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Il Seicento - Letteratura e teatro (54): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 55
Il Seicento - Letteratura e teatro (54): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 55
Il Seicento - Letteratura e teatro (54): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 55
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Il Seicento - Letteratura e teatro (54): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 55

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Elemento comune del paesaggio verbale secentesco consiste nel barocco, ossia in quella sensibilità e tecnica espressiva che esaspera la raffinatezza sino all’ossessione dell’artificioso e fa della metafora il suo strumento fondamentale, il suo principio dinamico, con una radicalità e un’ampiezza ignote al Rinascimento. Sin dai primi anni del secolo la letteratura afferma e riflette un’ansia febbrile del nuovo; al pari dell’universo, muta anche la biblioteca del passato, mentre la tradizione viene assunta come una sorta di grande museo da esplorare e ricomporre secondo le ragioni del tempo moderno. Il genere romanzesco sale imperiosamente alla ribalta e si affianca a quello epico per rappresentare le peripezie dell’esistenza nelle strutture mobili e aperte della prosa, di cui Cervantes è da considerarsi il genio tutelare. Nella sua ricerca dell’inedito e del sorprendente, la poesia barocca dilata e modifica per almeno tre generazioni la tematica della tradizione lirica, dando piena paternità poetica a situazioni quotidiane eccentriche e a oggetti e manufatti curiosi, come l’orologio, il compasso, il telescopio, la fontana, l’automa, mentre dalla natura e dall’arte si ricava un repertorio di immagini canoniche alla base dei grandi cliché tra cui quello della vita come teatro e del mondo come libro. E sempre in questa sensibilità nasce il teatro moderno tra linguaggio tragico di chi affronta il proprio destino e la gestualità vitale della commedia dell’arte, coi suoi grandi artefici: da Shakespeare a Calderón de la Barca, da Gryphius a Vondel, da Corneille a Racine.
Questo ebook esplora tutti le anime di una letteratura così ricca e varia, che ha lasciato un’eredità profonda alle letterature europee dei secoli a venire.
LanguageItaliano
Release dateOct 1, 2014
ISBN9788897514879
Il Seicento - Letteratura e teatro (54): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 55

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    Il Seicento - Letteratura e teatro (54) - Umberto Eco

    copertina

    Il Seicento - Letteratura e teatro

    Storia della civiltà europea

    a cura di Umberto Eco

    Comitato scientifico

    Coordinatore: Umberto Eco

    Per l’Antichità

    Umberto Eco, Riccardo Fedriga (Filosofia); Lucio Milano (Storia politica, economica e sociale – Vicino Oriente) Marco Bettalli (Storia politica, economica e sociale – Grecia e Roma); Maurizio Bettini (Letteratura, Mito e religione); Giuseppe Pucci (Arti visive); Pietro Corsi (Scienze e tecniche); Eva Cantarella (Diritto) Giovanni Manetti (Semiotica); Luca Marconi, Eleonora Rocconi (Musica)

    Coordinatori di sezione:

    Simone Beta (Letteratura greca); Donatella Puliga (Letteratura latina); Giovanni Di Pasquale (Scienze e tecniche); Gilberto Corbellini, Valentina Gazzaniga (Medicina)

    Consulenze: Gabriella Pironti (Mito e religione – Grecia) Francesca Prescendi (Mito e religione – Roma)

    Medioevo

    Umberto Eco, Riccardo Fedriga (Filosofia); Laura Barletta (Storia politica, economica e sociale); Anna Ottani Cavina, Valentino Pace (Arti visive); Pietro Corsi (Scienze e tecniche); Luca Marconi, Cecilia Panti (Musica); Ezio Raimondi, Marco Bazzocchi, Giuseppe Ledda (Letteratura)

    Coordinatori di sezione: Dario Ippolito (Storia politica, economica e sociale); Marcella Culatti (Arte Basso Medioevo e Quattrocento); Andrea Bernardoni, Giovanni Di Pasquale (Scienze e tecniche)

    Età moderna e contemporanea

    Umberto Eco, Riccardo Fedriga (Filosofia); Umberto Eco (Comunicazione); Laura Barletta, Vittorio Beonio Brocchieri (Storia politica, economica e sociale); Anna Ottani Cavina, Marcella Culatti (Arti visive); Roberto Leydi † , Luca Marconi, Lucio Spaziante (Musica); Pietro Corsi, Gilberto Corbellini, Antonio Clericuzio (Scienze e tecniche); Ezio Raimondi, Marco Antonio Bazzocchi, Gino Cervi (Letteratura e teatro); Marco de Marinis (Teatro – Novecento); Giovanna Grignaffini (Cinema - Novecento).

    © 2014 EM Publishers s.r.l, Milano

    STORIA DELLA CIVILTÀ EUROPEA

    a cura di Umberto Eco

    Il Seicento

    Letteratura e teatro

    logo editore

    La collana

    Un grande mosaico della Storia della civiltà europea, in 74 ebook firmati da 400 tra i più prestigiosi studiosi diretti da Umberto Eco. Un viaggio attraverso l’arte, la letteratura, i miti e le scienze che hanno forgiato la nostra identità: scegli tu il percorso, cominci dove vuoi tu, ti soffermi dove vuoi tu, cambi percorso quando vuoi tu, seguendo i tuoi interessi.

    ◼ Storia

    ◼ Scienze e tecniche

    ◼ Filosofia

    ◼ Mito e religione

    ◼ Arti visive

    ◼ Letteratura

    ◼ Musica

    Ogni ebook della collana tratta una specifica disciplina in un determinato periodo ed è quindi completo in se stesso.

    Ogni capitolo è in collegamento con la totalità dell’opera grazie a un gran numero di link che rimandano sia ad altri capitoli dello stesso ebook, sia a capitoli degli altri ebook della collana. Un insieme organico totalmente interdisciplinare, perché ogni storia è tutte le storie.

    Introduzione

    Introduzione alla letteratura del Seicento

    Ezio Raimondi

    La letteratura di un’epoca è una pluralità di modi o di lingue che non si lascia ridurre a una definizione unitaria, tanto più nel Seicento, allorché la repubblica delle lettere comincia a dividersi in corrispondenza all’avvento progressivo degli Stati nazionali. Ma non c’è dubbio che un elemento comune del paesaggio verbale secentesco consista proprio nel barocco. Per barocco intendiamo una sensibilità e una tecnica espressiva che esaspera la raffinatezza sino all’ossessione dell’artificioso e fa della metafora il suo strumento fondamentale, il suo principio dinamico, con una radicalità e un’ampiezza ignote al Rinascimento.

    Introduzione

    Il termine di barocco con cui oggi si designa la cultura del Seicento o una sua parte può avere una doppia origine: vi è chi la lega al portoghese barroco, spagnolo barrueco, con il suo significato di perla irregolare, e chi invece pensa a una figura del sillogismo scolastico del tutto formale e improduttivo, chiamata appunto baroco.

    Ma in entrambi i casi si indica qualcosa di negativo. Infatti già nel Settecento, tanto in Francia quanto in Italia, barocco diventa l’equivalente di bizzarro e stravagante, soprattutto in rapporto all’arte e all’architettura.

    Solo alla fine dell’Ottocento, con l’Impressionismo e il Simbolismo, il termine assume un valore nuovo per descrivere una trasformazione profonda del gusto e dell’ordine rinascimentale. Così il suo duplice etimo, liberato dal pregiudizio classicistico di una norma immutabile, rimanda nel nostro dizionario moderno alla realtà storica di una visione del mondo e delle sue forme di autorappresentazione attraverso l’immagine e la parola. Quanto alla letteratura, si deve subito dire che sin dai primi anni del secolo essa afferma e riflette un’ansia febbrile del nuovo. Al pari dell’universo, muta anche la biblioteca del passato, mentre la tradizione viene assunta come una sorta di grande museo da esplorare e ricomporre secondo le ragioni o le velleità di un tempo moderno, diverso da tutto ciò che lo ha preceduto.

    La letteratura di un’epoca è una pluralità di modi o di lingue che non si lascia ridurre a una definizione unitaria, tanto più nel Seicento, allorché la repubblica delle lettere comincia a dividersi in corrispondenza all’avvento progressivo degli Stati nazionali.

    Ma non vi è dubbio che un elemento comune del paesaggio verbale secentesco consista proprio nel barocco. Per barocco intendiamo una sensibilità e una tecnica espressiva che esasperano la raffinatezza sino all’ossessione dell’artificioso e fanno della metafora il suo strumento fondamentale, il suo principio dinamico, con una radicalità e un’ampiezza ignote al Rinascimento.

    Scoprendo nuove corrispondenze e somiglianze tra gli oggetti del reale e del dizionario, la metafora dà luogo all’acutezza, al Witz, al wit, all’ésprit, alla agudeza, ricostruendo l’universo in uno spazio immaginario, in cui deve entrare anche ogni lettore.

    All’imitazione si sostituisce la trasfigurazione o il travestimento. Ciò che si produce è un mondo sdoppiato, ricco di metamorfosi e di giochi analogici, un teatro pieno di meraviglie come spiegava Emanuele Tesauro. E la metafora allora ha la stessa funzione di una macchina ottica: essa scruta e illumina i paradossi dell’apparenza attraverso le rifrazioni della parola.

    Gli avversari della poetica dell’ingegno e dello stupore si appellano subito, non appena si moltiplicano i suoi esempi, alla misura del classicismo e della ragione. Ma anche la macchina metaforica nasce da un impulso scientifico, da una tensione di conoscenza nello specchio mutevole del linguaggio.

    Occorre soltanto la forza convinta e ardita dello scrittore (Góngora o Donne).

    Nella sua ricerca dell’inedito e del sorprendente, la poesia barocca dilata e modifica per almeno tre generazioni la tematica della tradizione lirica senza più rispettare le differenze stilistiche dei generi. Da una parte vi entrano figure e situazioni quotidiane eccentriche e dall’altra aspetti naturali o spettacolari, oggetti e manufatti curiosi come l’orologio, il compasso, il telescopio, la fontana, l’automa. La natura e l’arte, quest’ultima insieme alla tecnica, contribuiscono a fornire un repertorio di immagini canoniche, una collezione sontuosa di modelli figurativi che esaltano nello stesso tempo la permanenza e il divenire, convertendosi con il favore della moda in altrettanti clichés. Tra essi spiccano, poiché trascendono la letteratura e investono una metafisica dell’esistenza, le grandi metafore cosmiche della vita come teatro (theatrum mundi) e del mondo come libro (liber naturae), che acquistano nel Seicento l’autorità di simboli esistenziali della storia dell’uomo moderno.

    Nel loro intreccio complicato di peripezie e di conflitti, gli avvenimenti divengono le scene di un grandioso teatro, i segni e le figure di un libro che bisogna decifrare come la mappa incompiuta di un labirinto. È un processo di visualizzazione drammatica che contraddistingue tutta la cultura e l’antropologia di un secolo tumultuoso, diviso tra antiche e nuove certezze.

    L’Emblematica

    Non si può intendere la civiltà della metafora secentesca se non la si pone in rapporto con una mentalità a cui bisogna dare il nome di emblematica. Dopo il tardo Rinascimento si diffonde progressivamente la fortuna delle imprese e degli emblemi, essendo questi ultimi raffigurazioni pittoriche di oggetti che illustrano un concetto, spiegato a sua volta da un epigramma di commento. Le imprese invece non mirano a un insegnamento morale valido per tutti, ma si riferiscono sempre a un individuo particolare, a un personaggio eminente, designato per via di metafora attraverso una pittura e un motto. Di qui un linguaggio insieme visivo e verbale, costruito per estrarne un significato; e di qui ancora la procedura corrente di una visualizzazione simbolica, a cui deve corrispondere un’iconografia vivida e sensuosa, un po’ come accade nei manifesti pubblicitari dei nostri tempi. Ma l’emblema fa parte di una società della festa e della corte, implica un codice di etichetta e soprattutto un’idea del cosmo che parla ancora all’uomo con la sola verità dei suoi disegni divini.

    Così, mentre la scienza scopre un universo silenzioso e neutrale, non più antropocentrico, la retorica comunicativa dell’emblema e del blasone continua a credere in una natura dove tutto può essere metafora e illuminazione del microcosmo umano. Non stupisce quindi che nella loro polemica contro gli ateisti e i libertini gli scrittori della nuova apologetica cattolica e cristiana uniscano l’emblematica e l’osservazione naturalistica per riaffermare il piano divino interno al mondo e alla sua prodigiosa struttura d’opera d’arte.

    La teatralità barocca

    La civiltà visiva del Seicento è tutt’uno con quella teatrale. Si direbbe proprio che tutte le sue manifestazioni, anche nella pluralità dei costumi e delle geografie sociali, siano regolate da una legge dell’ostentazione e della teatralità, da un bisogno dell’effetto scenografico in un sistema di rigide gerarchie. Se la vita è un teatro, ogni uomo interpreta un ruolo come attore del proprio io profondo. Questa convinzione non viene soltanto dall’interno di una coscienza riflessiva: essa scaturisce soprattutto dalla registrazione stessa degli eventi, in un’epoca di guerre, di crisi, di colpi di scena, di conflitti, di rivolte, di eroi e di masse senza nome. E il secolo vede nascere così il teatro moderno tra il linguaggio tragico di chi affronta il proprio destino e la gestualità vitale della commedia dell’arte. Da Shakespeare a Calderón de la Barca, da Gryphius a Vondel, da Corneille a Racine, il dramma dell’uomo viene esplorato ed espresso nel contrasto terribile del potere e dell’amore, nella polarità di illusione e costanza, nell’ansia di una grandezza votata al silenzio, nell’orrore del desiderio e del peccato. Il mito e la storia ubbidiscono alla stessa attualità, tanto più quando il dramma piega verso la commedia con il suo riso spesso non meno ambiguo.

    La retorica studia le antitesi e i paradossi della frase. Ma ora le antitesi e i paradossi si trasferiscono nella sintassi esistenziale dell’uomo e regolano sulla scena il suo pathos di fantasma incarnato in un corpo e in un gesto. Dal gioco combinatorio della scrittura si passa, insomma, al gioco combinatorio della vita e della sua rappresentazione.

    Il teatro si fa misura dell’essere umano, sia che egli confidi ancora nella trascendenza, sia che si rivolga a una fattualità conclusa in se stessa ma enigmatica, dall’auto sacramental spagnolo alla history inglese.

    La teatralità barocca si ritrova anche nella predicazione, nell’oratoria sacra, avendo come scena la corte, la città, la piazza, la campagna. Sono infatti gli anni travagliati della controffensiva cattolica sancita dalla riforma tridentina, in cui il fervore della propaganda invade ogni campo dell’arte e l’architettura diventa una retorica spaziale del coinvolgimento emotivo. Accanto all’eloquenza della acutezza e dei suoi virtuosismi intellettuali, destinata a un’élite accademica, ecco imporsi un’oratoria più austera e diretta, anche quando punta sull’iperbole di un’oralità commossa e consapevolmente drammatica. Il suo destinatario non è più soltanto il letterato, ma anche l’uomo comune, l’uomo del popolo, nella massa urbana o contadina.

    Il predicatore deve essere ora anche un missionario, e nella sua predica, tanto più se si tratta di un padre gesuita, riecheggia presto il ricordo della nuova epica missionaria, in Asia come in America. Così il sublime degli orizzonti lontani e degli spazi esotici non più solo leggendari si fonde con il canone sacro di un sublime biblico, quale lo codificava per tutto il secolo il De eloquentia sacra et humana (1619) del padre Nicolas Caussin.

    Il romanzo e la divulgazione scientifica

    Se la letteratura del Seicento in un’Europa divisa e confusa costituisce un insieme che si articola in un sistema gerarchico di generi e di registri stilistici, un posto particolare e di nuovo sorprendente rilievo spetta al romanzo. Il genere romanzesco sale imperiosamente alla ribalta e si affianca a quello epico per rappresentare le peripezie dell’esistenza nelle strutture mobili ed aperte della prosa. Cervantes ne è quasi il genio tutelare. Il romanzo barocco può essere eroico, sentimentale, storico, picaresco, enciclopedico, pastorale, utopico, quasi come uno specchio multiplo di una società e delle sue forme di vita differenziate verso l’alto e verso il basso.

    Attraverso le convenzioni di un immaginario riavvicinato al presente, l’avventura e la prova danno consistenza alla storia di un destino o alla formazione di un’individualità, che può essere anche quella di una donna, picaresca o aristocratica, magari précieuse. D’altro canto, nel nuovo mercato librario comincia a disegnarsi anche un pubblico femminile, teatrale e romanzesco. È stato detto che il romanzo barocco rappresenta l’espressione di una coscienza linguistica galileiana, ossia di una logica molteplice dei punti di vista, entro cui si costituisce l’osservazione sul mondo. Per questo il suo emblema più vero sembra essere la strada, il luogo degli incontri e delle conoscenze in divenire sulla mappa sempre precaria e aggrovigliata del reale. E non stupisce neppure che ai romanzieri si affianchino i viaggiatori con le loro testimonianze avventurose ma vere.

    Il romanzo porta anche alla biografia e, se vi si aggiunge l’introspezione mistica, al viaggio interiore nello spazio dell’anima, sino ai fantasmi secolarizzati del romance.

    Al pari di una nuova scienza della natura, matematica e sperimentale, si costituisce anche una scienza dell’uomo, un’antropologia interpretativa dei suoi comportamenti, che mette a frutto in una sintesi tutta moderna l’etica aristotelica, il neostoicismo cristiano e il probabilismo della retorica, senza ignorare, ma tacendola, la lezione implacabile di Machiavelli.

    Nel contesto di una corte ormai identificata con lo Stato assoluto, l’uomo viene descritto come un attore lucido e sospettoso poiché, come ammonisce il Gracián dell’Oracolo manuale, la vita è milizia contro la malizia umana. È necessario dunque guardare di là dalle apparenze, dietro le maschere e le facciate, il gioco nascosto delle passioni e degli interessi, sapendo decifrare l’intrigo e il segreto delle macchinazioni sempre in agguato.

    La saggezza sta, dunque, in questo desengano, in un’arte severa e attenta della dissimulazione onesta che, sola, può difendere la libertà della coscienza. Chi legge i moralisti del Seicento pensa subito a una pittura di grandi vortici di ombre e di luci, di contrasti cupi, violenti, estremi, nel gusto di un teatro caravaggesco. L’impressione si fa ancora più precisa quando si considera la loro prosa: una prosa di struttura saggistica a periodi brevi, ad antitesi appuntite, a cadenze secche, in cui si realizza l’ideale di uno stile senecano o laconico (uno style coupé), non a caso al centro delle polemiche letterarie nei primi decenni del secolo. È un altro tratto barocco dell’Europa, sullo sfondo della guerra dei Trent’anni e della Fronde.

    Dalla scienza galileiana e poi newtoniana viene alla letteratura una prosa razionale di comunicazione scientifica, assai diversa da quella dell’enciclopedismo aristotelico e delle sue varianti magico-naturalistiche. Essa si contrappone al costume ludico dell’acutezza, al virtuosismo dell’erudizione analogica, in nome di una scrittura piana e naturale, che vuole indirizzarsi anche all’artigiano, e le nuove accademie scientifiche, da Roma a Londra e a Parigi, confermano tutte questo costume della chiarezza argomentativa, aliena dagli orpelli dell’ornamentazione barocca. Ma il Galileo del Saggiatore, che in fondo è una specie di discorso del metodo prima di Cartesio, dimostra anche come possa darsi una retorica del vero, un’ironia dell’intelligenza indagatrice, capace di congiungere l’esattezza di una dimostrazione o di un esperimento con i modi affabili e vari di una conversazione appassionata. Il dibattito scientifico sanziona nuovi generi comunicativi quali la lettera, il rendiconto, la notizia, la replica dialogata, la memoria, e invita all’eleganza della naturalezza rifiutando l’enfasi di un vecchio rito accademico. È uno scienziato anche Pascal che scrive le Provinciali contro la casistica dei Gesuiti: solo che qui l’eleganza si converte in lucidità quasi feroce, in ironia armata di sarcasmo inflessibile.

    Il classicismo barocco

    Sin dagli inizi del secolo, non appena s’infiamma la moda dell’acutezza metaforica, coloro che la condannano come una corruzione del gusto ripropongono l’etica di un classicismo per così dire virile e non effemminato, in cui l’ingenium abbia il suo contrappeso armonico nel iudicium e nel principio concomitante del decoro.

    A parte i conservatori di stretta osservanza, i letterati che si sentono moderni ma estranei a una retorica dell’intellettualismo astratto e insieme sensuale, optano per una poetica degli effetti e del pathos, rifacendosi a una teatralità interiore sul modello di uno stoicismo in cui entra anche, per i cattolici, la spiritualità degli Esercizi di Ignazio di Loyola. Così, insieme con un dialogo polemico che si ramifica di decennio in decennio, dalle discussioni sull’Adone del Marino sino a quelle sul Cid di Corneille, si sviluppa in più centri un’esperienza di poesia che si dichiara oraziana e pindarica, gnomica e lirica, con un’inflessione drammatica. Il suo equivalente più alto, se dall’Europa continentale si passa all’Inghilterra, è il Paradiso perduto di Milton, oramai nella sfera di un’estetica del sublime e della magnanimità puritana.

    Ma il vero approdo del classicismo barocco sembra la letteratura del Grand Siècle, quello che corrisponde al lungo regno di Luigi XIV il Grande (1643-1715), tra Molière, Racine, Bossuet e Boileau, allorché essa si integra nell’ordine e nello splendore di una monarchia assoluta. Allora l’idea della classicità si ricongiunge all’intuizione di una bellezza fondata sulla natura e sul vero e apre così la strada all’Europa letteraria del sentimento e della ragione, mentre la querelle degli antichi e dei moderni colpisce anche il barocco. Basta però dare ascolto all’alto e puro parlato di Racine per riscoprirvi le tensioni e i mostri interiori del secolo: l’apoteosi e le rovine, l’eros e la tristezza funebre, la grazia e la malinconia nera, il sole e le tenebre che non hanno confine. Tanto sulla scena quanto nella solitudine di una biblioteca o di uno studio il Seicento è davvero il secolo della contraddizione e del genio.

    Generi e tendenze

    Il classicismo letterario

    Giovanni Baffetti

    Nonostante il Seicento sia generalmente identificato con il barocco, per tutto il secolo la tradizione del classicismo, inteso come ideale supremo di chiarezza ed equilibrio espressivo nonché come richiamo a contenuti nobili e morali, nella fedeltà al modello dei classici antichi, non viene mai meno e, se in certi Paesi essa viene messa in ombra dalla trionfante letteratura barocca, in Francia, nella seconda metà del secolo, si impone con autori della levatura di Racine, Molière e Boileau.

    Barocco e classicismo

    L’affermarsi del barocco nella letteratura del Seicento si accompagna alla consapevolezza e alla rivendicazione di una modernità rispetto al passato che si fa esplicita in un atto di rottura, in una poesia che trova nuovi contenuti e nuove forme espressive.

    Il barocco si oppone al classico rifiutandone le norme e le regole, infrangendo i canoni, mescolando i generi e gli stili, facendo oggetto di poesia gli argomenti apparentemente più umili e insignificanti, senza rispettare le gerarchie stabilite né i criteri retorici di convenienza e di decoro.

    Eppure il classicismo non venne distrutto dall’affermazione del barocco, ma semmai modificato dall’interno: anche i suoi sostenitori sono costretti a prendere atto che qualcosa è mutato nell’arte e a elaborare teorie adeguate ai tempi per affrontare gli avversari. La querelle des anciens et des modernes continua vivace per tutto il secolo.

    Il classicismo in Italia

    In Italia, dove la tradizione letteraria ha un carattere spiccatamente retorico, i classicisti non intendono rinunciare alla grande eredità rinascimentale, sia pur orientata moralisticamente in senso controriformista dai teorici gesuiti come Pietro Sforza Pallavicino o Famiano Strada.

    La via percorsa dal classicismo accademico romano del primo Seicento è proprio quella del rinnovamento dentro la tradizione, con l’ambizione di mutuare forme e modelli della poesia greca e latina e di trasferirli in un universo cristiano, dando vita a una poesia solenne ed eloquente, ricca di sentenze e precetti.

    Una poetica classicistica comune unisce i letterati, provenienti da esperienze diverse, che si raccolgono a Roma intorno al pontefice Urbano VIII, da Giovanni Ciampoli, che la teorizza nella Poetica sacra, a Virginio Cesarini, da Agostino Mascardi a Fulvio Testi: i modelli spaziavano dalla Bibbia a Orazio, da Pindaro ad Anacreonte.

    Le cadenze gnomiche e riflessive, derivate dallo stoicismo e dominanti in Cesarini, si uniscono a un gusto magniloquente ed eroico nella poesia di Testi, caricandosi di suggestioni bibliche in Ciampoli e trasformandosi in una sensibilità scenografica un po’ fredda ed esteriore nel manierismo fine secolo di Alessandro Guidi o di Vincenzo da Filicaia.

    L’eloquio alto e scandito dell’ode pindarica convive con la cantabilità musicale ed elegante della canzonetta anacreontica nella poesia di Gabriello Chiabrera (1552-1638), al quale spetta un posto importante nella storia letteraria italiana, per la varietà delle esperienze stilistiche e per le innovazioni metriche introdotte, trapiantando nella lirica italiana modelli classici.

    Gabriello Chiabrera

    Che in amor son pene

    Canzonette

    Cor, che d’atti empi e crudeli ti quereli,

    non sai tu, che amore è reo?

    A penar tu non sei solo:

    in gran duolo già così piangeva Orfeo.

    Cinta il crin d’oscure bende

    notte ascende per lo ciel su tacit’ali;

    e con aer tenebroso

    dà riposo alle ciglia de’ mortali.

    Non è riva erma e selvaggia,

    non è piaggia di bei fior vaga e dipinta

    nel cui seno alberghi fera così fiera,

    che dal sonno or non sia vinta.

    Chiuso ramo intra le foglie

    ora accoglie gli augelletti volatori;

    e nel mare in grembo a Teti

    or quieti stansi i pesci notatori.

    Io soletto, al duol che spargo,

    gli occhi allargo, perché forte indi trabocchi;

    e pasciuto di veneno giù nel seno

    vegghia il cor, non men che gli occhi.

    Per tal via non soffre un core

    rio dolore, che appo me non sia felice;

    ah, che in terra il mio conforto teco è morto,

    amatissima Euridice!

    Lasso me! Che far deggio io?

    Rive, addio, troppo liete a’ dolor miei;

    vegno a voi monti selvestri, fiumi alpestri,

    vengo a voi ghiacci rifei.

    in Opere di G. Chiabrera e lirici del classicismo barocco, a cura di M. Turchi, Torino, UTET, 1974

    Accanto alla canzone d’argomento sacro, eroico o morale, Chiabrera pratica il genere della canzonetta melica, dal ritmo e dalla struttura agile e variata, che gli è certo più congeniale, e negli ultimi anni della sua vita tenta con successo la via della discorsiva satira oraziana, componendo i Sermoni.

    Classicismo e nuova scienza

    Non è un caso che la visione del cosmo e l’analisi dell’uomo proposte dai classicisti romani e in particolare dai poeti moralisti Ciampoli e Cesarini, che sono aggregati all’Accademia dei Lincei, si nutrano anche della nuova scienza di Galilei, con il quale entrambi hanno rapporti di stima e profonda amicizia.

    Classicismo e nuova scienza procedono spesso uniti: in quella Firenze non toccata dalla moda del marinismo, che difende gelosamente la tradizione letteraria italiana, scienziati come Francesco Redi e Lorenzo Bellini praticano forme di poesia classicheggiante, mentre a Napoli letterati classicisti, come Pirro Schettini e Camillo Buragna, entrano nell’Accademia degli Investiganti.

    Il petrarchismo e l’arcadia

    L’esperienza lirica dei meridionali Schettini e Buragna, al pari di quella dei lombardi Carlo Maria Maggi e Francesco de Lemene, si inserisce nel solco della tradizione del petrarchismo, che si assume il compito di mantenere vivo il modello antico in polemica con il cattivo gusto dominante.

    Carlo Maria Maggi

    Pensieri di primavera

    Poesie

    E pure alfin ritorni,

    Riso dell’anno, amor dei campi e festa

    Della sciolta natura, april vezzoso.

    Teco addolcisce i giorni,

    E infiora le speranze e i semi desta

    Di feconda beltà, spirto amoroso.

    Teco in volto giocoso

    La Providenza parla ai nostri cori,

    Lieta di riportarci i suoi tesori.

    Dice ogni fior del prato,

    Della mente immortal che lo colora,

    Bellissimi pensieri a chi lo mira.

    Flora cortese il fiato

    Co’ suoi profumi al venticel ristora,

    Che d’affanno gentil per lei respira;

    Ma più d’amarlo inspira

    Quel Dio che manda a noi quella fragranza,

    E conforta i sospiri alla speranza.

    Fugge nel suol fiorito

    Limpido il rio, che fra beltà terrene

    Solo chi sa fuggir puro mantiensi.

    Con mormorante invito

    E consiglio e soccorso a render viene

    A semplici bellezze, a labbri accensi;

    E meglio insegna ai sensi

    Allettando il desio con la chiarezza,

    Che vien da purità sana dolcezza.

    Espone al bosco fido

    Della grata natura i lieti affetti

    Augellin canoro in cari accenti.

    Delle gioie del nido

    Ringrazia il dolce tempo e par che detti

    Sensi leggiadri ai pastorelli attenti;

    Par che più modi ei tenti,

    Mentre a quel Dio che sì beato il rende,

    Vorria pur dir che i benefici intende.

    Anche al rozzo pastore

    Della vaga stagion l’ameno stile

    La lingua al canto intenerisce e snoda.

    Soave è il suo tenore,

    che innocenza ed amor lo fan gentile,

    E sempre con dolcezza il ciel si loda;

    Onde qualunque l’oda,

    Fra se stessa dirà mente discreta:

    Delle grazie del ciel quest’alma è lieta.

    Così, disciolto il verno,

    Con le delizie il Facitor giocondo

    Prepara il cibo alla mortal famiglia:

    Così l’amore eterno

    Nelle vaghezze, onde rinfiora il mondo,

    Più noto a noi, di riamar consiglia.

    il mio rigor ripiglia,

    E in tanta amenità soavemente

    il mio cor, come nol sente.

    Ed io quel solo, a cui

    Tanti diletti il Creator dispone,

    Oppongo a tante grazie un’alma dura?

    Alma ritrosa a lui,

    Se mira tanti doni, onde ha cagione

    D’essergli sconoscente, essere impura?

    Quindi fuggir procura

    Dell’alta Providenza i vaghi indici,

    Che rimordon l’ingrato i benefici.

    Vede il celeste amante,

    Ch’io vilmente seguendo esche non degne

    Di sensibili oggetti, altro non penso.

    Sull’erbe e sulle piante

    Perciò di sua bontà spiega le insegne,

    E perch’io il senta, ancor si umilia al senso.

    Ahi quell’amore immenso

    Che mai potea far più? L’eccelso Dio

    Pur mi vorria piacer col piacer mio.

    in Scelta di poesie edite ed inedite di C.M. Maggi, a cura di A. Cipollini, Milano, Hoepli, 1900

    Tutte le tendenze classicistiche che in Italia, sia pure in forme diverse e più o meno evidenti, continuano a dare frutti, opponendosi alla diffusione del marinismo, confluiscono alla fine del Seicento nell’Arcadia, l’accademia sorta con il proposito di restaurare il buon gusto nelle lettere, nella quale si ritrovano Redi e Filicaia, Maggi e Menzini, Guidi e Magalotti.

    Gli orientamenti dell’Arcadia sono influenzati anche dalla grande esperienza del classicismo francese, originato dal razionalismo cartesiano e codificato nell’Arte poetica di Nicolas Boileau: esso proclama il culto della ragione cui spettava di frenare e indirizzare gli eccessi disordinati dell’immaginazione.

    Il classicismo francese

    L’affermazione del classicismo a partire dal 1660 in Francia è favorita dal mecenatismo di Luigi XIV: gli ideali di ordine, stabilità ed equilibrio sono in perfetta sintonia con la sua politica assolutistica. Avviene così anche in Inghilterra, negli stessi anni, quando dopo la Restaurazione Carlo II accorda i suoi favori alla letteratura classicistica di John Dryden.

    Il classicismo francese dell’età di Luigi XIV produce innumerevoli capolavori: la tragedia di Jean Racine, la commedia di Molière, la prosa di La Rochefoucauld e di Madame de La Fayette, la poesia di Jean de La Fontaine, opere che nessuno definirebbe il prodotto dell’arido regolismo di Boileau.

    È piuttosto vero che la codificazione di Boileau avviene dopo che nella letteratura è già avvenuto un mutamento: l’abbandono dei facili virtuosismi del preziosismo, delle spericolate acrobazie stilistiche, in favore di una espressione più misurata, di una sobrietà più esatta, di una naturalezza più veritiera.

    Proprio nella ricerca tenace della verità umana, attraverso una indagine paziente della psicologia e delle passioni, risiede il nucleo della grande poesia classicista francese, che si misura con le regole e con la tecnica per trascenderle e conquistare una propria sublime purezza espressiva.

    I grandi poeti francesi accettano le regole fondamentali, per esempio quella aristotelica delle tre unità drammatiche (tempo, luogo e azione), ma ne fanno una ragion d’essere interna della loro poesia, trasformando la norma in natura. L’esperienza del barocco, nella quale, nonostante tutto, il classicismo francese ha le sue radici, non è passata invano.

    A ben guardare, elementi barocchi, nello stile o nel linguaggio, si possono ritrovare in molti autori del periodo classico, ma in definitiva andrà riconosciuto che la poesia francese dell’età classica è altra cosa dalla trattatistica coeva sul classicismo, tutta tesa a imbrigliare la fantasia poetica sottomettendola alla ragione.

    La splendida fioritura artistica del regno di Luigi XIV, sostenuta dalla politica culturale del sovrano anche attraverso l’impulso dato all’Académie française, arreca lustro e prestigio alla Francia, diffondendo le teorie e le pratiche classicistiche in Europa, dall’Italia all’Inghilterra alla Germania, e trasmettendole alle generazioni del razionalismo e dell’Illuminismo che dominerà il secolo successivo.

    Rimandi

    Volume 48: Manierismo e anticlassicismo

    Volume 48: Il petrarchismo

    Volume 51: Scrivere e comunicare la nuova scienza

    Volume 53: Il classicismo in pittura

    Il senechismo

    Jean Racine

    Volume 59: Il neoclassicismo di Winckelmann

    Volume 60: Poetica, critica letteraria, erudizione

    Volume 66: Classico e romantico

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