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La lince della luna nuova - Parte 1
La lince della luna nuova - Parte 1
La lince della luna nuova - Parte 1
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La lince della luna nuova - Parte 1

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Fantasy - romanzo (167 pagine) - Nessuna via è troppo ardua, se non si è soli a percorrerla.


Un villaggio che brucia nella notte è l'ultimo ricordo di Wren. Quando del proprio mondo non restano che cenere e rovine, non esistono che due scelte: abbandonarsi alla disperazione o andare avanti nonostante tutto.

Per la ragazza senza voce, sfiorata dai baffi della Lince, non resta che un unico rifugio davvero sicuro, e toccherà al cupo Björn condurla a destinazione. Eppure la giovane maga e quella guida dal cuore d’orso hanno molto in comune, più di quanto loro stessi possano intuire. E un passo dopo l’altro, una disavventura dopo l’altra attraverso un mondo insanguinato dalle epurazioni religiose, impareranno a scoprirlo.


Penny Dove, al secolo Licia Fiorentini, è una giornalista ravennate. Mentre si occupava per lavoro di divulgazione tecnica, ha continuato a coltivare la sua passione per la scrittura narrativa seguendo e tenendo corsi. Fedele alla propria città natale, che ispirò Tolkien e il sommo Dante, è la letteratura fantastica il genere che più l'appassiona. Dopo il romanzo fantasy Gli Enigmi dell'Aquila, scritto a otto mani sotto lo pseudonimo collettivo di Isabel Sheehan, suoi racconti sono comparsi in svariate antologie e romanzi corali. Ama i libri, i fumetti, il cinema e il teatro, che pratica anche a livello amatoriale, beve tè in quantità industriali, colleziona gufi, adora i gatti… e naturalmente gli orsi.

LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateFeb 15, 2022
ISBN9788825419283
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    La lince della luna nuova - Parte 1 - Penny Dove

    1

    Tuono e fiamme, come uno stallone ardente deciso a scavarsi una via di fuga a colpi di zoccoli. Così era il suo cuore, che le rimbalzava impazzito contro la gabbia delle costole.

    Ma Wren non gli prestò ascolto. Le voci troppo vicine gonfiarono la sua paura, e il suo corpo scovò dentro di sé energie che non sapeva di possedere. Si staccò dal tronco rugoso tuffandosi nel sottobosco, ignorando i rovi pungenti che si aggrappavano alla sua veste ruvida.

    I rami bassi le frustavano il viso, fruscianti di foglie colorate d'autunno come i suoi capelli, ormai ridotti a ciocche strinate dal fuoco e impastate di sudore. Il sentore del fumo le riempiva ancora le narici, le raschiava la gola, le tormentava i polmoni.

    Lei continuava a correre inspirando l'aria a grandi boccate, senza emettere suono, senza voltarsi indietro, senza pensare ad altro che ad andare avanti, avanti e ancora avanti.

    Se c’era ancora la speranza di una vita per lei, era lontana da quelle voci astiose, il ringhiare d'uomini che avevano mutato in odio ciò che la paura gli impediva di comprendere e tollerare.

    La terra scomparve all'improvviso sotto i suoi piedi, interrompendo la sua fuga sul ciglio di un dirupo, in bilico tra un salto di molte braccia sino al fiume turbinoso e l'inarrestabile approssimarsi dei suoi persecutori.

    Ma qualcun altro prese per Wren la scelta tra il gelido abbraccio delle acque schiumanti e le atrocità che quegli uomini avrebbero escogitato per lei.

    Un sibilo ostile precedette l'impatto acutamente doloroso che la sbilanciò.

    Wren rimase per un istante sospesa nell'aria, come l'uccellino di cui portava il nome.

    Poi iniziò a precipitare.

    Chiuse gli occhi.

    Incontrare l’acqua fu come schiantarsi su una lastra di pietra. I flutti la inghiottirono con denti di gelo, trangugiandola in un ruggito di oscurità.

    2

    Calore, luce, vita.

    Wren riemerse dal buio un poco per volta. Ma fu quando si mosse nel vasto giaciglio sul quale era adagiata, che capì davvero di essere ancora viva. Una fitta di dolore alla spalla la colse a tradimento, facendo riaffiorare i ricordi della fuga.

    La veste ruvida di Wren era sparita, sostituita da una camicia ampia quanto un tendone da fiera. La stanza in cui si trovava invece era assai piccola, illuminata dal fuoco vivace di un camino in pietra, entro cui sobbolliva una capiente marmitta di rame. Pietra e rame. Unica eccezione in quel piccolo mondo integralmente di legno. La scarsa mobilia, le stoviglie ordinatamente impilate sopra a una mensola e persino la stuoia intrecciata di corteccia di betulla, a lato del focolare. Oggetti semplici, eppure singolarmente curati, nella meticolosa levigatura che metteva in risalto le venature del materiale e nei dettagli ornamentali, con teorie di foglie e animali finemente intagliate. Dov'era finita?

    La porta si spalancò all'improvviso e un'enorme massa di pelo ispido galoppò all'interno e balzò sul letto travolgendola senza scampo. Una lingua calda e umida grande quanto un fazzoletto le lambì il viso con gioiosa irruenza.

    – Buck! Razza di maleducato! Giù di lì! A cuccia!

    Il grosso cane irsuto di malavoglia andò a rincantucciarsi sulla stuoia, mentre una specie di montagna semovente torreggiò a lato del letto, agguantò con una mano simile a una zampa d'orso una sedia e acquistò proporzioni vagamente più umane sedendosi, permettendo alla luce del fuoco di illuminare il poco del suo viso che non era celato dalla folta barba bruna brinata d'argento e dalle sopracciglia, ruvide come incrostazioni di licheni.

    – Perdonalo! È stato lui a ripescarti ed è felice di vedere che stai meglio… – spiegò il gigante con voce baritonale, ma cortese.

    Il grosso cane tamburò il pavimento con la coda frangiata, intuendo che si stava parlando di lui.

    – Il mio nome è Elm Hertevel. Te la senti di raccontarmi quel che è successo? – disse l'uomo puntandole in viso i profondi occhi scuri.

    Wren sgranò i propri, incredula. Possibile che quel gigante barbuto dalla voce gentile fosse il leggendario custode di Mistywood? Trasse un profondo respiro e poi cominciò a raccontare.

    3

    Il cielo era limpido e l'aria ancora mite per un giorno d'autunno. Il villaggio, poi, era affollato come non mai. Quell'anno l'onore di ospitare il Magi per la Luna della Lince, il primo giorno dell'anno secondo la Tradizione Antica, era toccato agli abitanti di Deerstone e l'insediamento appariva moltiplicato nelle dimensioni a causa degli attendamenti dei pellegrini, giunti da tutta la regione.

    Ovunque erano sorti banchetti per la vendita di prodotti artigianali e ghiottonerie cotte alla brace o nello strutto bollente, e a ogni crocicchio bardi e cantastorie si esibivano con canzoni e racconti.

    Anche per Wren quel giorno sarebbe stato speciale. Il capo del villaggio l'aveva dispensata dai compiti più pesanti e, di nascosto dalla moglie, le aveva regalato una vera moneta d'argento.

    La fanciulla si era affaccendata a rigovernare gli animali con insolita letizia. Non vedeva l'ora di potersene andare a zonzo tra i banchi e magari acquistare una di quelle deliziose ciambelle fritte, dalla pasta soffice ripiena di miele, oppure qualche spanna di nastro da intrecciare ai capelli…

    Erano lussi impensabili per un'orfana come lei, accolta per carità quando la febbre delle macchie rosse si era portata via tutta la sua famiglia.

    La moglie del capo villaggio non mancava di rammentarle, almeno una volta al giorno, quanto dovesse sentirsi grata per questo, specie quando le assegnava un nuovo pesante compito nella sua già estenuante giornata, scandita tra secchi d'acqua da tirar su dal torrente, il bucato, l'orto, il rifornimento della scorta di legna da ardere…

    Wren lo Scricciolo chinava il capo e ubbidiva, in silenzio, sottoponendo le esili membra a sforzi che, ogni sera, la facevano crollare in un sonno di pietra appena si raggomitolava nel suo modesto giaciglio sopra la legnaia.

    Quel giorno però… quel giorno…

    No, non lo avrebbe dimenticato. Mai più.

    Avrebbe accompagnato i suoi incubi per tutte le notti a venire.

    I seguaci del Dio Nuovo, nelle loro cotte di maglia d'acciaio, erano giunti sul far del tramonto. Avevano accerchiato il villaggio e avevano lanciato alla carica i loro cavalli da guerra, travolgendo tende, recinti e chiunque si fossero trovati sul cammino. Poi avevano radunato nella piazza tutti gli altri come pecore spaurite. Con la minaccia delle armi, ripagando le proteste del capo villaggio con un colpo di lancia, li avevano costretti a stiparsi nel granaio, tanto stretti da avere a malapena modo di respirare, per poi sbarrare la porta. Quando il fumo aveva iniziato a filtrare all'interno, il terrore più nero era serpeggiato tra gli abitanti di Deerstone.

    Elm Hertevel osservava le dita sottili di Wren muoversi a scatti, trasformando i gesti segreti dei seguaci della Lince nelle parole del suo drammatico racconto.

    Wren era muta. Erano le mani a dar forma e voce ai suoi pensieri. Raccontò di essere stata schiacciata contro la parete del granaio pieno di fumo nero, dove era riuscita a indebolire il legno come lei sapeva, quanto bastava per aprire un passaggio e sgusciare fuori. Qualcun altro era riuscito a seguirla, ma tra il fumo e le fiamme che stavano consumando tutto il villaggio con un sordo ruggito, si erano presto persi di vista, e ai margini della foresta ci era arrivata da sola. Infine uno degli assassini si era accorto di lei e a quel punto era iniziata la sua corsa disperata, sino al ciglio del burrone e al salto nel vuoto quando il dardo le aveva azzannato la spalla.

    – Va bene, piccola, basta così… – soggiunse l'uomo.

    Wren lasciò ricadere le piccole mani in grembo, il vuoto che si sentiva dentro inghiottito dal dolore che si irradiava in onde prepotenti dalla ferita.

    Lo vedeva da come le sopracciglia gli si erano congiunte in un'unica linea ispida quanto Elm fosse concentrato. E quando la sua barba fremette, la spalla le lanciò una fitta, paventando un nuovo sforzo di volontà per rispondere alle sue domande.

    – Cerca di riposare. – disse invece l'uomo. – Buck resterà a farti compagnia fino al mio ritorno.

    Il grosso cane, rizzate le orecchie a sentire il proprio nome, continuò a battere la coda sul tappeto fin quando Elm, chiuso in quel silenzio assorto, non sparì dietro la soglia.

    4

    Si narravano tante storie su Elm Hertevel. Custode di Mistywood, Magi della tradizione antica, taumaturgo.

    Wren decise che Elm, speciale, lo era davvero, anche se in modo abbastanza diverso da come lo raccontavano. Non aveva poteri taumaturgici. Tuttavia quelle sue mani grandi come zampe d'orso erano abili e gentili e la sua conoscenza delle proprietà officinali di ogni essenza vegetale era davvero profonda. Grazie a lui, le ferite fisiche di Wren guarirono tanto in fretta da permetterle, in breve tempo, di accompagnarlo nel suo girovagar per i boschi.

    Un segreto istinto, come se una rete di fili sottili lo legasse a ogni creatura di carne e corteccia di Mistywood, pareva guidare i passi di Elm dove l'equilibrio della foresta era minacciato. Eccolo rintuzzare la testarda avanzata dei rovi, che avrebbero soffocato ogni altra forma di vita vegetale o animale, se lasciati a se stessi, oppure disporre blocchetti di sale grezzo a disposizione di cervi e caprioli per integrare la loro alimentazione, o ancora rimuovere da uno stagno la carcassa di un daino che ne avrebbe imputridito le acque.

    Wren guardava attentamente e imparava. Non sarebbe stato così male poter restare nella piccola capanna nel bosco e rendersi utile.

    Ma Elm pareva avere altri progetti per lei.

    – Ti ho osservata… Sei stata sfiorata dai baffi della Lince, non è così? – disse posando per un momento l'ascia con cui stava spaccando legna da ardere. Wren, intenta ad ammucchiare i ciocchi in una pila ordinata sotto la tettoia, impallidì e chinò il capo, contrita.

    Quel giovane daino che avevano scovato intrappolato nel fango. Aveva occhi così colmi di dolore. Lei lo aveva aiutato, ma non credeva che Elm se ne fosse accorto.

    – Non devi vergognartene! Essere depositari di una manifestazione della sua magia è un dono, oltre che una responsabilità. Chi si occupava della tua istruzione al villaggio?

    Se possibile, Wren parve farsi ancora più piccola.

    – Capisco… – borbottò Elm contrariato. – Mentre i seguaci del Dio Nuovo dilagano come una pestilenza ingoiandoci un brandello per volta, noi della Lince non troviamo di meglio che rendergli il compito più semplice, emarginando i nostri giovani più dotati… – disse spaccando con un colpo violento uno spesso ramo schiantato dal gelo.

    Poi con un sospiro tornò a posar l'attrezzo, studiando la fanciulla.

    – Le abilità innate vanno affinate e addomesticate. È pericoloso lasciarle a se stesse. Hai bisogno di maestri che ti insegnino a usare opportunamente il potere che la Lince ha condiviso con te.

    Wren levò timidamente il capo e lo fissò speranzosa.

    Le sopracciglia di Elm si incurvarono come bruchi ispidi sorpresi da un ostacolo imprevisto.

    – Io farti da maestro?… Non saprei. Mostrami per bene quello che sai fare.

    Wren assentì. Si guardò intorno e scelse un cespuglio ormai spoglio ai margini dello spiazzo sul retro della capanna. Racchiuse tra le piccole mani l'estremità vizza di un ramo. Chiuse gli occhi e la fronte liscia si contrasse, disegnando una ruga sottile tra le sopracciglia aggrottate. Il sudore le imperlò la pelle poi, con un sospiro, Wren spalancò al contempo gli occhi e le dita. Foglioline dello stesso verde novello delle sue iridi trasparenti vibravano all'estremità del rametto, come se fosse stato sfiorato dal tocco di una precoce primavera. Elm continuò a osservare in silenzio mentre la ragazzina tendeva le dita accarezzando le minuscole foglie. Questa volta avvenne tutto più velocemente. Prima si riavvolsero fino a divenire gemme poi rimpicciolirono sino a scomparire nella brulla scorza del ramo di nuovo spoglio.

    Wren ritrasse le mani, il respiro affrettato e gli occhi lucidi. Il guardaboschi le circondò le spalle e la fece sedere su uno dei ceppi.

    – Straordinario! Se penso che nessuno ti ha addestrata… Come funziona esattamente?

    La giovane mosse stancamente le mani in quel suo alfabeto fatto di gesti.

    – Il tempo… sei capace di accelerarlo o di riavvolgerlo su se stesso. È in questo modo che hai aperto un varco nel granaio per fuggire… invecchiando il legno sino a renderlo fragile come foglie autunnali. Hai avuto un gran sangue freddo, ragazza! Funziona su qualsiasi…? Solo cose vive… o che lo sono state. Quindi legno sì e pietra no.

    Wren accennò di sì col capo.

    – Anche animali e persone, allora?

    Le dita della fanciulla si mossero inquiete. In realtà non sapeva bene neppure lei sino a dove potesse spingersi. Una volta, di nascosto, aveva cercato di accelerare la guarigione di un brutto graffio alla zampa di una mucca. Ci era riuscita, anche se era quasi svenuta per lo sforzo. Inoltre, quando il capovilaggio l’aveva scoperta, si era spaventato così tanto che le aveva proibito di riprovarci e lei gliel'aveva promesso, vergognosa e dispiaciuta. Lui era sempre stato buono con lei, non come sua moglie… e ora era morto, lui e tutti gli altri.

    Grosse lacrime le striarono le guance punteggiate di pallide efelidi.

    Da giorni cercava di non pensare a quel che era accaduto, al fatto che tutti coloro che conosceva non c'erano più. La vita al villaggio non era mai stata semplice per una diversa come lei, per il proprio mutismo ancor prima che per quel dono misterioso. I suoi compaesani non avevano mai fatto molto per farsi amare davvero, ma quantomeno non l'avevano abbandonata quando era rimasta orfana. E ora…

    Elm si chinò e la indusse a levare il viso.

    – Per loro non possiamo più fare nulla… ma per te sì. Hai bisogno di apprendere da maestri migliori di me. Un tempo ogni villaggio aveva un depositario dei Misteri della Lince, mentre oggi… – sospirò. – Però conosco un posto dove potresti imparare molto. È un santuario, dove le antiche arti vengono preservate e coltivate. In passato era un onore per i villaggi inviare i loro giovani a studiare lì. Il tuo potenziale è grande, lo intuisco persino io. Un giorno tu stessa potresti insegnare! – sorrise complice tra la barba fitta. – Perché non dovresti? A Occhio del Cielo non è il numero di capre o di maiali che possiedi a far la differenza, ma il talento. E tu ne hai, credimi!

    Wren stentava a capacitarsene. Lei, un'orfana senza neppure un villaggio a cui tornare, avrebbe potuto studiare, imparare e magari un giorno…

    Le sue mani tornarono a volare impazienti per dare corpo alla sua voce.

    Elm annuì. – Sì, anche io ho studiato lì… Un breve periodo, molto tempo prima che tu nascessi. Perché sono andato via? La nostalgia! Il mio legame con questi boschi è alla base della mia modesta abilità. Non posso rimanerne distante troppo a lungo senza soffrirne profondamente… No, non tutti i poteri funzionano così. Studiare serve proprio a questo, a capire e assecondare nel migliore dei modi il dono che possiedi, senza fartene possedere. Credimi, studiare anche solo per un poco al santuario, vale la fatica e i rischi del lungo viaggio che serve per raggiungerlo… È naturale! Se deciderai di partire non viaggerai da sola. C'è un

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