Cronache dal mondo dell'arte 1: Storie curiose di artisti e dintorni
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Cronache dal mondo dell'arte 1 - Antonio Capitano
La Luce di Piero della Francesca
Ne Gli Archivi della Storia d’Italia
nel vol. IV Inventario degli archivi di Sansepolcro
del 1914 Giustiniano degli Azzi, esamina, oltre agli archivi comunali, anche quello della storica famiglia degli Alberti di Sansepolcro. In un codicetto cartaceo autografo di Berto Alberti, che il 7 settembre 1556 viene pagato per un lavoro dai Conservatori della città, viene riportata questa notizia: Ditto Marco (di Longaro), quando era piccolo, menava per mano mastro Pietro di la Francesca, pittore eccellente, ch’era accecato: tanto lui mi disse
.
Anche il Vasari nelle sue Vite
riporta la notizia della cecità di Piero della Francesca, secondo lui rimase cieco dall’età di sessant’anni fino alla morte e questo, ad avviso di autorevoli voci, è discutibile, visto che sono stati trovati documenti autografi datati al gennaio 1492 e che comunque è stato attivo nella vita pubblica fino al 1491.
La Cronichetta di Berto Alberti è adesso conservata presso la biblioteca degli Uffizi a Firenze, dove la famiglia si trasferì molti anni fa, in un fondo dal nome Ricordi della famiglia Alberti di Borgo Sansepolcro
.
Ma quale è il messaggio contenuto in questo frammento? Proprio il ruolo e la figura di tale Marco di Longaro; egli infatti non poteva mai immaginare di finire in una storia e nella storia solo per aver accompagnato l’illustrissimo Piero della Francesca alla sera della sua vita. Nulla testimonia questo passaggio
oltre le poche notizie sparse. Nessuno ha fermato la scena in un dipinto e il giovane Marco non ha lasciato alcuna memoria orale o scritta. Eppure questa vicenda è carica di un’umanità speciale che, a pensarci bene, riporta alla mente episodi che sarebbero accaduti secoli dopo.
Il pittore della luce conclude la sua vita terrena nell’oscurità, ma il destino lo fa incontrare con un fabbricatore di lanterne quasi che una luce artificiale potesse sostituire quella naturale. Fabbricare lanterne è parimenti arte di enorme utilità; illuminare il Borgo addormentato per rischiararlo con la magia di uno strumento semplice, ma fondamentale. Di cosa avranno parlato i due per le strade antiche che ancora raccontano di Madonne e di Leggende? E se il fortunato Marco si fosse tenuto tutto per sé ritenendo tale esperienza così riservata da non lasciare nemmeno una traccia? Proprio su queste fascinazioni si fonda il lavoro del pittore e dello scrittore. Testimoniare un accadimento salvato da una cronichetta e che ora rappresenta quel frammento dal quale ricostruire una storia. Ma il lettore perdonerà l’azzardo di ritenere che tra tanti mestieri quello del fabbricatore di lanterne non può essere lasciato solo al caso, ma soprattutto al sogno. Quelle lanterne stanno a significare la trasmissione di una luce. Il Maestro Piero continua ad illuminare dopo essere stato illuminato. Non importa se per poco o tanto tempo. Di sicuro anche quando i suoi occhi si sono chiusi non è rimasto al buio, per splendere ancora, splendere per sempre.
Rumori fuori scena. L’arte del risparmio di Pinturicchio
Molti conoscono la vicenda che anima la commedia di Moliere L’avaro
(con evidenti rimandi all’Aulularia di Plauto) non solo per il testo di vivace struttura narrativa, ma anche per le numerose trasposizioni teatrali e cinematografiche. Pochi, invece, conoscono un reale accadimento, che a causa delle modalità di svolgimento, assume toni tragicomici, sebbene la circostanza sia stata generata da una avarizia dagli aspetti patologici. Il Pinturicchio non tirava dalle sue tasche un quattrino e allora, approfittando della sua fama, consumava i pasti, rimediando inviti a pranzo o a cena e, solitamente, ricompensava i creditori con le proprie opere. In una singolare forma di baratto ritraeva i diversi commercianti per mangiare, per bere, per vestirsi o per la riparazione delle sue scarpe. L’arte del risparmio non finiva qui: da avaro incallito sotterrava i suoi averi o sotto gli alberi del suo giardino, o sotto il pavimento della sua stanza. Dopo aver approfittato della zia - sembrerebbe senza alcun ritegno - alla morte di questa, si sposò la propria domestica al fine di limitare le spese, essendo tale donna senza alcuna apparente pretesa, affinché potesse badare al pittore avendo cura di non impoverire la cassa familiare. Una commissione dei frati di san Francesco di Siena fu l’emblema della sua avarizia. I religiosi gli assegnarono una stanza, per la realizzazione dell’opera, noncurante di sua moglie che lo tradiva con un garzone mentre egli era solamente interessato alla conta serale e maniacale dei suoi ricavi. Nella stanza concessa dai frati rimase solo un vecchio e voluminoso cassone saldamente attaccato alla parete e per questo difficile da rimuovere, dal quale ogni notte provenivano sinistri rumori. Il Pinturicchio era convinto che quel cassone fosse posseduto da spiriti maligni o probabilmente ipotizzava la presenza di cattivi intenzionati intenti a sottrarre il suo denaro. Ogni notte era un tormento sia per lui sia per i frati che decisero dunque di verificare l’origine di quei rumori ma nulla emerse dal sopralluogo congiunto. E allora il pittore protestò a gran voce per la rimozione di quel cassone. Il priore cercò di fargli capire che lo spostamento di quel cassone avrebbe rovinato la parete e dunque, se proprio insisteva, avrebbe dovuto provvedere a proprie spese. Superfluo immaginare la reazione del pittore che infuriato minacciò di non proseguire più il suo lavoro. Fu allora che si prese la decisione di togliere quel cassone, alla presenza dei frati e dell’artista, e si svelò il vero motivo dei rumori notturni: un nido di topi si rifugiava dietro quella vecchia mobilia che, improvvisamente, si ruppe e dalla quale uscirono tantissimi ducati sui quali il Pinturicchio si gettò con un tuffo disperato, dapprima per reclamarne il diritto alla proprietà poi per aver capito che i frati non erano, evidentemente, dello stesso parere. Mentre contava e ricontava quella fortuna cominciò ad avere ogni tipo di malessere, ma soprattutto convulsioni con ripetute cadute e svenimenti. Fu condotto a casa e non volle più toccare cibo e, dopo qualche giorno dal ritrovamento, spirò stringendo due di quei ducati con una ferrea presa al punto tale di essere sepolto con gli stessi, tra le dita ormai saldate.
Il Buonconsiglio di Mastro Venceslao
Quella di Mastro Venceslao è una storia avvincente, una delle tante scene di una pellicola
, tutta ambientata a Trento nella penombra di antiche attribuzioni, confermate solo in tempi recenti, di una vicenda che si svolse intorno al 1483. Questo misterioso pittore boemo è stato capace di creare dei capolavori che possono essere ammirati con un tale stupore che sembra di osservare miniature che, improvvisamente, prendono vita tra realtà, fantasia e sogno.
Difficile immaginare le fattezze di tal Mastro Venceslao, ma si ipotizza possa essere stato già anziano o semplicemente invecchiato
dalla fatica, seppur sereno, dalle poche parole e di rara sensibilità. Un uomo mite che potrebbe ricordare quei giardinieri silenziosi che curano giardini come fossero esseri umani ai quali dedicare la massima attenzione. O meglio ancora come uscito da una miniatura di quelle talmente belle da provare stupore e meraviglia per i tanti dettagli affollati in poco spazio. Ecco se si provasse a dare un titolo alle azioni di questo artista è possibile pensare a quel dio delle piccole cose capace di dare agli uomini, anche di piccola statura, quel portamento da giganti per la straordinarietà delle opere che hanno lasciato. Questa figura immersa nel silenzio, sia reale sia storico, deve la sua memoria ad una serie di capolavori che si possono ammirare al Castello del Buonconsiglio di Trento. Il suo
Ciclo dei Mesi prima di essere propriamente suo
è stato oggetto di tante ipotesi, spesso tese ad allontanare la messa a fuoco della verità.
Un significativo studio riporta all’attenzione il caso
attraverso un documento, conservato nell’archivio del capitolo della Cattedrale di Trento, che permette di aggiungere un ulteriore elemento alla discussione in merito alla effettiva attribuzione. Nel giugno 1397 i canonici della cattedrale,