Sexameron di Luiza Lobo: analisi relazionale in tempo di pandemia
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Book preview
Sexameron di Luiza Lobo - Serena Marenzi
Capitolo primo
La donna nella società contemporanea
1.1. Il dominio simbolico del maschile
Pierre Bourdieu ha ragionato sulla forza con la quale immagini sociali e culturali della donna e nell’uomo si siano sedimentate nell’inconscio di ciascuno di noi, secondo un processo che ci porta ad accettare come naturale un fenomeno che invece ha radici storiche e culturali e deriva da una visione tradizionalista e androcentrica. Questi «schemi inconsci di percezione e di valutazione sono l’effetto delle strutture storiche dell’ordine maschile»¹: nel corso dei secoli, le donne hanno risentito di un discorso che non necessita di alcuna giustificazione e si afferma come neutro e corretto, coerente con la differenziazione biologica dei corpi. Se però il sesso è un dato di fatto biologico, è stato ormai assodato negli studi di genere, che il genere sia un costrutto sociale imposto, che attribuisce alle persone determinate aspettative in termini di comportamenti sessuali, psicologici, di abitudini e di modi di pensare e di essere (es. le donne devono vestirsi in maniera femminile). Il genere è in questo senso, secondo la concezione della filosofa Judith Butler, una sorta di performance alla quale adattarsi o sottrarsi, rivendicando una diversa interpretazione di sé o della propria identità sessuale.
Quando i dominati applicano a ciò che li domina schemi che sono il prodotto del dominio o, in altri termini, quando i loro pensieri e le loro percezioni sono strutturati conformemente alla strutture stesse del rapporto di dominio che subiscono, i loro atti di conoscenza sono, inevitabilmente, atti di riconoscenza, di sottomissione²
Il genere rappresenta così una serie di regole che sono valide anche perché replicabili e messe in scena, tuttavia i soggetti dominati possono rispondere mettendo in atto pratiche di resistenza rispetto all’imposizione simbolica che vede l’uomo (bianco e cisgender) come misura dei comportamenti altrui, dal momento, osserva Bourdieu, la stessa descrizione degli organi sessuali è il prodotto di una costruzione sociale secolare. Già dal Medioevo, la vagina è rappresentata come un fallo rovesciato, come ha evidenziato Marie-Christine Poucelle in un documento redatto da un chirurgo: ciò rimanda all’opposizione dritto-rovescio, positivo-negativo, nel quale il principio femminile è in seconda posizione e si contrappone al principio maschile. La donna ha quindi rappresentato a lungo una mancanza, una sorta di vuoto che alla fine del XIX era ancora utilizzata per spiegare il suo ruolo sociale di secondo piano. Solo nel Rinascimento, il suo corpo acquista, in modo temporaneo, una dignità autonoma rispetto a quello dell’uomo. La cintura rappresenta una frontiera importante nel corpo femminile, è un segno di chiusura, la cintura stretta indica una donna casta e virtuosa: in questo modo, la parte anteriore del corpo si afferma come luogo di differenza socialmente connotato.
Il dominio simbolico del principio maschile è molto presente anche nel rapporto carnale: è il momento nel quale l’uomo può imporre attivamente il suo desiderio di possesso e la donna subisce passivamente la dominazione e riconosce la sua subordinazione erotizzata, spiega Bourdieu. La posizione di dominio che l’uomo ricopre nel rapporto sessuale, in virtù della forma del suo corpo, giustifica quindi la passività e il dominio anche sociale. Nell’antica Grecia e a Roma, in un rapporto omosessuale, colui che subiva la penetrazione era spogliato del suo statuto di cittadino: è la donna che subisce, o un uomo non degno di essere considerato tale. Inoltre, penetrazione e potere sono associati come prerogative maschili ancora nell’Europa pre-moderna. Si tratta di una costruzione del tutto arbitraria del biologico, dal momento che la semplice presenza del fallo non spiegherebbe una differenza tanto marcata sul piano sociale. Così facendo si legittima un rapporto di dominio inscrivendolo in una natura biologica
, attuando una costruzione sociale naturalizzata
. Questo lavoro collettivo agisce nella sfera del simbolico, istituisce un corpo socialmente differenziato e sulla base di ciò, definisce le regole di comportamento di uomini e donne: di conseguenza, le donne devono svolgere i compiti inferiori e muovere il corpo in un certo modo, seguendo una morale rigida che detta norme legate al vestiario e alle acconciature. Le differenze biologiche diventano così il fondamento delle differenze sociali: le divisioni che costituiscono l’ordine sociale si fossilizzano progressivamente, fino a definire due classi di habitus (disposizioni di pensiero e di comportamento) differenti che si affermano come regole naturali
e non costruite su base biologica. La donna è ancora oggi sottomessa, vittima di una violenza simbolica che il discorso egemonico autorizza, un discorso incorporato, condiviso e accettato come una matrice di pensieri e azioni trascendentali storici. Che fare per ribaltare le categorie imposte, in un contesto culturale non soltanto europeo, ma soprattutto mondiale nel quale la donna finisce per accettare la sua inferiorità? Essa è infatti spinta ad accettare gli schemi di percezione e di valutazione universalmente condivisi. Un esempio calzante è il numero esiguo di donne che si dedica alla scienza e alla matematica, dal momento che il messaggio dominante valorizza le loro capacità umanistiche. Spesso le donne non sono consapevoli di rispondere a tali schemi di percezione e di valutazione di sé stesse e di rapporto con l’altro sesso, poiché «la forza simbolica è una forma di potere che si esercita sui corpi, direttamente, […] in assenza di ogni costrizione fisica» ³. Attraverso il corpo, le donne entrano in un’economia di beni simbolici, che le espropria dalla loro libertà di scelta e giudizio per renderle caste, oggetti di scambio e di interesse economico maschile, pronte