La notte della Strige
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About this ebook
Horror - racconto lungo (49 pagine) - Svegliarsi nel cuore della notte. Il corpo paralizzato, un'ombra nella stanza: inquietante allucinazione o terribile realtà?
Un uomo, vittima di paralisi notturne, riprende conoscenza in un pronto soccorso. Non ricorda nulla di ciò che è successo quella notte. È ossessionato dall’immagine di una donna dagli occhi dorati. Non sa chi sia, né se appartenga alla realtà onirica. È l’inizio di un incubo senza fine…
Giovanni Ascolani è nato a San Benedetto del Tronto, in provincia di Ascoli Piceno, nel 1989. Sin da piccolo si appassiona a libri, film e serie tv di fantascienza, horror e fantasy. Il suo autore preferito è H.P. Lovecraft.
Ha iniziato a scrivere nel 2018. Il suo primo racconto Psicosi è stato selezionato nell’antologia Racconti horror – Volume I della Historica Edizioni.
Nel 2019 i racconti Vudù, La Sindrome di Ekbom e Il Krampus sono stati inseriti rispettivamente nelle antologie Z di Zombie 2019, Halloween all’Italiana 2019 e Un Natale Horror 2019 curate da LetteraturaHorror.it. Nello stesso anno ha pubblicato il racconto Il sabba nella raccolta I racconti della Masca – Volume II della Masca Servizi Editoriali.
Nel 2020 il racconto Il Viaggiatore è stato pubblicato sulla rivista Dimensione Cosmica del Gruppo Editoriale Tabula Fati. Nel 2021 i racconti Incubi e Il culto cananeo sono apparsi rispettivamente sulle riviste Il Grimorio del Fantastico (Numero VII) e Dimensione Cosmica.
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Book preview
La notte della Strige - Giovanni Ascolani
Vi sono ingordi uccelli, non quelli che rubavano il cibo
dalla bocca di Fineo, ma da essi deriva la loro razza:
grossa testa, occhi sbarrati, rostri adatti alla rapina,
penne grigiastre, unghie munite d’uncino;
volano di notte e cercano infanti che non hanno accanto la nutrice,
li rapiscono dalle loro culle e ne straziano i corpi;
si dice che coi rostri strappino le viscere dei lattanti,
e bevano il loro sangue sino a riempirsi il gozzo.
Hanno il nome di Strigi: origine di questo appellativo
È il fatto che di notte sogliono stridere orrendamente.
Sia che nascano dunque uccelli, sia che lo diventino per incantesimo,
e null’altro che siano vecchie tramutate in volatili da una nenia della Marsica,
vennero al letto di Proca: Proca nato da cinque giorni,
sarebbe stato una tenera preda per questi uccelli;
con avide lingue succhiano il petto dell’infante,
ma il povero bambino vagisce e chiede aiuto.
Ovidio, Fasti, libro VI, vv. 131-146
Ed ecco verso noi venir per nave
un vecchio, bianco per antico pelo,
gridando: «Guai a voi, anime prave!
Non isperate mai veder lo cielo:
i’ vegno per menarvi a l’altra riva
ne le tenebre etterne, in caldo e ’n gelo…»
Dante Alighieri, Inferno III, vv. 82-87
Erano sette in una schiera, e tutte
volto di donne avean, pallide e smorte,
per lunga fame attenuate e asciutte,
orribili a veder più che la morte:
L’alaccie grandi avean, deformi e brutte;
le man rapaci, e l’ugne incurve e torte;
Grande e fetido il ventre, e lunga coda,
Come di serpe che s’aggira e snoda…
Ludovico Ariosto, Orlando Furioso, canto XXXIII, ottava 120
Capitolo 1
– Signor Fittipaldi, mi sente?
Ero disorientato e confuso. La testa mi stava scoppiando: una terribile emicrania era sul punto di condurmi alla follia. A stento mantenni gli occhi aperti: la luce mi dava fastidio. Non sapevo dove mi trovassi né chi mi stesse parlando. Non me ne fregava nulla: ero troppo sofferente per dare importanza a ciò che si trovava intorno a me.
– Signor Fittipaldi, mi sente?
Ancora quella voce! Che supplizio! Non avevo alcuna voglia di parlare né tantomeno di ascoltare: ogni parola era come un chiodo infilato nel cranio con un colpo di martello. Mi sentivo stanco e apatico. Desideravo soltanto essere lasciato in pace.
Avevo dolore alla schiena: il letto su cui ero disteso era davvero scomodo. Percepivo uno strano fastidio alla testa; era come se la pelle fosse tirata da qualcosa…
Sfilai la mano da sotto le coperte, la portai pian piano al petto, ma mi arrestai: avevo avvertito qualcosa attaccato al braccio. Aprii gli occhi. Vinsi il fastidio della luce artificiale e scorsi una flebo: ero in ospedale.
– Signor Fittipaldi, non si muova. Le abbiamo messo una flebo.
– Perché sono qui? Cos’è successo? Mi fa male la testa…
Alla fine, i miei occhi riuscirono a mettere a fuoco il volto dell’uomo che si trovava dinanzi a me: era un medico grassoccio e pelato. Occhiali dalle spesse lenti e montatura nera. Aveva una folta barba corvina con qualche pelo bianco sul mento.
– È stato portato qui durante la notte. I suoi vicini l’hanno sentita gridare. Hanno provato a contattarla, ma non hanno ricevuto risposta… Così, hanno chiamato i carabinieri. Sono intervenuti anche i vigili del fuoco: sono entrati nel suo appartamento e l’hanno trovata distesa a terra. Forse, ha battuto la testa contro la parete. L’hanno portata qui privo di sensi. Abbiamo suturato la ferita… Dalla TC risulta una lieve commozione cerebrale: stia tranquillo, nulla di grave! Saprebbe dirmi cosa è successo?
– Non ricordo nulla, sono confuso… Ho male alla testa. Mi sento debole. Faccio fatica anche a sollevare le braccia… Cosa mi succede?
– Dalle prime analisi abbiamo riscontrato una riduzione dell’emoglobina: ha un’anemia di moderata entità. Non è così grave da necessitare una trasfusione, ma dobbiamo capire quali siano le cause di questa condizione. Negli ultimi giorni ha avvertito debolezza, dolori o altri sintomi?
– Dottore, che ore sono?
– Sono quasi le cinque del mattino.
Chiusi le palpebre e non mi curai delle ulteriori domande del medico. La mente non riusciva a prestare la dovuta attenzione a quell’uomo dalla voce così odiosa. Avevo bisogno di estraniarmi dalla realtà circostante e trovare rifugio in me stesso. Avvertivo un’irrazionale e ancestrale paura. Ero in balia del terrore, tormentato dall’ignoto. La memoria non era in grado di aiutarmi a definire la natura di quello stato emotivo. Eppure, continuavo ad interrogarmi…
L’amarezza dell’amnesia travolse l’animo suscitando disagio. Cercai il ricordo più recente, avevo bisogno di un punto di partenza per ricostruire le ultime ore della mia vita. Il dolore alla testa era insopportabile, ma il desiderio di risposte ebbe la meglio sulla sofferenza. Alla fine, scorsi un piccolo bagliore tra l’inquietante oscurità della mente. Un nome emerse dall’oblio: Simone Caputo. Fui scosso da