Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Aspenia n. 96: Monete e potere
Aspenia n. 96: Monete e potere
Aspenia n. 96: Monete e potere
Ebook369 pages4 hours

Aspenia n. 96: Monete e potere

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Il sistema finanziario internazionale è ancora largamente dominato dal dollaro che è il protagonista dell’80% degli attuali scambi internazionali, a cominciare dai contratti petroliferi. Qualcosa però sta cambiando: emerge, infatti, un “multipolarismo” delle monete, che include il fenomeno delle criptovalute. Ne parlano tra gli altri sul numero 96 “Monete e potere” di Aspenia rivista diretta da Marta Dassù – Giulio Tremonti, Stefano Cingolani, Carlo Scognamiglio, Erik Jones, Giorgio La Malfa, Giovanni Farese, Paola Subacchi, Ignazio Angeloni, Daniel Gros, Giacomo Luciani, Soli Özel, Giulio Sapelli e Carlo Jean.

Tra le ipotesi future spicca quella di un possibile approdo a un sistema monetario meno omogeneo o addirittura frammentato in aree potenzialmente distinte, più o meno competitive e rivali: un processo che potrebbe essere accelerato dall’isolamento finanziario della Russia - con il crollo del rublo e le sanzioni occidentali - e dal rapporto fra Pechino e Mosca, con nuovi contratti energetici non in dollari. Sul versante opposto, il rapporto fra euro e dollaro serve da termometro per monitorare quanto l’Occidente, dopo avere ritrovato la Nato, sarà anche capace di gestire la difficile ripresa post-Covid e la delicatissima transizione energetico-industriale.

Le criptovalute, nate dal sogno di democratizzare la finanza attraverso un nuovo strumento monetario, sono diventate un fenomeno speculativo, non solo per l’estrema volatilità delle quotazioni, che le rendono inadatte all’utente al dettaglio, ma anche nel limite al numero di partecipanti inerente a qualsiasi meccanismo che si basa su libri contabili decentrati . Questo non implica però la loro fine. Il bitcoin e le altre monete digitali resteranno una parte dell’evoluzione del sistema finanziario e già hanno innescato un cambiamento epocale che influisce sulle scelte delle banche centrali.
LanguageItaliano
PublisherIlSole24Ore
Release dateMar 23, 2022
ISBN9791254830178
Aspenia n. 96: Monete e potere

Read more from Aa.Vv.

Related to Aspenia n. 96

Related ebooks

Economics For You

View More

Related articles

Reviews for Aspenia n. 96

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Aspenia n. 96 - AA.VV.

    editoriale

    Che rapporto esiste fra monete e potere nel XXI secolo? Come si fronteggerà il rischio di inflazione? Ed è realistico pensare che – come conseguenza di una guerra in Ucraina che ha cambiato il mondo più del Covid – si apra una nuova guerra fredda non solo fra Stati ma anche fra aree monetarie? Il sistema finanziario internazionale è ancora largamente dominato dal dollaro, come confermano gli articoli che pubblichiamo. Ma comincia a emergere un multipolarismo delle monete, che include il fenomeno delle criptovalute. Andiamo con ordine.

    Aspenia n. 96

    Geopolitica e geoeconomia procedono in parallelo. La moneta, in tutte le sue forme, è l’anello di congiunzione. E misura l’ascesa e declino delle grandi potenze. Il termometro monetario ci dice che il privilegio esorbitante del dollaro, per usare una celebre definizione del presidente francese Valéry Giscard d’Estaing, resiste ancora: sono in dollari l’80% degli attuali scambi internazionali, a cominciare dai contratti petroliferi. E sono agganciate al dollaro la maggior parte delle monete nazionali, in America centrale e meridionale naturalmente, in larga parte dell’Africa e dell’Asia orientale. Il dollaro, dopo la sterlina, è stato – e in parte rimane tuttora – una moneta imperiale. Il punto, come dimostrano gli autori di Aspenia, è che il suo futuro primato non verrà insidiato da una singola moneta alternativa, a cominciare dal renmimbi dello sfidante del secolo, la Cina. Piuttosto, nasceranno e si consolideranno monete alternative, fra cui un euro che, per sorreggere un’Europa geopolitica, dovrà anche diventare sempre più una vera valuta di riserva internazionale. Andiamo insomma verso un sistema monetario meno omogeneo o addirittura frammentato in aree potenzialmente distinte, più o meno competitive e rivali: un processo che potrebbe essere accelerato dall’isolamento finanziario della Russia (con il crollo del rublo e le sanzioni occidentali), e dal rapporto fra Pechino e Mosca (con nuovi contratti energetici non in dollari). Sul versante opposto, il rapporto fra euro e dollaro ci dirà quanto l’Occidente, dopo avere ritrovato la NATO, sarà anche capace di gestire la difficile ripresa post Covid e la delicatissima transizione energetico-industriale che è stata delineata, con un tratto dominante: l’aumento e la persistenza dell’inflazione

    Aspenia n. 96

    E qui veniamo al secondo punto. L’inflazione è sempre e dovunque un fenomeno monetario, secondo uno dei detti più famosi di Milton Friedman, il maggiore esponente del moderno monetarismo. Un certo tasso di inflazione è l’olio necessario a lubrificare la macchina economica; o a riassorbire, come oggi necessario, gli eccessi di indebitamento e di liquidità. Ma esistono i rischi per la crescita sottolineati da Friedman, in qualche modo confermati dalle difficoltà attuali. Con l’aggiunta però di una postilla importante: è anche a un tempo barometro di movimenti profondi e causa di non meno formidabili conversioni delle masse come scrisse lo storico francese Marc Bloch.

    Per capire meglio cosa sia davvero la moneta, può essere utile partire da una definizione. Oltre un secolo fa l’economista svedese Knut Wicksell definì la triade monetaria, peraltro già prefigurata da Aristotele: 1) unità di conto, il che significa che la moneta si usa per confrontare in maniera omogenea il valore di prodotti e servizi molto diversi tra loro; 2) riserva di valori, e cioè la moneta permette di spostare nel tempo la quota di reddito che non viene utilizzata immediatamente per consumare beni e servizi; 3) mezzo di pagamento, dal momento che la moneta può essere scambiata istantaneamente con beni e servizi, l’acquirente la consegna al venditore e si libera da ogni obbligo nei confronti di quest’ultimo che, accettandola, ne riconosce il valore.

    La moneta, quindi, è merce e misura di tutte le merci, serve a pagare gli scambi e a dare valore a quel che viene accumulato, alla ricchezza cosiddetta reale, terre, case, gioielli, patrimoni di ogni tipo. John Maynard Keynes aggiunge un’appendice: oltre al motivo delle transazioni e a quello precauzionale, la moneta serve anche per funzioni speculative.

    Il boom delle criptovalute, utilizzate come fiche di casinò, la rilancia: non a caso, Keynes definì il capitalismo un by-product di una bisca. Sia quel che sia, l’esito è che ogni cambiamento negli equilibri monetari diventa prima conseguenza e poi causa di cambiamenti economici, sociali e politici; di trasformazioni dei mercati e di scelte dei governi. La storia è piena di esempi anche drammatici, basti ricordare l’impatto devastante dell’iperinflazione sulla Repubblica di Weimar negli anni Venti del secolo scorso o lo sconquasso mondiale provocato negli anni Settanta, con la fine della convertibilità del dollaro in oro.

    La moneta può essere messa sotto controllo per riportare la rincorsa dei prezzi entro limiti accettabili, ma anche questo ha costi che spesso si rivelano insopportabili. Se l’inflazione colpisce i risparmiatori e i lavoratori a reddito fisso, la deflazione riduce l’attività produttiva e provoca disoccupazione di massa. La moneta, dunque, va trattata e maneggiata con cura.

    Questo ci porta al problema e al dibattito di oggi. Per mettere sotto controllo l’inflazione occorre governare la moneta: ridurne la quantità e alzare il suo costo (i tassi d’interesse) per frenare la dinamica dei prezzi. Ma il rischio, evidentemente, è di frenare bruscamente la crescita. Per sconfiggere l’iperinflazione di allora, la Federal Reserve guidata da Paul Volcker nel 1979 alzò drammaticamente i tassi e tutte le altre banche centrali lo imitarono. Ciò ebbe conseguenze pesanti per i paesi in via di sviluppo indebitati in dollari. Negli Stati Uniti, seguì un triennio di recessione e aumentò la disoccupazione; poi la molla produttiva, come se si fosse ricaricata nel frattempo, scattò in alto e produsse il boom degli anni Ottanta, il ciclo reaganiano.

    Nell’ultimo decennio è accaduto il contrario, si è arrivati persino a tassi di interesse sotto zero, una contraddizione in termini che non è servita a riportare l’inflazione entro l’obiettivo di una crescita annua del 2% e in compenso ha creato seri squilibri nei bilanci delle banche, delle assicurazioni, degli Stati. E soprattutto: è finita l’epoca della helicopter money.

    Per la Federal Reserve americana sembrerebbe di sì: sono attesi vari rialzi dei tassi. La Banca centrale europea è più esitante, nella convinzione che, di fronte alle incertezze della ripresa post Covid e della transizione verde, una parte almeno delle economie europee abbia ancora bisogno del lubrificante monetario, tanto più dopo le ripercussioni economiche della guerra in Ucraina; e che il vero antidoto al debito sia sempre e comunque la crescita. Vedremo, nel dibattito sulla riforma del Patto di Stabilità, quanto a lungo reggerà questa impostazione.

    Aspenia n. 96

    Fino alla fine del 2021 è prevalsa la lettura secondo cui la spinta inflazionistica sarebbe stata temporanea e la tendenza di lungo periodo resterebbe la stessa che ha segnato il decennio scorso: l’innovazione tecnologica e la globalizzazione hanno aumentato a tal punto la concorrenza sia tra i beni sia tra la forza lavoro, da far cadere i costi di produzione, inclusi i salari. Insomma, l’operaio cinese o l’idraulico polacco, tanto per riprendere due immagini usate e abusate, hanno di fatto soppresso il rischio inflazione. Se così è accaduto in passato, oggi tuttavia le cose cambiano: il genio è uscito dalla bottiglia, ha scritto Martin Wolf sul Financial Times. Il pericolo è che si inneschi una spirale nella quale le aspettative si spostano sempre più in alto causando una fuga dalla moneta e destabilizzando così le aspettative. Non siamo all’aumento a due cifre degli anni Settanta, ma quando la dinamica dei prezzi supera ogni previsione e non accenna a frenare, la credibilità va preservata a tutti i costi. La stessa guerra in Ucraina con la ricaduta sui mercati finanziari e sulla catena produttiva internazionale ha gettato altra benzina sul fuoco. Conseguenza: esistono pressioni di tipo diverso, per cui un aggiustamento di politica monetaria dovrà essere condotta con gradualità e grande attenzione.

    Va infine tenuto conto che l’inflazione favorisce chi è indebitato (anche gli Stati), ma penalizza i lavoratori a reddito fisso e i risparmiatori che non sono in grado di aggiustare i propri patrimoni. Difendersi è difficile e persino dannoso: ogni scala mobile, ogni rincorsa tra redditi e prezzi, finisce per alimentare l’inflazione. Ma tirare le redini troppo e troppo presto, chiudere il borsellino, ridurre la offerta di moneta, aumentando i tassi e rinunciando ad acquistare titoli pubblici o privati da parte delle banche centrali, rischia di innescare una recessione. Se mal gestita, la svolta può diventare nociva; è una questione di come, quanto e quando agire. Nel 2011 la BCE, spaventata anche dall’aumento del prezzo del petrolio e quindi dall’inflazione, aumentò i tassi mentre il ciclo economico era già in discesa e favorì la crisi dei debiti sovrani. Al contrario, dopo l’11 settembre 2001 Alan Greenspan aprì i rubinetti per impedire il collasso di Wall Street e una lunga recessione, ma continuò a pompare moneta favorendo così la crisi dei subprime e il crollo dell’intera economia mondiale nel 2008. Quella del banchiere centrale è un’arte più che una scienza esatta, disse nel 1932 l’economista inglese Ralph George Hawtrey.

    La nuova dimensione cibernetica cambia a sua volta l’offerta di moneta e rende più difficile metterla sotto controllo. El Salvador ha deciso di ufficializzare la criptovaluta, quanti seguiranno il suo esempio? I banchieri stanno correndo ai ripari, arriverà anche la valuta digitale degli Stati. Ma le banche centrali sono in ritardo e, come dimostra la parte finale di questo numero, le scosse sono notevoli. Mervyn King – ex governatore della Banca d’Inghilterra – ammette che le banche centrali possono spiegare la loro reazione, ma non possono dire che cosa faranno perché non sanno che cosa farà l’economia. E a suo parere il target dell’inflazione media è certamente nato morto.

    Del resto, come ancora scrive Martin Wolf, una grande lezione della storia è che gli economisti sbagliano se pensano di capire come funziona la macroeconomia. Negli anni Trenta la convinzione comune era che l’economia si stabilizzasse da sola. Negli anni Sessanta che aspettative d’inflazione e moneta non contassero. Negli anni Ottanta che contava solo la moneta. Negli anni Duemila che l’espansione creditizia non destabilizzasse il sistema finanziario. Nel 2020 che la moneta fosse irrilevante. Ci innamoriamo sempre di storie ingenue. Vogliamo credere che l’economia è un meccanismo semplice e non lo è.

    Come non richiamare di nuovo Marc Bloch che nei suoi Lineamenti di una storia monetaria d’Europa, opera rimasta incompiuta perché l’autore venne ucciso dai nazisti, riportava ironicamente i lamenti di Gilles Li Muisis, abate di Tournai, sette secoli fa: In fatto di monete le cose sono molto oscure: esse crescono e diminuiscono di valore e non si sa cosa fare; quando si pensa di guadagnare, si trova il contrario. Allora non è cambiato nulla? La storia mostra grandi trasformazioni insieme a grandi continuità: ogni volta che la moneta è servita a soddisfare la volontà di potenza del sovrano o s’è allontanata dai giochi dello scambio, è sfuggita al controllo. Vediamo cosa ne pensa Giulio Tremonti, intervistato da Aspenia.

    Aspenia n. 96

    ASPENIA. Denaro e potere: è un binomio su cui si reggono le sorti dell’umanità, ma non è sempre chiaro quali sia il rapporto tra i due fattori, e come questo rapporto cambi in tempi e luoghi differenti. In che modo conviene guardare ai due fenomeni?

    TREMONTI. Nel Manifesto Karl Marx esprime i sensi della sua profonda nostalgia per i variopinti vincoli che erano tipici del vecchio mondo, sostituiti da un unico e nuovo vincolo: lo spietato pagamento in contanti. Il contante è oggi un po’ demodé ma dubito che Marx gradirebbe gli strumenti che l’hanno sostituito.

    Parlare di monete e potere, ovvero di soldi e potere, significa guardare a combinazioni che, per certi versi, ricordano la figura dell’enantiosema, figura basata come nel caso sull’opposizione tra due parole primordiali: la moneta e il potere.

    Come cominciare? Naturalmente dal principio. Pecunia deriva da pecus: al principio le antiche monete rappresentavano la testa dell’animale. La pecora era ricchezza mobile perché si muoveva sul territorio, ma diventava ancora più mobile con la sua raffigurazione sul pezzo di metallo che la rappresentava. Poi, alla testa dell’animale, si è aggiunta la testa del sovrano che, per suo conto, simbolizzava oltre alla ricchezza, il potere. Poi la moneta si è fatta prima carta – la banconota, la faustiana cambiale di Goethe – e poi plastica. Infine – sulla rete digitale – si è transustanziata in un asettico segno informatico. Ed è così che arriviamo al tempo presente.

    Per avere un’idea politica e organica della moneta, come è stata fino a oggi, va notato che la moneta non è mai stata solo una monade, una entità tecnica astratta dalla vita e dalla politica, ma sempre un elemento strutturale delle architetture politiche.

    Tecnologie digitali e criptovalute: quanto sono compatibili con un intero quadro economico che si regge appunto, assieme ai mercati, sull’emissione di valuta come monopolio statuale e attributo della sovranità?

    Siamo al mattino dei maghi, che comincia con i bitcoin e poi con le criptovalute, e va avanti con Libra, questa la moneta ideale per la piattaforma, una moneta che non è riserva di valore, ma è comunque efficace strumento di pagamento. Oggi si va oltre, si entra nel metaverso.

    Tutto questo concreta la profezia di Goethe: i biglietti alati voleranno tanto in alto che la fantasia umana, per quanto si sforzi, mai potrà raggiungerli…, cambiali mefistofeliche che permettono di andare per astrazione oltre la realtà materiale sostituendola con realtà inventate e con mondi virtuali. Come oggi è sulla rete nel mondo digitale, un mondo dove soprattutto ormai prevale un categorico digito ergo sum.

    Cosa dobbiamo aspettarci allora nel rapporto in evoluzione tra economia (o meglio finanza) e politica? Che senso ha per i governi e le banche centrali inserirsi nel gioco delle monete digitali? È l’ultimo stadio della fintech, con la vittoria della finanza sull’economia reale, oppure al contrario è la riaffermazione del ruolo dello Stato?

    Oggi è la realtà materiale, la realtà politica che ci costringe a tornare per terra. Quattro passaggi sono essenziali:

    A. La tecnica ha permesso lo sviluppo della magia del fiat money: la massa monetaria si è sviluppata in rapporto di 3 a 1 rispetto alla realtà, l’unità di conto è non per caso passata dal billion (miliardo) al trillion (mille miliardi).

    B. Dopo la crisi finanziaria del 2008 e per effetto di questa, dall’helicopter money al whatever it takes, la massa monetaria è ancora più cresciuta, senza basi e senza limiti.

    C. La pandemia ci ha fatto passare da un eccesso di austerità all’idea opposta, all’idea del debito buono (formula questa che attualizza la vecchia Golden Rule), fino all’ idea che il debito pubblico è categoria che appartiene al passato.

    D. Nella Bibbia c’è il mito della Torre di Babele: l’uomo sfida la divinità erigendo una torre che sale verso il cielo, ma la divinità reagisce privandola della lingua unica.

    È stato più o meno lo stesso con la pandemia, che ha hackerato il software della globalizzazione, che ha infranto lo schema del pensiero unico facendo riemergere la storia, la storia che si pensava fosse superata ed è tornata, basti guardare alla crisi ucraina, accompagnata dalla geografia.

    È così che si ritorna a un mundus furiosus in cui alla certezza si sostituisce l’incertezza. Incertezza di tutto e su tutto. Con i suoi effetti economici.

    Quali sono le scelte politiche fondamentali da fare in un contesto così volatile?

    Nel 2009, nel pieno della crisi finanziaria, si confrontarono due visioni: quella del Global Legal Standard e quella del Financial Stability Board. Il Global Legal Standard, proposto dal governo italiano e poi votato all’assemblea dell’OCSE, era la bozza di un trattato multilaterale ispirato dall’idea che fosse arrivato il tempo per il passaggio "dal free trade al fair trade, un sistema di regole generali per l’economia. All’articolo 4 si prevedevano regole ambientali e igieniche" (questo oggi ci dice niente?). Per contro, il Financial Stability Board escludeva la necessità di nuove regole nell’economia, ritenendosi sufficiente l’introduzione solo di alcune nuove regole per la finanza. A prevalere fu allora il Financial Stability Board, fermo che da allora comunque di financial stability se ne è vista poca.

    Aspenia n. 96

    MONEY WATCH

    IL POTERE DEI SOLDI

    Molti Stati oggi si avvalgono di strumenti economici per aumentare il proprio potere geopolitico. Se l’Unione Europea intende diventare un attore di rilievo in questa nuova era, dovrà calibrare attentamente la sua risposta alle minacce di coercizione economica.

    Il principale campo di battaglia su cui oggi le grandi potenze competono non è militare ma economico. È un campo nel quale, per ragioni geopolitiche, pongono condizioni per accedere al proprio mercato e usano strumenti come tariffe, quote e penalità volte a stabilire un level playing field, combinati con strumenti come controlli delle esportazioni, sanzioni e regolamenti sui dati. La Cina, la Russia, la Turchia e persino gli Stati Uniti – stretti alleati dell’Europa – hanno punito altri paesi per le loro scelte politiche o hanno cercato di impedire che facessero determinate scelte, esercitando pressioni sulle aziende per indurle a cambiare comportamento e assicurandosi l’accesso a informazioni sempre più sensibili attraverso l’applicazione – o la minaccia di applicazione – di tariffe o altri tipi di restrizioni al commercio, di boicottaggi popolari, sanzioni finanziarie, controlli sulle esportazioni e trasferimenti forzati di dati sensibili. La Cina è diventata un rivale sistemico degli Stati europei, degli Stati Uniti e di altri paesi liberaldemocratici in tutto il mondo.

    Tuttavia, il cambiamento nella politica internazionale è più profondo dei tentativi di coercizione di un singolo attore. Un gran numero di paesi combina sempre più l’azione dello Stato con la geopolitica e l’economia; usano strumenti economici per accrescere il potere geopolitico e la geopolitica per aumentare il guadagno economico. Il loro peso economico sta crescendo in rapporto a quello dei paesi del G7, che nel 2050 probabilmente non rappresenteranno più del 20% del PIL mondiale. Nel 1991 le economie dei sette paesi emergenti (E7) – Brasile, Cina, India, Indonesia, Messico, Russia e Turchia – equivalevano al 37% di quelle del G7 (a parità di potere d’acquisto) ma oggi hanno una dimensione paragonabile ed entro il 2040 potrebbero arrivare a rappresentare il 50% della produzione mondiale. Gli E7 sono diversi fra loro sotto molti aspetti; non tutti usano strumenti di coercizione ma la loro rapida crescita economica – in particolare quella della Cina – è indicativa dell’ascesa di un nuovo modello di politica economica.

    Molti Stati oggi mettono l’economia al centro di una grande strategia che combina tutti gli strumenti utili per ampliare la propria sfera d’influenza. Gli accordi commerciali non creano solo efficienze economiche, legano i paesi uno all’altro attraverso le catene del valore, consentendo una diversificazione in grado di allontanarli dai mercati degli Stati con cui hanno relazioni geopolitiche difficili. Le filiere trasparenti permettono agli Stati di identificare i punti di pressione da usare contro i loro rivali ma danno anche agli altri lo stesso vantaggio. Le minacce economiche di un governo possono alterare il comportamento di un altro attore. Persino le politiche delle banche centrali hanno conseguenze geopolitiche importanti e gli attori di maggior successo combinano questi strumenti con misure come la cooperazione allo sviluppo, le scuole di lingua, i dispiegamenti militari o le campagne di disinformazione, tutte orientate a ottenere una leva strategica sugli altri e a garantire la propria posizione nel mondo.

    Figura 1 • La quota di PIL globale dell’Europa è prevista in calo

    Figura 1 • La quota di PIL globale dell’Europa è prevista in calo

    Metodologia: La figura mostra una classifica dei paesi basata sulle previsioni di prodotto interno lordo dell’OCSE, comprese le proiezioni di base a lungo termine (fino al 2060), in termini reali. La previsione dell’OCSE si basa su una valutazione del clima economico dei singoli paesi e dell’economia mondiale e usa una combinazione di analisi basate su modelli e di valutazioni degli esperti. Questo indicatore è misurato in dollari americani a prezzi costanti e a parità di potere d’acquisto nel 2010.

    Fonte: Economic Outlook: Real GDP long-term forecast, OCSE, 2021.

    I partner più importanti dell’UE – gli Stati Uniti, il Regno Unito e altri – hanno iniziato a reagire a questi sviluppi potenziando la propria cassetta degli attrezzi geoeconomica al fine di rafforzare le proprie difese per contrastare pratiche sleali contro le quali sono impotenti. Il loro adattamento – assieme all’uso irresponsabile e pericoloso che ha fatto della coercizione economica l’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump – ha contribuito alla nascita di un’era molto più geoeconomica. Il cambiamento è strutturale e l’Unione Europea deve affrontarlo con i suoi strumenti.

    Ci sono tre criteri fondamentali per misurare il potere e la vulnerabilità su questo terreno: capacità offensive, capacità difensive e forza economica.

    CAPACITÀ OFFENSIVE. Comprendono accordi commerciali, aziende pubbliche, tariffe punitive, boicottaggi, controlli delle esportazioni, sanzioni personali e finanziarie e molte altre misure. I governi possono usare questi strumenti per perseguire attivamente politiche che aumentino la loro portata economica e geopolitica. Gli strumenti positivi di questo tipo vanno dagli accordi commerciali agli investimenti e alle partnership di connettività. Durante gli anni della presidenza Trump, quando il suo partner più stretto ha messo a rischio l’apertura del commercio internazionale, l’Unione Europea, per proteggersi dal deterioramento delle relazioni commerciali transatlantiche, ha stretto diversi accordi e aumentato il proprio potere commerciale. Ha anche allargato le sue reti commerciali e di standard comuni attraverso partnership più strette con il Giappone, il Mercosur e altri interlocutori. La Cina e altri quattordici paesi asiatici si sono mossi per ridurre l’influenza degli Stati Uniti creando la Regional Comprehensive Economic Partnership che, contrariamente alla Trans-Pacific Partnership, non comprende l’America. Anche le aziende pubbliche cinesi sono uno strumento offensivo positivo che ha conseguenze negative e a volte persino pericolose per gli europei. La Cina si serve sempre di più delle aziende pubbliche nel suo tentativo strategico di dominare i mercati e di marginalizzare le industrie e le capacità dei suoi concorrenti occidentali. Le aziende pubbliche cinesi, pesantemente sovvenzionate dallo Stato, vendono prodotti – o fanno in modo che le aziende da loro acquisite vendano prodotti – sottocosto, sacrificando il successo economico a breve termine per ottenere un’influenza a lungo termine.

    Figura 2 • La Cina in testa alla Fortune Global 500

    La crescita cinese è guidata dalle aziende pubbliche

    Figura 2 • La Cina in testa alla Fortune Global 500

    Fonti: Fortune Global 500 (2020); The Changing Headquarters Landscape for Fortune Global 500 Companies, Bloomberg, 2020.

    Gli strumenti offensivi negativi utilizzati dagli Stati, invece, sono progettati per esercitare pressione su altri paesi e punirli per la loro condotta. Nel 2018 l’amministrazione americana ha imposto una tariffa del 25% sulle importazioni di acciaio e del 10% su quelle di alluminio, classificando le esportazioni di acciaio e alluminio dell’UE e di altri paesi come minacce alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti (la classificazione è rimasta in vigore nonostante il compromesso raggiunto da America ed Europa a fine ottobre 2021). Dal 2018 l’amministrazione ha anche vietato agli europei di commerciare con l’Iran.

    Nel 2020 la Cina ha limitato del 10% le esportazioni australiane come ritorsione a seguito della richiesta da parte dell’Australia di indagini indipendenti sull’origine del Covid-19. Alla fine del 2019 Pechino ha minacciato di imporre dazi sulle importazioni di automobili tedesche per fare pressione su Berlino affinché accettasse l’offerta di Huawei per la costruzione dell’infrastruttura 5G della Germania – una decisione fondamentale per le infrastrutture critiche future e la sicurezza del paese. Alla fine del 2020 il presidente Recep Tayyip Erdogan ha invitato i turchi a boicottare i prodotti francesi dopo l’annuncio da parte del suo omologo francese, Emmanuel Macron, di nuove misure per combattere l’estremismo.

    Mosca nel 2014 ha vietato l’importazione di una vasta gamma di prodotti agricoli dell’UE, in particolare quelli prodotti in Polonia, come risposta alle sanzioni imposte

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1