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Appunti di viaggio
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Appunti di viaggio

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“Appunti di viaggio”: una narrazione memorialistica dal chiaro valore emotivo, oltre che soggettivo, inquadrata in un determinato contesto storico-sociale e politico. Arciduca lascia l'impronta del proprio essere proiettandosi sul passato per rievocare ricordi in cui sono concentrati emozioni, percezioni, immagini, suoni, colori immagazzinati nella mente, per costruire un pezzo di storia personale. Le tappe fondamentali della vita dello scrittore Arciduca sono racchiuse come petali di un fiore che non appassisce mai e narrate come la storia di un puzzle, dove i tasselli sono i ricordi, in cui il tempo fluttua avanti e indietro, alcuni con spazi narrativi più ampi rispetto ad altri ma tutti con differenti valori esperienziali. I ricordi non conoscono frontiere, sono il tramite grazie al quale l'autore sapientemente “naviga” nella sua interiorità a toccare e portare alla luce un tempo perduto, svanito fra le pieghe del flusso temporale, senza restare intrappolato nel passato. In fondo ricordare è una connessione tra passato e presente ed è evidente in “Appunti di viaggio” il lavorio interiore dell'autore, compiuto con razionalità e con la volontà di affrontare un tempo lontano senza tensioni emotive ma percorrendolo con la consapevolezza dei passi, certi e incerti, che furono. Quasi un giro di boa, quello di Mauro Arciduca.
LanguageItaliano
Release dateFeb 7, 2022
ISBN9791220896399
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    Appunti di viaggio - Mauro Arciduca

    MAURO ARCIDUCA

    APPUNTI DI VIAGGIO

    ATILE EDIZIONI

    " Ho soltanto tolto le incrostazioni del tempo

    a momenti di eternità

    racchiusi nella mia anima.

    Era mio dovere liberarli!"

    Mauro Arciduca

    A mia cugina Adriana

    INDICE

    Prefazione……………………………….……….pag. 11

    La mia death valley ……………………………...pag. 13

    Dave, ritratto di musicista ………………………..pag. 15

    Una lezione di vita………………………………pag. 19

    L'oro del ghetto …………………………………...pag. 25

    Jane Fonda ultima icona …………….…………..pag. 29

    My generation …………………………………….pag. 31

    Gypsy ……………………………...……………pag. 37

    Benefit …………………………………………….pag. 43

    I mosaici d'oro di Monreale …………………….pag. 49

    L'incompiuta ………………………………….…pag. 55

    Il cugino Piero ………………………………..…pag. 59

    La scossa (trilogia del tango) ……………….……..pag.

    Gli elba taxi dancers: genesi e gloria imperitura .pag. 85

    Le notti di Ortigia………………………………pag. 105

    Il sentiero di Annibale ………………...……….pag. 113

    Nel segno delle ss ……………………………..…pag. 165

    Devo rendere grazie ad Adolf Hitler …………….pag. 177

    John Weathers è già leggenda ……………….…pag. 183

    Pensione San Contardo ………………………...pag. 187

    Appendice ……………………………………...pag. 215

    Ringraziamenti………………………………….pag. 217

    PREFAZIONE

    " Appunti di viaggio " : una narrazione memorialistica dal chiaro valore emotivo, oltre che soggettivo, inquadrata in un determinato contesto storico-sociale e politico. Arciduca lascia l'impronta del proprio essere proiettandosi sul passato per rievocare ricordi in cui sono concentrati emozioni, percezioni, immagini, suoni, colori immagazzinati nella mente, per costruire un pezzo di storia personale.

    Le tappe fondamentali della vita dello scrittore Arciduca sono racchiuse come petali di un fiore che non appassisce mai e narrate come la storia di un puzzle, dove i tasselli sono i ricordi, in cui il tempo fluttua avanti e indietro, alcuni con spazi narrativi più ampi rispetto ad altri ma tutti con differenti valori esperienziali. I ricordi non conoscono frontiere, sono il tramite grazie al quale l'autore sapientemente naviga nella sua interiorità a toccare e portare alla luce un tempo perduto, svanito fra le pieghe del flusso temporale, senza restare intrappolato nel passato. In fondo ricordare è una connessione tra passato e presente ed è evidente in Appunti di viaggio il lavorio interiore dell'autore, compiuto con razionalità e con la volontà di affrontare un tempo lontano senza tensioni emotive ma percorrendolo con la consapevolezza dei passi, certi e incerti, che furono. Quasi un giro di boa, quello di Mauro Arciduca.

    Egli ci trasmette che, mediante la memoria a lungo termine, possiamo masticare pezzetti della nostra esistenza che ci hanno formato per il vivere quotidiano. Non solo, ci immerge nel suo mondo e attraverso la sua scrittura, semplice e di immediata comprensione, ci guida a conoscere luoghi incantevoli e pittoreschi e a trarre dalla storia insegnamenti morali validi ad affrontare le tante e diverse situazioni (positive o negative che siano) che si presentano lungo la strada della vita. Sono proprio le sequenze riflessive dell'intera narrazione quelle dalle quali trarre il pensiero dello scrittore per un confronto fruttuoso al fine di capire le modalità tramite cui estrarre dalla storia – intesa come disciplina che si occupa del passato – da quella antica a quella moderna, a quella contemporanea, spunti e insegnamenti e non indottrinamento.

    Non indifferenti le riflessioni di Arciduca sui crimini, quindi sul male, commesso dalle SS durante il secondo conflitto mondiale. Male al quale ha contribuito a dare una spiegazione attraverso le teorie dello psicologo Gustave Gilbert e dello psichiatra Douglas Kelley. La disquisizione sul male dello scrittore, con applicazione a una sua esperienza lavorativa, e le teorie citate richiamano alla mente Hannah Arendt con la sua opera La banalità del male.

    Sicuramente Arciduca non lascerà la sua impronta fra i nostri pensieri come un qualsiasi scrittore delle proprie memorie ma come suggeritore di un particolare modo, spesso ignorato da molti, di approcciarsi alla quotidianità. O, più marcatamente, come un viaggiatore nel profondo dell'animo umano e nell'anima della storia del passato.

    Elena Midolo

    .

    LA MIA DEATH VALLEY

    Nascere in Valle Scriva, tra la piana di Alessandria e i monti dell'Appennino alle spalle di Genova, non è quel che si può dire aver avuto un gran colpo di fortuna. C'è chi nel passato la definì addirittura La Svizzera italiana per via delle sue estati fresche quando il caldo opprimente della città costringeva le buone famiglie genovesi a trovare ristoro nei nostri casolari ma gli inverni…beh, quelli sono micidiali ora come allora. A noi il riscaldamento globale ci fa un baffo!

    Non c'è anno che nelle nostre zone i vertici di ANAS non vengano colti impreparati dalle bizze del maltempo. Quella che nelle previsioni può apparire come una leggera spazzolata di neve, nel tratto in cui l'autostrada attraversa la Valle Scrivia può trasformarsi in un incubo per gli automobilisti, che molto spesso rimangono bloccati per ore in mezzo alla tormenta in attesa dei mezzi di soccorso perché il solito Tir si è messo di traverso sulla doppia corsia. Quante volte gli addetti alla Protezione Civile sono stati costretti a intervenire con coperte e generi di conforto in aiuto degli automobilisti semi-assiderati dentro le loro vetture. La Valle Scrivia in inverno non ti lascia scampo. E’ l'equivalente della Death Valley in Nevada. Il tratto che va da Busalla a Rigoroso è un territorio tra i più freddi d'Europa. Non fa una gran differenza trovarsi lì o nella valle del Don.

    Quando nell’inverno di qualche anno fa mi recai per la prima volta a Mosca, i miei compagni di viaggio battevano i denti dal freddo sulla Piazza Rossa mentre io ero perfettamente a mio agio nel contemplare le celeberrime mura del Cremlino. Avevo un non trascurabile vantaggio su di loro: l’essere nato e cresciuto a Borgo Fornari, in Valle Scrivia.

    DAVE, RITRATTO DI MUSICISTA

    Il raduno dei fans dei Jethro Tull del 2008 svoltosi ad Alessandria fu un’esperienza veramente elettrizzante. Ero riuscito ad avere un pass dall’organizzazione per accedere al back-stage e questo mi permise di stare a stretto contatto con quei musicisti che per innumerevoli anni ho idolatrato e che ancora oggi pongo nell’empireo della musica. In quel via vai dietro le quinte, tra componenti vecchi e nuovi della band che non ebbi difficoltà a riconoscere, aspettavo l’attimo propizio per poter avere un autografo, una foto, un altro tassello importante da mettere nell’archivio dei miei feticci.

    L’unico che riuscii ad avvicinare esibendo il mio inglese ancora troppo scolastico fu DAVE PEGG, storico bassista dei Jethro nel periodo 1979 - 1997 che subentrò a John Glascock, morto a causa di un infarto appena trentenne.

    Dave aveva ormai lasciato i Jethro da tempo per riunirsi alla sua vecchia band ma aveva comunque dato un taglio deciso alla sua attività di musicista, divisa tra tournee e sale d’incisione. Mi trovai perciò davanti una persona ormai distante dai clamori del pubblico, un tipo molto semplice, affabile, molto disponibile e che amava vivere ai suoi ritmi fatti anche di lunghe pause da quella professione che lo aveva portato a suonare nelle piazze, negli anfiteatri e nei palazzetti di tutto il mondo. Dopo tanto girovagare lontano da casa stava nuovamente assaporando le cose semplici della vita, lontano dal palcoscenico. Mi disse che ora aveva un B&B sul lato atlantico della costa francese che gestiva insieme alla sua compagna e dove si era ritirato definitivamente.

    Con quella sua flemma tutta britannica davvero mi riusciva difficile capire come avesse potuto reggere per tutti quegli anni i ritmi forsennati che il leader dei Jethro Tull, Ian Anderson , aveva imposto ai componenti del gruppo,i quali, per tutto il tempo in cui militò Dave , portarono la band a sfornare una ventina di album (praticamente uno all’anno) poi puntualmente portati in tour in ogni angolo del globo. Una lista interminabile di date che avrebbero sfibrato anche il più inossidabile dei professionisti.

    Calcai la mano sulla sua squisita disponibilità e cercai di attingere a qualche aneddoto circa le vicissitudini della band per tutto il periodo che ne fece parte. Per prima cosa gli chiesi come furono le circostanze per cui fu ingaggiato come bassista nei Jethro Tull nel lontano 1979. Dave mi fece notare che, prima di tutto, lui è un mandolinista ed essendo il mandolino uno strumento che compariva spesso nei brani dei Jethro questo fatto calzava a pennello per le esigenze della band, soprattutto nei concerti dal vivo. Fui colpito dalla sua schietta sincerità in particolar modo quando mi disse: In realtà fu per puro caso che divenni il bassista dei Jethro Tull. Semplicemente mi trovavo nel posto giusto, al momento giusto. Ian aveva bisogno di assoldare in fretta un bassista per continuare il tour che aveva in corso dopo l’improvvisa morte di Glascock e io ero disponibile. Fu una serie di fortuite coincidenze a farmi trovare lì nell'attimo giusto. Tu non hai idea di quante volte il fattore fortuna giochi un ruolo determinante nel nostro ambiente – e a proposito di questo aggiunse – Devi sapere che io ho diversi amici musicisti in Inghilterra che sono molto più bravi di me e che lavorano in fabbrica!. Lontanissima da lui l’idea di atteggiarsi a star!

    Poi ricordo un simpatico particolare. Nel congedarsi da me con una forte stretta di mano e dopo aver posto con orgoglio la sua firma con dedica sulla copertina di un mio vinile dei Jethro, dove lui naturalmente compariva nella formazione, nel pormi indietro il pennarello lo trattenne ancora un attimo tra le sue mani annusandolo e chiudendo gli occhi quasi fosse entrato in fase mistica per poi esclamare: Ah, fantastic! .

    Lì per lì non capii il gesto e il perché dell'esclamazione. Me lo spiegò più tardi un tecnico dello staff che conosceva bene i vezzi di tutti i membri della band. La punta del pennarello contiene un particolare tipo di inchiostro il cui profumo è molto simile a quello del mosto selvatico. Dave lo sapeva e non voleva privarsi comunque di quel piccolo piacere.

    Come la maggior parte dei suoi colleghi musicisti anche Dave è un formidabile bevitore e quella sera non perse occasione di scolarsi un bel numero di bottiglie di buon Nebbiolo del Piemonte, ma senza accusare minimamente postumi da ubriachezza. Lo constatai io stesso vedendolo bello sobrio e soddisfatto sul palco per l’esibizione finale, mentre nella stanza accanto alcuni inservienti ripulivano i tavoli e il pavimento dalla distesa di vuoti di bottiglia sparsi un po’ dappertutto.

    Immagino che sarà stato molto felice quando avrà saputo che quel raduno si teneva in una località racchiusa tra le Langhe e il Monferrato, terra di pregiati vigneti.

    UNA LEZIONE DI VITA

    Alla fine sarai giudicato non su quanto hai accumulato in vita o sulle imprese che hai compiuto ma su cosa di buono hai lasciato e sull’amore che avrai saputo donare!

    Il secondo anno alle superiori, nel '72 -'73, fu uno dei periodi più duramente vissuti della mia carriera scolastica e questo nonostante l’anno precedente fossi andato decisamente bene un po’in tutte le materie. Nel primo anno superai brillantemente persino l’ostacolo matematica, la mia bestia nera, grazie anche alla complicità dell’insegnante, un tipo alquanto buffo che, vista la poca omogeneità della classe, trattò gli argomenti con relativa faciloneria forse per renderli più abbordabili a tutti. In realtà, nel suo convulso spiegare, ci aveva lasciato con un deficit formativo che non avrebbe consentito di affrontare agevolmente il programma dell’anno a venire.

    Trascorsi le vacanze estive nell’illusione di essere un genio in matematica e del tutto ignaro di ciò che mi aspettava.

    Tornato sui banchi di scuola mi fu chiaro sin dai primi giorni, grazie soprattutto ai racconti delle esperienze dei ripetenti (e da cui non si presagiva niente di buono) che il decorso scolastico non sarebbe stato proprio una passeggiata. La conferma dell'amara realtà la ebbi all'impatto con il nuovo professore designato di matematica, il prof. Guido Bertoldi, descritto dai più come severissimo e che condivideva la cattedra di matematica dell’istituto tecnico che frequentavo con il fratello gemello Mauro di cui si diceva anche peggio. Li chiamavano i gemelli terribili per la loro fama di implacabili e che traspariva oltremodo dalla loro imponente figura.

    La scala dei loro voti era compresa tra il sette – il massimo ottenibile – e il due (forse perché attribuivano all'Uno e allo Zero lo stesso valore del prezzo del coperto al ristorante). Li trovavi sempre insieme, erano praticamente inseparabili. Sembravano gli angeli dell’apocalisse quando li si vedeva percorrere lentamente i lunghi corridoi della scuola nel loro confabulare sommesso, in quell’atteggiamento austero ma sempre molto pacato e con strette in pugno le borse gonfie dell’esito dei compiti in classe quasi a presagire chissà quali cataclismi. Il loro passaggio era sempre accompagnato da un ossequioso silenzio e anche da una certa deferenza da parte degli stessi loro colleghi. In effetti non sembrava che con gli altri insegnanti avessero solidarizzato del tutto! A mio modesto parere, il fatto di tenere quel rapporto un po’ distaccato con tutto il resto del personale docente era espressamente voluto, al fine di non rimanere troppo influenzati dai rapporti interpersonali nel loro insindacabile giudizio in sede di scrutinio finale.

    Il vociare festoso di noi ragazzi si tacitava all’improvviso nel momento stesso che quell’urlo strozzato, Arrivano! , annunciava il loro lento avanzare dal fondo del corridoio, dove si trovava la sala professori. La loro fama di terribili diffusasi quasi da subito tra la scolaresca li aveva abbondantemente preceduti già fin dai primi giorni dell’anno scolastico. Ciò ebbe un effetto particolarmente marcato soprattutto sui più bulli che in loro presenza propendevano a tenere le ali ben basse, consapevoli che con quei due non c’era tanto da scherzare.

    In realtà l'autorevolezza dei professori Guido e Mauro Bertoldi derivava semplicemente dal ricoprire il ruolo di insegnanti con grande spirito di servizio, forti della consapevolezza nella padronanza della materia che insegnavano e nell'usare un metro di valutazione assolutamente imparziale per scrutinare i propri allievi.

    Alla mia classe capitò Guido e tutti ci ritenemmo tutto sommato fortunati perché dalle voci che giravano pareva fosse un tantino più indulgente del fratello. L'impatto fu comunque tremendo!

    Quasi tutti tra noi non l'avevano mai né visto né ascoltato prima, pertanto l’ansia di curiosità ebbe per un attimo la meglio sulla paura che incuteva la sua massiccia presenza.

    Il prof. Guido Bertoldi mise subito le cose in chiaro sin dal primo giorno. Nel suo discorso di saluto Parlo a nuora perché suocera intenda si rivolse principalmente ai ripetenti del precedente anno scolastico e per i quali egli contribuì non poco alla bocciatura. Inoltre, non tralasciò di citare gli estenuanti colloqui, a suo dire, con i di loro genitori e soprattutto di deplorare le esortazioni di certe mamme ad avere maggiore clemenza per i loro figlioli, specie per coloro che, data la lontananza, dovevano ricorrere a più mezzi di trasporto per raggiungere la scuola. Ricordo esattamente le sue parole: Quest'anno non avrò alcuna indulgenza su nessuno di voi se non sarete a livello della sufficienza allo scrutinio finale. O sarete padroni della materia e vi impegnerete sul serio a studiare o altrimenti vi boccerò senza pietà come ho fatto lo scorso anno! Non m'importa se a scuola ci dovete venire in treno, in corriera o a dorso di mulo..

    Proprio dietro di me c’era un ripetente che, imprecando sottovoce per la malaugurata sorte di esserselo ritrovato di nuovo davanti, in cuor suo sperava di non essere riconosciuto. Un fulmineo " Oh, ciao Torrazza! " lo gelò all’istante!

    Che non stesse affatto scherzando lo capimmo in occasione del primo famigerato compito in classe di matematica. La prova, la ricordo ancora oggi, verteva sui radicali e l’esito fu a dir poco disastroso. Alcuni di questi compiti sembravano più un campo di battaglia che un vero tentativo di svolgimento. Pieni di errori cerchiati a matita blu, con frecce e vettori di vario genere che richiamavano a note scritte in stampatello e il cui testo suonava come una condanna all’espiazione. Fu una sequela di due infinita. Solo in pochi, i più bravi, si salvarono con una striminzita sufficienza ma anche i rarissimi quattro dovevano ritenersi un successo. Per il resto fu una sequenza di condanne senza appello racchiuse tra il due e il tre!

    Fu il primo e credo unico due della mia carriera scolastica e ovviamente fu un trauma. Passato il momento di stordimento iniziale per lo shock, il pensiero andò subito a come trovare il coraggio per annunciarlo alla mia povera mamma. Né lei né tantomeno il mio babbo erano preparati a un'onta del genere e ancor più difficile sarebbe stato spiegare loro che, stante le cose, avrebbero dovuto farci presto l'abitudine.

    Intanto nell'aula era improvvisamente calata un'atmosfera pesantissima. Lo smarrimento generale era evidente. Anche i più strafottenti, quelli che andavano a prendere posto sempre in fondo alla classe, avevano perso tutta la loro alterigia intenti com’erano a leccarsi le ferite. Riuscivo a udire a malapena i loro commenti:

    " E adesso a mia madre come glielo dico?" (Roberto D’Angelo)

    " Porca miseria, 100.000 Lire di ripetizioni per prendere due!" (Claudio Librandi)

    Un terzo, serrando i pugni, proferiva parole incomprensibili infarcite di bestemmie (Ermano Passeri) . Il quarto, infine, pareva averla presa più filosoficamente: Ragazzi, ma vi rendete conto? Abbiamo preso 8 in quattro! (Alessandro Tassi)

    Una volta assorbito lo shock, a una analisi più calma e meditata, un po’ come quando i partiti politici si chiudono in un serrato silenzio stampa per capire le ragioni di una sconfitta, a tutti fu chiaro il perché di una tale débacle. Eravamo dei poveri illusi a pensare che gli ozi dell’anno prima ci avrebbero garantito un’annata senza scossoni e masticammo amaro nel riconoscere che erano troppe le nostre lacune per sperare di confrontarci con il nuovo programma di matematica. Per fare un esempio, tratto dalla filmologia più nota, fu come quando a Rocky , che aveva appena strappato il titolo mondiale ad Apollo Creed , furono dati incontri con pugili mediocri facendogli credere che erano sfidanti di valore. Rocky per un certo tempo fu illuso di essere un vincente finché arrivò ad affrontarne uno veramente tosto che gliele diede di santa ragione.

    Niente mi toglie dalla testa che quella del prof. Guido Bertoldi fu una tattica. Impartire come prima prova dell’anno scolastico un compito in classe di grado piuttosto elevato di difficoltà allo scopo di dare una sferzata all’aula per indurla a impegnarsi a fondo. Chi avrebbe avuto la forza di reagire e si fosse messo di buona lena a colmare i propri deficit l'avrebbe sfangata, gli altri sarebbero stati dannati! Credo fermamente fosse un fautore di una scuola che preparasse a essere uomini e per questo attuava la stessa legge della giungla: se vuoi sopravvivere ti devi adattare, altrimenti finisci nelle fauci delle fiere.

    Quella volta, però, intuendo lo smarrimento della classe, depose per una volta il suo tono serio e ci lanciò una gomena. Ci parlò con grande franchezza spiegandoci la situazione: Con queste basi non riuscirete mai a completare l'anno dato che sarete sempre un passo indietro rispetto al mio ruolino di marcia. Avete assoluto bisogno di colmare il deficit cognitivo e dovrete farlo anche in fretta, perché io voglio completare il programma dell’anno e non intendo aspettare nessuno!

    In una situazione del genere oggi avremmo visto una sollevazione generale dei genitori che sarebbero piombati nell'ufficio del preside per chiedere di convocare un consiglio straordinario e crocifiggere il

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