Come il vento spira: Biografia di Giuseppe Buonomo
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Come il vento spira - Maria Stamegna
Come il vento spira. Biografia di Giuseppe Buonomo
di Maria Stamegna
Direttore di Redazione: Jason R. Forbus
ISBN 9788833469775
Pubblicato da Ali Ribelli Edizioni, Gaeta 2022©
Saggistica – Memorie
www.aliribelli.com – redazione@aliribelli.com
È severamente vietato riprodurre, in parte o nella sua interezza, il testo riportato in questo libro senza l’espressa autorizzazione dell’Editore.
Maria Stamegna
COME IL VENTO SPIRA
Biografia di Giuseppe Buonomo
AliRibelli
Prefazione
In questo lavoro scritto con il proposito di conciliare le esigenze di uno studio scientificamente valido con quelle di una lettura facile e divulgativa è stato necessario operare precise scelte e circoscrivere il campo di ricerca entro limiti ben precisi; difatti l’Autrice traccia la storia di un Gaetano divenuto celebre per il suo ingegno. Una storia ricca di sfumature, di interpretazioni, di accenti che fanno di una monografia, leggera e ben documentata, l’opera che ancora mancava sul poliedrico personaggio vissuto nell’800.
Maria Stamegna, già curatrice di altri pregevoli studi su Giuseppe Natale Buonomo (Gaeta, 1825 – Roma, 1890), arricchisce con la presente opera i precedenti lavori sul celebre medico, docente universitario e deputato del Parlamento italiano, ponendo all’attenzione di noi tutti le sue virtù umane, politiche e professionali, sottolineando le molteplici implicazioni umanistiche e filosofiche, che per certi aspetti sia pure marginali coincidono con la sua stessa vita; una storia esemplare che fa di un figlio di umili pescatori del Borgo, un eccellente personaggio pubblico tanto da meritare il consenso unanime della città di Gaeta per l’incessante abnegazione profusa nel colera del 1884 e per il patrocinio della ferrovia Sparanise-Gaeta.
Comprendere d’altra parte un’analisi completa e integrale della sua figura è compito arduo: Stamegna, sia pure con sintesi narrativa e limpidezza lessicale, ne delinea ogni aspetto compulsando le fonti archivistiche e indagando sull’influenza esercitata del Nostro nell’ambiente culturale napoletano pre e post unitario.
Buonomo da studente (1857) scrisse un trattato sulle teorie positiviste nei Ragionamenti intorno alla questione della vita, ispirandosi alle più avanzate teorie fisiche e chimiche del tempo.
Più tardi, ma solo dopo la caduta del Regno delle Due Sicilie (1861), poté assumere l’incarico di fisiologia presso la Regia Università di Napoli, perché ritenuto in precedenza soggetto pericoloso ed eversivo dalla polizia borbonica.
Si dedicò (a Napoli) da giovane all’insegnamento di Nautica e Matematica per mantenersi negli studi; ivi frequentò un gruppo di studenti liberali al Caffè di Port’Alba dove reiteratamente dovette mettersi in salvo dalle frequenti retate della polizia borbonica.
È auspicabile che il Lettore si renda partecipe dell’indagine conoscitiva qui presentata e si renda conto della complessità delle ricerche effettuate dall’Autrice soprattutto delle difficoltà incontrate nel reperire frammenti di vita privata; e di quanti siano i punti ancora oscuri, pieni di mistero. Mistero che malgrado studi, ricerche, indagini di ogni genere, è probabilmente destinato a rimanere tale in buona parte: un mistero pieno di suggestioni, di attrazioni e di fascino, capace in ogni caso, di spiegare la complessa figura di Giuseppe Natale Buonomo, autentica gloria della nostra città.
All’Autrice vadano i nostri voti augurali per un meritato successo e il plauso per il proficuo lavoro storiografico che da anni va conducendo.
Prof. Erasmo Vaudo,
Presidente del centro Storico Culturale «Gaeta».
Sommario
Capitolo 1
1.1 Gaeta
1.2 La Famiglia Buonomo
1.3 Infanzia e primi Studi
1.4 Giovinezza
Capitolo 2
2.1 Consigliere Provinciale di Terra di Lavoro
2.2 Commissione Medica di Vigilanza
2.3 Assessore all’igiene del Comune di Napoli
2.4 Colera a Napoli nel 1884
Capitolo 3
3.1 L’alienista
3.2 Direttore del Manicomio di Napoli
3.3 I Processi di Giovanni Passannante ed Emilio Caporal
Capitolo 4
4.1 Gli esordi politici
4.2 L’impegno Parlamentare
4.3 Sulla Ferrovia Roma Napoli
4.4 Sulla Pubblica Istruzione
Conclusioni
"Badate che la vera obbedienza
non sta nell’obbedienza cieca,
ma nell’obbedienza illuminata della legge"
G. Buonomo
Capitolo 1
1.1 Gaeta
L’anno 1890, addì 08 del mese di Luglio in Roma, nella casa posta in via Nazionale n. 124, alle ore 9,45 è morto Giuseppe Buonomo, di anni 65. Medico, Deputato al Parlamento, residente a Gaeta, nato a Gaeta e che era figlio di fu Pietro Paolo […], e che era celibe.¹
Con queste parole redatte sull’Atto di Morte si pose fine alla vita di uno degli uomini più insigni del panorama politico e medico dell’Italia postunitaria: «morto apoplettico, come muoiono i forti», come ebbe a dire l’onorevole Baccelli, quando lo stesso giorno fu tenuta in Parlamento una seduta commemorativa del deputato.
Come era attestato nell’Atto di Morte, Giuseppe Natale Buonomo «era residente a Gaeta, nato a Gaeta […]» e fu per la propria città natale e per il benessere dei suoi abitanti che egli si impegnò durante tutta la carriera politica.
Quindi è da qui che partirò nel mio viaggio alla conoscenza di chi fu definito dal Presidente del Consiglio Francesco Crispi: patriota, soldato della scienza, soldato della patria…²
Esordiamo col dire che Gaeta per tutto il periodo pre e post Risorgimentale si trovava in quella che era definita Terra di Lavoro.
Infatti, per designare la terra degli antichi campani, si diffuse fin dal Medioevo il termine di Terra di Lavoro o Liburia, nomi che traevano origine dai leborini: antica popolazione che abitava la zona.³
Le sue radici storiche sono riconducibili alla contea longobarda di Capua, ma è nel sec. XII che la Terra di Lavoro assunse la sua massima estensione in seguito alle conquiste normanne.
Nella divisione amministrativa del territorio sottoposto alla giurisdizione di Ruggero II l’antica Campania venne suddivisa infatti nel 1139 in tre giustizierati: Terra di Lavoro, Principato e Napoli. Il criterio adottato da Ruggero fu mantenuto dagli Svevi e dagli Angioini, sino a quando Carlo II nel 1297 non ripartì il giustizierato di Principato nei due di Principato Citra e Ultra.
Con la legge 132 dell’8 agosto 1806, Giuseppe Bonaparte aveva riformato la ripartizione territoriale del Regno di Napoli sulla base del modello francese e aveva soppresso il regime feudale.
Negli anni successivi, una serie di regi decreti aveva completato il percorso d’istituzione delle province, la definizione dei limiti territoriali e le denominazioni di distretti e di circondari in cui veniva suddivisa ciascuna provincia.
Giuseppe Bonaparte aveva dunque istituito la provincia di Napoli e aveva diviso Terra di Lavoro in tre distretti: S. Maria, Gaeta e Sora.
Nel 1811 il cognato Gioacchino Murat, invece, aveva ridefinito il confine tra Terra di Lavoro e la provincia di Napoli, assegnando a quest’ultima una decina di comuni e compensando Terra di Lavoro con tre comuni del Beneventano.⁴
Sulla base della normativa varata nel 1806-1807,⁵ il distretto di Gaeta comprendeva 8 governi, ovvero Gaeta, Fondi, Traetto, Sessa, Fratte, Roccamonfina, Carinola e Teano.
Figura 1 – Distretti e circondari nella carta di Bartoli, elaborata nel 1817 su disposizione del Ministro degli Affari Interni. Provincia di Terra di Lavoro. Anno 1816 (380 x 420 mm). Gennaro Galiani scr., Gennaro Bartoli inc. Scala 1:420.000. Proiezione di Cassini. Rilievo enucleato dalla riduzione in sei fogli di Rizzi Zannoni. Atlante delle quindici Provincie al di qua del Faro del Regno delle Due Sicilie a norma della Legge del 1° maggio 1816 incise d’ordine di S. E. il Segretario di Stato Ministro degli Affari Interni, Napoli, s.e., 1816-1817.
Gaeta era esposta a nord est e chiunque la guardasse da questo punto poteva vedere il suo fabbricato addossato a due colline che formavano una penisola bagnata dal Tirreno e legata al continente dall’Istmo di Montesecco, il quale separava la Fortezza dal Borgo.⁶
Il Borgo altri non era se non un agglomerato di abitazioni, cresciuto in maniera disorganica intorno ad una grossolana fortificazione di origini romane, chiamata enfaticamente Castello. Al contrario, la Piazzaforte di Gaeta era una città divisa in due rioni, difesa da una cinta muraria medievale e dominata da un castello costituito da due distinte strutture, uno di origini angioine e l’altro di origini aragonesi, posto alle pendici del promontorio della collina di Monte Orlando.
In realtà, la configurazione della costa si mantenne simile ad un’informa spiaggia aperta al mare sino al 1852, quando Ferdinando II dispose l’abbassamento dell’altura di Montesecco e la costruzione di una strada esterna presso il Borgo, denominata nel 1872 Corso Attico.
Per permettere la costruzione del Corso vennero confitte palizzate lungo la spiaggia che costeggiava il fabbricato e all’interno di esse vennero eseguiti lavori di riempimento e di massicciata, per formare la carreggiata stradale. Su entrambi i lati fu poi costruito un marciapiede munito di parapetto. A salvaguardia della strada fu realizzata una scogliera con i massi provenienti dalla spianatura di Montesecco.⁷
Negli stessi anni all’interno della Fortezza furono realizzate Via Begani, Via Duomo e Via Guastaferri, mentre venivano erette e consacrate al culto le chiese di Sant’Angelo in Planciano, Santa Caterina ed il Tempio di San Francesco. Infine furono rafforzati bastioni, le batterie, le caserme e i magazzini, che costituivano le strutture essenziali della Piazzaforte.⁸
Da quanto si legge sul primo volume Notabilato e rappresentanza politica in Campania circondario di Gaeta (1861-1882), di Dott. E. Battista, il territorio comprendente il Golfo di Gaeta era suddiviso in cinque zone.
La prima zona includeva il territorio di Fondi, Itri, Lenola e Pico, e aveva «la estensione approssimativa di ettari 40218», era fertilissima «rispetto quasi ad ogni coltura»: nelle zone più montuose predominavano i boschi di querce, rovere, faggio ed acero; sulle zone più collinari prevaleva la coltura dell’ulivo e della vite. La seconda zona, assai più piccola della precedente, con un’estensione di 9394 ettari, comprendeva «in buona parte colture basse, ricche coltivazioni di vigne, di ulivi, di carrube, di aranci e di altre piante fruttifere». La terza zona estesa su 31197 ettari tra i comuni di Esperia, Marano e Minturno, bagnata dal Liri e dal Garigliano, vedeva una prevalenza di coltura dell’ulivo e di grano e granoturco. Nella quarta zona racchiudente i comuni di Roccamonfina, Conca della Campania, Marzano Appio, S. Apollinare, S. Andrea, Valle Fredda ed altri minori (per una estensione di 27519 ettari), «il castagno» attecchiva «meravigliosamente». Le culture predominanti della quinta zona del circondario di Gaeta che aveva «una estensione di ettari 54632» e annoverava tra i comuni principali Sessa Aurunca, Carinola, Francolise e Mondragone, erano quelle dei cereali e delle leguminose. Vi sovrabbondava anche il pascolo, principalmente quello del bufalo.⁹
Non tutti i contadini possedevano appezzamenti di proprietà, ma la forma d’affitto più comune era la colonia parziaria, della durata variabile a seconda delle colture: 4 anni per gli orti e i vigneti, da 6 a 8 anni per gli oliveti e 3 anni per i pascoli naturali. Per ciò che riguarda i vigneti c’era l’obbligo di cedere al proprietario del terreno metà del vino e dell’uva prodotti nei fondi. I lavori da campi erano pertanto in massima parte eseguiti dalle famiglie coloniche e la paga della giornata di lavoro variava: per gli uomini da 0,50 lire a 0,80 lire, per le donne da mezza lira a 0,60 lire.¹⁰ Il salario aumentava per i lavori speciali; in questo caso la media era così stabilita:¹¹
Le imposte che gravavano sulla proprietà fondiaria nel circondario di Gaeta per le cinque zone in cui esso era diviso avevano le proporzioni seguenti:
Anche la pesca e l’attività cantieristica erano alla base dell’economia del Borgo, d’altro canto nel Medioevo Gaeta era stata definita la Venezia del Tirreno.¹²
La pesca pelagica si svolgeva con due barche a vela latina, chiamate tartane, antesignane dell’odierna pesca a strascico, oppure con la menaide, diffusa per la pesca del pesce azzurro.
Per quanto riguarda l’attività cantieristica nel Borgo di Gaeta si erano affermate redditizi cantieri navali, tenuti in considerazione per l’intenso lavoro svolto, e grazie ai quali prosperavano carpentieri, falegnami, fabbri ed altre maestranze.
Inoltre data la rilevanza nevralgica del Porto di Gaeta già Ferdinando I, con l’ordinanza del 1 Ottobre 1818, aveva classificato il Porto di Gaeta di II classe. Esso era diretto da ufficiali subalterni aggregati del Corpo di Guerra della Real Marina, come si evince dal Ruolo de’ Generali ed Uffiziali attivi e sedentanei del Reale Esercito e dell’Armata di Mare di Sua Maestà il Re del Regno delle Due Sicilie (Napoli, 1853).
Nella Sessione Straordinaria del Consiglio Provinciale del 16 Aprile 1868 il tronco di strada che dalla provinciale di Roma, presso Formia, conduceva a Gaeta fu proclamata strada provinciale, poiché conduceva proprio ad un porto di primaria importanza.
La viabilità interna invece era ridotta a mulattiere o a strade di origine romana, come la via Flacca, che univa Gaeta a Terracina, e la Via Appia, che faceva da confine tra Mola e Gaeta.
Spesso le mulattiere seguivano i letti dei torrenti e quindi erano impraticabili in caso di pioggia, per questo nel 1848 Re Ferdinando II aveva ordinato al Generale del genio Militare Fonsega gli studi per la costruzione di una ferrovia Capua Gaeta. Tuttavia presagendo la nascita di una federazione italiana alla fine il sovrano aveva cambiato idea e aveva preferito costruire una strada ferrata che unisse Cancello a Nola. Dunque, Gaeta era rimasta priva di un collegamento con l’esterno che non fosse la via del mare, almeno fino al 1892.
Ad ovviare a questo problema esisteva la barca da ricevere che, armata di otto rematori, raccoglieva persone e merci e li trasportava verso Napoli, Sparanise e le Isole Ponziane.
L’interno della Fortezza rappresentava la sede amministrativa e giuridica di Gaeta.
L’Amministrazione civile era affidata ad un Sindaco e trenta Decurioni, eletti dal Re.¹³
Solo dopo il 1865 l’amministrazione fu affidata ad un Sindaco, di durata triennale nominato dal Re, quattro Assessori di durata biennale nominati dal Consiglio Comunale, e ad un Consiglio di trenta membri nominati dal Consiglio Elettorale. Inoltre, l’amministrazione civile passò sotto le dipendenze di un Prefetto della Provincia e della Deputazione Provinciale.¹⁴
In tale contesto tra gli angiporti e i declivi a gradoni, che costituivano il merlo della strada principale del Borgo di Gaeta, visse la famiglia Buonomo.
1.2 La Famiglia Buonomo
Della famiglia notizie certe si hanno a partire dal XVIII secolo, quando uno sconosciuto Vincenzo Buonomo divenne capobarca di una tartana e la adibì in inverno a barca da pesca e in estate a barca da ricevere.
Uno dei suoi figli, Giovanni Battista Francesco Saverio, dopo essere diventato sacerdote della Cittadella ed insegnante presso il Seminario Vescovile fu nominato Canonico Primicerio della Cattedrale di Gaeta.
Dopo l’assedio e la successiva capitolazione di Gaeta del 1806, il Vescovo di Gaeta Michele Sanseverino,fuggì per motivi politici a Palermo, dove si era già rifugiata la famiglia reale nel 1799 e fu sostituito dal Vicario Capitolare Don Giuseppe Iannitti.
In quello stesso periodo Francesco divenne confessore del Ministro delle Finanze del Regno di Napoli rinchiuso nelle carceri del Castello da Gioacchino Murat.
Nel 1815, durante la Restaurazione, il Vescovo Sansevero morì ed il Vicario Apostolico si dimise dal proprio incarico.
Per evitare che il seggio vescovile rimanesse vacante il Capitolo elesse Francesco Vicario Capitolare e dopo appena tre anni, Papa Pio VII lo nominò Vescovo della Diocesi di Gaeta.
Sotto il suo Episcopato, nel 1818, avvenne la soppressione della Diocesi di Fondi che fu annessa a quella di Gaeta.¹⁵
Il Prof. Bruto Amante nella sua storia di Fondi riportando un brano di un articolo scritto da suo padre, Enrico Amante, scrive in merito: «Quel Medici chiuso nel Castello di Gaeta veniva assistito dal prete Francesco Buonomo; per lo che questi, alla restaurazione, era fatto Vescovo di Gaeta, ed otteneva dal Medici la soppressione del Vescovato di Fondi, a pro di Gaeta».¹⁶
Secondo Amante quindi la soppressione del Vescovato di Fondi e la sua incorporazione a quello di Gaeta era dovuta ad intrighi del Vescovo Buonomo presso Luigi Medici, Ministro delle Finanze di Ferdinando IV.
Tale asserzione non tiene però conto dei principi che regolarono il Concordato del 1818 riguardo alla riduzione delle diocesi. Secondo questi principi dovevano rimanere le sedi di nomina regia, concessa da Clemente VII a Carlo V, col Concordato del 29 Luglio 1429, e quindi doveva essere esente dalla soppressione Gaeta, che era tra i 24 Vescovadi, di Regia Nomina del Napoletano. Per tale motivo risulta naturale che dovendosi cancellare le Sedi di minore estensione, Fondi, che si trovava tra Gaeta e Terracina, dovesse essere abolita, come lo furono tante altre Diocesi che versavano in simili condizioni.
Monsignor Buonomo lasciò ai suoi successori il palazzo Vescovile e con un cavalcavia lo congiunse alla Cattedrale. Questo fabbricato dapprima era un collegio militare di proprietà dei Padri Scolopi, soppresso nel 1806 poi venne adibito a Sotto intendenza e successivamente fu donato al Vescovo come Palazzo Episcopale.
Il vescovo Francesco Buonomo morì nel 1827.¹⁷
Nel periodo del «Decennio Francese» durante il Regno di Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone, sul trono napoletano dal 1806 al 1808, l’altro figlio di Vincenzo Buonomo, Salvatore, divenne proprietario terriero grazie alle cosiddette Leggi Eversive della Feudalità (1807), in particolare all’articolo 15 della legge del 2 agosto 1806 con cui i Comuni si trovarono attribuita una gran quantità di terre che andavano divise fra i cittadini.
I sistemi utilizzati per la ridistribuzione di queste terre, previsti direttamente dalla legge, erano di due tipi: la quotizzazione per teste e la quotizzazione per domanda ed offerta.
La prima, quella per teste, fu prevista dall’articolo 24 del Regio Decreto del 3 dicembre 1808, e consisteva, dopo la nomina di tre periti e la determinazione del numero dei partecipanti, all’individuazione dei demani divisibili, distinguendoli in tre classi diverse in base alla qualità della terra e alla determinazione del prezzo. Dopo il vaglio del Consiglio Comunale, l’Agente Ripartitore trasmetteva tutti gli atti al Regio Commissario Ripartitore il quale provvedeva al sorteggio delle quote.
Quando la terra non era sufficiente per permettere una divisione equa fra tutti i cittadini, si faceva ricorso all’altra forma prevista dalla legge, quella per domande ed offerte, che restringeva il numero dei beneficiari preferendo i non possidenti e i piccoli proprietari. Il procedimento era simile a quello visto per la quotizzazione per teste, ma le differenze emergevano, allorché il Commissario Ripartitore formulava un bando invitando i cittadini a presentare le domande per la divisione.
Nel caso il numero dei richiedenti fosse superiore agli appezzamenti si procedeva a ridimensionarli, preferendo i capi famiglia non possidenti, poi i piccoli possidenti, poi i maggiori di anni 17. Simile a questo sistema fu quello adottato per la distribuzione delle terre indivise o di quelle sottratte agli usurpatori: dopo la pubblicazione di un bando, con lo scopo di portare la popolazione a conoscenza della futura asta, aveva luogo la stessa, nella quale si attendevano le offerte che spesso dovevano essere sorrette dalla garanzia di un fideiussore.
Il tempo di attesa era quello della consumazione di una candela vergine.
L’articolo 13 del Decreto Reale del 1808 prevedeva tuttavia la possibilità di vendere le quote, ottenute con la divisione dopo soli 10 anni.¹⁸
Quindi i piccoli appezzamenti di terreno, offerti ai contadini poveri, erano spesso da questi ultimi, dopo 10 anni, messi in vendita, perché privi di risorse necessarie all’acquisto delle sementi o degli strumenti da lavoro.
Ciò permise alle famiglie nobili e borghesi, o comunque a coloro che erano dotati anche di un modesto reddito di acquistare vari lotti di terreno a prezzi molto vantaggiosi e di creare così nel tempo vere e proprie fortune.
In realtà a Gaeta non si costruirono mai veri e propri latifondi in quanto il terreno era troppo frazionato ed anche i poderi a grande coltura avevano un’estensione piuttosto limitata, tuttavia la coltivazione di oliveti, vigneti, frutteti ed orti, con la commercializzazione dei prodotti permise a talune famiglie di prosperare più di altre.
Questo accadde allo stesso Salvatore Buonomo.
Il primogenito dell’uomo, Vincenzo, seguì le orme dello zio paterno e divenne anch’egli Canonico Primicerio della Cattedrale di Gaeta.
Come tale, il 6 marzo 1836, tenne l’orazione