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Mosca in bocca
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Ebook300 pages3 hours

Mosca in bocca

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About this ebook

Il protagonista di "Mosca in bocca" è un saccente alcolizzato di nome Kuntz. A conti fatti, dice lui, c’è chi vende l’anima al diavolo e chi si accontenta di buttarla nel cesso ogni volta che si prende una sbronza.Kuntz ha un’ex moglie (Eva) e uno stralunato agente di nome Bishop che gli ronza intorno. Compare poi Velma (non una gran bellezza) che dice di essersi innamorata di un libro che Kuntz ha scritto alcuni anni prima. Le cose però si complicano quando Tony, l’ex suocero del nostro scrittore alcolizzato, muore in circostanze misteriose.Torniamo ora alla domanda iniziale e al bivio di partenza: meglio la fama letteraria o l’eterno oblio artistico?
LanguageItaliano
Release dateApr 7, 2022
ISBN9788868104757
Mosca in bocca

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    Mosca in bocca - Andrea Mariani

    cover.jpg

    Andrea Mariani

    MOSCA IN BOCCA

    Prima Edizione Ebook 2022 © Damster Edizioni, Modena

    ISBN: 9788868104757

    Immagine di copertina su licenza

    Adobestock.com

    Damster Edizioni è un marchio editoriale

    Edizioni del Loggione S.r.l.

    Via Paolo Ferrari 51/c - 41121 Modena

    http://www.damster.it e-mail: damster@damster.it

    img1.png

    Andrea Mariani

    MOSCA IN BOCCA

    Romanzo

    Indice

    LO SCRITTORE

    1

    2

    3

    4

    5

    6

    7

    8

    9

    10

    11

    12

    13

    14

    15

    16

    17

    18

    19

    20

    21

    22

    23

    24

    25

    26

    INTERMEZZO LA VOCE DEI LETTORI

    REALITY SHOW

    27

    28

    29

    30

    31

    32

    33

    34

    35

    36

    37

    38

    INTERMEZZO IL TRIBUNALE DEL POPOLO

    IL DELITTO  È SERVITO

    39

    40

    41

    42

    43

    44

    EPILOGO

    L’AUTORE

    A Katia, Massimo, Marcello e Simone

    e a Scriptor naturalmente

    I’m a winner, I’m a sinner

    Do you want my autograph?

    (Breakfast in America – Supertramp)

    Signori il delitto è servito… ehm, il romanzo è servito…

    il cadavere arriva dopo… dopo arriva…

    che quello è ancora caldo…

    ed è meglio servirlo freddo.

    LO SCRITTORE

    1

    TUM… TUM

    Mi piego in avanti, riavvolgo il nastro e butto fuori tutto il whisky che ho ingollato nelle ultime due ore.

    La cosa peggiore di quando tiri su l’anima è quella di non riuscire a rimetterla a posto. A conti fatti, c’è chi vende l’anima al diavolo e chi, come nel mio caso, si accontenta di buttarla nel cesso.

    Tiro l’acqua, storco la testa e zavorro i polmoni col poco ossigeno che mi circonda e che non allontana di una virgola la nebbia che m’imbratta gli occhi.

    TUM… TUM

    Ho una gran voglia di tirare il collo allo spurgo che continua a battere sulla porta della latrina in cui mi sono rinchiuso, ma non ho la forza di muovere un dito.

    Strizzo gli occhi e leggo le scritte che sfregiano le piastrelle. Vorrei leccare quelle lettere e sputare frasi d’autore sulle pagine del mio taccuino. La scrittura è l’unico appiglio che mi tiene a galla quando sto per affondare. Il problema è che non sempre sono in grado di scrivere e il più delle volte mi abbandono all’alcol fino a toccare il fondo.

    TUM… TUM

    — Gesù Santo, non vedi che è occupato! — sbotto e la mia voce mi rimbomba nella scatola che ho al posto del cranio.

    — Datti una mossa, capo!

    Mi guardo la punta delle scarpe schizzate di vomito.

    — Non posso uscire.

    — Dai, apri la porta e fatti dare il cambio. Ho due litri di birra in circolo e devo svuotare la vescica.

    — Non capisci… sono uno scrittore e sono in piena fase creativa.

    — Merda! Almeno sei uno famoso?

    Tiro su col naso. Ecco la voce del popolo in cerca di celebrità.

    — Non sono quel genere di persona… sono disoccupato e frequento brutta gente.

    — Allora spiegami come fai a scrivere chiuso in un cesso puzzolente come questo.

    — È molto importante non farlo né per i soldi né per l’immortalità. E se non succede niente, aspetti ancora un po’.

    La risata del tizio è come un pugno che mi tappa la bocca dello stomaco.

    — Ammettilo, sei uno sfigato del cazzo che tira in lungo solo per darmi il tormento.

    Per tutta risposta, tiro per la seconda volta la cordicella dello sciacquone e continuo a meditare davanti a uno scranno lurido e malsano. Poi, prendo il taccuino dalla tasca posteriore dei pantaloni e concludo un racconto grottesco iniziato qualche giorno prima.

    SNIFFERÒ SULLE VOSTRE TOMBE

    Loomis si scolla la canottiera dal petto e sistema la padella piena d’olio sul fornello. Accende la fiammella del gas con lo Zippo e si volta a guardare l’uomo alle sue spalle.

    — Di’, conosci la storia del signor Barraco?

    — Mi venisse un colpo se so di che cianci.

    Loomis schiude le labbra e mostra una fila di denti gialli di nicotina.

    — Allora incolla quel tuo culone flaccido alla poltrona e fammi raccontare.

    — Lo faccio, lo faccio, ma prima lasciami sniffare questa polvere.

    — Che roba è?

    — Sono le ceneri di un povero cristo morto d’infarto; quando ha tirato le zampe, aveva così tanta droga in corpo che lo sballo è assicurato.

    Loomis aggrotta la fronte, si pulisce le mani in uno strofinaccio lercio e lascia al trippone il tempo di farsi i comodi suoi. Intanto, riempie la padella di fette di melanzana e aspetta che l’olio cominci a sfrigolare. Poi, torna a dare aria alle parole.

    — Ascolta: l’altro giorno, questo tizio si sveglia di buon mattino, apre gli occhi e non vede più un cazzo di niente, buio completo. Buon Dio, la cosa non torna visto che fino alla sera prima aveva una vista d’aquila. A ogni modo, chiede aiuto al vicino e finisce al Pronto Soccorso. Il dottorino di turno lo visita dalla testa ai piedi, ma non trova nessuna causa per quell’improvvisa cecità, e così lo rimanda a casa. Disperato, il signor Barraco raggiunge a tentoni l’unico bar che c’è in paese e si abbandona a un pianto disperato. Un messo comunale, capitato lì per caso, gli si avvicina e gli chiede se non si sia dimenticato di pagare la bolletta della luce. Al signor Barraco viene quasi da ridere. Poi, però, si ricorda dell’ordinanza del Sindaco entrata in vigore il giorno prima e allora si fa accompagnare all’Ufficio Pagamenti, salda il debito e torna a vedere.

    Loomis scuote la testa e sghignazza di gusto.

    — Cose da non credere! Ma tu pensa che cazzo si sono inventati in quel posto per obbligarti a pagare le tasse.

    Neanche il tempo di sputar fuori l’ultima sillaba che attacca a tossire fin quasi a scoppiare.

    L’uomo in poltrona si mette comodo e lo fissa con un ghigno sadico attaccato alla bocca.

    — Scommetto che non hai pagato la nuova tassa sull’ossigeno — sentenzia mentre si massaggia il ventre che gli spinge in fuori i bottoni della camicia. E subito aggiunge: — Cazzo, sarà un vero spasso vederti schiattare. E garantito al limone che snifferò tutte le tue ceneri.

    TUM… TUM

    — Vedo che sei un tipo che non molla.

    — Ti ho detto che devo pisciare. Muovi il culo e fammi entrare, mi sta per scoppiare la vescica.

    — Per la cronaca: ho appena finito di scrivere un racconto.

    — Interessante, significa che sei pronto per farti da parte?

    — Non proprio, ma sono a buon punto.

    — Mi basta che schiudi la porta, al resto penso io.

    — Meglio se provi a farla nel lavandino. Il vantaggio è che ti puoi specchiare.

    — Dai, leggimi quello che hai scritto e facciamola finita.

    — Serviti da solo.

    Spingo il taccuino sotto la porta e resto in attesa.

    — Niente male — pontifica poco dopo.

    — Come dici?

    — Ci sai fare con le parole.

    — Stronzate, vuoi solo farmi uscire per i tuoi sporchi affari.

    — Allora raccontarmi la tua storia. Se mi tieni impegnato non penso alla vescica.

    — Non ho molto da dire.

    — Almeno provaci.

    — Mio padre era un truffatore e mia madre è sempre stata un’anima inquieta, fine della storia.

    — Bene, adesso fammi pisciare.

    Tolgo il gancio dal fermo, schiudo la porta della latrina e metto a fuoco un tizio dinoccolato con chierica, sorriso storto e un paio di lenti unte appese al naso.

    — Accomodati e non far caso al disordine, la filippina si è presa la giornata libera.

    — Meglio tardi che mai — borbotta il quattrocchi prima di mettere mano alla patta. — Ehi, aspettami lì dove sei, innaffio il water e torniamo di sopra a berci qualcosa. Offro io.

    — Scordatelo, cocco, non accetto inviti dagli sconosciuti.

    — Be’, mi hai fatto leggere il tuo racconto e mi hai parlato della tua vita… diciamo che non sono proprio il primo che passa.

    — Allora mettiamola così: preferisco bere da solo. Amo la solitudine e detesto la compagnia.

    — Come vuoi, ma la cosa non ti fa onore.

    — Me ne farò una ragione.

    Salgo le scale, mi aggrappo al corrimano e infilo un gradino dietro l’altro come un Lazzaro che esce dalla grotta per andare a morire in un angolo appartato.

    Mi tengo lontano dai beveraggi del barman e dai sorrisini ammiccanti delle cameriere in gonnella e maglietta attillata. Torno all’aria aperta, sollevo il mento e inquadro una manciata di puntini traballanti appesi al velluto del cielo. Faccio il pieno d’ossigeno e cerco la fermata del tram.

    Non la trovo. Qualcuno deve averla spostata solo per rendermi le cose più difficili.

    Allora entro in un vicolo cieco e dormo il sonno dei giusti sopra un ritaglio di giornale, fingendo di essere uno scrittore di successo e non uno spurgo qualsiasi finito in mezzo a una strada.

    2

    — Cosa scrivi?

    Sollevo la testa dalla pagina sgualcita del mio taccuino e metto a fuoco lo scarto d’uomo che ho davanti. Sembra la brutta copia di Johnny Rotten coi capelli rossi. Ho quasi la tentazione di cantare a squarciagola Anarchy In The UK e togliermelo di torno.

    — Roba pulp — rispondo, muovendo la penna tra le dita.

    Il tizio ciuccia una sorsata dalla lattina di birra e trattiene un rutto stringendo le labbra a culo di gallina.

    — E che cazzo di genere sarebbe? — mi chiede.

    — Storie torbide, piene di sesso e violenza.

    — Merda, allora sei un altro Bukowski col cervello in pappa. Ho letto le sue storie quando stavo al gabbio — sorride sornione. — Mi sono beccato cinque anni per rapina — precisa e gonfia il petto come un pavone.

    Sospiro.

    — A dirla tutta, Bukowski non mi ha mai fatto impazzire. Preferisco autori più moderni, tipo le prime opere di Chuck Palahniuk.

    Il tizio muove il planisfero in su e in giù. — Sì, già sentito — borbotta e subito dopo aggrotta la fronte neanche fosse sul water per un attacco di dissenteria. — Ci sono! È quel finocchio che ha scritto Pasto nudo!

    Scuoto la testa.

    — Quello è William Burroughs, stiamo parlando di un altro finocchio.

    Johnny Rotten non sembra far caso al mio commento. Sposta lo sgabello e mi si siede accanto, sentendosi in dovere di trattenersi più del dovuto. Guarda il barista e chiede un altro giro di birra.

    — La meno cara che hai! — bercia, neanche fossimo al mercato del pesce all’ora di punta. Poi, torna a dedicarmi la sua attenzione. — Spiegami meglio che cazzo è questa sbobba pulp visto che ti dai arie da primo della classe.

    Appoggio il gomito sul bancone. — Be’, il sangue è l’ingrediente principale, mischiato a una generosa dose di humour nero. A grandi linee si tratta di una rimasticatura del noir e del thriller. Un pastone grottesco, insomma.

    Il cantante dei Sex Pistols si strofina la nuca e mi fissa con occhi da cerebroleso. Probabilmente il cervello non lo aiuta come dovrebbe.

    Allora mi trasformo nella controfigura di Gandhi e ricomincio.

    — I personaggi di questo genere sono sempre immersi in vicende quotidiane (il giornalaio che solleva la serranda o la nonnina con le sporte della spesa, tanto per intenderci) e il pulp nasce dal contrasto tra questo aspetto e quello che poi fanno: assassini, stupri, torture. Claro?

    Johnny Rotten si guarda intorno.

    Forse cerca l’aiuto del pubblico.

    Ho un’ultima carta da giocare.

    Se non capisce così…

    Anziché sfilare un asso dalla manica, infilo la mano nella tasca della tracolla e pesco un coltellino a serramanico che non guasterebbe in un fumetto dark.

    — Sai cos’ è questo?

    — Ehi bello, metti via la lama o finisce che m’innervosisco. Come ho detto, mi sono fatto la galera e…

    — Vedi — proseguo senza dargli il tempo di finire, — se fossi il protagonista di un racconto grottesco, ti taglierei una guancia e la metterei sulla piastra per farla abbrustolire insieme a una bella fetta di pane ai cereali. Ho reso l’idea?

    Mi alzo, allungo una banconota da dieci al barista ed esco sbattendo la porta.

    Svolto l’angolo ed entro in una seconda birreria d’infimo ordine. Occupo un tavolo lontano dagli occhi del mondo e sfilo dalla tasca il mio quadernetto. Mi ficco in bocca una gomma da masticare al gusto di cannella e comincio a scrivere una storia pensando alla vita dello scrittore William Burroughs, tanto per restare in tema.

    IL LATO OSCURO DELLA LETTERATURA

    William lecca le pagine di un’opera di Shakespeare che non ha ancora letto. Le lettere gli s’incastrano tra i denti come pezzi di cibo che non riesce a masticare e il sapore della carta stampata si mischia alla saliva che deglutisce. Il segreto è nutrirsi d’ispirazione, pensa, fino a colorare il sangue d’inchiostro.

    Solleva la mano sinistra e ripensa a quando si è amputato la falange del mignolo; aveva venticinque anni e non sopportava le delusioni d’amore.

    Pesca un fazzoletto dalla tasca dei pantaloni e se lo passa lungo il collo.

    Il caldo di Città del Messico gli toglie il fiato. E la pala attaccata al soffitto serve solo a rimestarne il bollore.

    Allunga il braccio filiforme verso il tavolino per prendere la siringa e la cintura di pelle.

    Sua moglie Joan si è già bucata e adesso riposa nuda sul letto.

    William spinge l’ago nell’incavo del braccio e preme col pollice sullo stantuffo. 2,5 grammi di eroina scivolano nella vena che gli incurva la pelle.

    Le pupille gli si contraggono all’istante, fino a diventare due punte di spillo. La scimmia che vive con lui si rilassa e smette di rosicchiargli la schiena e il flusso dei suoi pensieri riprende il suo corso tortuoso. Allora guarda il suo quadernetto stropicciato pieno di appunti deliranti. Un giorno o l’altro, Kerouac e Ginsberg lo aiuteranno a fare ordine. Lo considerano uno scrittore e lui glielo lascia credere perché detesta deludere gli amici. A dirla tutta, si considera solo un fottuto junky che gioca a nascondino con la morte.

    Mezz’ora dopo chiede a Joan di mettersi contro la parete con una mela sopra testa.

    — Cerca di stare ferma — le dice e le punta contro la pistola a tamburo che ha comprato la sera prima da uno spacciatore.

    Si sforza di tenere un minimo di equilibrio e prende la mira senza sapere bene dove guardare. Poi, chiude gli occhi, spinge il dito sul grilletto e finge di essere la copia sputata di Guglielmo Tell.

    3

    Simenon diceva che, nella pagina scritta, la realtà fine a se stessa non è credibile e che, per renderla credibile, è paradossalmente necessario falsificarla.

    Pienamente d’accordo, bello. Bisognerebbe solo aggiungere un po’ di condimento anche alla vita di tutti i giorni, giusto per rendere il pastone più digeribile.

    Appoggio la pasticca a forma di cuore sulla lingua e la ingoio con una sorsata di birra.

    Il mio pusher di fiducia mi ha garantito effetti sorprendenti. A sentir lui, non toccherò il cielo con un semplice dito, ma con l’intera fottuta mano.

    Mi stendo sul divano e abbasso le serrande. Spero solo di non fare la stessa fine di Syd Barrett. Non sarebbe carino ritrovarsi in un istituto per indigenti con la bava alla bocca e un pannolone attaccato al culo.

    Libero la matassa di pensieri che mi riempie la zucca e lascio che le immagini mi scorrano davanti come gocce d’acqua sul parabrezza.

    TRIP N.1

    Sono nel mio ufficio e prego di non dover uscire per le prossime ore. La pioggia batte contro la finestra a ritmo regolare e il colore del cielo ricorda la pelle di un cadavere vecchio di tre giorni. Una mosca mi ronza intorno alla testa, fingo d’ignorarla e all’ultimo la spiaccico contro la parete lasciando un bollino rosso sull’intonaco bianco.

    Mi pulisco la mano con un fazzoletto di carta e pesco l’ultima sigaretta da un pacchetto accartocciato. Intanto, muovo gli occhi in cerca dell’accendino.

    Qualcuno bussa alla porta.

    — È aperto — borbotto.

    L’uscio si spalanca e la copia di Charles Bukowski entra nella stanza con passo incerto.

    — Sei tu l’esperto di pulp?

    Incastro il mento nel palmo e osservo il tizio che ho davanti: indossa una maglietta macchiata di sugo e un paio di jeans stazzonati.

    — Hai d’accendere? — gli chiedo.

    Bukowski sbatte le palpebre senza capire.

    Gli mostro la sigaretta.

    — Non trovo l’accendino.

    Il tizio annuisce e mi allunga uno Zippo con tre lettere incise sulla cover: F.T.W.

    Fuck The World?

    For The Win?

    Fuck The What?

    Bah, difficile capirlo.

    Sbuffo fuori un ricciolo di fumo che si allunga come una serpe che addenta il soffitto.

    — Dimmi come posso aiutarti.

    — In giro si dice che ti credi uno scrittore.

    Gli mostro il dito medio.

    — Confermo.

    — Bene, allora ho una storia da raccontarti — aggiunge e occupa l’unica sedia a disposizione.

    Prendo il mio block-notes e aspetto.

    — Avanti, pendo dalle tue labbra.

    — Prima offrimi qualcosa da bere, ho la gola secca.

    Allargo le braccia.

    — Mettiamo in chiaro le cose: tu non sei in un pub e io non sono un cameriere.

    Hank socchiude le palpebre senza staccarmi gli occhi di dosso.

    — In giro si dice che sei una gran testa di cazzo.

    Gli mostro ancora una volta il dito medio, cambio solo mano.

    Si schiarisce la voce.

    — Lascia prima che mi presenti: sono nato il 16 agosto del 1920 in Germania e sono morto il 9 marzo 1994 a San Pedro. Nel corso della mia vita ho scritto sei romanzi, centinaia di racconti e migliaia di poesie.

    — So chi sei e so anche che sei morto di leucemia poco dopo aver completato il tuo ultimo romanzo.

    La brutta copia di Henry Charles Bukowski sorride e annuisce.

    — Così sai chi sono.

    — Saltiamo i preliminari e dimmi perché sei qui.

    — Come dicevo, ho una storia da raccontarti.

    Guardo le lancette dell’orologio appeso alla parete e sbuffo.

    — Allora vediamo di darci una mossa, tra meno di un’ora dovrebbe arrivare Edgar Allan Poe e non voglio farlo aspettare.

    — Mi bastano cinque minuti. — Si schiarisce la voce. — Il protagonista della mia storia è un bohémien sfigato che finge di saper scrivere perché non saprebbe che altro fare nella vita e che muore di cirrosi senza aver scritto niente che valga la pena ricordare.

    Lascio cadere la penna e mi gratto la testa.

    — Hank, se questo è uno scherzo, sappi che è di cattivo gusto. E comunque non credo che morirò di cirrosi. Preferisco di gran lunga il suicidio.

    4

    Ore 08:32.

    È difficile non pensare al lavoro. Ho bisogno di un cazzo di stipendio per pagare l’affitto, riempire il frigo e liquidare le bollette. E magari comprarmi un paio di pantaloni di ricambio visto che quelli che indosso sono passati di moda da qualche anno.

    Raccolgo dal pavimento il giornale di ieri e passo in rassegna le poche offerte di lavoro. Solita manodopera a basso costo che non porta da nessuna parte.

    Sbadiglio.

    L’Italia è una Repubblica democratica fondata sulla disoccupazione.

    Il vibrare del telefonino mi distrae.

    È Bishop, il mio agente.

    — Ho un lavoro per te — mi dice con la sua solita voce da cornacchia.

    Non mi lascio impressionare e aspetto che aggiunga il resto.

    — Una rock band emergente ha bisogno di una sceneggiatura per girare un videoclip a basso costo. Resta in linea, ti faccio ascoltare il singolo così ti fai un’idea.

    Incastro il ricevitore nell’incavo della spalla, allungo una mano e prendo il taccuino dalla tasca della giacca appesa al gancio.

    Ascolto il brano, batto il piede a ritmo e l’immagine di un plettro che affonda in un bicchiere di torbido whisky mi apre la mente.

    — Ok, avrai la tua sceneggiatura.

    — Ci sono

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