La crisi di Cuba
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La crisi di Cuba - Marco Altobello
I PRINCIPALI PROTAGONISTI DEL
CONFRONTO MILITARE E DIPLOMATICO
Di seguito sono riportati i protagonisti della crisi ed i principali personaggi, suddivisi per nazionalità ed in ordine alfabetico. L’elenco è limitato alle personalità che trovano maggior risalto in questo saggio.
Stati Uniti
- Dean Acheson, ex segretario di Stato e membro dell’ExComm
- George Anderson, ammiraglio, capo di stato maggiore della Marina americana
- Rudolf Anderson, maggiore, pilota dell’Air Force. Unica vittima della crisi.
- McGeorge Bundy, assistente del presidente per la sicurezza nazionale e membro dell’ExComm
- Lyndon Johnson, vice presidente degli Stati Uniti
- John F. Kennedy, presidente degli Stati Uniti
- Robert F. Kennedy, segretario alla Giustizia degli Stati Uniti
- Foy Kholer, ambasciatore americano in Unione Sovietica
- Curtis Lemay, generale, capo di stato maggiore USAF
- Walter Lippmann, giornalista e politologo
- John McCone, direttore della CIA
- Robert McNamara, segretario alla Difesa degli Stati Uniti
- John Scali, giornalista accreditato alla Casa Bianca
- Arthur M. Schlesinger, consigliere speciale del presidente, membro dell’ExComm
- Theodore Sorensen, consigliere del presidente, membro dell’ExComm
- Adlai Stevenson, ambasciatore degli Stati Uniti all’ONU
- Maxwell Taylor, generale, capo degli stati maggiori riuniti USA
Cuba
- Fidel Castro Ruz, Primo ministro di Cuba
- Raul Castro Ruz, ministro delle forze armate cubane
- Ernesto Guevara de la Serna, ministro dell’industria di Cuba
Unione Sovietica
- Vasili Aleksandrovich Arkhipov, comandante della flottiglia sottomarina sovietica, l’uomo che salvò il mondo
- Nikita S. Chruščëv, presidente del Consiglio dei Ministri e segretario del Partito Comunista dell’Unione Sovietica
- Anatolij Dobrynin, ambasciatore dell’Unione Sovietica negli Stati Uniti
- Aleksandr Feklisov, spia sovietica e capo della cellula del KGB presso l’ambasciata sovietica a Washington
- Andrej Gromyko, ministro degli esteri dell’Unione Sovietica
- Rodion Malinovskij, ministro della Difesa, maresciallo dell’Armata Rossa
- Issa Pliev, generale, comandante delle forze armate sovietiche a Cuba
- Valerian Zorin, ambasciatore dell’Unione sovietica all’ONU
Vaticano
- Angelo Giuseppe Roncalli, Papa Giovanni XXIII
Italia
- Giulio Andreotti. Ministro della Difesa
- Ettore Bernabei, direttore generale della RAI
- Amintore Fanfani, presidente del Consiglio
Birmania
- Maha Thray Sithu U Thant, segretario generale dell’ONU
Gran Bretagna
- Harold Macmillian, primo ministro del Regno Unito
CRONOLOGIA ESSENZIALE
I principali sviluppi, riportati in ordine cronologico, della crisi dei missili di Cuba e degli eventi che la determinarono
1. LA SITUAZIONE GEOPOLITICA PRIMA
DELLA CRISI
1.1 L’America Latina tra USA e URSS – 1.2 La rivoluzione cubana – 1.3 Il nuovo ruolo internazionale di Cuba e la Baia dei Porci
1.1 L’America Latina tra USA e URSS
Tra gli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso, durante la fase della guerra fredda nota come coesistenza competitiva¹ , gli eventi internazionali vedevano il comunismo in forte avanzata. La supremazia sovietica era ravvisabile sia sul piano economico che dal punto di vista politico. Il tasso di crescita delle economie pianificate, per quanto oggi possa sembrare incredibile, era più alto rispetto a quello dei Paesi capitalisti² . Inoltre il grande vantaggio sovietico dal punto di vista aerospaziale fu confermato dalle imprese dello Sputnik, il primo satellite in orbita intorno alla terra lanciato il quattro ottobre 1957, e di Jurij Gagarin, il primo uomo a volare nello spazio il 12 aprile 1961. Dal punto di vista geopolitico, le problematiche emerse nel secondo dopoguerra determinarono un aumento notevole del numero di attori protagonisti del nuovo sistema internazionale. Nel 1960, a causa del processo di decolonizzazione, il numero di Stati presenti sulla scena mondiale era triplicato (solo in Africa nacquero 17 nuovi Stati). Il raggiungimento dell’indipendenza da parte di moltissimi Paesi portò le due superpotenze a competere per estendere la propria influenza su nuovi continenti. La competizione tra USA e URSS si ampliò, dando vita ad una globalizzazione del bipolarismo e spostando l’epicentro dello scontro dall’Europa al resto del mondo. La conseguenza fu che la guerra fredda iniziò a coinvolgere Nazioni inizialmente estranee alla contesa internazionale. Inizialmente i sovietici, condizionati dal problema della successione a Stalin, dimostrarono di non essere pronti ad un cambiamento geopolitico così importante. Consolidatosi al potere il gruppo guidato da Nikita Chruščëv, il governo sovietico comprese l’importanza del momento storico, si rese conto delle nuove occasioni che si prospettavano e ne approfittò per tentare di sostituire, seppur senza pretese coloniali, l’influenza degli Stati Uniti e delle vecchie potenze europee nei nuovi Paesi.
Gli anni del segretario Chruščëv (1953-1964) furono dominati da una mentalità di esportazione del sistema comunista che rese l’Unione Sovietica, a seguito di un’apertura verso l’esterno dei rapporti diplomatici, per la prima volta presente come soggetto politico globale³ . Nel 1956, durante il ventesimo congresso del Partito comunista dell’Unione Sovietica (PCUS), apparve chiara la nuova linea generale di politica estera del Cremlino, delineata dalla teoria della coesistenza pacifica enunciata da Chruščëv e indirizzata verso un interesse nei confronti dei Paesi del Terzo Mondo, potenzialmente permeabili all’ideologia socialista. L’URSS riuscì ad avere una maggiore influenza in Cina e Asia, mentre gli Stati Uniti cercarono di aumentare la propria autorità in Sud America dove, tramite l’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), provarono a limitare l’influenza delle teorie marxiste. Proprio l’America Latina si presentava come una regione politicamente instabile, nella quale i sovietici cercarono di appoggiare i governi che si posero in conflitto con gli Stati Uniti. In realtà i rapporti tra Stati Uniti e Stati sudamericani sono stati costantemente caratterizzati da problemi e politiche equivoche e, per comprenderne la natura, è necessario approfondire le relazioni tra USA e America Latina a partire dalla fine XIX secolo. Già tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, infatti, il capitalismo e l’economia di mercato statunitense si scontrarono con la mentalità conservatrice di regimi militari spesso corrotti. Il presidente Theodore Roosevelt ritenne che, oltre ad evitare l’intervento e le ingerenze delle potenze europee, la dottrina Monroe⁴ dovesse essere ampliata in modo da consentire agli USA di intervenire in America Latina, al fine di tutelare i propri interessi. Di fatto l’America Latina iniziò ad essere considerata una zona sottoposta all’influenza degli Stati Uniti⁵ . Nel primo dopoguerra emersero le teorie propugnate dal presidente Woodrow Wilson e dal suo consigliere territoriale alla Conferenza di pace di Parigi Bowman. Tali teorie erano basate sugli ideali del particolarismo americano. Pacifismo, libero commercio e un internazionalismo basato più sulla negoziazione che sul conflitto furono i principi cardine dell’ideale wilsoniano di politica estera. In realtà lo stesso Wilson fu uno dei primi presidenti americani machiavellici, in quanto fu il primo a compiere operazioni segrete e militari nei confronti di altri Paesi⁶ . Il caso della rivoluzione messicana del 1913, quando il governo americano occupò la città di Veracruz e inviò una spedizione contro il rivoluzionario Pancho Villa, costituisce un esempio dell’equivoca politica di Wilson.
Il fallimento degli ideali wilsoniani, certificato dalla mancata ratifica del Senato americano dell’ingresso degli USA nella Società delle Nazioni, determinò un inasprimento dei rapporti tra USA e Paesi latinoamericani. In effetti, nel primo dopoguerra, le relazioni tra gli Stati Uniti e i governi dell’America Latina furono caratterizzate da crescenti tensioni dovute all’interferenza, anche militare, statunitense a cui si contrapposero le resistenze locali, spesso appoggiate dai Paesi europei. In questo scenario, molti esponenti dei governi sudamericani guardarono con favore al mancato ingresso degli USA nella Società della Nazioni, nella quale entrarono a far parte molti Stati del Sud America per controbilanciare il predominio statunitense sul movimento panamericano⁷ . La situazione sembrò cambiare con l’elezione del nuovo presidente americano Franklin Delano Roosevelt, che intraprese una politica conciliante e meno interventista, da lui stesso definita di buon vicinato
. A seguito della Conferenza panamericana di Montevideo del 1933, Roosevelt dichiarò di rinunciare a qualsiasi politica di intervento unilaterale. Dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor, il governo degli Stati Uniti intraprese una politica volta a sviluppare il sentimento del panamericanismo, al fine di creare un blocco unito e pronto a sostenere le forze europee alleate con gli Stati Uniti. A questo proposito fu convocata a Washington una conferenza dei ministri degli esteri dei Paesi americani, a seguito della quale tutti i governi latinoamericani, esclusi Argentina e Cile, ruppero i rapporti con Italia, Germania e Giappone. Quelle di Cile e Argentina furono due defezioni importanti, in particolare l’Argentina fu la Nazione meno sensibile ai richiami di Washington e la più incline a farsi permeare dalla propaganda fascista e nazista.
Tutti gli altri Paesi appoggiarono la politica USA, il Brasile contribuì militarmente in Italia e il Messico si impegnò nella guerra nel Pacifico.⁸ Nell’immediato dopoguerra le relazioni internazionali tra Stati Uniti e Paesi dell’America Latina si svilupparono verso una collaborazione che permise a questi ultimi di essere coinvolti all’interno delle Nazioni Unite. La Conferenza di Rio De Janeiro del 1947 e la Conferenza di Bogotà del 1948 andarono in questa direzione e furono volte ad attuare gli art. 51 e 54 della Carta delle Nazioni Unite che prevedevano la possibilità di stipulare accordi regionali di autodifesa. Proprio a Bogotà, le diplomazie latinoamericane crearono l’Organizzazione degli Stati americani (OSA), segnando il punto più importante negli sforzi di creare una politica comune tra gli Stati americani. Un progressivo deterioramento tra USA e alcune Nazioni sudamericane fu determinato prima dal sorgere di nuovi regimi dittatoriali, poi dalle infiltrazioni comuniste in Sud America. Il 24 febbraio 1946 il generale Juan Domingo Peròn venne eletto Presidente dell’Argentina, appoggiato dai gruppi proletari di descamisados affascinati dalle sue promesse di giustizia sociale. Peròn governò l’Argentina per circa dieci anni, molto spesso in contrapposizione con gli USA e la Gran Bretagna, ponendosi come principale spina nel fianco degli Stati Uniti, in un contesto in cui governi simili nacquero in Cile, Ecuador, Colombia, Bolivia e Brasile. In realtà l’ascesa di Peròn e degli altri governi sudamericani, le loro riforme e la deriva populista e autoritaria, non preoccupavano eccessivamente il governo di Washington, in quanto non erano ravvisabili infiltrazioni marxiste. Le preoccupazioni statunitensi iniziarono ad aumentare con le prime avvisaglie di infiltrazioni sovietiche e comuniste. La Conferenza interamericana di Bogotà del 1948 aveva approvato una risoluzione che dichiarava il comunismo incompatibile con il concetto americano di libertà. Con il nuovo presidente Dwight Eisenhower, gli USA si impegnarono in una politica più attiva verso l’America Latina, in particolare dopo aver constatato l’infiltrazione di elementi comunisti all’interno del governo democratico del Guatemala. Il presidente guatemalteco Jacopo Arbenz aveva avviato una politica di riforma agraria volta a sottrarre alla multinazionale statunitense United Fruit Company alcuni territori, per distribuirli ai piccoli proprietari guatemaltechi. Tra i soci della multinazionale figurava il segretario di Stato americano John Foster Dulles, fratello del capo della CIA Allen Dulles. Eisenhower si schierò immediatamente contro Arbenz, convinto che il presidente guatemalteco fosse comunista o comunque sotto il controllo dei comunisti. Nel gennaio del 1954 il Presidente statunitense ordinò alla CIA di preparare quanto necessario a far cadere Arbenz, per sostituirlo con il colonnello Carlos Castillo Armas. Il pretesto per l’intervento degli USA ci fu il 15 maggio 1954, quando un mercantile svedese sbarcò in Guatemala con un carico di armi di marca cecoslovacca, con le quali il Presidente Arbenz intendeva armare una milizia popolare da contrapporre all’esercito.