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Il gioco delle maschere
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Il gioco delle maschere

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Pierre-Marie Sigaud nella presentazione di questo libro, pubblicato originariamente in francese nella Collezione Delphica da lui diretta, scrive:
“In conformità alle sue opere precedenti Frithjof Schuon, che sappiamo essere con René Guénon e Titus Burckhardt il più eminente rappresentante del pensiero tradizionale, espone una dottrina che mira a ricordare all’uomo moderno la sua natura teomorfa e a ristabilire il legame, troppo spesso interrotto, di questi con il Cielo e la Bellezza, che lo circondano dappertutto, nella natura vergine, nelle creature o nell’arte sacra, e le cui manifestazioni sono altrettante teofanie.
A questo uomo dotato nella sua sostanza di ciò che potremmo chiamare ‘l’istinto religioso’, si rivolge l’autore, il cui proposito – oltre alla diversità apparente degli argomenti accostati: le prerogative dello stato umano, l’uomo nelle proiezione cosmogonica, il gioco delle maschere, il peccato originale, la Carità, la Verità, il passaggio liberatore ecc. – s’articola come sempre intorno alle tre nozioni fondamentali della Verità, del Bene e del Bello. Tale è, per Frithjof Schuon, la vocazione profonda dell’uomo: ‘conoscere il Vero, volere il Bene, amare il Bello’. L’Autore ci ricorda che, secondo una sentenza islamica: ‘Dio c’invita a partecipare alla Sua natura – al Sommo Bene – attraverso la Virtù, nel contesto della Verità e della Via’”.
E l’Autore conclude la sua Prefazione con queste parole:
“Anche se i nostri scritti avessero di media solo il risultato della restituzione, per alcuni, di quella barca salvatrice che è la preghiera, dovremmo a Dio di ritenerci profondamente soddisfatti”.
LanguageItaliano
Release dateMar 12, 2018
ISBN9788827227985
Il gioco delle maschere
Author

Frithjof Schuon

Nasce a Basilea nel 1907 da padre originario del Württemberg e da madre alsaziana. Dal 1930 al 1932 lavora come disegnatore d’arte a Parigi, senza tuttavia trascurare gli studi di orientalistica, compreso quello dell’arabo. Poco dopo si reca in Africa settentrionale per studiarvi il Sufismo, in questo periodo conosce il maestro sufi Cheikh El-Allauoi. Il seguito della sua vita è caratterizzato da una serie di viaggi in vari paesi orientali; rende visita due volte a René Guénon al Cairo – con il quale collabora per due decenni alla rivista Etudes Traditionelles – il suo soggiorno in India viene invece interrotto dalla Seconda Guerra Mondiale. Più tardi nel 1959 e nel 1963 Schuon soggiorna a lungo presso gli Indiani dell’America del Nord, stringe amicizia con personaggi eminenti e viene adottato dalla tribù dei Sioux. L’interesse per le civiltà orientali e in particolare per la loro arte ha permeato tutta la vita di Frithjof Schuon. Dopo aver vissuto per quarant’anni in Svizzera sulle rive del lago Lemano, si ritira negli Stati Uniti, dove muore nel 1998. Delle sue opere le Edizioni Mediterranee hanno pubblicato in questa collana: Unità trascendente delle religioni, Sufismo: velo e quintessenza, Sentieri di gnosi, L’occhio del cuore, Sulle tracce della religione perenne, Immagini dello spirito, Cristianesimo/Islam, Dal divino all’umano, Forma e sostanza delle religioni, L’esoterismo come principio e come via, Le stazioni della saggezza, Il sole piumato, Sguardi su mondi antichi.

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    Il gioco delle maschere - Frithjof Schuon

    Prefazione

    Questo volume, come la maggior parte dei nostri libri, non è dedicato a un argomento definito con precisione, ma descrive piuttosto un giro d’orizzonte; i capitoli sono piccoli trattati indipendenti che spesso riassumono la dottrina totale. Il terzo articolo della raccolta ha dato il nome al libro; per coincidenza tale titolo conviene bene a una dialettica che presenta le stesse tesi fondamentali in aspetti diversi, e rinnovati per scrupolo sia di chiarezza sia d’integralità.

    Senz’altro la metafisica mira anzitutto alla comprensione dell’Universo totale, che s’estende dall’Ordine divino fino alle contingenze terrestri – è la reciprocità d’Âtmâ e di Mâyâ – ma offre inoltre aperture meno esigenti nell’ottica intellettuale, ma basilari in quella umana; ciò è tanto più importante visto che viviamo in un mondo dove l’abuso dell’intelligenza sostituisce la sapienza.

    Anche se i nostri scritti avessero di media solo il risultato della restituzione, per alcuni, di quella barca salvatrice che è la preghiera, dovremmo a Dio di ritenerci profondamente soddisfatti.

    1. Prerogative dello stato umano

    Intelligenza totale, volontà libera, sentimento capace di disinteresse: ecco le prerogative che pongono l’uomo al vertice delle creature terrestri. Totale, l’intelligenza prende conoscenza di tutto ciò che è nel mondo dei principi quanto in quello dei fenomeni; libera, la volontà può scegliere anche quel che è contrario all’interesse immediato o al piacevole; disinteressato, il sentimento è in grado di guardarsi dall’esterno e altrettanto di mettersi al posto degli altri. Ciascun uomo lo può in teoria, ma non l’animale, questo tronca l’obiezione che tutti gli uomini non sono umili e caritatevoli; certo gli effetti della caduta debilitano le prerogative della natura umana, ma non possono abolirle senza abolire l’uomo medesimo. Dire che l’uomo è provvisto di una sensibilità capace d’oggettività significa che possiede una soggettività non chiusa in se stessa, bensì aperta sulle altre e sul Cielo; in realtà ogni uomo normale si può trovare in una situazione in cui manifesterà spontaneamente la capacità umana di compassione o di generosità, e qualsiasi uomo è dotato, nella sua sostanza, di ciò che potremmo chiamare l’istinto religioso.

    Intelligenza totale, volontà libera, sentimento disinteressato; e pertanto: conoscere il Vero, volere il Bene, amare il Bello. Orizzontalmente la Verità concerne l’ordine co­smi­co, quindi fenomenico; verticalmente riguarda l’or­­di­ne metafisico, dunque principiale. Parimenti per il Be­ne: da un canto è pratico, secondario, contingente; dall’altro è spirituale, essenziale, assoluto. E lo stesso anche per la Bellezza, che sulle prime è esteriore, ed è allora la qua­lità estetica, quella della natura vergine, delle creature, del­l’arte sacra, dell’artigianato tradizionale; ma è a maggior ragione interiore, ed è in tal caso la qualità morale, la no­biltà di carattere. Stando a una sentenza islamica Dio è bel­lo e ama la Bellezza; questo significa implicitamente che Dio c’invita a partecipare alla sua natura – al Sommo Be­ne – mediante la Virtù, nel contesto della Verità e del­la Via.

    In modo ideale, normativo e vocazionale l’uomo è l’Intelligenza, la Forza e la Virtù; ora è importante considerare la Virtù sotto due aspetti, l’uno terrestre e l’altro celeste. Sociale, essa esige l’umiltà e la compassione; spirituale, consiste nel timore e nell’amore di Dio. Il timore implica la rassegnazione alla Volontà divina; l’amo­re comporta la fiducia nella Misericordia.

    Ciò che è timore e amore verso Dio, diviene – mutatis mutandis – rispetto e benevolenza nei confronti del prossimo; benevolenza di principio verso ogni sconosciuto, non debolezza nei riguardi dello sconosciuto indegno. L’amo­re include il timore, poiché si può amare solamente quel che si rispetta; la fiducia nella Misericordia divina e la familiarità mistica col Cielo non ammettono infatti disinvoltura alcuna; questo risulta già dalla qualità decisiva del senso del sacro, in cui il timore e l’amore s’incontrano.

    Nelle esperienze estetica ed erotica l’ego si estingue, o si dimentica, dinanzi a una grandezza diversa da lui: amare una realtà degna d’essere amata è un atteggiamento d’oggettività che l’esperienza soggettiva del fascino non può abolire. Ciò vuol dire che l’amore ha due poli, uno soggettivo e uno oggettivo; il secondo appunto deve determinare l’esperienza stante che è la ragion d’essere dell’attrazione. L’amore sincero non è una maniera indiretta d’amare se stessi; poggia su un oggetto degno d’ammirazione, d’adorazione, di desiderio d’unione; e la quintessenza di qualsiasi amore, e anche d’ogni virtù, può essere solo l’amore di Dio.

    * * *

    La complessità del nostro argomento ci permette di considerarlo ora in un’angolazione differente e di dar contezza di altri riferimenti, e questo a rischio di ripeterci, cosa che ci è impossibile evitare in una materia simile.

    L’intelligenza umana è, in modo verticale e vocazionale, la certezza dell’Assoluto. L’idea dell’Assoluto im­pli­ca da un lato quella del relativo e dall’altro quella delle relazioni tra loro, ossia la prefigurazione del relativo nell’Assoluto e la proiezione dell’Assoluto nel relativo; il primo rapporto origina il Dio personale, e il secondo l’Angelo supremo¹.

    La volontà umana è, in maniera virtuale e vocazionale, la tendenza verso il Bene assoluto; i beni secondari, siano essi necessari o soltanto utili, sono determinati indirettamente dalla scelta del Bene supremo. La volontà è strumentale, non ispiratrice: noi conosciamo e amiamo non ciò che vogliamo, ma vogliamo quanto conosciamo e amiamo; la nostra personalità non viene determinata dalla volontà, bensì dall’intelligenza e dal sentimento².

    Il sentimento umano – l’anima se si vuole – è, in modo virtuale e vocazionale, l’amore della Bellezza Somma e delle sue riverberazioni nel mondo e in noi medesimi; nell’ultimo caso le bellezze sono le virtù, e anche, su un piano meno eminente, i doni artistici. Dio, io e gli altri: queste sono tre dimensioni cui corrispondono rispettivamente la pietà, l’umiltà e la carità, o diciamo le qualità contemplative, caratteriali e sociali.

    Nella pietà – che è in essenza il senso del sacro, del trascendente, del profondo – le virtù complementari d’umiltà e di carità volgono verso il Sommo Bene e ne fanno il loro oggetto; cioè la qualità di pietà coincide in conclusione con la santità, la quale comporta a priori la gioia mediante Dio e la pace in Lui. L’umiltà diviene nella circostanza consapevolezza del nostro nulla metafisico, la carità diventa coscienza dell’immanenza divina negli esseri e nelle cose; avere il senso del sacro significa sentire che ogni qualità, o valore, non solo proviene dall’Infinito, ma pure attira a lui. Abbiamo detto che l’anima è in maniera quintessenziale l’amore della Bellezza Somma; in un’ottica meno fondamentale, e più empirica, diremo che la sostanza dell’anima è la ricerca inconsapevole di un Paradiso perduto, il quale in realtà è dentro di voi.

    Se le virtù fondamentali sono delle bellezze, viceversa qualsiasi bellezza sensibile testimonia delle virtù: essa è pia – ossia ascendente o essenzializzante – poiché manifesta degli archetipi celesti; è umile giacché si sottomette alle leggi universali e per questo esclude ogni eccesso; è caritatevole atteso che irradia e arricchisce senza domandare niente in cambio.

    Aggiungiamo che nel mondo umano solamente la spiritualità genera la bellezza, senza questa l’uomo normale e non pervertito non può vivere.

    * * *

    Le virtù di rigore, quali il coraggio e l’incorruttibilità, per un verso si ricollegano indirettamente alle virtù fondamentali, e per l’altro si spiegano perché viviamo in un mondo limitato e dissonante; in Paradiso le virtù aggressive e

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