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Il posto della cenere
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Il posto della cenere

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"Il posto della cenere" è un affascinante viaggio narrativo e iniziatico tra le leggende orali, la religione, la favola, l'alchimia, lo spiritismo, la numerologia, ma soprattutto all'interno della lunga sequela storica di episodi di discriminazione ed esclusione femminile dal sapere. È un inno contro l'interdizione millenaria delle donne dalla conoscenza, un canto di libertà e di consapevolezza. A introdurci al romanzo è la voce in prima persona di una donna, una scrittrice che, messa al corrente, tramite il racconto di un anfitrione a casa di amici, di una leggenda affascinante su un monastero al confine tra Italia e Francia, lungo l'antica Via del Sale, decide di giungere nel luogo del racconto, oramai divenuto residenza di scrittori. Da questo punto si dipana una storia intrigante, intensa, tutta al femminile.
LanguageItaliano
Release dateApr 4, 2022
ISBN9788868511784
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    Il posto della cenere - Beatrice Monroy

    eclypse

    128

    Beatrice Monroy

    IL POSTO

    della CENERE

    arkadia editore

    Il posto della cenere è un affascinante viaggio narrativo e iniziatico tra le leggende orali, la religione, la favola, l’alchimia, lo spiritismo, la numerologia, ma soprattutto all’interno della lunga sequela storica di episodi di discriminazione ed esclusione femminile dal sapere. È un inno contro l’interdizione millenaria delle donne dalla conoscenza, un canto di libertà e di consapevolezza. A introdurci al romanzo è la voce in prima persona di una donna, una scrittrice che, messa al corrente, tramite il racconto di un anfitrione a casa di amici, di una leggenda affascinante su un monastero al confine tra Italia e Francia, lungo l’antica Via del Sale, decide di giungere nel luogo del racconto, oramai divenuto residenza di scrittori. Da questo punto si dipana una storia intrigante, intensa, tutta al femminile.

    BEATRICE MONROY vive a Palermo. Lavora come autrice e narratrice per Rai Radio3 Suite. Storie della meraviglia e dello stupore è l’ultimo ciclo di racconti andato in onda. Ha insegnato Drammaturgia alla Scuola dei mestieri dello Spettacolo del Teatro Biondo di Palermo. Per il Teatro Massimo di Palermo cura la serie di narrazioni Vi racconto l’opera da cui il saggio Custodi del silenzio (Editoria e Spettacolo, 2021). Sempre per il teatro ha scritto Storia di Giulietta, presentato a Tramedautore (2019). È autrice dei romanzi Elegia delle donne morte (Navarra, 2011), Niente ci fu (Edizioni La Meridiana, 2012), Ragazzo di razza incerta (Edizioni La Meridiana, 2013), Oltre il vasto oceano. Memoria parziale di Bambina (Avagliano, 2013), Dido operetta pop (Avagliano, 2015), Via delle case dipinte (Glifo, 2018).

    © 2022 arkadia editore

    Collana Narratori Eclypse 128

    beatrice monroy

    Il posto della cenere

    Foto di copertina: Alice Alinari / Unsplash

    Realizzazione grafica A.DeCicco, Cagliari

    Prima edizione digitale marzo 2022

    isbn 978 88 68511 78 4

    arkadia editore

    09125 Cagliari – Viale Bonaria 98

    tel. 0706848663 – fax 0705436280

    www.arkadiaeditore.it

    info@arkadiaeditore.it

    Il posto della cenere

    Per le donne bruciate sui roghi

    nella muta follia dell’Occidente.

    prima parte

    Apparizioni

    Gli angeli che sono fuori dalla fine del tempo,

    di quando in quando vi immergono un piede.

    Quando avvengono coincidenze, è come se scorgessero un’ombra angelica nel nostro mondo.

    elémire zolla

    Il Monastero, l’arrivo

    Mi accendo una sigaretta.

    Interdizione. Si applica in caso d’incapacità di agire per la cura dei propri interessi a causa d’infermità mentale. La definizione è questa.

    Nella vallata di fronte sembra che non bastasse interdire, dovevano pure bruciarle come esempio così le altre avrebbero imparato a stare al proprio posto. Cosa facevano di male? Cercavano erbe e curavano i propri familiari ma i frati qui dentro non volevano.

    La storia è buona, voglio provare a raccontarla.

    Interdire: statti zitta. Impedito. Inibito. Scomunicato. Perciò chi interdice decide per qualcun altro, l’interdetto, assumendosi il compito di dirigere la vita dell’incapace, del matto, dell’originale.

    Sì, qui sto bene e chi me lo doveva dire, riesco perfino a sfumacchiare di nascosto nella celletta dei frati che mi è stata assegnata. Dovunque ci sono i cartelli: proibito fumare.

    Le celle si aprono su due corridoi dipinti di bianco dalle volte a vela. Nell’aprirsi e chiudersi delle porte, i battenti in legno rimbombano nello spazio avvertendo chi è chiuso in cella d’una presenza nel corridoio. Non c’è mai un vero silenzio, piuttosto c’è un’onda continua di piccoli rumori, echi di parole, di passi.

    Le giornate passano nell’ovatta delle ore. Nel continuo brusio del corridoio comincio a riconoscere le differenze: un ticchettio di passi più o meno pronunciati, quelli un po’ zoppicanti o agitati, quelli strascicati. Adesso riconosco chi è uscito in fretta dalla propria cella in cui si sentiva prigioniero, chi si muove con dolcezza, chi è nervoso e chi ha fretta di rientrare e isolarsi. Alcuni tra gli ospiti del Monastero sostengono di essere preda di coloro che ci hanno preceduti, cioè i frati che furono prigionieri tra queste mura, di queste finestre da cui non si vede che l’alta roccia della vallata. Il Monastero è poggiato su un crinale senza nessuna via d’uscita, nessun orizzonte, il sole sorge e tramonta altrove, arriva qui di già alto nel cielo.

    La vallata delle streghe è di fronte a noi e si vede benissimo, mi sembra di poterla toccare.

    Sono rimasta incastrata in questa storia in una serata mondana, una delle tante a cui si va per abitudine.

    Accanto a me sul divano si era accomodato un tipo dall’aria sportiva, abbronzato fuori stagione. Mi annoiavo, invece lui non si annoiava affatto perché tutti gli stavano attorno con evidente ammirazione perciò aveva cominciato a raccontare, a farsi vanto delle proprie avventure in montagna.

    Tra un bicchiere e l’altro non ho potuto fare altro che ascoltare il suo fantasioso racconto.

    Una storia

    Vi voglio raccontare una storia che, a mia volta, mi è stata narrata in un luogo di sosta mentre giravo su quelle Alpi che intrecciano il confine tra Francia e Italia.

    Ascoltate e vi divertirete.

    Nei secoli passati, dal Monastero in cui sono avvenuti i fatti di cui mi accingo a narrare, era possibile tenere sotto osservazione le file interminabili di muli, perfino quarantamila l’anno, che percorrevano la Via del Sale che collegava la costa ligure, e la confinante Costa Azzurra, con Torino, attraversando il fiume Roja e il Col di Tende.

    Le Vie del Sale erano delle mulattiere che si inerpicavano tra monti e vallate in passaggi difficili, ripide salite, pericolosi attraversamenti di orridi e di fiumi in piena e in cui i mercanti, con i loro muli, trasportavano ogni genere di conforto, le ultime novità, le notizie, le necessità e soprattutto l’alimento indispensabile, il sale.

    Di sale, infatti, il nostro corpo ha un continuo bisogno per mantenersi in vita, per curare le ferite, per prendere energia. I nostri cibi si conservano nei barili con il sale: aringhe, sarde, alici, tonno, prosciutti, salumi e così via. Si usa metterne un pizzico nelle fessure delle terrazze, davanti al portone di casa per non fare crescere le erbacce e per impedire ai demoni molesti di infilarsi negli interstizi. Pensate, ai tempi dell’Impero romano, in Africa, uno schiavo veniva scambiato con un blocco di sale grande quanto il suo piede e i legionari romani, insieme alla retribuzione, ricevevano una manciata di sale da cui la parola salario.

    Vi racconterò una storia straordinariamente salata! Ascoltate.

    Alcuni secoli fa, durante un’epidemia di peste, in un povero paese rintanato tra le alte montagne di cui vi ho detto, luogo di sosta per i mulattieri della Via del Sale, giunsero sul dorso di muli dei frati medici chiamati per cercare di arginare la malattia con le erbe di cui erano fini conoscitori. Quando infine il morbo fu debellato, i frati chiesero come ricompensa, per le vite che avevano salvato, di avere assegnato un pezzo di terra dove costruire un Monastero. Indicarono un luogo un po’ appartato, raggiungibile solo attraverso un viottolo che s’inerpicava, s’inerpica, nel bosco e dove si trovava già una piccola chiesa. Qui si installarono dominando la vita dell’intera regione, controllando affinché le arti mediche e anche quelle dette magiche fossero esercitate solo da loro. Tutti quelli, fuori dal Monastero, che provavano a raccogliere erbe, a preparare linimenti seguendo il corso della natura furono interdetti dall’arte medica e spesso vennero sottoposti a processi per stregoneria. I frati regolarono cosa si dovesse fare, pensare e pregare, e cosa no. Furono inflessibili e crudeli tanto erano certi della loro verità. Insomma, furono rispettati e temuti ma ben poco amati.

    Bastava ai frati affacciarsi a una delle belle finestrelle del refettorio che davano verso la vallata, per osservare il movimento continuo dei muli su e giù per la Via del Sale. Da lì, tra il tanfo di escrementi di animali, di sporcizia, di gente ammassata, si levava il rumore prodotto dal traffico di merci, di uomini e dagli zoccoli che sbattevano sulle pietre dei sentieri. I frati seguivano quel movimento con grande curiosità perché, quando si muovono merci e persone, si muovono anche una nuova cultura, nuovi pensieri e imprevedibili progressi delle scienze.

    Il Monastero divenne presto un luogo di sosta privilegiato. Alcune celle al pianterreno furono adibite a foresteria per ospiti scelti con cura, liberi pensatori, scienziati con cui poi la sera, nella sala comune, davanti al camino, scambiare informazioni spesso in forma di sussurro, orecchio contro orecchio, perché non erano tempi quelli in cui gridare ai quattro venti i progressi della scienza. L’intelligenza era considerata, ed è, opera del diavolo. Bisognava stare cauti, dire e non dire, non esporsi. I frati ascoltavano curiosi ma anche con la severità e le interdizioni dei sostenitori del dogma, controllori della verità e della legge divina o meglio di quello che veniva scambiato, ancora lo è, per legge divina mentre spesso era, e lo è, nient’altro che sopraffazione da parte di un gruppo di prepotenti.

    Ma ancora debbo narrarvi come all’inizio di questa storia, proprio quando i frati costruivano il loro Monastero, in una vallata di fronte ebbero luogo degli avvenimenti che lasciarono profonde ferite ricolme di sale, molti segreti e troppi silenzi.

    I fatti furono questi.

    Dopo un anno di siccità che non aveva permesso al grano di germogliare, ci fu una terribile carestia. I signorotti del luogo ammassarono e nascosero, per loro tornaconto, il poco grano ricavato e ogni sorta di cibo, lasciando i contadini senza niente. Le donne dei villaggi colpiti, dove la gente adesso moriva di fame, disperate per tanto soffrire, cominciarono a raccogliere un’erba, l’artemisia che già avevano usato per placare i dolori di devastanti malattie.

    L’Artemisia absinthium è una deliziosa pianta spontanea in tutta la larga fascia del Mediterraneo, sia vicino al mare sia in collina e anche sulle Alpi Marittime. Ha un aspetto invitante con le sue foglie grigie argentate, è detta figlia della luna, per via dei suoi effetti ed è considerata dagli alchimisti come appartenente al pianeta Marte, in quanto pianta combattente, stimolante, tonificante, capace di contrastare il deperimento d’un corpo sofferente per malattia o per mancanza di cibo. Anche a me è capitato di raccoglierla in momenti di grande fatica e farne una tisana che, vi assicuro, funziona benissimo.

    Su quei monti, in quelle vallate, la pianta era ben conosciuta, era lì per tutti, offerta dalla natura benigna, non poteva fare male se presa nelle giuste proporzioni e poteva rivelarsi un amuleto benefico posta in un piccolo sacchetto sotto il cuscino o appesa con un ciondolo al collo, mentre prenderne un po’ troppo poteva alterare la coscienza, incantare i pendoli delle divinazioni, fare volare nei sabba notturni. Dunque le donne non ci trovavano niente di male ad approfittare di quanto la natura offriva loro e la raccolsero, la seccarono per ricavarne infusi che potessero aiutare se stesse, figli e mariti a superare la fame che li attanagliava privandoli di forze e di voglia di vivere. Magari esagerarono, magari qualcuno bevve un po’ troppo l’infuso amarissimo e divenne allegroccio e disse di vedere cose e cose. Ci fu un turbamento generale e si parlò di streghe. Le donne vennero indicate, rinchiuse e fu interdetta la loro sapienza.

    Allora arrivarono i frati. Ci furono un lungo processo, condanne, roghi.

    Poi, nel silenzio che segue le tragedie, le donne tornarono nelle campagne a raccogliere le erbe al buio della luna nera, senza farsi vedere mentre i frati, nel Monastero appena costruito, impiantarono il loro orto di erbe medicinali dove l’artemisia faceva la parte della regina tra la salvia, il mirto, il timo, la melissa, la ruta e così via. Seccavano le erbe, preparavano infusi: solo loro avevano il diritto di praticare l’erboristeria.

    Ma ogni storia contiene un ciclo e alla fine di ogni ciclo avviene una mutazione.

    Passarono decenni di soprusi, di proibizioni e di roghi, poi un giorno nuovi individui presero il potere e sconvolsero il modo di fare e i credi che erano sembrati inamovibili come le montagne. Tutto andò a carte quarantotto e i frati vennero cacciati dal Monastero. Nessuno li voleva più, tutti ora sapevano e avevano da dire. Non c’era più spazio per loro, la loro presenza non era gradita e così fecero fagotto e sparirono nel nulla.

    Il Monastero fu abbandonato. L’orto delle erbe aromatiche s’inselvatichì, non suscitava nessun interesse, la medicina aveva preso la strada della chimica e del combattimento corpo a corpo contro la malattia. La biblioteca dei frati fu bruciata e le celle vennero saccheggiate. Non rimase più nulla se non le nude pareti e le ombre dei frati che lì avevano vissuto. Il sentiero per raggiungere il Monastero si riempì di sterpi e di serpenti, nessuno ci si volle più arrampicare. Il ricordo amaro, tramandato di padre in figlio di quei frati che imponevano e controllavano ogni cosa, fu oscurato.

    Ma ancora ci fu un mutamento di cui io però so poco. So solamente che negli anni a seguire un gruppo di donne lo abitò. Il Monastero venne restaurato, l’orto ripreso. Sarebbe bello sapere il motivo per cui quelle donne scelsero di vivere lì e se ebbero mai contatti con le eredi della vallata di fronte. Delle streghe intendo, le bruciate vive, quelle sapienti che vissero nell’ombra e di cui ancora nessuno ha il coraggio di parlare.

    Sale

    E qui il racconto del nostro anfitrione ebbe termine. Era tardi. Ci salutammo alla porta della nostra ospite e tutti tornammo a casa propria.

    Così per me è cominciato l’incanto e tutto il resto.

    Quella storia delle donne bruciate vive non smetteva di ossessionarmi, finalmente avevo una buona storia, dovevo provare

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