a San Luis Obispo. Ha conseguito un PhD presso la University of California, a Santa Barbara, ed è un’istruttrice certificata di yoga e praticante di lunga data.

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    Book preview

    Biografia di uno Yogi - Anya P. Foxen

    Elenco delle immagini

    1.1 Letto di chiodi, National Geographic 24 (1913).

    1.2 Donne americane vittime del misticismo indù, Washington Post,

    1.3 Locandina del film The Love Girl (1916), nella rivista The Moving Picture World, luglio 1916.

    3.1 Il pubblico di Yogananda a Los Angeles, il 22 febbraio 1925, da East-West I(I).

    3.2 Annuncio pubblicitario della conferenza di Yogananda apparso nel Los Angeles Times del 13 ottobre 1925.

    3.3 L’annuncio pubblicitario di Hamid Bey nel Los Angeles Times dell’8 aprile 1931.

    3.4 L’annuncio pubblicitario di Hamid Bey nel Los Angeles Times dell’11 aprile 1931.

    4.1 Esercizio di lenta rotazione del busto, dal libro di Müller My System (1904).

    4.2 Esercio per il bacino, dal libro di Yogananda Yogoda or Tissue-Will System of Physical Perfection (1925).

    A.1 Bela Lugosi nelle vesti di Roxor, il mistico egiziano diventato supercriminale, con il suo macchinario per proiettare il raggio della morte, nel film Chandu the Magician (1932).

    Prefazione

    Questo libro è una specie di uroboro personale, cui è appropriato attribuire il significato yogico di serpente attorcigliato. Il mio primo incontro con la pratica che in seguito avrei chiamato yoga posturale moderno avvenne all’età di diciannove anni, in una stanza senz’aria di un modesto ufficio/magazzino in una cittadina di classe del New Jersey. Vagamente intrigata dalle storie di mia madre, che mi raccontava di dover strizzare i suoi abiti zuppi di sudore dopo ogni lezione di yoga, la seguii nel Bikram Yoga Rumson studio, senza sapere veramente cosa comportasse la pratica yogica.

    Solo successivamente sarei venuta a sapere che non tutte le sessioni di yoga venivano praticate in stanze con 40° di temperatura, o ti lasciavano con quella specie di sensazione piacevole che emerge solamente quando si evita per poco un colpo di calore. Lo studio in cui, involontariamente, mi ritrovai a partecipare alla mia prima sessione di yoga, era gestito sotto il simbolico auspicio di un uomo chiamato Bikram Choudhury, che sembrava credere che la sofferenza fosse un qualcosa da celebrare. E così io soffrii. Per poi rifiorire. Anche se ci sono molti seguaci del bikram yoga – Bikram in prima persona – che raccontano storie molto più miracolose della mia, la pratica riuscì a trasformare il mio rapporto col mio corpo e, così facendo, arrivò a trasformare la mia vita.

    Eppure, più a fondo indagavo sul primo tipo di esercizio che ero stata in grado di eseguire, più desideravo considerarlo un esercizio da decantare. Nella speranza di dissipare quelle ansie, durante il mio secondo anno alla Rutgers University, mi iscrissi a un corso di filosofia indù dove appresi che lo yoga aveva più a che fare con il nirodhah delle vritti che con l’esecuzione di strane posture. A quel tempo, non era disponibile alcuno studio accademico che mettesse in relazione la moderna pratica posturale con le origini premoderne dello yoga e, anche se fosse esistito, molto probabilmente non avrei saputo dove andarlo a cercare. Ciononostante, qualunque dissonanza conoscitiva di cui presi atto non riuscì a minare la mia dedizione a quelle faticose sessioni di yoga. Verso la fine del mio terzo anno di studi, giunsi alla conclusione che, poiché l’aspetto finanziario della mia pratica stava diventando sempre più insostenibile, sarei dovuta diventare al più presto un’insegnante di yoga. Quell’estate, mi recai a Fort Lauderdale per studiare con Jimmy Barkan, uno degli allievi più anziani di Choudhury e, a quel tempo, suo braccio destro. Scelsi lui principalmente perché il suo corso costava la metà di quello tenuto da Choudhury in persona.

    Quell’estate riuscii finalmente a imparare a eseguire un piegamento sulle braccia, decisi di abbandonare il mio progetto di prendere un dottorato in letteratura vittoriana, scoprii la Legge dell’attrazione, e tracciai il mio primo – e a oggi l’unico – quadro dei desideri. Presi anche l’abitudine di andare in spiaggia ogni mattina a eseguire infinite ripetizioni del saluto al sole e poi, con le unghie piene di sabbia, intonare verso le onde dell’Atlantico i seguenti nomi: Mahavar Babaji… Lahiri Mahasaya… Swami Sri Yukteswar… Paramahansa Yogananda… Bishnu Ghosh. Erano tutti nomi di membri della nostra linea genealogica. La nostra parampara. Oltre al libro di B.K.S. Iyengar Light on Yoga¹ e a diverse opere di Georg Feuerstein, ci venne assegnato anche The Autobiography of a Yogi². Non riuscii mai a finire di leggerlo. Francamente, pensavo fosse un libro a dir poco strampalato. Inoltre, non mi sembrò affatto più attinente alla pratica delle posture di quanto lo fosse la filosofia degli Yoga Sutra.

    Il mio insegnante aveva un’opinione piuttosto diversa dalla mia. Col tempo venni a sapere che Jimmy Barkan non era solamente un praticante dello yoga posturale di Choudhury, ma anche un discepolo spirituale di Paramahansa Yogananda presso la Self-Realization Fellowship. Per Jimmy, quelle due identità erano strettamente connesse, ma solo grazie alla sua personale comprensione intuitiva della pratica. Sarebbero dovuti passare altri dieci anni prima di avere l’opportunità di chiarire con lui, durante una lunga conversazione telefonica, cosa intendesse dire quando aveva sostenuto che la pratica degli asana che considerava peculiare della linea genealogica di Bishnu Ghosh, era la stessa che Yogananda aveva insegnato ad alcuni discepoli americani selezionati. Gli chiesi anche il perché la Self-Realization Fellowship non gli avesse permesso di sostituire gli esercizi di ricarica energetica del loro programma con gli asana appresi da Choudhury.

    Quando espressi il mio desiderio di prendere un dottorato in religioni dell’Asia meridionale in modo da poter approfondire i miei studi sullo yoga, il mio consulente accademico nel dipartimento di anglistica accettò rispettosamente la mia decisione, ma mi chiese di non portargli nessun cristallo. Rimasi di nuovo confusa. Non avevo la benché minima idea di cosa i cristalli avessero a che fare con lo yoga. Adesso mi rendo conto che ne ero all’oscuro perché il seguace della new age che partecipava al corso per insegnati era già passato dai cristalli alla filosofia del libro The Secret³. Il motivo per cui non riuscivo a vedere il mio yoga, o la sua cultura circostante, nelle sue radici indiane, era dovuto al fatto che quelle radici raccontavano solamente metà della storia, e forse quella non più immediata. Elizabeth De Michelis suscitò per la prima volta questa idea nella mia mente quando definì lo yoga moderno l’innesto di un ramo occidentale sul tronco indiano dello yoga⁴. Adesso sono propensa a modificare la sua metafora. Più che un innesto, lo yoga moderno è un’inoculazione – il punto in cui due alberi, ognuno con il proprio apparato radicale, si sono intrecciati in maniera così stretta che sono diventati un tutt’uno. Mi ci sarebbero voluti altri cinque anni per capire questo concetto.

    In effetti, fu proprio quando il mio rapporto con lo yoga, a livello sia personale che intellettuale, raggiunse il culmine della sua fragilità, che i vari pezzi del puzzle riuscirono finalmente a incastrarsi. Non sapendo quale argomento scegliere per la mia tesi dottorale, decisi di finire di leggere l’autobiografia di Yogananda. Anni prima, avevo gettato via quel libro perché non ero riuscita a capirne il senso. Il fatto è che l’opera di Yogananda rimane così difficile da classificare in maniera precisa perché non si occupa di un solo tema specifico. Riguarda lo yoga ma non gli asana. Parla del misticismo indiano, ma anche della scienza. Tratta l’induismo, ma anche il mesmerismo, lo swedenborgianismo, il nuovo pensiero e persino il cristianesimo. Parla di uno Yogi, ma anche di un uomo comune.

    La pratica che mi ha attratto allo yoga, come la maggior parte delle varianti di yoga posturale presenti negli Stati Uniti, entrò a far parte delle tendenze dominanti durante gli ultimi due decenni del XX secolo. Ciò che non sapevo quando intrapresi il mio progetto era che Yogananda aveva già cominciato a insegnare quelle stesse posture sul territorio americano ben tre quarti di secolo prima di allora. Da questa prospettiva, quegli asana precedono (almeno per quanto riguarda il loro arrivo in Occidente) lo stile Krishnamarya che al giorno d’oggi viene da molti considerato il punto di partenza dello yoga posturale moderno. Yogananda potrebbe essere il personaggio più importante nella storia iniziale dello yoga in America, e sicuramente è stato lui a segnare un punto di svolta fondamentale – un passaggio dalle varie attività fisiche e metafisiche che si credeva gli yogi fossero in grado di compiere alla pratica che oggi viene popolarmente chiamata yoga.

    Come dimostrano le mie precedenti parole, il viaggio che mi ha condotta alla stesura di questo libro è stato un percorso tanto personale quanto accademico. Nell’accingermi a ringraziare tutti coloro che lo hanno reso possibile, mi rendo conto che sarei alquanto irriguardosa se non cominciassi tale elenco con lo stesso Paramahansa Yogananda. È stata la sua vita a permettermi di capire perché continuo ad andare in quella stanza così soffocante.

    Sono stata fortunata ad avere un certo numero di mentori che hanno appoggiato i miei progetti negli anni. Alla Rutgers University, Edwin Bryant è stato il primo a introdurmi alla letteratura classica sullo yoga e anche alle religioni dell’Asia meridionale. Tutto ciò che sostengo di sapere e capire della filosofia e della metafisica indiane lo devo a lui. E anche se non siamo finiti a lavorare nello stesso campo, sarò per sempre grata a Barry Qualls per aver detto a una ragazza colta dal panico che, in un momento di follia durante il suo secondo anno all’università, aveva deciso di seguire il suo seminario per studenti del quarto anno, che scriveva come un angelo e anche per averla continuata a incoraggiare anche quando aveva a che fare coi cristalli. Barbara Holdrege è stata la mia doktormutter nel vero senso del termine. Senza il suo sostegno, sia accademico che personale, non avrei potuto dare vita a quest’opera. E comunque la mia punteggiatura sarebbe stata tutta sbagliata. David White non solo mi ha dato il suo appoggio e i suoi preziosi consigli, ma il suo brillante lavoro sullo yoga è stato centrale per l’evoluzione del mio pensiero. Rudy Busto ha aggiunto dei punti cruciali sul fronte americanista, mentre Catherine Albanese è stata la prima a farmi conoscere il concetto di religione metafisica.

    Andrea Jain è stata un’impagabile mentore, collega e amica, che mi ha offerto innumerevoli consigli riguardo la stesura di questo manoscritto e altre questioni. Philip Goldberg non è stato solamente un utile compagno di conversazioni, ma mi ha anche aiutata a orientarmi attraverso le complesse realtà dell’eredità vivente di Yogananda. Oltre a essere stato mio complice per la prima metà di questo viaggio, Scott Robinson è il principale responsabile di quella scintilla d’intuizione che ha dato vita al capitolo 2 di questo libro. Anche se non sono stati coinvolti in maniera diretta, questo libro non esisterebbe senza il sostegno e l’appoggio da parte dei miei genitori, amici e colleghi. Ringrazio anche Jimmy Barkan, il mio guru degli asana.

    Infine, anche se non lo verrà mai a sapere, vorrei ringraziare Baggins, la mia minuscola musa canina, che, mentre finivo di scrivere la seconda metà del manoscritto, se ne è stata tranquilla e paciosa a dormire raggomitolata sul mio grembo. Oltre a lei, questo libro è dedicato a Brooks, mio amico, mio partner e, essenzialmente, la persona migliore che io conosca.


    1. Trad. it., Teoria e pratica dello yoga, Edizioni Mediterranee, Roma, 2014.

    2. Trad. it., Autobiografia di uno Yogi, Astrolabio, Roma, 2016.

    3. Trad. it., Il segreto, Macro, Diegaro di Cesena, 2007.

    4. De Michelis, Elizabeth. 2004: 2. A History of Modern Yoga: Patanjali and Western Esoterism, London, Continuum.

    Nota sui termini sanscriti

    I termini sanscriti appaiono in corsivo e sono stati traslitterati in conformità con l’uso lessicografico standard, fatta eccezione per: (1) il termine Yogi viene usato al posto di yogin ogni volta che fa riferimento alla più ampia categoria tipologica; (2) i termini che sono entrati a far parte del lessico italiano come yoga o guru, non appaiono scritti in corsivo; (3) i nomi propri sono scritti in conformità con la traslitterazione e l’ortografia favorite dalle fonti storiche.

    Dramatis Personae

    A.K. Mozumdar, Bhagat Singh Thind, Yogi Hari Rama, Yogi Rishi Singh Gherwal, Yogi Wassan Singh, Yogi di discendenza indiana, vissuti all’inizio del XX secolo, non affiliati a particolari scuole o associazioni.

    Bikram Choudhury, Yogi superstar di Hollywood e fondatore del bikram yoga (hot yoga), discepolo del fratello di Yogananda, Bishnu Ghosh.

    Bishnu Charan Ghosh, fratello minore di Yogananada, culturista fisico indiano, guru (insegnante diretto) di Bikram Choudhury.

    Helena Petrovna Blavatsky (conosciuta anche come Madame Blavatsky, HPB), medium spiritista e occultista di origine russa, fondatrice della Società Teosofica nel 1875.

    Lahiri Mahasaya (nome di battesimo Shyama Charan Lahiri), ricevette la dottrina del kriya yoga da Babaji, guru di Sri Yukteswar, bis-guru di Yogananda.

    Mahavatar Babaji, essere immortale illuminato che risiede sulle montagne dell’Himalaya, guru di Lahiri Mahasaya, padre del kriya yoga.

    Nirad Ranjan Chowdhury (conosciuto anche come Sri Nerode), stretto collaboratore di Yogananda, 1926-1939.

    Pierre l’Onnipotente Oom Bernard (nome di battesimo Perry Baker), Yogi americano, occultista e fondatore del Tantrik Order of America (1905) e del Clarkstown Country Club a Nyack, New York (1918).

    Sri Yukteswar (nome di battesimo Priyanath Karar), discepolo di Lahiri Mahasaya, guru di Yogananda.

    Swami Abhedananda, Swami Paramananda, primi Yogi della Società Vedanta.

    Swami Dhirananda (nome di battesimo Basu Kumar Bagchi), amico d’infanzia e stretto collaboratore di Yogananda negli Stati Uniti (1922-1929).

    Swami Kriyananada (nome di battesimo James Donald Walters), discepolo di Yogananda e fondatore della Ananda Church of Self-Realization.

    Swami (Paramahansa) Yogananda (nome di battesimo Mukunda Lal Ghosh), discepolo di Sri Yukteswar, fondatore della Self-Realization Fellowship, straordinario Yogi americano.

    Swami Satyananda (nome di battesimo Manamohan Mazumder), amico d’infanzia e stretto collaboratore di Yogananda, discepolo di Sri Yukteswar.

    Swami Satyeswarananda, discepolo di Satyananda, biografo di Yogananda.

    Swami Vivekananda (nome di battesimo Narendra Nath Datta), rappresentante indiano al Parlamento mondiale delle religioni del 1893, e uno dei primi Yogi a visitare gli Stati Uniti, discepolo del mistico bengalese Ramakrishna, fondatore della Società Vedanta.

    Yogi Hamid Bey, Yogi Roman Ostoja, compagni spirituali di Yogananda negli anni ’30 del XX secolo.

    Yogi Ramacharaka, pseudonimo dell’autore William Walker Atkinson.

    Biografia di uno Yogi

    Introduzione

    In realtà questo libro non è una biografia – almeno non nel senso tradizionale del termine. Non è la storia di una persona ma di un personaggio. Quando il libro di Paramahansa Yogananda, Autobiografia di uno Yogi, fu pubblicato per la prima volta nel 1946, lo Yogi era già diventato un personaggio tipo nello scenario culturale americano. Nel 1947 la rivista Time pubblicò una recensione di quel classico spirituale, a quel tempo ancora poco conosciuto, provocatoriamente intitolata Ecco che arriva l’uomo Yogi. Questo il resoconto dello stato delle cose così come appare in quella recensione:

    Alcuni dei praticanti più colti della lingua inglese hanno scritto riguardo lo yoga. Molti hanno persino addolcito il loro messaggio con alcuni dei loro migliori trucchi da romanzo erotico. Ma malgrado tutti questi letterati che seguono la filosofia indiana – Aldous Huxley, Christopher Isherwood, John (Voce della tartaruga) Van Druten e Gerald Heard – per l’americano medio, lo yoga continua a essere avvolto da un alone di mistero proprio come la lingua sanscrita.

    Un problema è che non ci sono sinodi né ordini professionali che possono fissare dei criteri tra gli swami (uomini sacri, monaci) – quasi chiunque negli Stati Uniti può iniziare un’attività come swami se riesce a trovare dei seguaci. Di conseguenza, ci sono swami devoti che conducono una vita retta, e swami che semplicemente si godono la bella vita. Pochissimi di loro scrivono le proprie autobiografie, perciò questo racconto di vita del californiano d’adozione Paramahansa Yogananda (pseudonimo bengalese che significa pressappoco Beatitudine attraverso l’Unione col Divino) rappresenta una specie di vero e proprio documento. Probabilmente non fornirà al lettore non-iniziato una comprensione profonda degli antichi insegnamenti dell’India. Mostra molto bene in che modo una cultura aliena può modificarsi quando un esperto vivaista la trapianta dal duro terreno dell’ascetismo religioso alle calde serre della ricchezza economica e dello sconforto spirituale.

    Perciò, cos’è esattamente l’uomo Yogi? E cos’è precisamente uno Yogi? Persino al giorno d’oggi, quando i centri yoga possono competere con i più famosi caffè per le dimensioni delle proprietà immobiliari da loro occupate agli angoli delle strade urbane statunitensi, lo Yogi rimane una figura elusiva.

    La comprensione espressa nella recensione del Time del testo di Yogananda non è un caso isolato. All’inizio del secolo scorso, gli Stati Uniti furono teatro di un fiorente circuito di conferenze popolate da Yogi di ogni sorta. I gruppi del nuovo pensiero costituivano un pubblico molto ricettivo e aperto agli insegnamenti metafisici riciclati dagli Yogi di carriera; gli spettacoli di magia e le esibizioni di fenomeni da baraccone erano eventi in cui molti Yogi si sentivano altrettanto a loro agio. La linea di divisione tra gli Yogi autentici e i sedicenti impostori era alquanto vaga, a causa della scarsità di informazioni in possesso del pubblico in generale. Gli Yogi della fine del XIX secolo e dell’inizio del XX secolo vivevano all’interno di una società che era affascinata dal loro misterioso alone orientale e, al contempo, profondamente ignorante delle loro reali capacità. Come osservava il giornalista del Time, non esisteva alcun programma di certificazione degli Yogi – quasi chiunque negli Stati Uniti può iniziare un’attività come swami se riesce a trovare dei seguaci – il che rendeva estremamente difficile distinguere gli Yogi autentici, sempre che esistessero veramente, da quelli falsi.

    Su una sola pagina di un’edizione del 1930 del Los Angeles Times, sparpagliati tra pubblicità di sermoni di stampo cristiano, appaiono vari discorsi di Yogananda, del suo ex collaboratore Swami Dhirananda, di Swami Paramananda della Società Vedanta, di Bhagat Singh Thind e di Rishi Singh Gherwal. Basta dire che un lettore della California meridionale con gusti più esotici di quanto potessero essere soddisfatti dalla metafisica domestica del cristianesimo scientista e del nuovo pensiero, non avrebbe sofferto una penuria di opzioni. Visto che Los Angeles era uno dei centri nevralgici dell’attività degli Yogi nel periodo antecedente la seconda guerra mondiale, si potrebbe assumere che i suoi residenti avessero un palato più sopraffino quando si trattava di dover discernere il carattere di quei vari insegnanti.

    Tuttavia, le cose sembrano esser state abbastanza ambigue da spingere lo stesso Los Angeles Times a pubblicare un editoriale intitolato Chi sono gli swami? il giorno di Natale del 1932. Eccone il passaggio iniziale:

    Chi e cosa è uno swami? In base all’idea della persona comune (la cui conoscenza di un qualunque argomento in particolare non è, in genere, completa) uno swami è un indù che indossa un turbante, si adorna di vesti colorate, incanta i serpenti, predice il futuro, adora gli idoli, predica una filosofia bizzarra e mantiene un harem.

    La persona comune ha parzialmente ragione. Uno swami è un indù (l’induismo è una religione) che, quando officia le sue pratiche religiose, generalmente indossa una tunica gialla, che indica spiritualità e il colore del suo ordine religioso. Tuttavia, non è interessato a incantare serpenti o a predire il futuro, non venera idoli, crede in Dio, insegna l’arte di vivere e la scienza per diventare mentalmente sereni e, essendo celibe dichiarato, non mantiene mai un harem.

    L’articolo descrive tre swami locali – Yogananda, Dhirananda e Paramananda – e sebbene l’autore usi il termine swami principalmente perché tutti e tre i personaggi in questione appartenevano a un ordine monastico e quindi facevano essi stessi uso dello stesso titolo, la sua descrizione dell’opinione pubblica del tempo potrebbe benissimo essere applicata al termine Yogi. In effetti, appena tre anni prima, nella sua rivista East-West, Yogananda aveva pubblicato un articolo simile intitolato Chi è uno Yogi?, nel quale anche lui specificava che uno Yogi non è un individuo che ingoia le spade, legge nelle sfere di cristallo o incanta i serpenti, ma è colui che conosce la tecnica psicofisica necessaria per unire il corpo vincolato dalla materia e l’anima con la loro fonte originaria, lo Spirito Beatificato¹. Naturalmente, un lettore attento potrebbe subito notare che entrambe le summenzionate descrizioni non hanno tanto a che fare con ciò che è uno Yogi, ma piuttosto con ciò che uno Yogi fa, o non fa, a seconda dei casi.

    Nelle pagine seguenti, sosterrò che ciò che uno Yogi fa – o meglio, la comprensione culturale popolare di ciò che fa – si basa su diversi elementi o tropi narrativi. Questi elementi o tropi narrativi costituiscono, sotto molti punti di vista, le chiavi per comprendere lo sviluppo della pratica transnazionale dello yoga posturale durante il XX secolo. Nello specifico, esamineremo la figura dello Yogi così come ci appare nell’immaginario collettivo dell’America e dell’Europa d’inizio XX secolo, il periodo che diede inizio alla divulgazione dello yoga moderno in Occidente. Ciò vorrà dire focalizzare la nostra attenzione sia sulle storie che le persone raccontano riguardo gli Yogi, sia sulla storia dialetticamente correlata che lo Yogi racconta riguardo se stesso. Per dare delle basi a ciò che altrimenti apparirebbe come un resoconto molto vago ed esteso, adotterò Paramahansa² Yogananda come esempio rappresentativo di un momento cruciale nell’incontro ideologico tra il pensiero e la cultura indiani e quelli euro-americani. Il personaggio dello Yogi transnazionale, di cui Yogananda rappresenta un esempio particolare, si pone all’incrocio di narrative complementari e internamente contrastanti che attingono dal pensiero tradizionale indiano ma che, allo stesso tempo, mostrano i segni di elementi coloniali e occidentali derivati dall’orientalismo romantico, dal dialogo post-illuminista con la scienza popolare, e da una certa corrente xenofobica. Verso la metà del XX secolo, queste varie correnti si sarebbero fuse tra di loro a formare una visione dello Yogi – e della sua pratica – che univa la mistica con la scienza, il particolare con l’universale, il corpo con lo spirito e l’umano con il sopraumano. E la figura dello Yogi sarebbe riuscita a combinare questi concetti piuttosto astratti e complessi attraverso l’esercizio e il pensiero positivo.

    I capitoli 1 e 2 sono grosso modo costituiti da due storie parallele – una di agenti e l’altra di idee – che ci forniscono tutte le informazioni necessarie per comprendere il contesto in cui visse Yogananda durante i primi decenni del XX secolo. Il capitolo 1 traccia una storia molto ampia degli Yogi e delle figure di vari Yogi, prima contestualizzandoli all’interno di un’interpretazione indiana della loro identità in relazione al loro status di esseri sovraumani e superpotenti, per poi passare alle rappresentazioni occidentali degli stessi personaggi. Il capitolo 2 esamina l’evoluzione di alcuni concetti metafisici, e in special modo dell’esistenza di un mezzo materiale universale che potesse permettere ai superpoteri degli Yogi di diventare comprensibili per un pubblico occidentale post-illuminista. I tre capitoli successivi formano una sezione del libro dedicata specificamente a Yogananda. Il capitolo 3 esamina la vita di Yogananda attraverso lenti diverse dalla sua Autobiografia, come ad esempio le biografie alternative, i mass media e gli archivi pubblici. Il Capitolo 4 analizza gli insegnamenti di Yogananda negli Stati Uniti, specialmente nel contesto del suo adattamento della pratica dell’hatha yoga, appartenente alla sua linea genealogica, in considerazione degli interessi e delle sensibilità metafisiche statunitensi, e della conseguente universalizzazione dello Yogi. Infine, il capitolo 5 esamina l’Autobiografia stessa come una narrazione attentamente formulata della crescita spirituale di Yogananda e della sua identità di Yogi, filtrata attraverso la lente del suo pubblico come anche di interessi metafisici universalizzanti. Infine, prima delle riflessioni finali, un breve epilogo analizza il caso di Bikram Choudhury, discepolo del fratello minore di Yogananda, Bishnu Ghosh, e personificazione dello Yogi rappresentato come un superuomo di difficile interpretazione.

    Lo yoga, gli Yogi e lo stato della loro unione

    Potrebbe esser logico presumere che uno Yogi sia, per definizione, un individuo che pratica lo yoga. Il termine sanscrito yogin indica fondamentalmente un praticante di yoga. Tuttavia, questa spiegazione linguistica non basta a chiarire il termine perché ci lascia alle prese con l’altrettanto vaga definizione di yoga stesso. Negli ultimi dieci anni ha avuto luogo un graduale annullamento del divario tra lo studio accademico dello yoga, che storicamente ha posto l’enfasi sulla tradizione testuale premoderna, e la disciplina ginnica praticata da donne bianche, in perfetta forma fisica e costosi pantacollant, che la maggior parte degli Americani e degli Europei di oggigiorno riconosce come yoga. Alcuni autorevoli studi da parte di Jospeh Alter (2004), Elizabeth De Michelis (2004) e Mark Singleton (2010), hanno fatto luce sulle origini dello yoga moderno e sull’enfasi posta sull’aspetto fisico della disciplina, e nel frattempo hanno evidenziato la fondamentale mancanza di continuità tra lo yoga posturale moderno e i suoi omologhi premoderni. Più recentemente, Andrea R. Jain (2014) ha esaminato la natura contestuale dello yoga e il suo attuale status di prodotto culturale transnazionale. Tuttavia, anche se una piccola percentuale di lavori ha spostato l’attenzione verso gli Yogi premoderni, gli studi sullo yoga moderno tendono a concentrarsi principalmente sulla pratica piuttosto che sui suoi agenti³.

    C’è una ragione ben precisa, poiché le origini e la natura dello yoga sono argomenti fortemente dibattuti. Mentre scrivo questa frase, la pratica quotidiana del surya namaskara – una famosa sequenza di asana che appartiene allo yoga posturale moderno, conosciuta anche come il saluto al sole – è stata resa obbligatoria in quasi 50.000 scuole, pubbliche e private, nello Stato indiano del Rajasthan. Dall’altra parte del mondo, la Hindu American Foundation sta ancora promuovendo la sua campagna Take Back Yoga (Riprendiamoci lo yoga), che nel 2010 divenne oggetto di attenzione da parte dei media nazionali. A causa dell’aumento del suo capitale culturale (per non parlare di quello economico), lo yoga posturale è stato adottato come un aspetto fondamentale dell’identità religiosa indù, e reclamizzato come il dono universale dell’India all’umanità⁴.

    Tuttavia, questa trasformazione non sarebbe stata possibile senza quegli stessi attori la cui specificità culturale sta lentamente scomparendo nel diluvio universalista da loro stessi creato. Alter, De Michelis e Singleton si rivolgono agli Yogi visto che è palesemente impossibile parlare dello sviluppo di una pratica indipendentemente dagli individui che l’hanno sviluppata. Tuttavia, lo fanno principalmente in relazione ad attività che, a un certo livello, possono essere riconosciute – o, più precisamente, sono state riconosciute attraverso i processi descritti in questi studi – come componenti dello yoga. Eppure, come abbiamo visto nell’editoriale del Los Angeles Times citato in precedenza, sono diverse le cose che l’immaginazione popolare ha concepito come rientranti nella sfera di competenza di uno Yogi, ma che in teoria non hanno nulla a che fare con lo yoga in quanto tale. Il presente studio prenderà in considerazione queste pratiche e abitudini dello Yogi e i modi in cui hanno dato forma alla sua immagine e alla sua rappresentazione nella cultura americana.

    Questa separazione tra la persona dello Yogi e la pratica dello yoga non è un fenomeno interamente moderno. David Gordon White aggira (o meglio, sovverte) la questione facendo riferimento alla descrittiva ‘pratica dello yoga’ piuttosto che alla prescrittiva ‘pratica dello yoga’⁵. Per White, la pratica dello yogi nella sua forma quintessenziale comporta l’aggiogamento – il possedimento, la penetrazione, persino la fusione – di sé a un altro, che si tratti di un altro essere umano o dell’intero cosmo. Lavorando da un punto di vista teorico, White arriva a dare quella che è probabilmente la definizione più completa possibile dello yoga premoderno, isolandone il fenomeno centrale:

    Dal tempo dei Veda in avanti, lo yoga dell’aggiogamento e lo yoga della chiara e luminosa visione si fusero assieme per formare un corpo unificato di pratica, in cui lo yoga comportava l’aggiogamento a distanza di se stessi a altri esseri – per mezzo del proprio potere aumentato di visione – al fine di controllarli o di unificare la propria coscienza alla loro. Quando quegli altri esseri erano divini, o persino lo stesso Assoluto, questo tipo di aggiogamento veniva descritto come un viaggio della mente attraverso lo spazio, fino alle vette più alte dell’essere trascendente⁶.

    La definizione di White include efficacemente chiunque, dagli Yogi dei racconti popolari che se ne vanno in giro a possedere vittime inconsapevoli, ai meditatori che rinunciano al mondo, agli dei che abbracciano l’intero cosmo. Alla radice dell’identità dello Yogi – in effetti, il suo stesso essere Yogi – c’è il superpotere della tele-coscienza, che può manifestarsi in tutti gli altri tele-fenomeni che ora conosciamo bene: la tele-visione, la tele-cinesi e così via – fino ad arrivare a una congiunzione assoluta con il cosmo, cui White fa riferimento come un sé auto-ingrandente che si è completamente realizzato come il ‘magni-fico’ universo⁷. Lee Siegel condensa questo complesso concetto metafisico in un termine molto più semplice e conosciuto: ipnotismo⁸.

    Se la scelta di Siegel fa apparire la figura dello Yogi un po’ troppo banale, consideriamo il fatto che William R. Pinch, nel suo studio sugli Yogi armati nel periodo medievale e (pre-)coloniale, si spinge a dire che il tratto distintivo dello Yogi può essere associato a una definizione quasi-universale di ciò che significa essere religioso. Dichiara:

    Diciamo la verità sul potere. Esistono determinati universali che ci vincolano. La morte è uno di essi. Non siamo vincolati dal modo in cui scegliamo di affrontarla. Ma dobbiamo comunque affrontarla. E quando l’affrontiamo e la conquistiamo, entriamo nella sfera della religione… Che succede se la decisione che adottiamo consente un ampio margine per la congiunzione della religione con il potere? Certamente tale definizione risponde all’originale e giustificabile reclamo. In quanto essenza della religione, la vittoria sulla morte è esattamente tale definizione – visto che non solo tiene conto del potere, ma ne è ricolma. Con la morte come denominatore comune, lo yogi armato non rappresenta una contraddizione in termini: la sua conquista della morte ci richiede di considerarlo un religioso, e la sua conquista della morte garantisce il potere terreno⁹.

    Nello Yogi troviamo un fondamentale ripudio dell’unica certezza che caratterizza l’esperienza che definiamo umana. Questa certezza è la morte, o, come ha detto un famoso scettico che era incline ad avere esperienze soprannaturali e che adorava farsi chiamare Mark Twain, la morte e le tasse. Essere umani significa essere mortali. Lo Yogi è l’essere umano che ha trasceso questa condizione. Potrebbe essere proprio a causa di questo fatto che lo yogico viene spesso fuso con il sopraumano nelle moderne narrative popolari. È anche vero che la conquista della morte (come impresa umana) da parte dello Yogi è inevitabilmente invischiata in implicazioni, conseguenze e traguardi terreni. E forse è qui che le tasse diventano un elemento rilevante.

    Tuttavia, i moderni praticanti di yoga non sono né degli armati e superpotenti agenti (o oppositori) dello Stato, né degli esseri umani che frequentemente prendono possesso dei corpi altrui o, magari, riescono a ottenere l’immortalità. Allora che genere di collegamento, se ne esiste uno, può esserci tra la pratica premoderna e quella moderna dello yoga, se l’occupazione premoderna per l’immortalità (corporea o di altra natura) si è trasformata nel razionalismo del benessere fisico, e la pre-occupazione moderna per i corpi scolpiti che eseguono esercizi ginnici non può essere fatta risalire a più di un paio di secoli fa? La risposta la si può trovare nell’identità dello Yogi – o piuttosto nei cambiamenti della sua identità che hanno permesso a un tipo di yoga di trasformarsi gradualmente in un altro.

    Dopotutto, lo yoga posturale moderno non è semplicemente una forma di ginnastica callistenica. Oppure, se lo è, spesso

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