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Quando il sole sorge ad Ovest. Quelle persone semplici dei Professionisti della Salute
Quando il sole sorge ad Ovest. Quelle persone semplici dei Professionisti della Salute
Quando il sole sorge ad Ovest. Quelle persone semplici dei Professionisti della Salute
Ebook236 pages2 hours

Quando il sole sorge ad Ovest. Quelle persone semplici dei Professionisti della Salute

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About this ebook

10 storie di INFERMIERI. Narrazioni che hanno per oggetto il "lato non conosciuto dei Professionisti della Salute.Racconti caratterizzati dal NARRATORE. Diverso di storia in storia. Sempre MOLTO PARTICOLARE.Lo scopo del libro è quello di indurre a fare molta attenzione all'utilizzo del linguaggio retorico e metaforico di cui spesso si abusa e che, specie in sanità, si ritorce contro gli operatori.Ogni storia è illustrata da artisti locali ma anche di fuori regione. Le narrazioni mutuano il decalogo della comunicazione non ostile. Quasi tutte le storie sono autentiche. Un paio di fantasia. Il libro è realizzato con soldi personali e senza aiuto di terzi o sponsorizzazioni varie.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateJun 20, 2022
ISBN9791221410914
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    Quando il sole sorge ad Ovest. Quelle persone semplici dei Professionisti della Salute - Osvaldo Barba

    AUTOBUS 22

    Sempre le solite facce.

    Tutti i giorni, tranne sabato e domenica.

    Poi è la solita routine.

    Un continuo sali e scendi di persone.

    Un comportamento routinario il loro, talmente ripetitivo, da rasentare la follia. Li conosco uno per uno i passeggeri dell’autobus 22, che salgono ad orari diversi e mi si siedono accanto.

    Certo.

    Non posso affermare di avere tanti amici su quel pullman, ma sono sicuro di non sbagliare se dico che ho legato con alcuni di loro.

    In realtà, si tratta di poche persone con le quali condivido un grande senso di rispetto.

    Silenzioso.

    Ma indiscutibilmente autentico.

    Sarà per l’età o forse per le mie condizioni non sempre di perfetta presentabilità che i compagni di viaggio non hanno molta voglia di dialogare.

    In fondo li capisco.

    Neanch’io al posto loro, alcune volte, mi darei troppa confidenza. Eppure con la maggior parte condividiamo il viaggio fianco a fianco o, al massimo, stiamo nella stessa fila.

    Potrei tranquillamente raccontarvi la storia di tutti loro.

    Sono nelle condizioni di descriverli accuratamente.

    A partire da chi sale alla prima corsa fino ad arrivare a coloro che scendono prima del capolinea all’ultimo giro di notte inoltrata.

    Potrei.

    Non lo faccio perché, per indole, amo la discrezione.

    Alcuni però, meritano di essere narrati.

    Per esempio l’impiegato comunale.

    Sale alle 07,00.

    Si chiama Luigi, ha sessant’anni e lo riconoscerei, fra mille, per l’abbigliamento.

    Copia e incolla.

    In inverno, da almeno vent’anni, indossa lo stesso impermeabile lungo color beige, un po’ fuori moda ma ancora in ottime condizioni. In testa, ha sempre un cappello rotondeggiante di panno nero, di quelli che recano un pirulino esattamente al centro.

    Cinefili.

    Esattamente come il ragionier Fantozzi.

    In estate indossa rigorosamente un vestito a quadretti color grigio topo con sotto una camicia fucsia e cravatta nera.

    Il dorso argentato di una penna - con annessa pubblicità di un sindacato - che spunta dal taschino sinistro della giacca, non lasciano dubbi all’immaginazione.

    Trattasi del classico scribacchino.

    I baffi curati che delineano un viso quotidianamente rasato che profuma di Fuoco di Vesuvio, danno l’idea di un uomo amante a tal punto dell’ordine da rasentare il maniacale.

    La riprova?

    I pochi capelli geometricamente allineati sui quali splende il solco tracciato dal pettine nella sua opera di distribuzione della Brillantina Linetti al mallo di noce.

    Le scarpe nere sono sempre pulite ed in ordine, ma la manifattura non è certo di prim’ordine. La finta cucitura la noterebbe anche un ipovedente.

    Figuriamoci io che la osservo tutti i santi giorni.

    Debbo anche dirvi che Luigi non mi ha mai dato l’impressione di una persona che voglia nascondere a tutti i costi - a chi ha lo abbia squadrato da cima a fondo-, che quelle calzature sono il frutto di una contrattazione con un suo vecchio amico ambulante.

    Uno che ha fatto di necessità virtù.

    Può trovarti tutto quello che serve in molto meno di quanto si possa pensare.

    Non ve l’ho ancora detto ma so bene che ci siete arrivati da soli.

    Di curiosi, sull’autobus 22, ce ne sono davvero tanti.

    Luigi lo sa ma non se ne cura affatto anche perché, le scarpe di Martino, hanno un valore affettivo di gran lunga superiore al reale corrispettivo economico.

    Rappresentano il segno di un’amicizia che dura da sempre, fin da quando - da bambini nati nello stesso quartiere- hanno dato i primi calci a quello sgangherato e scolorito pallone Super Santos trovato nei cocuzzoli di rifiuti dove andavano alla ricerca di tesori.

    Luigi ogni tanto ci pensa e sorride.

    Quel pallone, ovviamente bucato, era oggetto o di indomabili liti o di grandi sorrisi.

    Diventava motivo di scazzottate quando, il più litigioso della squadra che stava perdendo - magari in malo modo -, lo rendeva una sorta di massa informe saltandovi su con tutto il suo peso facendogli uscire quella poca aria rimasta dentro.

    Era altresì protagonista comico quando, a causa di un calcio ricevuto da un polpaccio particolarmente nerboruto - che trasformava una piccola crepa in grosso squarcio-, piuttosto che partire spedito verso la porta avversaria rimaneva incollato nella scarpa dell’inebetito centravanti.

    Il resto dell’abbigliamento di Luigi è stato comprato in occasioni di svendite fallimentari.

    Quei vestiti sono gli stessi che ha guardato per giorni e giorni su quel dépliant che annunciava sconti fino al 90%.

    Volantino che, alcune volte, mi ha anche sbattuto in faccia seppur senza accorgersene.

    Non è come credete.

    Luigi non sarebbe capace di atti di scortesia.

    È un uomo di grande dignità che non ha grilli per la testa.

    Come faccio a saperlo?

    Semplice.

    Alcune volte parla da solo e mi guarda.

    È talmente assorto nei suoi pensieri che non si accorge nemmeno che mi mette al corrente di molte sue riflessioni intime.

    Siete fatti così.

    A volte, incuranti della presenza di estranei, liberate quella parte della vostra esistenza che, normalmente, sosta in un luogo inaccessibile che la scienza ha definito io occulto.

    Io che non sono laureato in psicologia, che non ho nessun titolo di studio ma che-di contro- ho un’esperienza ultraventennale in materia di passeggeri dell’autobus 22, posso affermare -con cognizione di causa- che quelle meditazioni sono proprie di un uomo saggio ed estremamente perbene.

    È un marito amorevole ed un padre meraviglioso.

    Lo sento parlare ogni mattina con la moglie al solito orario.

    07,15 puntuali.

    Del terzo millennio abbondantemente iniziato e della tecnologia delle comunicazioni in continua evoluzione, Luigi sembra proprio non essersene mai accorto.

    Accanto a lui, squillano incessantemente le hit del momento a mo’ di colonne sonore per le chiamate in arrivo dei cellulari di ultimissima generazione, senza che se ne renda minimamente conto.

    Essendo sempre sull’autobus 22, assisto tutti i santi giorni ad una kermesse di persone che, più che utilizzare il telefono realmente, ostentano -attraversano questo ritrovato della tecnologia- un non ben definito ruolo sociale.

    Certo.

    Bisognerebbe forse curare la dizione nel modo di rispondere oltre che con la comunicazione non verbale.

    Lo si sa.

    I movimenti del corpo non mentono mai.

    O forse non tutti lo sanno.

    Luigi è orgoglioso del suo Motorola StarTAC 8500 nero.

    Lo osservo ogni santa mattina alzare metodicamente l’antennino, aprire il frontalino e comporre il numero della moglie.

    È totalmente incurante degli sguardi disgustati di quei passeggeri che mal tollerano la vista di un reperto telefonico mostrato senza pudore alcuno.

    Che sfrontatezza!

    II suo tono di voce, affettuoso e dolce, riesce saggiamente a mitigare una strana tristezza che gli leggo negli occhi da qualche giorno a questa parte ogni qualvolta mi guarda.

    Chiede se i ragazzi si sono alzati per andare all’università e da Ele- na vuol sapere cosa preparerà per pranzo.

    Chiude la telefonata con il solito affettuosissimo bacio.

    Assisto a questo rito, tutti i santi giorni.

    Mai, sottolineo mai, ho avuto anche il benché minimo sospetto che Luigi non fosse sincero con la moglie.

    Sapete, io di sincerità me ne intendo.

    Se dovessi raccontarvi di tutti coloro che, mentre attraverso l’auricolare tubano con il loro partner chattano contestualmente con il loro amante, mi ci vorrebbe un’eternità.

    Non di rado mi imbarazzo per i WhatsApp che sono costretto a vedere nonostante non abbia nessuna intenzione di farlo.

    Me lo chiedo di continuo.

    Un uomo sposato -o almeno è quello che presumo per la presenza di un anello in oro al quarto dito della mano sinistra modello Bulgari- può scrivere a Gigi Calcetto: L’intimo che hai indossato ieri sera era strepitoso?

    Onestamente non ne ero al corrente.

    Non sapevo che per giocare a calcio a 5 occorresse indossare guepiere e babydoll.

    Saranno forse gli sponsor a volerlo?

    Chi lo sa!

    Quando vedo chat del genere, vorrei girarmi dall’altra parte.

    Il mio ruolo non me lo permette.

    E menomale che non racconto niente a nessuno perché, se lo facessi, sicuramente qualcuno mi avrebbe già spaccato la faccia. Oddio.

    Ci hanno provato ma, per mia fortuna, non ci sono riusciti. Ovviamente, potrei indagare ulteriormente ma in verità -costoro- non destano affatto il mio interesse.

    Con Luigi invece, mi sento legato quasi fosse un parente.

    Non ho nessuna remora ad ammettere che conosco il suo numero di casa a memoria. Non me lo ha mai dato ed io non ho mai chiesto.

    Lo so perché glie l’ho visto fare infinite volte.

    Quel risolino malizioso che vi leggo in viso non ha motivo di esistere. Al momento, potrebbe essere il vostro solo un pregiudizio- se posso permettermi- anche troppo affrettato su di me.

    Credetemi.

    Non sono affatto un impiccione.

    Luigi sa perfettamente che lo osservo nel tragitto da Piazza Marconi fino ad arrivare alla fermata di Largo della Repubblica, dove scende. Se vi state chiedendo perché, la risposta è molto più semplice di quanto non crediate.

    Dopo tutti questi anni, scambiarsi delle confidenze -seppur solo con gli occhi- diventa quasi una prassi per alcuni compagni abituali di viaggio dell’autobus 22.

    Lo incontro anche al ritorno.

    Sale alla fermata di Lago della Repubblica alle 14,15.

    Certo, i capelli non sono più in perfetto ordine.

    In estate, l’aroma di Fuoco di Vesuvio si mischia con l’odore di sudore. Una cosa è certa.

    Non l’ho mai sentito puzzare.

    Nessuna telefonata al ritorno.

    Si dedica alla lettura dell’Avvenire.

    Sempre così.

    Fino a qualche settimana fa.

    Già.

    Negli ultimi tempi quasi stento a riconoscere il Luigi di sempre.

    La cosa mi preoccupa.

    Quando rientra a casa, lo vedo spesso usare lo Startac ma non chiama Elena.

    No.

    Quel 050 finale non è il numero di casa sua che finisce con 765. Un’altra cosa mi insospettisce.

    Tra le pagine del giornale, ho notato dei fogli che sono anche oggetto di queste strane telefonate.

    Dire che Luigi sia stato in tutti questi anni uno con il fisico mozzafiato, sarebbe almeno fantasioso.

    Ultimamente, secondo me, si trascura un po’ troppo.

    Gli ho visto stringere -periodicamente- la cintura dei pantaloni sempre di più perché quasi gli cascavano.

    E del viso, ne vogliamo parlare?

    Mmh.

    Quel volto armonico e roseo, secondo me, sta diventando un po’ scarno e palliduccio.

    Chissà.

    Forse è solo una mia impressione.

    Oppure pensieri strani gli frullano per la testa?

    Ogni qualvolta che assisto alla conclusione della telefonata -qualche minuto prima che Luigi scenda alle 14,40 alla fermata di Piazza Marconi-, mi pongo sempre la stessa domanda.

    Elena saprà di questa Anna?

    Alle 10,00, alla fermata di Via Primo Levi, sale lui.

    Fisico palestrato e perennemente in tuta da ginnastica, è l’unico tra tutti i passeggeri dell’autobus 22 che rimane sempre in piedi.

    Strano.

    A quell’ora il mezzo è quasi vuoto specie nelle ultime file dove, da sempre, viaggio io.

    Sale dalla porta posteriore e mi si piazza esattamente nel mezzo. Porta con sé una borsa da palestra personalizzata con teschi, facce stralunate e simboli per me incomprensibili.

    Se vi dico che non so come si chiama mi credete?

    Concordo con voi.

    Sono troppo discreto per chiedere ed impicciarmi dei fatti suoi.

    Ci rimango male se tra i frequentatori abituali dell’autobus 22, non ci si conosce almeno per nome.

    È la regola.

    Non scritta, ma tutti la rispettano.

    Potrei certamente io fare il primo passo per la conoscenza. Fondamentalmente, non sono tipo da intromettermi nella vita altrui e fare attenzione a tutto quanto mi accade intorno.

    So solamente quel che vedo se mi guardano o ciò che mi si confida. Nulla di più.

    Perché di una cosa potete stare certi se mai salirete su quest’autobus e dovessimo fare conoscenza.

    Non sono tipo che vede, sente parla.

    Non mi piace affatto quello che sta pensando di me in questo preciso istante.

    Vi rispondo immediatamente.

    Non sono omertoso.

    Per ulteriore chiarezza.

    Non viaggio con la lupara in spalla allo stesso modo della stragrande maggioranza dei siciliani onesti.

    E purtroppo, non so suonare quel meraviglioso strumento a bocca chiamato malarruni.

    Non sono isolano ma nemmeno italiano se è per questo.

    Di dove sono?

    Già.

    Non ve l’ho ancora detto.

    Sono un apolide e ho molto poco da raccontarvi su di me.

    La mia famiglia ha origine antichissime.

    Nobili per la precisione.

    Comprendo e leggo perfettamente almeno dieci lingue e viaggio di continuo su quest’autobus.

    Quoto.

    Non sono affatto un tipo interessante.

    Lo stesso non si può dire del palestrato che in estate porta sempre canotte scollatissime e pantaloncini cortissimi.

    Ed è grazie a questa sua voglia di eccessivo esibizionismo che ho scoperto tantissimo di lui.

    Non è come Luigi che si ogni tanto si confida con me e mi fa partecipe della sua vita familiare.

    Questa sorta di Terminator mi ha dato a lungo l‘impressione che fosse muto.

    Poi ho notato questi minuscoli auricolari attraverso i quali ha proferito pochi monosillabi come risposta alle rarissime telefonate che ha ricevuto in tutto il periodo in cui l’ho visto sull’autobus.

    Se lui non mi ha mai dato l’impressione di un anchorman il suo corpo, invece, è stato un gran chiacchierone.

    Un esempio?

    So che gli piace Marylin Manson perché ce l’ha tatuato nell’avambraccio destro.

    O quanto meno.

    Potrebbe piacergli perché, al contrario delle produzioni del suo estroso quanto bizzarro cantautore americano, i suoi AirpPods diffondono le note di Le nozze di Figaro di Mozart.

    Mi sono sempre chiesto se il tatuatore, per caso, non abbia scambiato i due musicisti e Terminator non sappia leggere, oppure se Wolfang Amadeus non si sia volutamente reincarnato in quel Brian Hugh Warner che, nonostante abbia scelto come nome d’arte la dicotomia

    tra la meravigliosa Marylin Monroe e il pluriomicida Charles Manson, sia l’espressione di un genio della musica come lo è stato lui.

    Una cosa è certa.

    Terminator è una continua contraddizione tra quello che ostenta e quello che realmente è.

    Non ho mai capito se ama alla follia la sua presunta famiglia oppure se è stato innamorato diverse volte.

    Ha almeno sette nomi indelebili di donne tra la gamba sinistra e il collo.

    Eppure non ha mai dato neanche il minimo accenno di risposta a tutte quelle ragazzine occasionali -o alle non poche donne mature- che non solo gli si sono avvicinati e lo hanno guardato con occhi maliziosi, ma che gli hanno anche esternato gestualità che non hanno lasciato dubbio alcuno all’immaginazione.

    A nessuno.

    Tranne che a lui.

    Mah!

    Ho avuto il

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