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Come portare alla luce la realtà nascosta della malattia: La medicina del futuro
Come portare alla luce la realtà nascosta della malattia: La medicina del futuro
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Come portare alla luce la realtà nascosta della malattia: La medicina del futuro

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Come portare alla luce la realtà nascosta della malattia – Ritorna l’autore de La medicina sottosopra con la nuova edizione ampliata del bestseller Uno!

Come portare alla luce la realtà nascosta della malattia?

Capire perché ci si è ammalati è il primo passo necessario ma non sufficiente per avviarsi verso il recupero della salute e il cammino da intraprendere passa attraverso la ricerca della sofferenza vissuta.

Dopo anni dal suo primo libro, La medicina sottosopra, il pensiero dell’autore si è modificato ed evoluto: pur riconoscendo al Dottor Hamer la sua geniale intuizione della triade “Psiche, cervello, fisico” come motore delle patologie, ha però cominciato a dissentire e prendere le distanze dall’affermazione che la patologia sia un “Programma biologico di sopravvivenza”.

Se così fosse, infatti, non si morirebbe di malattia, come invece avviene.

Dall’ascolto delle storie dei pazienti è emerso un comune denominatore: la patologia deriva dalla necessità di una compensazione simbolica a una sofferenza inespressa.

È questa “nuova” visione della malattia che viene esposta in questa nuova edizione ampliata, corretta e aggiornata.

Con questo libro scoprirai:
  • Malattia e compensazione simbolica
  • Il linguaggio dell’inconscio
  • La simbologia del corpo
  • … e molto altro ancora.
Un libro di Giorgio Mambretti.
LanguageItaliano
PublisherUno Editori
Release dateMar 4, 2022
ISBN9788833802848
Come portare alla luce la realtà nascosta della malattia: La medicina del futuro

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    Book preview

    Come portare alla luce la realtà nascosta della malattia - Giorgio Mambretti

    Ringraziamento alla Vita

    Ho avuto una vita fortunata e più mi guardo intorno più mi dico che dovrei passare le mie giornate a ringraziare, anche se non so bene chi: la Vita, lo Spirito, me stesso? Nel dubbio ho deciso che forse il miglior ringraziamento è aiutare gli altri, chi me lo chiede.

    Oggi mi sento ricco: non di soldi, che arrivano quando ne ho bisogno, ma di tutte le esperienze fatte. Ho incontrato molte persone interessanti e tutte mi hanno trasmesso qualcosa. I primi sono stati naturalmente i miei genitori che ho spesso contestato mentre erano in vita, ma che ho profondamente apprezzati quando se ne sono andati. Alla loro dipartita hanno, per così dire, passato il testimone alla compagna della mia vita che ha fatto il resto forgiandomi come solo una donna che ama sa fare.

    Ho percorso una lunga strada sulla quale gli amici incontrati erano le guide che m’indicavano la direzione e tutti mi hanno messo di fronte al mio lupo mannaro¹, che mi accompagna fin dall’infanzia. A forza di dovermi confrontare con lui ho imparato che tanto valeva farselo amico, piuttosto che combatterlo, perché tutte le volte che ti opponi a quello che credi essere un nemico, lo rinforzi.

    Così è anche per la malattia: meglio dunque accettarla, capire il suo messaggio, guardarla in viso e pregarla di andarsene.

    Nelle pagine che seguono citerò spesso il dottor Pierre Jean ThomasLamotte per due ragioni: primo, perché è giusto e doveroso riconoscergli la paternità di alcuni concetti che esporrò; in secondo luogo perché so, per esperienza, che un medico ha molta più credibilità per il fatto di appartenere a quella categoria cui siete abituati a dare fiducia. L’apporto di un neurologo di chiara fama nel suo paese rende più credibili concetti che si discostano dalla medicina tradizionale e contribuisce a spianare la via all’affermarsi di nuove idee che in realtà totalmente nuove non sono. Altri hanno avuto intuizioni similari ma i tempi non erano forse ancora maturi per una loro diffusione.

    Sono passati diversi anni da quando ho scritto il mio primo libro La medicina sottosopra, edito da Amrita; da allora, come si suol dire, molta acqua è passata sotto i ponti e molti pazienti nel mio studio, cosicché il mio pensiero è andato evolvendo. Come sempre è l’ascolto delle pene dei pazienti a suggerire un cambio di rotta e, dalle loro storie, è emerso un comune denominatore: la patologia deriva dalla necessità di una compensazione simbolica a una sofferenza inespressa. È questa nuova visione della malattia che ho cominciato a esporre nel mio secondo libro Una chiave per guarire² e che preciso, spero con maggior chiarezza, nelle pagine che seguono.

    Come è nella natura delle cose, anche la mia vita è ormai sul viale del tramonto, così mi sorprendo a pensare nei rari momenti in cui ne ho il tempo. Nonostante le continue sollecitazioni, ho deciso di non tenere più corsi di formazione o conferenze varie nella convinzione, forse errata, che lascino il tempo che trovano. Troppo spesso mi è sembrato di leggere sul viso degli ascoltatori sconcerto o indifferenza per i concetti che cerco di esprimere nel modo più semplice e chiaro che mi riesce, anche se, di tanto in tanto, m’imbatto in qualcuno che mi sollecita ad approfondire; ma poi chi applica veramente nella propria vita quel che credono di aver capito? E anche chi cerca di farlo mi dà spesso l’impressione di aver capito Roma per toma. Peggio ancora, alcuni cercano, pur lodevolmente, di aiutare gli altri ma senza preoccuparsi di sistemare prima le loro problematiche.

    Quest’ultimo libro (nel senso che non ne scriverò altri, anche se mai dire mai) vorrebbe quindi avere la pretesa di essere una specie di testamento in cui cercherò di mettere nero su bianco i meccanismi, le chiavi che permettono ai pazienti di aprirsi le porte delle loro problematiche sia fisiche che comportamentali. Sono convinto che nessuno guarisce nessuno ma che è il paziente stesso che si è incasinato la vita il solo in grado di riportarvi un po’ di ordine; io mi limito a indicargli la strada, ma non posso cambiare al suo posto.

    Vi consegno dunque il mio piccolo sapere e chi vuole approfittarne mi farà contento; non avrò faticato invano. Come tutti gli scritti che hanno la presunzione di essere in qualche modo didattici, sembrerà un po’ noioso al lettore; tuttavia una certa precisione nei passaggi logici è necessaria per la chiarezza.

    Mi è capitato più di una volta di avere per le mani dei testi di materie a me sconosciute: ad esempio un trattato d’idraulica, un manuale per elettricisti e altri ancora. Non ci capivo niente e ben presto abbandonavo la lettura. Più un testo è erudito e complesso e meno diventa comprensibile ai non addetti ai lavori.

    Perciò, nel breve esposto che segue, ho cercato di essere il più semplice e comprensibile possibile. Non me ne vogliano gli eruditi della materia; queste righe non sono per loro che conoscono già molto ma sono destinate a coloro che non masticano tutti i giorni termini di fisiopatologia.

    Una raccomandazione: questo libro, come i miei precedenti, non è un’amena lettura nei momenti di riposo ma va letto, riletto e studiato anche se alla fine non ci sarà nessuno che vi interrogherà e vi darà il voto, tranne forse la vostra coscienza.


    1 L’inconscio, sempre in agguato per tutta la vita.

    2 Una chiave per guarire, Infinito Editori (2010).

    Premessa

    Capire perché ci si è ammalati è il primo passo necessario ma non sufficiente per avviarsi verso il recupero della salute e il cammino da intraprendere passa attraverso la ricerca della sofferenza vissuta. Sapere che la rottura di un tubo del bagno è alla fonte della macchia sul soffitto non elimina il problema, ma è l’indicazione necessaria per risolverlo: occorre l’intervento dello specialista ovvero, nella fattispecie, dell’idraulico. Nel frattempo potrete adottare una contromisura temporanea, come per esempio chiudere il rubinetto centrale dell’acqua.

    Così anche per la malattia: bisogna innanzitutto ricercare la causaprima ricorrendo all’aiuto di un terapeuta, cercando nel frattempo di alleviare il sintomo, un dolore o un’infezione.

    L’origine di tutte le patologie, nessuna esclusa, è un istante angoscioso che si cristallizza in una parte recondita dell’essere e che trasforma l’evento che l’ha provocato in un dramma permanente, che obbligherà l’individuo a reagire con un sintomo tutte le volte che sarà nuovamente confrontato a quella sofferenza. La funzione del terapeuta è dunque quella di aiutare il malato a estirpare la spina nel fianco seppellita nel suo inconscio tanto da diventare inaccessibile alla sua coscienza. È un lavoro di ricerca che alle volte può richiedere un certo tempo e che non impedisce certo l’uso di terapie che siano in grado di rendere i sintomi più sopportabili. Perché tutti soffriamo? Le varie religioni ci raccontano la loro visione del problema.

    I cattolici mettono il peccato all’origine delle nostre sofferenze inculcandoci così un bel senso di colpa; i buddisti ci spiegano che l’attaccamento alle cose, alle situazioni, è la fonte delle nostre pene; la religione islamica se ne inventa un’altra... e la confusione è totale!

    Naturalmente ciascuno ha le sue ragioni e senz’altro una buona percentuale di verità ed è probabile che tutti dicano le stesse cose con parole diverse, ma proprio qui sta il punto: è il linguaggio di ciascuno la barriera alla comprensione dell’altro.

    Ognuno ha diritto di credere quel che vuole e avrà comunque il mio rispetto, la mia approvazione poiché inconsciamente è ciò che cerca, ma purtroppo il risultato è un mondo confuso, che non sa più a chi credere, che non accetta le diversità poiché, per tradizione, se qualcuno ha ragione l’altro deve necessariamente essere nel torto. Bene e male, sempre la stessa dualità che divide invece che unire, come due opposti che si combattono invece che le due facce della stessa medaglia!

    Così abbiamo perso la bussola – seppur l’abbiamo mai avuta!

    In sintesi e con parole diverse, l’essere umano soffre tutte le volte che accade un evento contrario alle sue attese e che lo obbliga, volente o nolente, a reagire. Quando la sofferenza patita è inespressa, rischiando così di perturbare il suo equilibrio, ecco che un meccanismo inconscio di compensazione è allora necessario per ristabilire simbolicamente la stabilità perduta. Questa compensazione, all’apparenza assurda, è il sintomo che si manifesta a posteriori: non risolve il problema e per di più ci fa ammalare.

    Sono questi i passi che svilupperò nelle pagine che seguono avvalendomi di molti casi, tutti reali, che mi serviranno a illustrare i concetti esposti; ma guai a generalizzare, poiché ogni persona è unica e diversa da tutte le altre, ha la sua storia, la sua educazione, la sua situazione sociale e ciò che è valido per lei non lo è per nessun’altra.

    È solo l’ascolto attento e compassionevole della sofferenza che può guidare verso quel suggerimento che spesso risulta esser risolutivo delle sue pene. Inoltre non si può usare lo stesso linguaggio con un agricoltore e con uno scienziato. Anche se apparentemente presentano il medesimo problema, al primo bisogna disquisire in termini di semi, lattuga e pomodori mentre al secondo è preferibile rivolgersi parlando scientificamente.

    Da ultimo, ma non meno importante, chi volesse aiutare gli altri farebbe bene a ripulire prima i suoi scheletri altrimenti corre il rischio di indurli nei suoi pazienti. Conosco molti buoni samaritani spinti dalle più lodevoli intenzioni ma che, di fatto, fanno solo un gran casino!

    Sono consapevole che un lungo elenco di esempi può dispiacere a qualche lettore poiché spezza la continuità del testo, ma ho la speranza che i casi riportati possano accendere una luce a chi si riconosce nelle stesse patologie, permettendogli di intraprendere una strada consapevole per il recupero della salute fisica e comportamentale o facendogli scoprire il senso nascosto degli eventi spiacevoli della sua vita.

    Prologo

    Passeggiavamo in riva al fiume in una tiepida giornata autunnale. Le foglie ormai secche erano sparpagliate da una brezza leggera che sembrava sussurrare teneri messaggi alle nostre orecchie. L’amico che mi accompagnava era in vena di confidenze, di quelle che sorgono spontanee quando le circostanze sembrano favorevoli e io ascoltavo assorto nei miei pensieri, quando una sua frase sembrò risvegliare i miei sensi e allertare il mio cervello: «L’altro giorno, mentre camminavo tra la gente» mi stava dicendo «ho avuto come una visione che mi ha lasciato interdetto e che ancora non so spiegarmi».

    Il mio amico è una persona intelligente, colta e sensibile e io lo ascolto volentieri perché ho sempre qualcosa da imparare.

    «A un tratto, la folla che mi circondava e che andava e veniva» continuava a raccontare «mi è apparsa completamente diversa; non avevano più sembianze umane ma sembravano automi, manichini meccanici, robot che si muovevano senza meta apparente, come spinti da una forza a loro estranea. Per un buon quarto d’ora non sono riuscito a capacitarmi di cosa mi stesse succedendo e mi sembrava d’essere ammattito; poi, così com’era venuta, quella visione è svanita».

    Avrei voluto rassicurarlo e confermargli che alle volte capita di sognare a occhi aperti o che spesso diamo libero sfogo alla nostra immaginazione o che forse la sera prima aveva visto un film sui marziani. Invece, quasi senza rendermene conto, non potei fare a meno di replicare: «Amico mio, credo che per qualche minuto tu abbia visto il mondo reale perché quello che ci appare tutti i giorni è pura illusione!».

    Nell’opera La realtà come costruzione sociale Peter L. Berger e Thomas Luckmann³ affermano che la realtà non è qualcosa a priori, ma è costruita come prodotto dell’attività umana, seguendo un processo dialettico.

    Per i buddisti la realtà non è altro che una proiezione illusoria.


    3 Peter Ludwig Berger (Vienna, 17 marzo 1929) è un sociologo e teologo austriaco naturalizzato statunitense, noto principalmente come coautore insieme a Thomas Luckmann del saggio La realtà come costruzione sociale.

    PARTE PRIMA

    1.

    Tanto per cominciare...

    L’essere umano è veramente strano! A prima vista sembrerebbe che gli piaccia soffrire e che ce la metta proprio tutta per incasinarsi la vita. Che sia dotato di un quoziente intellettivo elevato, normale o mediocre non conta granché e, prima o poi, ne combina qualcuna e si lamenta, si sente in colpa, accusa l’amico, la moglie, i figli, il collega, il mondo e, quando non sa più a che santo votarsi, incolpa Dio: si dimentica, non sa – o nessuno glielo ha mai detto – che è lui l’artefice della sua vita e che farsela bella o brutta dipende, in ultima analisi, solo da lui!

    Ciascuno di noi è solo davanti all’esistenza, anche se si trova in uno stadio circondato da centomila persone: è solo, punto e basta!

    «Sì, belle parole» direte voi «ma io soffro ugualmente e sono malato: spiega come uscirne, se ne sei capace!».

    Raccolgo la sfida e cercherò di mostrarvi "l’altra faccia della medaglia", la realtà nascosta; racconterò una storia che vi sembrerà incredibile, senza senso, completamente all’opposto di tutto quanto vi è stato inculcato fino a oggi, contraria alle vostre convinzioni e alle vostre credenze... e alle mie di tanti anni fa. Eppure, a forza di battere il naso e di ascoltare storie di umana sofferenza, sono stato costretto, mio malgrado, a soccombere all’evidenza e ribaltare la mia visione di quella che pensavo essere la realtà. Il mondo capovolto è diventato il mio credo e il modo di interpretare gli accadimenti quotidiani, non solo miei ma di tutte le persone con cui entro in relazione, è ora la mia droga.

    Incontrando qualcuno, non posso fare a meno di osservare i suoi tratti, i colori dei vestiti che indossa, gli anelli che porta cosicché, con un solo sguardo superficiale, riesco spesso a farmi un’idea del suo carattere, dei suoi problemi, delle sue sofferenze. All’inizio non mi facevo scrupoli a esternare le mie deduzioni ma poi, dopo aver perso molti amici, mi sono rintanato nel mio guscio e non scucio parola se non dietro reiterate insistenze: la gente non vuole sentirsi dire perché soffre, non ama ascoltare la parola che l’obbligano a riflettere, a prendere coscienza dei suoi malesseri, ma cerca la bacchetta magica o la pillola miracolosa. O dite ciò che vuol sentire o è meglio fare gli inglesi: parlare del tempo!

    Così il mondo continua nella sua beata ignoranza, nel suo torpore, nel suo sogno illusorio e molte persone non si accorgono di lasciare che la vita scivoli su un binario che non hanno scelto. Continuano testarde nel loro tran tran e, se poi qualcosa va male, beh c’è sempre il medico! Qui casca l’asino: veramente pensate che i dottori abbiano le chiavi della vostra guarigione, dal momento che sembrano ignorare la realtà profonda della malattia? Certo conoscono molte nozioni, sanno a che cosa serve un cuore, uno stomaco, un piede, conoscono i valori di tutti gli esami possibili e immaginabili e si affannano a cercare il colpevole, il microbo, il virus responsabile di tutte le malefatte e, quando non lo trovano, ricorrono all’ereditarietà. Eppure certamente sanno che nel nostro corpo esistono da 8 a 10 volte più microbi che cellule e che siamo colonizzati da un migliaio di specie di batteri senza che per questo siamo necessariamente ammalati! Enormi risorse sono state e vengono costantemente impiegate alla ricerca del colpevole di tutti i nostri malanni e a Parigi l’istituto Pasteur fagocita miliardi, dimentico della confessione che Louis Pasteur avrebbe fatto al suo amico Claude Bernard: «Claude, mi sono sbagliato: l’importante non è il germe microbico, ma il terreno e quello che vi sta sotto»! Per la medicina in serie e di massa, il sintomo è il solo nemico da debellare e su di esso si accaniscono i ricercatori mai paghi delle continue sconfitte e, poiché esso è spesso causato da alterazioni chimiche, ecco che usano la chimica per combatterlo, affidandosi ciecamente ai freddi e impersonali risultati di laboratorio. Questo gli hanno insegnato e questo applicano.

    Purtroppo si dimenticano che l’essere umano non è solo un insieme di strutture fisiche, ma è una realtà complessa in cui psiche e cellule sono strettamente collegate e, se lo spirito soffre, difficilmente si può guarire.

    Spesso la maggioranza dei medici non si cura di stabilire una sorta di alleanza terapeutica con il paziente che è prima di tutto un essere umano che soffre e che non sa a chi confidare le sue pene (per loro, queste riguardano gli psicologi) e così le consultazioni, invero assai rapide, si limitano a una semplice lettura di esami clinici.

    «Caro signore i suoi sintomi non mi piacciono; le prescrivo degli esami del sangue».

    Poi, leggendo i risultati: «Ah ecco, ha il colesterolo alto, così non va, lei rischia l’infarto»!

    «Prenda queste pillole per un mese, osservi questa dieta e poi torni a trovarmi; fa 150 euro, grazie»!

    «Grazie un corno, che ho il colesterolo alto lo vedo anch’io senza dover studiare per dieci anni; mi spieghi piuttosto perché i valori si sono alzati», tentate di ribattere con un filo di voce.

    «Sarà l’alimentazione, lei mangia troppi insaccati e troppa carne», sentenzia il luminare.

    «Veramente sono vegetariano» osate sussurrare a fil di voce quasi vi vergognaste di contraddirlo.

    «Allora è senza dubbio ereditario». Fine della consultazione!

    E così mettete la coda tra le gambe, addirittura vi scusate col grande uomo che salva le vite, comprate le vostre pillole, ingrassate il farmacista e le case farmaceutiche e... vi avvelenate il fegato!

    Le vostre occupazioni riprendono a inghiottirvi, non c’è tempo per ascoltarsi e poi tutti fanno così... e vi sentite rassicurati: mal comune, mezzo gaudio!

    A me tutto questo sembra allucinante, un film tragicomico che si ripete all’infinito.

    Qui c’è qualcosa che non quadra, un tassello che manca, i conti non tornano o forse più semplicemente tornano solo per alcuni. Gli interessi di un’esigua minoranza prevaricano quelli di molti. Quei pochi, con la scusa di salvare le vite altrui, hanno trovato il sistema di riempire le loro tasche e noi gli abbiamo dato questo potere senza fiatare e porci delle domande.

    Ci dicono di fare una mammografia tutti gli anni in prevenzione ma la contraddizione in termini mi pare evidente, poiché recenti studi hanno dimostrato che la mammografia non è poi tanto innocua quanto si pensava, anzi! L’intenzione sembrerebbe lodevole giacché un depistaggio precoce permetterebbe d’intervenire prima che le cose si complichino ma, fino a che la sofferenza cha ha causato la patologia resta nascosta nell’ombra, il problema rischia di ripresentarsi.

    Ci obbligano a smettere di fumare per evitare il cancro ai polmoni, ma nessuno sa spiegare perché un fumatore si becca un tumore alla laringe, un altro alla trachea o al polmone, un altro un enfisema e mio nonno che ha fumato alfa fino a novant’anni si è spento lentamente per graduale usura dei suoi organi e ha sempre avuto una salute di ferro. Fintanto che si confondono i fattori di rischio con la causa primaria di una patologia, non se ne caverà un ragno dal buco!

    Mi sfiora spesso il dubbio che la cosiddetta prevenzione non sia altro che un buon sistema per aumentar il giro di affari e poter vendere più farmaci anche se, lo ammetto, non bisogna fare di tutta l’erba un fascio. Per non parlare poi della mania dei vaccini, che sono spacciati per la panacea contro tutti i mali! Molto è stato scritto in proposito finanche a mettere in dubbio le teorie di Pasteur. Che poi si arrivi a proporre una vaccinazione contro il papilloma virus del collo dell’utero medicalizzando le ragazzine in giovane età mi sembra aberrante. Come mai nessuno si pone la domanda del perché alcune donne soffrono di questa patologia e non altre? Mi sembrerebbe essenziale chiederselo per capirne l’origine.

    Tutti noi riceviamo continuamente richieste di denaro per lo studio della tal malattia e della talaltra e la ricerca è diventata il chiodo fisso del nostro tempo. Mi sono sempre chiesto che cosa ricercano se non trovano mai niente e, anche se pensano di aver individuato qualcosa oggi, domani si accorgeranno di essersi sbagliati. Solo in Italia, nell’ultimo mezzo secolo, è stata spesa una fortuna per la ricerca sul cancro ma nulla si è scoperto sulla causa delle malattie tumorali: solo ipotesi! In compenso è stata per alcuni di voi una buona occasione per regalare una bella azalea alla vostra mamma! Il problema è che si guarda sempre nella stessa direzione senza avere il coraggio d’imboccare strade diverse e così si è prigionieri di un labirinto senza via d’uscita. Mai li sfiora il dubbio che, forse, stanno cercando dalla parte sbagliata.

    C’è da perdere la testa se solo ci si ferma a riflettere, ma se pensate, la società vi emargina, diventate pericolosi e rischiate di essere stritolati dal potere. Allora tanto vale continuare a far finta che sia così e... così sia, tanto alla fine moriremo tutti!

    E se la storia fosse un’altra?

    L’essere umano è convinto che tutto dipenda dalla sua mente e, per lui, ciò che conta è essere intelligente, pensare e riflettere e trarre conclusioni.

    Di buon mattino si alza e sceglie di mettersi dei jeans rossi, delle scarpe con i tacchi e al dito medio quel bell’anello che ha regalato mamma che, d’altronde, è troppo grande per le altre dita. Crede di aver scelto ma, in realtà, così non è.

    Decide di cambiare automobile e comprare una Punto color argento convinto di aver scelto quel modello e quella tinta: nemmeno per sogno!

    Si reca al lavoro, tampona un veicolo e si rompe un dito della mano. «ero distratto» pensa, ma la realtà è un’altra. (Per inciso, nessuno si chiede come mai alcune persone escono illese da incidenti gravissimi mentre altre si massacrano per un semplice tamponamento). Ha questa o quella malattia. «Che scarogna, che destino avverso»: questo è ciò che la mente gli propina, ma la verità sta da un’altra parte.

    Mi sembra già di sentirmi dare del matto da qualcuno ma, se avrete un po’ di pazienza e aspettate a chiudere il libro, forse alla fine sarò riuscito a instillare qualche dubbio nelle vostre menti.

    Allora cominciate a tenervi forte: chi decide tutto per noi a livello del singolo, del gruppo, di un partito politico o di un altro, di una guerra o della pace, di una regione, di una nazione, del mondo è... l’inconscio del singolo, del gruppo, della nazione, del mondo! Certo non sono io il primo a scoprirlo. Illustri esempi che tutti conoscerete mi hanno preceduto.

    È lui il colpevole, il responsabile di tutto (in realtà si tratta solo di un meccanismo, ma l’essere umano deve ben poter incolpare qualcuno dei suoi malesseri)! Esso risponde a una logica precisa, ferrea e applicabile in ogni circostanza.

    L’inconscio parla la sua lingua e si esprime, anche nel nostro corpo, attraverso i simboli. È la simbologia che dovrebbe essere presa in considerazione, è il significato simbolico di ogni singola struttura del corpo umano che può portare alla comprensione delle mutazioni fisiche che chiamiamo malattie. È l’ascolto attento della storia del paziente sofferente che permette di comprendere il perché, ad esempio, ha il colesterolo alto o qualsiasi altra patologia. Purtroppo tutto ciò non è insegnato ai futuri medici nelle cui mani noi mettiamo la nostra vita!

    L’inconscio mette il becco dappertutto! Ne volete un piccolo esempio?

    Ogni medicina che comprate in farmacia contiene all’interno della confezione un foglietto illustrativo della composizione chimica del prodotto, della posologia consigliata e un lungo elenco di probabili effetti collaterali preceduto dalle parole: «Si possono verificare...». Qui sta il punto: o gli effetti si manifestano per tutti, e allora l’avvertimento è giustificato, oppure, se solo alcuni ne soffrono, bisognerebbe chiedersi perché loro e non altri? Come mai su mille persone 990 non presentano sintomi indotti dal prodotto farmaceutico mentre dieci li manifestano?

    Per me la risposta comincia ormai a essere evidente: la persona che è afflitta del cosiddetto sintomo collaterale vive uno stress che la destabilizza e il suo inconscio, che lo sa bene, coglie l’occasione dell’assunzione di quel determinato farmaco per mettere in atto una compensazione simbolica che ristabilisca l’equilibrio perduto. Niente conflitto = niente sintomo!

    Come si chiama in gergo quel maledetto foglietto che i più detestano leggere? L’inconscio ha coniato la parola più appropriata, «bugiardino»: non vi viene da sorridere?

    Il linguaggio dell’inconscio

    Affinché un’informazione giunga a destinazione, ha bisogno di un supporto: l’elettricità passa attraverso i fili, l’acqua si serve dei tubi e le immagini di uno schermo.

    Così l’inconscio per comunicare col cervello, centro di comando delle strutture fisiche, si serve dei simboli.

    La parola greca symbolon (gettare con, mettere insieme) indica in origine un rapporto che s’istituisce tra due oggetti ed entità separate, quasi fondendole insieme; ma essa è passata molto presto a definire aspetti essenziali della comunicazione e del pensiero umano, dando luogo ad accezioni molto diversificate e contrastanti. Si ha un simbolo quando si dà un rapporto più profondo tra significante e significato, quando l’oggetto che rappresenta un altro oggetto è legato a esso da rapporti di somiglianza, da qualcosa di più intimo, che può essere anche assai vago e indeterminato e può richiamare valori profondi non immediatamente manifesti nel linguaggio comune.

    Per Georg Groddeck, i simboli appartengono alla storia dell’uomo e sono sempre esistiti.

    L’interpretazione dunque della causa prima di una patologia non può prescindere dalla conoscenza simbolica delle varie strutture fisiche (vedi pagine seguenti) poiché il simbolo è l’unico supporto a disposizione dell’inconscio per comunicare col cervello, artefice della compensazione e quindi del sintomo.

    L’inconscio in azione

    Scrive Groddeck:

    «Non è sorprendente che non ci ricordiamo più niente dei nostri primi tre anni di vita? Non ho ancora incontrato nessuno che si ricordi i suoi primi passi, il modo in cui ha imparato a parlare, a mangiare, a vedere, a capire. Eppure sono degli eventi importanti. [...] Perché dimentichiamo tutto questo? In realtà noi non scordiamo per nulla quei primi tre anni; il loro ricordo non fa che lasciare il nostro conscio per continuare a vivere nell’inconscio dove resta tanto tenacemente che tutto quello che facciamo deriva da questo tesoro di reminiscenze inconsce: camminiamo come abbiamo imparato a fare a quell’epoca, mangiamo, parliamo, proviamo le stesse sensazioni di allora. Esistono dunque dei ricordi che sono scacciati dal conscio, pur essendo di vitale importanza e che, proprio perché indispensabili, sono conservati nelle regioni del nostro essere che abbiamo battezzato col nome d’inconscio»⁴.

    Che cosa s’intende dunque per inconscio?

    Per Freud è quell’insieme di processi che non pervengono alla coscienza e perciò sono impossibili da controllare.

    In seguito Jung introdusse il concetto di inconscio collettivo, il serbatoio del patrimonio dell’umanità, degli archetipi.

    Wilfred Bion, psicanalista britannico, affermava che

    «i fenomeni che hanno origine dall’inconscio, dipendono da come si sono sedimentate le tracce di esperienze precoci che risalgono fino alla primissima infanzia e dal ruolo che in tali circostanze ha svolto la madre (o il sostituto eventuale)».

    Per il maestro zen vietnamita Thich Nhat Hanh⁵, l’inconscio farebbe parte della coscienza profonda dell’essere umano, la cui funzione è quella di conservare i semi positivi e negativi seminati da noi stessi, dai nostri genitori, dall’educazione ricevuta, dai nostri antenati e dalla società.

    Per il medico e psicanalista tedesco Georg Groddeck, il corpo intero parla attraverso tutti i suoi organi, tutte le sue funzioni e le malattie segnalano delle ferite! Esse sono un autentico relais verso le profondità del nostro essere.

    Tutti questi signori e molti altri ancora non sono degli illustri sconosciuti: hanno speso la loro vita a indagare nelle profondità dell’essere umano e, se sono arrivati all’incirca alle stesse conclusioni,

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