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Nel buio
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Nel buio

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Horror - racconti (149 pagine) - Otto racconti che manipolano la realtà che conosciamo per trasformarla in un incubo oscuro…


Creature mostruose, entità diaboliche, presenze inquietanti, ma anche e soprattutto l’orrore che scaturisce dalla natura umana e si insinua nella vita di tutti i giorni: otto racconti dell'orrore che declinano le varie forme della paura, penetrando a fondo nella sua essenza, ma non dimenticando la virtù salvifica dell’ironia.


Rudy Salvagnini è sceneggiatore di fumetti (Topolino, Il Giornalino, il Messaggero dei Ragazzi, LancioStory e molte altre testate). Ha scritto il romanzo di fantascienza Il vortice dei ricordi. Si occupa di critica cinematografica per Segnocinema e MYmovies.it. Ha scritto Il Castoro Cinema su Hal Ashby, Il cinema di Bob Dylan, Il cinema dell’eccesso vol. 1 e 2 e il monumentale Dizionario dei film horror.

LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateJun 21, 2022
ISBN9788825420845
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    Nel buio - Rudy Salvagnini

    Il telefono

    Come al solito, il suo credito era finito. Per quanti piani tariffari cambiasse, per quanto attento stesse, il suo credito finiva sempre. Non poteva consolarsi con il fatto che, si sa, tutto finisce prima o poi. Il problema era che finiva sempre prima. Detestava il cellulare, le sue tariffe, la sua dipendenza da quella strana cosa che chiamavano campo. Detestava che non gli desse la possibilità di andare su internet con il suo computer. O magari gliel’avrebbe anche data, questa possibilità, ma chissà a che prezzo e chissà a che velocità e come. Non era abbastanza abile nelle connessioni wi-fi, nel bluetooth, nel wireless e in chissà quante altre cose del genere.

    Tutto quello che voleva era un telefono fisso, come ai bei tempi. Un telefono che quando alzavi la cornetta sentivi la linea che tubava per te, pronta a esaudire i tuoi desideri. Un telefono che si attaccava a una presa e che, di per sé, ti garantiva anche una brillante connessione a banda larga lasciando libero il tuo computer di navigare meglio di un galeone di pirati.

    Ce l’aveva avuto, un telefono fisso. Più volte. Ma ogni volta che c’era un trasloco bisognava trasferire la linea e lui di traslochi ne aveva avuti diversi nel corso degli anni. L’ultimo era stato devastante. Se n’era dovuto andare da casa perché lei si era accorta che lui se la faceva con un’altra. Un’altra che se l’era filata alla velocità della luce con un altro senza dargli neanche il tempo di provare a piangere sulla sua spalla per farsi consolare. Starsene di nuovo da solo non gli avrebbe fatto male, comunque. Purché con il telefono.

    Ma stavolta qualcosa era andato storto e il telefono fisso era diventata un’ossessione.

    Si fermò al tabacchino e fece una ricarica da dieci euro. Si soffermò un attimo a pensare che forse era per questo motivo che il suo credito finiva così rapidamente, ma non voleva dilapidare fortune con il telefonino. Se avesse avuto un telefono fisso, avrebbe usato pochissimo il telefonino. Lui voleva il suo telefono fisso, ne aveva diritto. Respirò a fondo e si sedette su una panchina del parco, in un posto tranquillo. Era pronto alla nuova battaglia con il call center. Detestava combatterla, ma non c’era altro modo. Formò il numero della compagnia telefonica e, dopo aver premuto vari pulsanti seguendo le indicazioni della voce robotica che gli aveva risposto e aver atteso in linea per diversi minuti, arrivò a sentire una voce umana.

    – Parla l’operatore 238, sono Manuela. Mi dica pure, in cosa posso esserle utile?

    – Buongiorno, sono Sandro Anselmi. Ho fatto richiesta per avere il telefono cinque mesi fa. Tre mesi fa ho firmato il contratto. Adesso ho il numero, ma non ho il telefono.

    – Cose che capitano.

    – Sul contratto c’è scritto che mi avreste attivato la linea entro sessanta giorni.

    – Adesso vediamo. Mi dica il numero che controllo la pratica al terminale.

    – 049879534672.

    – Bene. Un attimo di pazienza… ecco, ho trovato. è una cosa strana, sa? Qui c’è scritto che i tecnici sono venuti da lei un mese e mezzo fa.

    – Impossibile! Quando vengono e non trovano nessuno, non lasciano un biglietto?

    – Certo.

    – Quel biglietto io non l’ho trovato.

    – Non sempre, comunque, lasciano un biglietto.

    – Ah, no? E allora uno come fa a sapere che sono venuti?

    – Non lo so, signore.

    – Magnifico. Comunque, voglio il telefono e sto cercando di capire qual è il modo per ottenerlo.

    – Posso fare un sollecito, signore. Lo sto già facendo.

    – Sì, ma un sollecito sarà sufficiente? Già un paio di suoi colleghi le settimane scorse hanno fatto dei solleciti senza alcun esito. Siete fuori dai termini contrattuali.

    – Un momento, signore. Sul contratto c’è scritto sessanta giorni, ma salvo imprevisti.

    – E allora? Gli imprevisti sono fatti straordinari che non si possono prevedere.

    – Un imprevisto è, per esempio, che i tecnici non la trovino in casa.

    – Non dica sciocchezze. Se quello è un imprevisto, vorrei sapere cosa può essere previsto da voi. Dovrei restare in casa ogni giorno sperando che sia quello buono in cui, a sorpresa come in una lotteria, i vostri magnifici tecnici vengono a spendere quei maledetti cinque minuti che servono ad attivare il mio telefono?

    – Non occorre che lei resti in casa, signore. Loro lasciano un biglietto, quando vengono e non trovano nessuno.

    – Stavolta non l’hanno lasciato, come le ho già detto.

    – Appunto. Lo ha detto lei.

    – Cosa vuol dire con questo? Che mi sono mangiato il biglietto in un attacco di sdoppiamento della personalità e adesso non mi ricordo più niente?

    – No, ma…

    – Niente ma! Dovete rispettare il contratto e darmi il telefono! Subito! Basta con queste stupide chiacchiere!

    – Senta, signore, è inutile che se la prenda con me. Sono solo un’impiegata e sto facendo il possibile per lei. Sto facendo un sollecito, di più non posso fare.

    – Figuriamoci!

    – Signore, non vuole smetterla? Sento tutto il giorno le lamentele di persone come lei… È possibile che non vi rendiate conto che non posso farci niente? Sono solo una povera precaria addetta a sentire gli insulti. Non sono un tecnico e non posso venire a mettervi su quei vostri maledetti telefoni. Ho fatto un sollecito, l’ho fatto, per Dio! Cos’altro vuole che faccia? Cosa vuole da me? Sono stanca di tutto questo. Perché non mi lasciate in pace? Ho anch’io i miei problemi, sa? Ieri mio figlio è stato bocciato e l’ho scoperto in camera con un bilancino a pesare le dosi! Lo capisce? Spaccia e non so cosa fare. Mio marito si è suicidato il mese scorso dopo aver perso il lavoro e io ho appena scoperto di avere un cancro. Le basta? Anzi, sa cosa faccio? L’avevo già deciso, ma questa sua telefonata mi ha fatto imbestialire per cui lo farò subito. Ho già una pistola. Adesso faccio piazza pulita di tut-ti questi bastardi che mi sfruttano e anche di tutti quelli che si fanno sfruttare come me e che mi odiano perché non capiscono che siamo dalla stessa parte. Resti in linea che le faccio sentire gli spari… non attacchi! Sentirà che spettacolo!

    Sandro chiuse precipitosamente la comunicazione, sentendo il rumore metallico prodotto dal caricatore di una pistola. Non voleva saperne nulla, lui non c’entrava. Quella donna era pazza, una mitomane. Sicuramente non pericolosa, ma assolutamente inutile. Per un attimo pensò di richiamare per sincerarsi che fosse stata solo una vanteria, ma si fermò. Sarebbe stato inutile: gli avrebbero passato un altro operatore di stanza in qualche altra parte d’Italia o addirittura d’Europa, del tutto ignaro di chi fosse al telefono con lui in precedenza. Come si chiamava quella matta? Silvia? Sonia? E qual era il suo numero di operatore? Chi se lo ricordava. Una bella fortuna non poter far niente, si consolò. Ma il suo telefono fisso di sicuro si era allontanato un altro po’. Chissà se quella matta aveva fatto davvero il sollecito.

    A lenti passi si avviò verso casa. La sua casa così mutilata, senza telefono. Si stava facendo tardi. Il sole tramontava e ombre oscure si proiettavano sulla strada. Provava una certa inquietudine a rientrare a casa. Si sentiva poco protetto senza telefono. E se gli fosse capitato qualcosa, come avrebbe fatto ad avvertire? Avrebbe potuto morire dissanguato in un lago del proprio sangue. Bella roba. Aveva una buona fantasia. Certo, c’era il telefonino. Ma se non ci fosse stato campo? In tutti i film dell’orrore che aveva visto negli ultimi anni le potenziali vittime si ritrovavano in mano dei cellulari inutili, incapaci di trovare campo. Improbabile, in un quartiere come il suo. Ma se fosse successo? Già si vedeva rinchiuso dentro il bagno a cercare di telefonare alla polizia mentre un gruppo di energumeni violenti cercava di entrare per farsi dire dove si trovava la cassaforte, anche se la cassaforte non c’era. E il fatto che non ci fosse era un’aggravante perché si sarebbero arrabbiati ancora di più. I battiti del suo cuore accelerarono, come se quello che immaginava fosse vero.

    Dovette fermarsi e scuotere via quei pensieri. La situazione era già abbastanza brutta anche senza quelle fantasie malate. II vero problema era quello del telefono. Doveva restare concentrato su quello, senza divagare. Riprese a camminare e arrivò a casa.

    Aprì la porta e vide che tutto era come quando l’aveva lasciato. Tirò un sospiro di sollievo. Si sentiva stanco e non aveva voglia di far niente, salvo una telefonata. O magari due. Guardò malinconicamente la presa già predisposta, ma così orfana di linea. Scosse la testa rassegnato.

    Si preparò un White Lady e accese il televisore. Le solite banalità. Aveva anche fame, ma non aveva voglia di preparare niente. Aprì una scatoletta di tonno e una di fagioli e ne versò il contenuto in un piatto di plastica facendone un unico pastone.

    – Tonno e fagioli – mormorò bevendo una sorsata del suo White Lady – nouvelle cuisine.

    Si sedette davanti allo schermo e osservò le immagini scorrere come se fossero un fiume dal corso lento e prevedibile. Il suo drink lo aiutava a far sì che tutte le cose gli sembrassero comunque accettabili. Stavano dando un film che avrebbe dovuto essere del terrore. Raccontava di uno scienziato pazzo che intendeva ridare la vista alla figlia cieca usando gli occhi di altre ragazze, donatrici non volontarie. Interessante, senza dubbio. Da cineforum con dibattito.

    Il White Lady era finito e cominciava a considerare l’ipotesi di farsene un altro, più carico. Ci avrebbe messo il settanta per cento di gin, questa volta.

    – Cosa posso farci se mi piace secco? – disse ad alta voce, dialogando con la televisione che non se ne diede per intesa.

    Il campanello di casa squillò. Sulle prime, Sandro non collegò al campanello della porta il suono che aveva udito, tanto lontana da lui era la possibilità che qualcuno venisse a casa sua a quell’ora, ma poi, lottando contro la propria pigrizia alcolica, si decise ad alzarsi. Era tardi e non si sentiva molto sicuro, perciò prima di aprire ebbe l’idea di usare il citofono. Grande comodità, il citofono.

    – Chi è? – chiese, senza alcuna intenzione di essere originale.

    – Il telefono.

    Non poteva crederci, a quell’ora.

    Non poteva, ma voleva crederci.

    Forse fanno gli straordinari, pensò, aprendo frettolosamente la porta.

    Sentì lo scatto della porta dell’ingresso e, dopo poco, l’ombra di un uomo si stagliò sul vano scale. Con passi veloci, l’ombra salì i gradini e si materializzò sulla soglia. Era un tecnico del tutto normale, con la sua classica cassetta degli attrezzi e una scatola di cartone che – lo sperava ardentemente! – conteneva un apparecchio telefonico.

    – Buonasera – disse il tecnico. – È lei che ha fatto richiesta di impianto?

    – E come no?

    – Bene. Ci sbrighiamo in cinque minuti, se mi fa entrare.

    – Certo che la faccio entrare: ho aspettato così tanto!

    Il tecnico sorrise, entrò ed estrasse l’apparecchio dalla scatola.

    – Le piace? È l’ultimo modello, appena uscito dalla fabbrica.

    – Ma non è un cordless?

    – No. Non sa che i cordless potrebbero avere conseguenze negative sulla salute?

    – Non lo sapevo. Meglio così, allora. E poi mi sarebbe andato bene anche un bigrigio qualunque, le dico la verità.

    – Quelli ormai sono oggetti di modernariato.

    Sandro guardò quasi con ansia i gesti sicuri del tecnico che agiva sulla presa per renderla operativa. Sentiva dentro di sé un entusiasmo incontrollabile che premeva per uscire: aveva il telefono, ormai aveva il telefono. Non c’erano più dubbi.

    – Ho già agito sulla centralina. Dovrebbe essere tutto a posto – disse il tecnico, con aria rassicurante.

    – Ma come mai lavorate di sera tardi? – non poté fare a meno di chiedere Sandro, improvvisamente perplesso.

    – Lavoro sempre di sera tardi. Mi trovo meglio. Le dispiace?

    Il tono di quella voce, calmo e profondo, lo indusse a non insistere. Lavorasse quando voleva, quel tipo, l’importante era che fosse lì. Quattro minuti dopo tutto era finito. Il tecnico compose un numero per una telefonata di prova e dopo aver scambiato qualche parola banale riappese la cornetta. Si rialzò e sorrise ancora, riprendendo la cassetta degli attrezzi.

    – Ecco, signore – disse – il telefono funziona. Adesso devo andare.

    – Grazie mille, davvero.

    – Di nulla. Buona notte.

    Non appena la porta si chiuse, Sandro guardò con una gioia irrefrenabile quell’apparecchio che l’aveva fatto soffrire così tanto. Ormai ce l’aveva, era riuscito a conquistarlo. Si preparò un altro White Lady molto secco e si sedette davanti al telefono, in muta contemplazione. Avrebbe potuto fare una telefonata, ma adesso gli sembrava una cosa superflua. Avrebbe potuto provare la connessione internet con il computer, ma anche quella era una cosa conquistata, poteva attendere. Il telefono era davanti a lui e non sarebbe più scappato. Gli veniva quasi da piangere.

    Era così bello, anche come oggetto. Gli sembrava che avesse davvero una linea particolare, nuova e diversa da quelle degli altri telefoni: era un modello che non aveva mai visto prima. Era nero. Nuovo, ma simpaticamente vecchio stile, con la cornetta e tutto. Le sue linee sfuggenti e morbide risplendevano sotto la luce diretta della lampada. Anche i tasti erano neri e i numeri non erano facilmente visibili. Fissava l’apparecchio da così tanto che ebbe l’impressione di vederlo pulsare per un istante, come se stesse battendo un cuore magnetico al suo interno. Fu la questione di un attimo, un battito appena, ma così percettibile che lo lasciò senza fiato. Guardò il suo bicchiere e vide che era desolatamente vuoto. Aveva bevuto

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