Datemi due ali
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About this ebook
L’autrice ci dona un romanzo avvincente, avventuroso e profondo, che scava nei sentimenti dell’animo femminile.
Luna C. Rossi è nata e cresciuta in Toscana. Appassionata lettrice e grande sportiva, nel corso degli anni ha affiancato all’amore per i libri, quello per l’atletica. Quando c’è stato il primo lockdown si è sentita come in gabbia, grazie alla scrittura è riuscita ad aprire il lucchetto della gabbia e volare via. Questo è il suo primo romanzo.
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Datemi due ali - Luna C. Rossi
Luna C. Rossi
DATEMI DUE ALI
© 2022 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma
www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com
ISBN 978-88-306-5278-1
I edizione marzo 2022
Finito di stampare nel mese di marzo 2022
presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)
Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa
DATEMI DUE ALI
Per mia madre che mi ha dato ali per volare e radici per restare…
Prefazione di Barbara Alberti
Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.
È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.
Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi
Non esiste un vascello come un libro
per portarci in terre lontane
né corsieri come una pagina
di poesia che s’impenna.
Questa traversata la può fare anche un povero,
tanto è frugale il carro dell’anima
(Trad. Ginevra Bompiani).
A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.
Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.
Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.
Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterly. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov
.
Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.
Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.
Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.
Donna
È freddo,
piccoli puntiglioni mi guardano dove dovrei avere i coglioni,
che mancanza sciocca, ma a volte dolorosa...
È caldo, ho caldo,
Ma così non posso andare in giro...
Ho bisogno del tuo braccio,
aiutami tu, accompagnami.
Rido, ah giusto... non sono divertente.
Mi guardo, mi commento, mi compiaccio.
Mi guardano, mi commentano, mi descrivono...
Sorrido,
Come l’invisibile muro di Montale
pesa il mio sorriso.
Ma quando la tengo alta
la mia testa non pesa più.
Luna 29-07-2021
Un sogno
Era sdraiata per terra, la testa le rimbombava e gli occhi faticavano ad aprirsi. Si sentiva strana, come se non appartenesse a quel corpo…
Attorno a lei un vento leggero soffiava e sentiva il rumore di rami muoversi lentamente, il resto era solo silenzio.
Con fatica riuscì ad aprire gli occhi, la luce del sole penetrò nella sua pupilla costringendola a richiudere l’occhio. Abituatasi poi alla luce riuscì ad alzarsi.
Il suo sospetto che quel corpo non le appartenesse si confermò subito.
Le mani erano troppo grandi per essere sue e l’altezza della visuale non era come se la ricordava.
Ma un urlo la distrasse dai suoi pensieri, era un urlo femminile, ne era certa. La sua attenzione era tutta tesa verso il luogo da cui veniva quell’urlo, ma nulla. Era ritornato il silenzio.
Si girò verso est e subito iniziò a sentire delle voci, erano voci felici, sembrava gente che danzava! Era certa che fosse un paese in festa, si sentiva chiaramente: i bambini ridevano, gli uomini parlavano allegri e le donne cantavano e ballavano. Se ti concentravi bene, udivi un cantastorie che parlava di un principe e di una principessa.
Sentendosi spaesata mosse il primo passo verso quel suono e di colpo cadde il silenzio.
Lei non capì... Si sentivano così chiaramente le voci di quelle persone, e la musica!
Alzò la testa, in quel poco di sole che penetrava dalle foglie degli arbusti soprastanti, piccoli raggi le ricadevano sul viso, diffondendo sul suo corpo un insolito calore.
Provò a girare la testa verso ovest, ed ecco un altro suono, c’erano dei cavalli, ne era sicura! Si sentiva perfettamente lo scalpitio di mille zoccoli, l’aria sembrava tesa, rumori di foglie calpestate e vari rami spezzati, urla di persone disperate e risate di persone sadiche.
Si intuiva chiaramente il rumore di un incendio, dopotutto chi non riconoscerebbe lo scoppiettio del fuoco, la stessa donna di prima che urlava.
Anzi non urlava... no, non era un grido, bensì una specie di richiamo, un richiamo alla morte, alla disgrazia, alla tortura... Ma poi ecco la voce di un uomo, era una voce ferma ma allo stesso tempo molto profonda che la intimava al silenzio.
La donna tacque, e con lei anche lo scoppiettio del fuoco, i cavalli si fermarono e le urla delle persone cessarono.
Si sentiva solo il rumore di una spada che veniva estratta e poi nulla...
Un bambino chiamò sua madre con voce disperata e piangente, se erano lacrime di tristezza o di dolore non lo seppe mai perché quando provò a muoversi verso quello scenario ritornò il silenzio.
Ormai il silenzio era rotto solo dal fruscio del vento sugli alberi e dalle sue lacrime che lente scendevano dagli occhi scivolando sulla guancia fino a cadere nel fango.
Tremava, non sapeva se per il freddo o per la paura...
Quel corpo così sgradevole e sconosciuto per lei era ormai insensibile al tatto, la pelle era bianca e dove affioravano le ferite non scorreva nemmeno più il sangue.
Le labbra le pulsavano e provava invano a chiedere aiuto, ma dalla bocca non usciva nulla.
Iniziò a muovere la testa in ogni direzione, sentendo sempre suoni diversi e ormai troppo confusi.
Iniziò a correre in quel bosco senza fondo, le gambe le cedevano e la vista era annebbiata dal costante dolore alle costole...
La testa scoppiava per colpa di tutti quei rumori che la assillavano ovunque si girasse. Nella foresta ormai rimbombavano i suoi singhiozzi e il rumore di rametti spezzati che si frantumavano sotto i suoi piedi, regalandole tagli e ferite.
Sentì una mano, era grande ma allo stesso tempo delicata... le toccò la schiena.
Si fermò d’improvviso.
I singhiozzi si fermarono e il suo respiro affannato si arrestò. I suoni cessarono e il vento smise di soffiare.
Una sagoma ricoperta da un mantello nero, era rivolta verso di lei.
Era troppo scuro per poterne vedere il volto, ma gli occhi, gli occhi si vedevano perfettamente, erano di un grigio intenso quasi blu... La sua vista fu completamente rapita dai due occhi, tanto che si accorse che era vicino a lei solo quando il suo respiro finì sul suo viso.
Era un respiro freddo e privo di vita. Si sentì impotente, incapace di fare nulla. Non disse parole, appoggiò le sue mani fredde sulle due spalle e la spinse delicatamente all’indietro, buttandola in un lago ghiacciato, dal quale non avrebbe mai più fatto ritorno.
Notte di tempesta
La pioggia batteva forte sulle finestre della piccola palazzina londinese in via Torquato 67.
Il vento soffiava impetuoso, scricchiolii provenienti dai rami del piccolo pino davanti alla strada si facevano sempre più forti. Fino a quando un fragoroso rumore sovrastò quello del picchiettio della pioggia, seguì un soffio di vento più forte. Sembrava che il vento stesse festeggiando la sua vittoria per aver rotto un piccolo ramo innocente…
Aghata, però, sentiva solo il rumore delle sue lacrime che cadevano calde sulla pelle fresca, il viso bagnato attirava i suoi corti capelli biondi come i ragni attirano le mosche, facendoli rimanere attaccati al suo tondo viso…
Aghata si guardò intorno timorosa, la stanza era illuminata solo dalla luce che emanava il lampione sotto casa sua. Nella penombra riuscì a vedere il suo riflesso nello specchio che teneva sulla scrivania.
Nel suo viso si vedevano perfettamente le sue grandi occhiaie gonfie e bagnate dalle lacrime che quegli occhi color nocciola non riuscivano a trattenere.
Singhiozzò.
Ormai era da troppo tempo che quell’incubo la tormentava, ogni notte la stessa storia, ogni notte si sentiva morire, per poi risvegliarsi tremando.
Ormai dormiva pochissimo, aveva paura di ciò che poteva sognare, non voleva sognare… voleva riuscire a dormire anche solo per dieci minuti senza sentire quella sensazione di vuoto.
La sua stanza si illuminò di giallo, la scrivania che fino a prima era bianca rifletteva una strana luce gialla che andava e veniva. Il suo riflesso nello specchio era cambiato, un’espressione di curiosità era spuntata nel suo fragile volto, da dove veniva quella luce?
Talmente era concentrata nei suoi pensieri che non aveva nemmeno sentito gli scrosci dell’acqua guidata dal vento che si infrangevano nel vetro.
Ritornò bruscamente alla realtà quando sentì un grido, era un grido femminile che proveniva da fuori.
Aghata spostò lentamente il bianco piumone che la copriva, aveva paura, aveva paura di affacciarsi, di scoprire cosa stesse succedendo fuori dalla sua stanza, ma la sua curiosità ebbe la meglio.
Le sue due tremolanti gambe ebbero il coraggio di issarsi per permettere al suo corpo di portarsi fino alla finestra. Aghata si affacciò e solo allora riuscì a sentire perfettamente il rumore della pioggia che finora era ovattato dal rumore del suo cuore.
La faccia rimase paralizzata davanti a quella scena, con una mano tremante riuscì ad aprire la finestra. La pioggia lavò via dal suo viso le lacrime che aveva versato, i suoi piedi sentivano la moquette bagnarsi sotto di essi, ma non importava.
Prese una vestaglia rosa e scese di corsa… La signora Gigli era lì che piangeva quando Aghata