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Il Senso degli Eventi - Psicogenealogia e Analisi Transgenerazionale
Il Senso degli Eventi - Psicogenealogia e Analisi Transgenerazionale
Il Senso degli Eventi - Psicogenealogia e Analisi Transgenerazionale
Ebook560 pages8 hours

Il Senso degli Eventi - Psicogenealogia e Analisi Transgenerazionale

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Il saggio si propone di studiare e analizzare, in relazione alla famiglia transgenerazionale (genitori, nonni, bisnonni, trisnonni, e fin dove sia possibile salire nelle generazioni) un disagio, uno stato conflittuale, luttuoso o traumatico, vissuto direttamente ma che si percepisce non appartenere alla propria storia personale. Studiare in chiave psicoterapeutica la Psicogenealogia vuol dire costruire e analizzare il proprio albero psicogenealogico, affrontare e concludere quanto non è stato risolto nelle e dalle generazioni precedenti; vuol dire affrancarsi da debiti (non solo materiali) che non ci appartengono; vuol dire sapere se si è un bambino di sostituzione, vuol dire trasformare un lutto e lasciare andare chi deve andare. Si imparerà a leggere tra le righe, a capire il senso del proprio nome, a comprendere l'importanza e il senso degli eventi, si imparerà a conoscere il linguaggio dei simboli. Si capirà che essere leali e fedeli non vuol dire vivere o rivivere la vita di chi amiamo o di chi fu amato. Si capirà che non sono le catene ma altro a mantenere i legami affettivi importanti, e che non si onorerà nessuno se si sacrificherà o se si rinuncerà alla propria vita.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMar 1, 2022
ISBN9791220381796
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    Il Senso degli Eventi - Psicogenealogia e Analisi Transgenerazionale - Tiziana Masia

    Anteprima Primo Capitolo

    Psicogenealogia e analisi transgenerazionale

    Egli cercò di diventare occhi per il cieco,

    orecchie per il sordo e grido sulle labbra

    di coloro la cui lingua era stata serrata.

    Il suo desiderio era di essere la tromba

    con cui potessero arrivare al cielo

    le moltitudini che mai avevano avuto voce

    Oscar Wilde

    Primo Capitolo

    Psicogenealogia e analisi transgenerazionale

    La psicogenealogia e l’analisi transgenerazionale

    Ampliando il campo di studio della psicogenealogia e dell’analisi transgenerazionale, ovvero lo studio e l’analisi dei rapporti e delle relazioni familiari degli ascendenti in relazione ai traumi, ai conflitti, ai lutti, ai segreti di famiglia, e alla loro influenza sulla nostra vita, ho esteso questo studio e questa analisi ai rapporti e alle relazioni degli ascendenti con gli altri, con gli animali, con l’ambiente, con le cose, con la società, con l’umanità, e come, anche tutto questo, influisca oggi sulla nostra esistenza.

    Il trauma, il conflitto, il lutto, il segreto di famiglia, sono concetti centrali nello studio psicogenealogico e nell’analisi transgenerazionale. Vediamo meglio questi concetti.

    Classifichiamo il trauma in due categorie.

    Ci sono traumi, chiamiamoli maggiori, i quali possono compromettere l’equilibrio di una persona. In questi casi il nostro sistema difensivo potrebbe non essere più in grado di reagire e integrare, in maniera funzionale, le esperienze traumatiche. Sono gli avvenimenti che segnano la nostra vita, la quale non sarà più quella di prima. Parliamo dei lutti significativi, degli incidenti, dei disastri aerei, delle calamità naturali, delle stragi, delle guerre, degli stermini, degli abusi, delle violenze, delle sciagure in genere, e di tutto ciò che accade e che viene vissuto e sentito come ingiusto, ingiustificato e ingiustificabile, ampliando ed estendendo il concetto di Salomon Sellam (2010), psicoterapeuta e medico specializzato in medicina psicosomatica, che lo riferisce solo ai lutti inaccettabili (trattati nel sesto capitolo).

    Poi ci sono i traumi, chiamiamoli minori, i quali possono essere identificati con il conflitto vero e proprio. È il trauma che nel suo significato: ferita (τραῦμα), è incluso nel concetto di conflitto e riguarda le situazioni conflittuali di tipo personale e relazionale, conflitti che, se non risolti, accompagnano una persona per tutta la sua esistenza. Definiamo conflitto uno stato di attivazione emotiva disturbante, generata e conseguente allo scontro di due richieste, di due istanze personali o interpersonali, o di una istanza personale in contrapposizione a una interpersonale, caratterizzate dalla stessa valenza ma opposte. Tali istanze riguardano bisogni, valori, desideri, emozioni, sentimenti e obiettivi dell’individuo contrapposti e incompatibili tra loro, come per esempio il desiderio di raggiungere la propria indipendenza e il bisogno di dipendenza. Soddisfare una richiesta frustra necessariamente l’altra.

    Poi ci sono i segreti di famiglia (trattati nell’ottavo capitolo), eventi vissuti come vergognosi e disonorevoli, taciuti, conosciuti da pochi e tenuti rigorosamente nascosti ad altri.

    La psicogenealogia o psicologia transgenerazionale studia, nello specifico, una condizione attuale più o meno limitante per la propria esistenza, uno stato psichico, uno stato emotivo, un atteggiamento o un comportamento fisico, intellettivo o sessuale, difficile o impossibile da reprimere o da esprimere. Stati interiori e condotte non sempre riferibili, direttamente o indirettamente, a un conflitto personale o interpersonale ma, verosimilmente, riconducibili alle generazioni precedenti iniziando da quella dei genitori. Qualcosa non è stato risolto, non è stato affrontato, o lo è stato in maniera insufficientemente adeguata al momento della sua comparsa e, come una catena legata all’anima, si trascina attraverso la discendenza in attesa di una sua soluzione, causando problemi diversi, di varia rilevanza, nelle generazioni successive.

    La presenza di un trauma, di un conflitto, di un lutto irrisolto o di un segreto di famiglia, si nota maggiormente in età infantile non avendo il bambino sovrastrutture o condizionamenti familiari e sociali; e in età adolescenziale quando la ribellione normalmente è fine a sé stessa, il più delle volte non orientata né alla soluzione di conflitti personali, familiari, scolastici o interpersonali, né al raggiungimento di una vera autonomia di pensiero. Le cause di questa immaturità oltre che personali sono, però, anche neurobiologiche¹. I disagi adolescenziali non sempre trovano una spiegazione all’interno della famiglia; le espressioni emotive e comportamentali di un mal-essere, spesso, non sono del tutto comprese né dai genitori né dallo stesso adolescente.

    A volte, qualcosa trascende il disagio.

    Le nostre difficoltà rappresentano veti e permessi non concessi dagli ascendenti a pensare, a dire, a fare. Quando viviamo un conflitto per capire se è legato al transgenerazionale chiediamoci: questo conflitto mi appartiene? E se non mi appartiene, a chi potrebbe appartenere?

    Due domande e un mondo si apre.

    Se non ne diventeremo coscienti, i nostri figli e poi i figli dei nostri figli, erediteranno divieti e mancate autorizzazioni.

    Le quattro generazioni precedenti la propria nascita, afferma Anastasia Miszczyszyn (2008), studiosa di psicogenealogia, sono costituite da molti individui portatori sani delle risorse e del potenziale necessario per diventare una creatura individualizzata: più saliamo nella genealogia più aumentano le persone e più aumentano le potenziali attitudini. Le abilità che i nostri ascendenti non sono riusciti a esprimere, sono virtualmente presenti nel nostro albero psicogenealogico. Le loro potenzialità inespresse rappresentano le nostre criticità di oggi.

    La nostra personalità ha l’obiettivo di raggiungere quella che Carl Gustav Jung, padre della psicologia analitica, chiama individuazione:

    [...] L’individuazione è […] un processo di formazione e di caratterizzazione dei singoli individui […] un processo di differenziazione che ha per meta lo sviluppo della personalità individuale². […]

    [...] Individuarsi significa diventare un essere singolo e, intendendo noi per individualità la nostra più intima, ultima, incomparabile e singolare peculiarità, diventare sé stessi, attuare il proprio Sé³. […]

    La prevenzione delle conflittualità e il raggiungimento dell’individuazione, dovrebbero rappresentare l’obiettivo prioritario di ogni individuo.

    La prevenzione del conflitto

    I conflitti possono ridurre la vita di una persona a una mera sopravvivenza. Quando percepiamo un disagio o pensiamo di trovarci in una situazione conflittuale, è necessario parlarne.

    Lo sentiamo dire continuamente, ma quello che voglio dire ha una valenza diversa rispetto al confrontarsi con gli altri, allo scambio di vedute o al chiedere il parere dell’altro.

    Non è questo quello che intendo, almeno non inizialmente.

    Ciò a cui mi riferisco è il raccontare semplicemente l’evento in sé, quello che è accaduto, i fatti nudi e crudi. Poi la riflessione e anche un costruttivo confronto con gli altri possono permettere di acquisire una consapevolezza maggiore, di rivalutare la problematica o il conflitto, di ridimensionarli e di affrontarli nella loro apparente o reale gravità. Quando parlo di prevenzione e di risoluzione di un conflitto non mi riferisco mai alla prevenzione o alla soluzione fine a sé stessa, perché in assenza di una adeguata consapevolezza il conflitto sarebbe solo apparentemente risolto, in realtà spostato ad altra situazione e ad altra data. Trovandomi di fronte a un conflitto posso scegliere tre soluzioni.

    La prima soluzione è pratica. Cerco di risolvere praticamente il problema. Cosa vuol dire? Vuol dire che lo tolgo di mezzo materialmente. Se la causa del conflitto è rappresentata dalla presenza disturbante di una persona per esempio, posso decidere di non vederla più. Se questa decisione rappresenta la buona soluzione per me, vale a dire non mi crea un ulteriore disagio, io esco dal conflitto.

    La seconda soluzione mi porta a trovare una soluzione ragionata. Posso decidere di allontanare la persona per me fonte di conflitto vedendola sempre di meno con l’obiettivo finale di non vederla più, o di vederla una volta al mese, o una volta all’anno. Anche in questo caso, se per me questa scelta rappresenta una buona soluzione, ovvero mi rende libera da successivi conflitti, io esco dal conflitto.

    La terza soluzione è quella di rimanere immobile fisicamente, emotivamente, psichicamente e intellettualmente in presenza del conflitto. Darò in questo modo, origine a un blocco dell’azione. Nel caso portato ad esempio, continuerò a vedere e a subire la presenza della persona indesiderata, potrò avere delle reazioni ma che non mi porteranno da nessuna parte, sono e rimango nel conflitto. Le reazioni non cambiano le situazioni, sono le azioni a cambiarle.

    Trasponiamo queste tre soluzioni dove vogliamo, per esempio nel mondo del lavoro. Non sono decisioni facili, pensiamo a un lavoro dove siamo consapevoli di venire sfruttati e sottopagati in relazione alle nostre competenze e in relazione al tempo dedicato.

    La prima soluzione non è immediatamente realizzabile in assenza di una valida alternativa.

    La seconda soluzione è attuabile nella misura in cui le difficoltà incontrate attivino in noi le risorse necessarie per affrontarle o per farci orientare, con i giusti presupposti, verso la ricerca di un nuovo lavoro.

    Con la terza soluzione rimaniamo immobilizzati nel conflitto a tutti i livelli, con tutto ciò che ne può seguire non solo in una condizione come quella lavorativa, ma in una qualsiasi altra situazione conflittuale.

    Come psicoterapeuti sappiamo che il paziente sa bene quello che potrebbe o dovrebbe fare per risolvere una situazione conflittuale, ma normalmente non lo fa. Ed è qui che si intuisce la funzionalità del conflitto, quel vantaggio secondario che permette di rimanere nello status quo, di evitare l’azione, di eludere responsabilità, di evitare decisioni e prese di coscienza che, inevitabilmente, interferirebbero sugli equilibri esistenti sia all’interno di sé stessi sia all’esterno. Alcune situazioni sono oggettivamente difficili ma non impossibili da analizzare e risolvere se affrontate seriamente, prevenirle o almeno agire non appena il conflitto si presenta, sarebbe altamente auspicabile.

    Un altro modo di far prevenzione consiste nel non sottovalutare mai i conflitti infantili, soprattutto quando è il corpo a esprimerli, ci sono bambini che rispondono fisicamente ai conflitti in maniera violenta. Anche a un bambino piccolo è importante parlare, comprendendolo e cercando di inquadrare, quanto più è possibile, il conflitto in una cornice di consapevolezza.

    Si può fare con un bambino? Sì, si può fare.

    Il tempo di risoluzione dipende dal tipo di conflitto, dagli effetti che ha sul bambino, dalle sue reazioni emotive, dai risentiti (illustrati nel sesto capitolo) che potremo intuire, e dalle risorse che riusciremo ad attivare in lui. Il procedimento è valido sia che si tratti di un conflitto personale, familiare o transgenerazionale, sia che si tratti di un bambino, di un adolescente, di un giovane, di un adulto, o di una persona avanti negli anni.

    La strada da seguire, univoca per tutti, è quella di non fermarsi alle giustificazioni e a non ricorrervi.

    Imparare a riconoscere le paure e i limiti e, nel caso dei bambini, sostenerli nella consapevolezza senza giudizi né pregiudizi, senza instillare loro desideri di protagonismo dannosi o di competizioni sleali verso gli altri. Ci sono genitori che vivono i voti o le valutazioni scolastiche dei propri figli come un problema personale, e quanto sia frequente per loro identificare il valore del proprio figlio con un voto o con una valutazione.

    Tralasciando le problematiche di uno o di entrambi i genitori in relazione al proprio valore, anche scolastico, il bambino prima e l’adolescente poi, inizierà a non sentirsi più all’altezza della situazione pur essendolo, a gestire con ansia voti e valutazioni non ritenuti soddisfacenti per i genitori, comincerà a confrontarsi con gli altri senza riconoscere più il proprio valore ma neanche quello degli altri. Le aspettative genitoriali non equilibrate, produrranno stati conflittuali nei figli. Una aspettativa di perfezione renderà i figli insicuri e frustrati, lo stesso accadrà se i figli saranno oggetto da parte dei genitori di lodi continue ingiustificate o, al contrario, di ricorrenti svalorizzazioni. Comprendere le intenzioni sottese ai comportamenti, alle reazioni, ai divieti imposti, che hanno dato origine al conflitto, così come capire quali bisogni andavano a soddisfare quelle intenzioni o quei comportamenti, sono aspetti molto importanti da rilevare, ci consentono la separazione e la restituzione di ciò che non ci appartiene. Le intenzioni, generalmente, non sono negative ma non producono necessariamente un effetto positivo anzi, spesso, accade il contrario.

    Si deve prendere atto di quella che è stata la vita dei nostri ascendenti, senza per questo assumerne o condividerne le responsabilità. Diventa una realtà da accettare nel senso che non c’è più nulla da fare per cambiare le cose, e ciò che è stato trasmesso a livello transgenerazionale non può prescindere da questo.

    Se un conflitto appartiene alla storia della famiglia, possiamo cercare di capire il tipo di influenza che può aver avuto sulle generazioni precedenti e su quelle successive, e quali conseguenze potrebbero esserci su quelle future. Cercheremo il collegamento diretto tra la storia passata del conflitto e quella attuale valutando, inoltre, la diversità dei contesti anche in relazione alle persone, al loro status, alla loro cultura, al loro tempo, nonché alle soluzioni utilizzate. E attualmente, quali potrebbero essere le scelte e le soluzioni per lo specifico conflitto? Come desidereremmo comportarci? Come vorremmo sentirci? Che tipo di risentito vorremo sperimentare dentro di noi? Cosa vorremmo dire, pensare, fare? E in futuro, come vorremmo vederci affrontare la situazione? Come vorremmo che si risolvesse il conflitto? Analizzeremo le soluzioni possibili purché attuabili e traducibili in comportamenti osservabili, anche se con difficoltà. Dovremmo poi scegliere quella più adatta al momento, evidenziando quei comportamenti che potrebbero essere di più immediata attuazione senza escludere altre soluzioni le quali, potrebbero rivelarsi valide in un secondo tempo, magari dopo avere superato le prime difficoltà.

    Si procede poi, se necessario, con degli atti simbolici (trattati nel dodicesimo capitolo), o con altre tecniche se ritenute utili alla risoluzione del conflitto. Se uno o più componenti della famiglia riusciranno, consapevolmente o no, a risolvere (immaginiamoli come nodi da sciogliere) i traumi, i conflitti, i lutti ereditati, i segreti di famiglia, lentamente, inizierà a ristabilirsi l’ordine e l’equilibrio. Ma, se non vi sarà riparazione alcuna, essi tenderanno a ripetersi fino alla eventuale scomparsa di un ramo della famiglia o, nei casi più drammatici, fino all’estinzione dell’intera stirpe.

    Inconscio collettivo e lealtà familiare

    Una delle ipotesi su cui si fonda lo studio della psicogenealogia è l’esistenza dell’Inconscio collettivo, un concetto junghiano che include quello di Inconscio familiare e amplia quello freudiano di Inconscio personale. L’Inconscio collettivo è anche il piano del transpersonale e il piano del transpersonale è anche il livello del transgenerazionale, il suo studio è la psicogenealogia, la sua interpretazione è l’analisi transgenerazionale.

    Conosciamo meglio questi concetti.

    L’Inconscio collettivo è quella parte di Inconscio comune all’intera umanità, è già in nostro possesso alla nascita ma non è personale ed è in contatto, potremmo dire, con il Cosmo.

    Scrive Jung:

    […] Ho scelto l’espressione collettivo perché questo inconscio non è di natura individuale, ma universale e cioè, al contrario della psiche personale, ha contenuti e comportamenti (cum grano salis) che sono gli stessi dappertutto e per tutti gli individui. In altre parole, è identico in tutti gli uomini e costituisce un sostrato psichico comune, soprapersonale, presente in ciascuno⁴. […]

    L’Inconscio collettivo è costituito dagli archetipi i quali non sono mai approdati alla coscienza, né possono essere appresi individualmente perché sono disposizioni, schemi primordiali e universali formati dalle esperienze dell’umanità:

    […] Gli archetipi non sono determinati dal contenuto, […] l’archetipo in sé è un elemento vuoto, formale, […] una possibilità di rappresentazione data a priori⁵. […]

    […] L’archetipo è […] una disposizione a riprodurre rappresentazioni […] corrispondenti alle esperienze che l’umanità ha fatto nel processo di sviluppo della coscienza⁶. […]

    Si tratta, quindi, di una dimensione psichica riconducibile alla potenzialità a reagire, in maniera identica, di fronte a determinate situazioni-stimolo. Quando parliamo di Inconscio collettivo ci riferiamo anche alle esperienze transpersonali le quali implicano, necessariamente, una espansione della coscienza. Il concetto di coscienza nulla ha a che fare con la buona o con la cattiva coscienza.

    Bene lo rappresenta lo scrittore tedesco Eckhart Tolle:

    […] Non sono né i miei pensieri, né le mie emozioni, né le mie percezioni sensoriali, né le mie esperienze. Io non sono il contenuto della mia vita. Sono lo spazio nel quale tutto si produce. Sono la coscienza. Sono il presente. Sono⁷. […]

    L’esperienza del transpersonale si riferisce a una realtà psichica che non si ferma all’individuo ma va oltre i confini personali. Andare oltre la personalità individuale vuol dire espandere la propria coscienza, contemplare anche la spiritualità nell’espressione personale e transculturale delle sue manifestazioni, ma soprattutto l’espressione delle esperienze personali di ordine trascendente. L’Inconscio collettivo include quello che possiamo chiamare Inconscio collettivo familiare, costituito dai vissuti familiari delle generazioni precedenti.

    L’Inconscio personale è formato dalle esperienze personali, ma alcuni di questi vissuti sono stati rimossi; la rimozione (concetto freudiano trattato nel quarto capitolo) è un meccanismo di difesa atto ad allontanare dalla coscienza, rendendoli inconsci, contenuti ritenuti inaccettabili o intollerabili per l’apparato psichico.

    L’intergenerazionale, aggiungo, è la relazione, il rapporto tra generazioni diverse e viventi, per esempio tra nonni e nipoti, tra genitori e figli, tra zii e nipoti, ecc. Spesso sentiamo parlare di conflitto generazionale, un conflitto appunto tra generazioni diverse. I vissuti psichici nella realtà intergenerazionale possono essere elaborati e trasformati nella e dalla generazione successiva; genitori che non hanno studiato, per esempio, insieme ai figli o i figli stessi, possono riflettere sull’importanza della cultura e imprimere in tal senso un cambiamento alla loro vita.

    Cambiamento che può riguardare anche le attività lavorative, le relazioni interpersonali, le relazioni sociali, le relazioni sentimentali, ecc.

    Quando parliamo di transgenerazionale, sappiamo già che ci riferiamo alle relazioni e ai vissuti delle generazioni precedenti.

    L’altro presupposto sul quale si fonda lo studio della psicogenealogia è l’esistenza della lealtà familiare (di cui si parlerà nel decimo capitolo):

    […] Le origini di questa lealtà si rifanno ai legami esistenziali […] fra genitori e figli. Alla nascita, ogni essere umano inizia una relazione irreversibile con i propri genitori, basata in larga parte su affinità biologiche ed ereditarie, e rafforzata dal possesso comune di un lascito di esperienze positive e negative, di attivi e passivi di generazioni passate e di retaggi individuali, oltre che di aspettative e leggi non scritte all’interno dei legami di parentela. […] Nel corso delle generazioni questa lealtà fra genitori e figli cresce su un terreno fertile, le cui proprietà e qualità sono costituite dalla fiducia, dai meriti e dall’equità, accumulatesi nel corso del tempo. […] Essa è alla base di ogni rapporto umano⁸. […]

    Dove vado a cercare la mia trisnonna morta 150 anni fa?

    Come è possibile chiudere una situazione rimasta in sospeso se gli ascendenti sono morti? Per comprendere cosa significhi affrontare qualcosa lontano nel tempo che non ci appartiene direttamente ma che riceviamo in eredità, immaginiamo che mio nonno nella sua vita abbia contratto un debito economico importante e che muoia senza averlo onorato. Questo debito sarà ereditato da mio padre, ma poniamo il caso che anche mio padre si trovi nella impossibilità economica di estinguerlo, io, figlio, mi ritroverò con un debito che non ho fatto, che non ho voluto, dove le mie responsabilità sono state del tutto assenti ma alle quali dovrò comunque far fronte, e allora… cosa fare?

    Davanti a me si aprono due strade: posso non pagare il debito, oppure pagarlo onorando così l’impegno preso da mio nonno.

    Se sceglierò la prima soluzione trasmetterò il debito inevitabilmente ai miei figli. Se opterò per la seconda alternativa, se restituirò il denaro dovuto, non solo sarò affrancato io dal debito, ma lo saranno anche mio padre, mio nonno e la mia discendenza.

    Il fatto che le persone siano morte non cancella il debito. Pensiamo a un omicidio, si cancella se le persone coinvolte sono morte? No, non si cancella, lo vediamo nelle faide familiari che si perpetuano attraverso le generazioni.

    Ora proviamo a sostituire al posto del denaro o di un omicidio qualsiasi altro evento che origini dei conflitti, inizieremo a renderci conto di come funzioni il transgenerazionale.

    I debiti anche nella vita reale si trasmettono agli eredi, solo in alcuni casi questo non avviene, ma che si possa essere legalmente perseguibili o no e che un debito, in alcuni casi, si estingua con la morte della persona a noi poco importa, ciò che va considerato è il suo peso che rimarrà comunque a gravare sulla famiglia.

    Per poter lavorare sul transgenerazionale ci si deve spostare su un piano di pensiero diverso dall’abituale, sul piano del transgenerazionale appunto. Riuscirci non è difficile, già lo facciamo per esempio con la medicina dove una malattia la trattiamo, normalmente, dal punto di vista medico. Una polmonite, nell’immediato, non si può curare né con una psicoterapia né con una indagine psicogenealogica, ma solo con un intervento farmacologico. In seguito potremmo capire cosa abbia permesso il suo manifestarsi, se il contagio, l’indebolimento delle difese immunitarie o altro. Potremmo capirne il significato a livello di decodifica psicobiologica, ovvero della relazione specifica tra il conflitto e l’organo. Potremmo valutare il senso di quella malattia per la famiglia, l’età in cui si è manifestata, il contesto nel quale si trovava la persona in quel momento e, se possibile, anche la sua valenza transgenerazionale. Integreremo poi tutte le informazioni e tutti gli altri livelli, ma solamente dopo l’inizio della terapia.

    Non si può risolvere, quindi, un problema transgenerazionale a un livello diverso dal suo. Dove vado, allora, a cercare la mia trisnonna morta 150 anni fa? La incontrerò attraverso la mediazione di atti simbolici mirati e concordati con il terapeuta.

    Perché ripeto?

    L’Inconscio familiare obbedisce a delle vere e proprie leggi che si fondano sul reciproco rispetto dei diritti e dei doveri, ma se nel mondo della giustizia alcuni reati a causa del tempo possono cadere in prescrizione, quelli transgenerazionali non si prescrivono mai, né per chi li commette né per chi li subisce.

    Quando una regola viene trasgredita ai danni di un membro della famiglia ma non solo (qualsiasi sistema può essere preso in considerazione: storico, sociale, ecc.), o quando un lutto non è stato superato, prima o poi un discendente assumerà su di sé questo onere per ricordare alla famiglia che qualcosa è rimasto ancora in sospeso. È qui, che se non si sceglie la strada della riparazione (di cui si parlerà nel successivo paragrafo e nel decimo capitolo), per una mal intesa e per una mal espressa lealtà familiare si crea il colossale equivoco.

    Si ripeteranno, di fronte a certi eventi sebbene con sfumature diverse, le dinamiche, i comportamenti, le caratteristiche, le inclinazioni, i vissuti emozionali, i risentiti, di colui o di coloro che hanno provocato l’ingiustizia o di chi l’ingiustizia l’ha subita… e così, la storia continua. Parlo del meccanismo della mera ripetizione che poggia il suo incipit sulle memorie transgenerazionali (di cui parleremo nell’undicesimo capitolo).

    Di cosa parliamo se non della coazione a ripetere freudiana, ovvero dell’adesione ostinata a ripetere modelli di vita, comportamenti e stili relazionali?

    Scrive Sigmund Freud fondatore della psicoanalisi:

    […] Ci sono persone che danno l’impressione di essere perseguitate da qualche fato maligno. […] La coazione che si manifesta in questi casi non è diversa dalla coazione a ripetere che abbiamo osservato nei nevrotici, anche se gli individui a cui stiamo accennando non hanno mai mostrato segni riferibili a un conflitto nevrotico. […] Così ci è capitato di imbatterci in persone le cui relazioni finivano sempre allo stesso modo: benefattori che si vedono, in capo a qualche tempo, abbandonati dai loro protégés, […] e che sono così destinati a trangugiare l’amaro calice dell’ingratitudine; uomini che vedono finire nel tradimento ogni loro amicizia; […] amanti […] le cui relazioni amorose […] ricalcano sempre lo stesso schema e si concludono sempre allo stesso modo. Questo eterno ritorno all’identico non ci sorprende […] quando siamo in grado di evidenziare […] un tratto di carattere essenziale che rimane costante nel tempo e che è costretto a manifestarsi nella ripetizione delle stesse esperienze⁹. […]

    Cosa dà vita a questo automatismo rigido e acritico? Dal punto di vista psicogenealogico viene originato dai bisogni non soddisfatti; dalle caratteristiche individuali inespresse; dai debiti non onorati (non solo a livello di denaro); dal mancato affrancamento delle colpe; dalla presenza di segreti mai rivelati e di non detti, quei silenzi parlanti, figli di una comunicazione subdola e avvilente; dai lutti non elaborati; dalle risposte accondiscendenti; dai divieti e dalle mancate autorizzazioni. Questo meccanismo non cambia gli equilibri preesistenti ma li rinforza e li riproduce come fossero delle fotocopie. Tutto ciò viene mostrato dall’analisi transgenerazionale o analisi psicogenealogica e completato con atti simbolici finalizzati a riequilibrare, a ristabilire gli ordini e a spezzare le catene che impediscono la propria realizzazione fisica, intellettuale, emotiva, affettiva, familiare, sociale e lavorativa. In questo modo si onoreranno la persona o le persone coinvolte e si chiuderanno le sequenze emotive rimaste aperte, altro legherà i discendenti agli ascendenti e non queste catene. Se nostra madre o nostro padre sono portatori di una difficoltà esistenziale, è ipotizzabile che qualcuno nella loro ascendenza, forse il trisnonno, non abbia potuto o non sia riuscito a esprimere le sue risorse e le sue potenzialità per superare le difficoltà, risolvere i conflitti, superare i traumi, elaborare i lutti, trasgredire i divieti ritenuti ingiusti, e pensare autonomamente a un proprio progetto di vita.

    Il legame, quindi, è sempre antico.

    Tutto questo accade per una semplice ragione, per il senso di appartenenza e per una lealtà familiare mal compresa che non identifichiamo, non riconosciamo. Talvolta, questa fedeltà cieca e malata, si traduce in una infedeltà verso noi stessi e può condurci nel baratro. Il vincolo è forte, sacro e inviolabile, ma può trasformarsi in un nodo scorsoio.

    Quando avvertiamo che qualcosa non va, dovremmo chiederci: come mi sento? Cosa mi fa sentire così? Questo mal-essere mi appartiene? E se non appartiene a me, a chi potrebbe appartenere?

    La sensazione di mal-essere quando la identifichiamo come espressione dell’intergenerazionale o del transgenerazionale, deriva dal conflitto che si crea tra l’essere fedeli a sé stessi (come dovrebbe essere) e l’essere fedeli a un componente della famiglia presente o passata (come non dovrebbe essere, almeno non nel modo in cui la fedeltà viene espressa).

    Sotto questo punto di vista, l’intergenerazionale e il transgenerazionale sono sovrapponibili alla struttura del sogno, troviamo infatti un contenuto manifesto nell’intergenerazionale e un contenuto occulto nel transgenerazionale. Si tratta di una semplice intuizione, ma con un potere enorme di sblocco e di apertura immediata della coscienza su più livelli generazionali.

    Più le caratteristiche sono visibili e ripetitive, più gli aspetti da regolare a livello psicogenealogico saranno molti.

    Scelte possibili... o impossibili? Ripeto o riparo?

    Bisogni fondamentali insoddisfatti, conflitti irrisolti o latenti; presenza di paure motivate o immotivate; scelte deludenti, insoddisfazioni lavorative, relazionali e affettive; debiti economici e di gratitudine non onorati; segreti di famiglia mai rivelati, non detti mai interrotti; separazioni e lutti incompiuti mai elaborati; traumi non superati, e quant’altro ci sia stato o ci sia ancora di non risolto, si trasforma in eredità per le generazioni successive.

    Chi raccoglierà questa eredità ha solo due scelte: ripetere o riparare.

    Parlo di scelta anche se non necessariamente consapevole, perché tra un ventaglio di possibilità, comunque, se ne sceglie una. Vediamole meglio.

    La scelta non consapevole della ripetizione può essere individuata nella limitata capacità introspettiva e analitica personale e familiare; nella difficoltà a entrare in contatto con i propri vissuti e con le proprie emozioni; nel prestare poca attenzione al proprio intuito; nella scarsa consapevolezza dell’alto livello di tolleranza che si possiede verso il disagio e la frustrazione; nell’accettazione acritica di idee, di comportamenti, di persone; nella difficoltà comunicativa; nella incapacità di collegare il passato con il presente; nella mancanza di considerazione e di interesse nei riguardi di ciò che ci circonda; nella carente propensione ad apprendere dall’esperienza propria o altrui; nella tendenza a sottovalutare le conseguenze delle proprie azioni nascondendosi dietro la razionalizzazione e la negazione; nel vivere sé stessi come una unità individualista svincolata dal presente e dal passato.

    La scelta consapevole della ripetizione va rintracciata nella scarsa sensibilità verso i propri contenuti interiori; nel sopportare volontariamente elevati livelli di frustrazione; nell’accettazione acritica di qualunque regola provenga da una o più persone alle quali si riconosca una qualsivoglia autorità, raramente un’autorevolezza; nella incapacità di esprimere una opinione individuale o una propria linea di condotta. La persona è cosciente di quello che accade e che fa, ma si giustifica dicendo: così mi hanno insegnato… non mi è stato possibile fare altro… avrei voluto ma non ho potuto… mi rendo conto, ma cosa posso fare…

    La scelta non consapevole della riparazione sicuramente porta in sé caratteristiche opposte alla ripetizione non cosciente, può essere dovuta alla naturale inclinazione verso l’introspezione e l’analisi; al saper far tesoro dell’esperienza propria o altrui apprendendola e trasformandola; alla capacità intuitiva; alla propensione a parlare, al non dare spazio ai non detti, a far sì che non si creino i terribili e distruttivi segreti di famiglia e, non ultima, la sensibilità personale di fronte al disagio. In qualche modo la persona è pronta per vedere la scelta giusta da compiere, un po’come avviene per le scoperte scientifiche, si accende una lampadina e improvvisamente si vede, si sa. È l’insight!

    La scelta consapevole della riparazione si compie necessariamente attraverso l’intenzione, la riflessione, l’introspezione e l’analisi; con l’attenzione rivolta all’ascolto del proprio intuito; con la capacità di collegare gli eventi passati con gli effetti del presente, e riuscendo a intuirne le conseguenze per il futuro e in ultimo, ma non certo per importanza, con lo studio della propria storia transgenerazionale. Avviene, in definitiva, con la decisione di seguire un percorso personale, qualunque esso sia.

    In questo contesto tralascio volutamente di parlare dell’intelligenza fine a sé stessa. Anche nel transgenerazionale l’intelligenza può essere rivestita di falsi miti come i giudizi e i pregiudizi che si riflettono nel possesso del denaro; nei ruoli lavorativi e nella posizione sociale; nelle valutazioni scolastiche e lavorative, ecc.

    Nella mia esperienza lavorativa e non solo, ho potuto riscontrare che si rivelano decisive le capacità introspettive e analitiche della persona unitamente a quelle intuitive, relazionali e intellettive. Fondamentale è la facoltà di collegare eventi lontani con il presente e di trovarvi un comune denominatore; così come la presenza di un’apertura mentale disposta a non respingere ma ad accogliere il nuovo in maniera flessibile, senza condizionamenti o rigide e sterili barriere. Scarsa è l’influenza esercitata dalla cultura fine a sé stessa o dall’ambiente familiare, sociale e lavorativo, o anche da un Q.I. elevato, se non supportati dalle suddette caratteristiche.

    È solo un caso se…

    Nei territori del transgenerazionale la casualità non esiste, tutto ha una sua ragion d’essere, gli eventi hanno un senso, nulla accade a caso, è bene tenerlo a mente al fine di evitare inutili e sterili discussioni. Possiamo aver pensato, osservando la vita o la sorte di alcune persone, quanto un certo avvenimento fosse distante e dissonante rispetto alle loro esistenze, cercando, ma non trovando, qualcosa che potesse giustificare quel fatto o quel particolare destino. Possiamo aver osservato comportamenti dannosi per loro stessi, per gli altri, per gli animali, per l’ambiente, per le cose, per la società, per l’umanità intera, che mal si incastravano con una educazione familiare normalmente frustrante, ma tutt’altro che autoritaria o totalmente permissiva. Anche in coloro che commettono efferati delitti,

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