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Le avventure dell'educazione: Per una pedagogia interculturale delle civiltà
Le avventure dell'educazione: Per una pedagogia interculturale delle civiltà
Le avventure dell'educazione: Per una pedagogia interculturale delle civiltà
Ebook405 pages5 hours

Le avventure dell'educazione: Per una pedagogia interculturale delle civiltà

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Il mondo è grande, ma oggi è diventato piccolo e interconnesso, e la pandemia sta lì a ricordarcelo. Al di sopra o al di sotto di stati e culture ci sono entità più vaste ed antiche: le civiltà. Nate più di duemilacinquecento anni fa, oggi si incontrano la civiltà cinese, quella occidentale (con le sue varianti continentale, angloamericana, sudamericana), quella islamica, quella indiana. Tra Oriente e Occidente, tra Nord e Sud del mondo, hanno dato vita ad una grande pedagogia. Un gigantesco curriculum formativo prodotto dalle religioni, dall’economia, dal paesaggio, dalla politica, dalla tecnologia, dall’etica, dalla storia, durato millenni, ha plasmato le mentalità e le identità che sono quelle di oggi.
Di questo dovrebbe occuparsi anche l’educazione interculturale che qui viene proposta, con un libro ambizioso, consapevole dell’enormità dell’impresa, ma anche della sua urgenza. Un viaggio nello spazio e nel tempo, tra la Cina e il Messico, tra gli Stati Uniti e l’Europa, tra il passato preistorico e il futuro planetario. Se la prima globalizzazione si è costruita sulla competizione del turbocapitalismo, la seconda globalizzazione post-pandemica, la nuova mondializzazione, si dovrà basare sulla collaborazione e sul dialogo. Il compito della Pedagogia interculturale è favorire, al di là dei conflitti che uccidono e dei muri che separano, il dialogo tra civiltà e culture, tra esseri umani e esseri viventi.
LanguageItaliano
Release dateDec 25, 2021
ISBN9788838251726
Le avventure dell'educazione: Per una pedagogia interculturale delle civiltà

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    Le avventure dell'educazione - Raniero Regni

    Raniero Regni

    LE AVVENTURE DELL’EDUCAZIONE

    Per una Pedagogia interculturale delle civiltà

    Tutti i volumi pubblicati nelle collane dell’editrice Studium Cultura ed Universale sono sottoposti a doppio referaggio cieco. La documentazione resta agli atti. Per consulenze specifiche, ci si avvale anche di professori esterni al Comitato scientifico, consultabile all’indirizzo web http://www.edizionistudium.it/content/comitato-scientifico-0.

    Il volume è stato pubblicato grazie al contributo

    della Libera Università Maria SS. Assunta

    Copyright © 2021 by Edizioni Studium - Roma

    ISSN della collana Cultura 2612-2774

    ISBN edizione cartacea 978-88-382-5085-9

    ISBN edizione digitale 978-88-382-5172-6

    www.edizionistudium.it

    ISBN: 9788838251726

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    https://writeapp.io

    Indice dei contenuti

    NOTA

    INTRODUZIONE - GEOPEDAGOGIA DUE

    I. EDUCAZIONE E CIVILTÀ, TRA PRIMA E SECONDA GLOBALIZZAZIONE

    La grande pedagogia delle civiltà

    Le civiltà assiali, l’invenzione dell’educazione e le modernità multiple

    Una prospettiva per la pedagogia interculturale

    Le sfide della globalizzazione e le risposte educative

    Seconda globalizzazione o nuova mondializzazione? Un problema di limiti

    La convergenza planetaria nella civiltà del mondo

    II. IDENTITÀ E EDUCAZIONE. NUOVE SFIDE PER LA PEDAGOGIA INTERCULTURALE

    Perché l’identità è diventata un problema

    L’identità tra riconoscimento e cittadinanza

    Verso quale identità educare?

    Concezione positiva dell’identità e dialogo interculturale

    III. IL TAO DELLA PEDAGOGIA. EDUCAZIONE E CIVILTÀ IN CINA

    Civiltà e educazione in Cina: il ruolo dell’infanzia tra Oriente e Occidente

    Una civiltà confuciana

    La disciplina della libertà e il Tao della pedagogia

    IV. LE PIRAMIDI DEL SACRIFICIO INFANTILE

    La conquista dell’America ovvero la scoperta dell’altro: un’esperienza messicana

    La coscienza mitica e le piramidi del sacrificio

    Un mito dell’infanzia?

    La pedagogia nera, le ferite dell’anima infantile e l’origine del male

    Una dialettica servo-padrone originaria in ambito educativo?

    Rovesciare le piramidi del sacrificio educativo

    V. VERSO UNA SOCIETÀ AL FEMMINILE. IL NUOVO CONTRIBUTO DELLA DONNA ALL’EDUCAZIONE DELL’UMANITÀ

    Uomo e donna tra temperamento e genere

    La guerra non ha un nome di donna

    Messaggi dal neolitico: origine e senso di un’altra forma di convivenza

    Dall’eguaglianza antico-europea alla diseguaglianza indo-europea

    La società al femminile del futuro e la nuova alleanza educativa

    VI. I VALORI DELL’EDUCAZIONE. FINALITÀ INTROVABILI, FINALITÀ INDISPENSABILI IN UN CONTESTO INTERCULTURALE

    L’essere umano è tendenzialmente migliore di se stesso

    Antinomie dei valori e antinomie dell’educazione

    Etica della bellezza, bellezza dell’etica

    Valori educativi in un contesto interculturale

    Conoscere se stessi per prendersi cura della propria anima: dal momento cartesiano ad oggi

    I valori hanno bisogno di testimoni

    L’eroismo del quotidiano: le virtù tra grande bene e piccolo bene

    VII. IL LAVORO TRA SCOPERTA DEI LIMITI E SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE

    La legge dello sforzo necessario e il saper fare

    Lavoro e Bildung, tra alienazione e liberazione

    La terza dimensione dell’apprendimento e il ruolo dell’apprendistato

    Si deve ancora educare con il lavoro?

    La vocazione del lavoro nella giovinezza

    Una parola chiave dei nostri tempi: limite

    VIII. SPORT E EDUCAZIONE: LA CULTURA SPORTIVA IN UN MONDO GLOBALIZZATO

    Un fenomeno complesso

    Dal gioco come origine della cultura alla filosofia dello sport

    L’ascesi come ideale sportivo

    Per una pedagogia dello sport

    CONCLUSIONE - IL PROBABILE E IL POSSIBILE DELLA PEDAGOGIA INTERCULTURALE: BENI COMUNI, CIVILTÀ DELL’EMPATIA E NUOVA MONDIALIZZAZIONE

    BIBLIOGRAFIA

    INDICE DEI NOMI

    CULTURA STUDIUM

    CULTURA

    Studium

    256.

    Scienze dell’educazione, Pedagogia e Storia della pedagogia

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    È vietata e perseguibile a norma di legge l'utilizzazione non prevista dalle norme sui diritti d'autore, in particolare concernente la duplicazione, traduzioni, microfilm, la registrazione e l’elaborazione attraverso sistemi elettronici.

    Al piccolo Paolo, appena approdato alla vita. Buona avventura e buon vento.

    Lui vivrà tempi che io non vedrò ed anche per questo mi impegnerò, come posso, a coltivare la speranza e a consegnargli un mondo migliore.

    NOTA

    Il capitolo I ha visto una prima, parziale stesura come Introduzione al testo di K. Jaspers, Origine e senso della storia , Mimesis, Milano 2014, con il titolo Arcaico futuro . Il capitolo 1.2 è stato pubblicato originariamente nel numero 1/2020 di «Pedagogia e vita». Il capitolo 2.2 riproduce, quasi integralmente, i testi pubblicati su «Nuova secondaria» numeri 7,8,9/2017. Una prima versione del capitolo 3.3 è comparsa su «Pedagogia e vita» 1/2021 con il titolo Il lavoro della vocazione oggi , stessa cosa per il capitolo 3.1, uscito su «Pedagogia e vita» 2/2018. Una prima versione del capitolo 3.2 è stata pubblicata su «Rivista Lasalliana», 4/2020, stessa cosa per il capitolo 3.4, la cui prima versione è comparsa sul numero 1/2017 di «Pedagogia e vita» con il titolo La grande bellezza dello sport . Anche se tutti i testi sono stati rivisti, modificati e aggiornati, si ringraziano gli editori per averne consentito la pubblicazione.

    INTRODUZIONE - GEOPEDAGOGIA DUE

    Questo è un libro di Pedagogia interculturale che ha per sfondo due argomenti che possiamo definire super-oggetti: le civiltà e il processo di globalizzazione. L’educazione e la connessa riflessione pedagogica sono intrinsecamente correlati con quei grandi curricula formativi che sono le civiltà. Queste oggi sono alle prese con quel gigantesco fenomeno il cui nome, pieno di incognite, è globalizzazione. Nate dalla stessa crisi assiale cinque secoli prima di Cristo, le diverse civiltà (soprattutto quella occidentale, nelle diverse sfaccettature e quella cinese, di cui si occupa il testo) hanno avuto una storia propria, in alcuni casi non comunicante con le altre, oggi si incontrano sullo scenario planetario.

    La globalizzazione, anche solo volendosi concentrare sulle sue vicende recenti, ha avuto una storia discontinua, fatta di accelerazioni, rallentamenti e crisi. Tra il 1980 e il 2000 ha dispiegato le sue ali verso un mondo sempre più aperto e interconnesso, di crescente fiducia. È in questo momento che è maturata l’esigenza dell’educazione interculturale legata alle migrazioni e all’integrazione scolastica. L’ottimismo era condiviso da entrambe. Nel periodo 2000-2020 la globalizzazione ha visto addensarsi le nuvole della complessità e della crisi, del nazionalismo e della diffidenza, che hanno preso i volti della crisi economica, del terrorismo internazionale, forse di nuovo dello scontro di civiltà e, infine, della pandemia. La stessa educazione e pedagogia interculturali hanno aggiustato il tiro, mettendo a fuoco gli obiettivi, le difficoltà ma, al tempo stesso, la necessità del dialogo interculturale.

    La globalizzazione ha sfidato e sfida in maniera radicale l’educazione, andando ben al di là del pur pressante problema dell’integrazione scolastica degli studenti stranieri nei diversi sistemi d’istruzione e della mediazione culturale nella società. A che punto siamo oggi? Le spinte globaliste sono forti così come quelle antiglobaliste. Le prime spingono verso la globalizzazione per ragioni diverse. Abbiamo la globalizzazione delle questioni climatiche e ambientali che non possono essere affrontate, come lo stesso problema della migrazione ma anche della democrazia delle reti informatiche, a livello nazionale. Il turbocapitalismo neoliberale spinge alla globalizzazione senza nessun limite, ignorando le conseguenze catastrofiche di uno sviluppo infinito in un sistema finito. Lo iato tra ecologia e economia appare grande, il pericolo aumenta perché l’economia sembra non possedere gli strumenti necessari per affrontare l’inedita epoca dell’Antropocene.

    La presente riflessione-ricerca ha avuto una lunga gestazione e preparazione, costellata anche da viaggi veri e propri, ma gli eventi recenti ne ribadiscono l’attualità e ne sollecitano l’uscita. Nel libro vengono messi a fuoco alcuni temi, quello dell’identità e delle modernità multiple, che mancavano in una precedente ricerca di due decenni fa e che si era intitolata Geopedagogia. Questi temi e gli altri, che si sono aggiunti in questi anni anche grazie ai miei corsi di Pedagogia interculturale, permettono di completare, per quanto possibile in un’impresa impossibile, un pensiero in movimento iniziato con il testo appena citato e che approda ora a qualcosa che assomiglia ad una Geopedagogia 2, una specie di sequel. Ma l’accelerazione del tempo storico accentua ancora di più la distanza rispetto a quel libro che era dedicato al rapporto tra globalizzazione e educazione.

    Questo libro dovrebbe essere la prosecuzione e l’aggiornamento, l’approfondimento e lo slargamento della tematica geopedagogica sullo sfondo della globalizzazione e del confronto tra culture e civiltà. Lo slargamento consiste nella comparazione, l’approfondimento è quello dell’inclusione, in parte, della dimensione storica nell’indagine. Ma anche la storia non serve solo per guardare indietro ma anche per guardare avanti, verso il futuro. L’esito è quello di una pedagogia interculturale che metta al centro il rapporto tra educazione e civiltà con lo scopo non solo dell’integrazione ma esplorando la possibilità della costruzione di una civiltà del mondo, di un’unificazione del genere umano e di una nuova coscienza planetaria di cui si avverte un estremo bisogno. Non una cultura unidimensionale ma una civiltà planetaria che sia ad un tempo culturalmente eterogenea e localmente palpitante, una civiltà multiforme che consentirà alla vita e all’umanità di fiorire. Utopia si dirà, e la pedagogia è sempre esposta sia all’ideologia che all’utopia, ma mentre la prima, legata ora soprattutto al neo-liberismo, appare autodistruttiva la seconda, ispirata dall’ecologia, si fa sempre più necessaria.

    Oggi la globalizzazione è ancora più dispiegata e mostra tutte le sue contraddizioni che rischiano di perderci. Forse dovremo cambiarle nome? Piuttosto che di seconda globalizzazione dovremmo parlare, se saremo sufficientemente saggi da approfittare positivamente della crisi in corso, correggendone le storture, dovremmo darle un diverso nome? Dovremo parlare di nuova mondializzazione?

    Il titolo e, in parte, anche il piano dell’opera, era stato pensato con Fabrizio Ravaglioli, molti anni fa. Poi la vita ha predisposto altri piani ma l’impegno era stato preso e neanche la morte del maestro doveva infrangerlo. L’opera a quattro mani è ora a due, le mie. Non è comunque un monologo ma un dialogo, non solo perché la prospettiva della pedagogia interculturale e della conseguente educazione planetaria è quella dialogica ma perché il dialogo con i maestri morti rimane vivo e ascolto ancora la sua voce lontana.

    Certo, l’ambizione contenuta in questo testo è sicuramente superiore alle forze dell’autore, forse alle forze di ogni autore. Ha ragione un grande studioso del fenomeno che «parlare della globalizzazione è un esercizio di megalomania» (A. Appadurai). Come scriveva F. Ravaglioli, «la comparazione tra civiltà è un rompicapo», che ha impegnato grandi menti (penso a M. Weber ma anche a suo fratello Alfred, così come O. Spengler o A. Toynbee). Si stanno scrivendo oggi, anche nel nostro paese, delle storie del mondo, ma sono comunque opere collettive composte da fior fiore di studiosi (penso a Canali Cama, Feniello, Migliorini). Di fronte a questo super-oggetto, l’erudizione richiesta è immensa, le generalizzazioni idealtipiche a cui si può arrivare nei casi migliori, anche se astrazioni non arbitrarie, sono sempre parziali. Che cos’è una civiltà, che cos’è una cultura nazionale? La risposta è difficile o impossibile.

    In alcuni casi, può avere ragione F. Jullien che mette in discussione persino l’esercizio stesso della comparazione perché irrigidisce nelle loro identità le culture messe a confronto, le essenzializza nella distinzione e nella differenza.

    Chiedendo scusa al grande sinologo e filosofo francese, chi scrive pensa però di dover accettare di balbettare nei confronti di un’altra cultura e civiltà, di accettare di apparire approssimativo e ignorante, di esporsi ad una frustrazione come omaggio però alla curiosità e alla conoscenza dell’altro. Il tentativo può essere maldestro e sicuramente inadeguato alle conoscenze e competenze richieste però «il rischio è bello se la speranza è grande». E la speranza è quella di arrivare a qualcosa che è «più di una ipotesi ma meno di una tesi» (M. Foucault). La consolazione è che comunque sarà difficile andare fuori tema visto che il tema coincide quasi con l’intero scenario della realtà in cui viviamo.

    La grande pedagogia offerta dalle religioni, dall’economia, dal paesaggio, dalla politica, dalla tecnologia, dall’etica, dalla storia, che si prova qui a teorizzare e a mettere alla prova delle conoscenze e dei fatti, parte dall’ammirazione per la immensa diversità delle culture e, al tempo stesso, va alla ricerca della possibile universalità dei valori che definiscono la condizione umana. Piacerebbe a chi scrive arrivare alle stesse conclusioni a cui arriva il grande studioso, legato all’Unesco, Le Thanh Khoi, che ha realizzato uno dei rarissimi tentativi di comparazione mondiale che ruota attorno al tema Educazione e civiltà. La sua prospettiva è universalistica, non parte dai paesi e neanche dalle culture, ma dalle civiltà (una nozione necessariamente al plurale, mentre il singolare in passato ha rappresentato le ragioni del dominio occidentale) per vedere il contributo che ognuna ha dato alla storia culturale del mondo ed il ruolo che in questo ha avuto l’educazione, sia essa intesa in maniera formale-scolastica che informale-familiare, che più ampiamente sociale. La comparazione serve per arrivare alla conoscenza, la conoscenza è qualcosa di più della semplice tolleranza per la diversità. La speranza è quella di costruire attraverso la conoscenza e la curiosità un rispetto reciproco, un dialogo costruttivo e soprattutto un’intesa per dar vita ad una cultura della pace e della collaborazione.

    Quando ci si pone da una prospettiva planetaria, è inevitabile nel tempo presente incontrarci con l’unico imperativo (l’imperativo assoluto, secondo P. Sloterdijk) che potrebbe davvero imporci di cambiare la nostra vita, ovvero la minaccia ecologica. Forse di fronte alla crisi ecologica globale l’umanità potrebbe diventare un soggetto politico, oltre il romanticismo della fratellanza universale. Chi scrive, appena diventato nonno per la seconda volta, non può non porsi domande cruciali: che cosa lasciamo ai nostri figli e nipoti? Una serie di questioni irrisolte, l’enigma della convivenza planetaria e l’equilibrio ecologico messo in crisi? Comunque la rassegnazione non sembra una gran bella eredità da lasciare ai posteri. Da qui il senso anche della dedica come tentativo di connettersi, anche biograficamente, con la punta più avanzata del futuro, individuale e collettivo.

    Una parola ora sul titolo. In esso echeggia un richiamo ad uno dei libri più belli di tutti i tempi, il libro scritto in italiano più tradotto nel mondo, Le avventure di Pinocchio. E se a qualche lettore sarà già venuto in mente il collegamento, avrà avuto ragione. Pinocchio era un bambino che non voleva andare a scuola. È un bambino che si mette in cammino, sulla strada, che gira il mondo trascinato dalla sua ingenuità e dalla sua curiosità. La dimensione viaggio si addice più all’Intercultura che la semplice dimensione pensiero, l’avventura è un pensiero in movimento, che cerca somiglianze e differenze, un pensiero che viaggia. I miei viaggi non sono stati così avventurosi ma l’Intercultura non è una passeggiata, è un’avventura, la scoperta dell’altro non è uno scherzo, la sua conoscenza è forse una sfida impossibile e il lavorare assieme è una promessa ma anche una fatica. In ogni caso bisogna mettersi in viaggio, fare dei lunghi giri e sopportare l’effetto di straniamento per potersi avvicinare alle altre culture come alla propria. Dentro ogni cultura c’è un nucleo misterioso e inattingibile che fa sì che l’altro rimanga altro, perché se lo capissi fino in fondo non sarebbe più altro.

    Questo libro, concepito diverso tempo fa, è stato completato durante il tempo sospeso rappresentato dalla pandemia. Si può persino pensare che è stato messo insieme anche grazie al tempo liberato da viaggi, conferenze, impegni. Anche se raccoglie materiali e pensieri scritti in tempi diversi e persino sotto cieli diversi, esso risente di questo tempo unico, di questa esperienza collettiva tragica e inimmaginabile che stiamo vivendo. Un tempo di mezzo, tra uno ieri che in parte non c’è già più, e un domani che non c’è ancora, e che dovrà essere diverso. Per certi versi rappresenta un piccolo contributo alla nuova era che ci toccherà vivere, in cui la globalizzazione verrà/dovrà essere rivista e corretta, in parte ridimensionata e in parte, si spera, migliorata.

    Un’ultima nota riguarda sempre il titolo, perché il titolo guida la lettura di un testo. In esso riecheggia un rimando implicito non solo ad un libro famoso ma alla struttura profonda della narratività. In fondo sono libri di avventura tutti i grandi libri della nostra civiltà, che non è la sola, dall’ Odissea alla Divina Commedia. Se è vero che la molla sotterranea di ogni narrazione consiste nel passaggio da una situazione canonica ordinaria e ripetitiva ad una peripezia che rende la vita imprevedibile, da uno stato di equilibrio ad uno di squilibrio, il quale poi ritrova un nuovo equilibrio, in questo stesso schema si può ritrovare l’essenza stessa della formazione umana. La formazione è una forma di narrazione e la narrazione è una modalità di formazione. Lo stesso insegnare non è, in fondo, un raccontare una storia a qualcuno? Le nostre esistenze ordinarie sono state sconvolte da un evento straordinario e niente sarà più come prima, ma poi dovremo ritrovare un nuovo equilibrio.

    Non sappiamo come sarà la vita dopo la pandemia. Come ha scritto P. Sloterdijk, «molti aspettano solo il ritorno alla normalità, cioè alle preoccupazioni primarie, alla frivolezza quotidiana del modo di vivere consumistico. Io credo invece che la crisi causata dal coronavirus porterà con il tempo allo sviluppo di un cambiamento della coscienza collettiva rispetto agli eccessi dell’individualismo. Si comprenderà sempre di più che l’immunità non è una questione privata». La co-immunità comporterà la creazione di una nuova comunità a livello locale e mondiale. Comunità, dal latino Communitas, Con-mumis, ovvero dono reciproco. In questo senso, tragicamente, il virus è stato un grande e terribile maestro. La speranza a cui anche questo testo vorrebbe, nel suo piccolo, contribuire, è nella nascita di una nuova persuasione che sta tra scienza e coscienza. La convinzione che la maggior parte delle cosiddette soluzioni proposte oggi sono soluzioni che creano ulteriori problemi. Le uniche soluzioni accettabili sono quelle sostenibili. Una società sostenibile è quella che soddisfa le proprie esigenze senza intaccare le prospettive delle generazioni future.

    «Da una crisi non si esce uguali. O si esce migliori o si esce peggiori», ha detto in piena pandemia Papa Francesco, una grande guida spirituale e forse l’unico leader mondiale adeguato alla situazione. Una crisi è un’occasione da non perdere per diventare migliori. Delle crisi bisogna approfittare, ma per apprendere nella crisi bisogna impegnarsi. L’educazione deve fare la sua parte, una parte, come sempre, decisiva.

    La globalizzazione appare l’avventura più vertiginosa messa in atto dai Sapiens, dalla loro apparizione sulla Terra ad oggi. Dovremo mettere a frutto tutta la creatività e l’ostinato coraggio di cui la nostra specie è capace per venirne fuori, unendo la sapienza alla necessaria saggezza. Dipenderà da noi se sarà l’incipit di un’alba o il tramonto di una civiltà. Qui ricomincia l’umana avventura.

    R. R.

    I. EDUCAZIONE E CIVILTÀ, TRA PRIMA E SECONDA GLOBALIZZAZIONE

    La grande pedagogia delle civiltà

    L’idea che si propone qui è che l’educazione, ovvero l’insieme di quelle pratiche, implicite o esplicite, che permettono la trasmissione della cultura umana da una generazione all’altra abbia a che fare non solo con i programmi scolastici o con le azioni che intenzionalmente vengono chiamate educative, ma che sia il risultato di processi di più ampio raggio spaziale e di un più lungo arco temporale che vanno forse al di là delle stesse culture, istituzioni, ideologie o teorie educative. L’educazione familiare, sociale, scolastica è contenuta in qualcosa di più ampio che possiamo chiamare civiltà che ingloba e pervade gli stessi sistemi sociali oppure le nazioni oggi identificabili nel mondo. Un concetto sfuggente, forse impossibile da definire, o meglio, un concetto che se è possibile definire poi però si applica ad una realtà i cui confini sfumano e non sono mai definiti e definitivi. Come ogni vita individuale è costitutivamente inconclusa, ogni civiltà è essenzialmente incompiuta e forse indefinita. Se, come ha scritto uno dei più grani studiosi delle civiltà, «la caratteristica più consistente delle civilizzazioni in decadenza è la tendenza alla standardizzazione e all’uniformità» (A. Toynbee), allora una civiltà diventa più identificabile proprio nel momento del suo declino. Un paradosso che mostra quanto questa idea sia problematica e sfumata.

    Che cos’è una civiltà? In che rapporto stanno civiltà ed educazione? Il tentativo di darne una descrizione e di farne una concettualizzazione non esclude il dubbio e la domanda se esistono ancora le civiltà e non siano state invece piallate via, non si siano diluite fino a scomparire nella modernizzazione omologante della globalizzazione, di cui pure parleremo più avanti. L’idea o il concetto di civiltà è qualcosa forse di troppo grande per poter essere compreso e ridotto a qualcosa di reale ed identificabile. Essa può assomigliare a quelli che oggi vengono chiamati iper-oggetti [1] ? Non solo oggetti troppo grandi per essere comunque compresi ma troppo prossimi per essere capiti, ma forse non semplici oggetti ma parte integrante di ogni soggetto che li indaga. Il concetto di civiltà lo si può assimilare ad un idealtipo weberiano ovvero un’astrazione necessaria e non arbitraria, ovvero un insieme di conoscenze che pur astratte servono però a comprendere qualcosa del mondo reale, delle società a cui si riferiscono. I protagonisti di questa prospettiva che, come direbbe M. Foucault è qualcosa che è più di una ipotesi ma meno di una tesi, sono le civiltà, non le nazioni, che pure anch’esse mostrano segni di crisi e sono tutt’altro che oggetti semplici.

    Ma perché, se ci sono tanti dubbi e sono necessari tanti distinguo, usare questi strumenti di analisi? Perché le grandi civiltà, che sono state create e trasmesse lungo millenni, hanno lasciato segni profondi in tutto quello che è umano, hanno plasmato e diretto la cultura, la società e la personalità, comprese le pratiche educative. Il concetto di civiltà pur nella sua estensione è comunque comprensivo anche dei riti e delle credenze, che hanno creato una certa mentalità che si è mostrata stabile nel tempo e riconoscibile, e che lascia ancora il segno. Tutto questo costituisce come una musica di fondo, come il motivo ispiratore di molte scelte o predilezioni presenti o forse future che le varie nazioni inserite nelle diverse civiltà presenti oggi nel mondo prendono come scelte politiche, comprese le politiche educative.

    Le civiltà nascono con le città, nell’età del bronzo. Come ha osservato J. Goody, la rivoluzione dell‘età del bronzo ha prodotto la cultura delle città. È infatti dal latino civitas, la città, che deriva la stessa parola civiltà. La cultura della città, nata in Mesopotamia e in Egitto intorno al 3000 a. C. e poi diffusasi anche in altre parti dell’Eurasia, ha prodotto forme di alta cultura con tutte le sue manifestazioni come la scrittura, la pittura, l’alta cucina, la cultura dei fiori, una musica e persino un’erotica [2] . Le civiltà sorgono con le città e gli imperi agro-letterari, come li ha chiamati genialmente E. Gellner [3] , che accumulano sementi, grazie al perfezionamento dell’agricoltura, e saperi, grazie alla creazione della scrittura. Per S. Eisenstadt le civiltà sono una realtà costituita da un programma culturale, un immaginario distinto dalle altre, una radicale forma di intuizione ontologica, un insieme di nuove forme istituzionali [4] .

    Le civiltà si distinguono poi tra loro per le diverse prospettive religiose, la religione rappresenta spesso il nucleo centrale e generativo di una civiltà. Ciò è dimostrato ancor più oggi nel constatare come le grandi teorie che prevedevano un declino delle fedi, un’eclissi del sacro, una radicale secolarizzazione non sappiano spiegare la ripresa della vitalità delle religioni come protagoniste anche politiche. Ieri come oggi, al cuore di ogni civiltà esiste la dimensione religiosa, ovvero «la convinzione che vi sia una realtà al di là dell’esperienza ordinaria, e che questa realtà sia di grande importanza per la vita umana» [5] .

    Ma dietro il concetto di civiltà rimane sempre l’affascinante affresco di Spengler. Anche per lui tutte le grandi civiltà sono state civiltà cittadine, «il tipo umano superiore della seconda epoca è l’animale costruttore di città» [6] .

    Ogni civiltà, almeno al suo inizio, è l’unione di paesaggio e destino, le città hanno un’anima. Le civiltà sono organismi che scaturiscono come forme indipendenti da un particolare paesaggio e clima. Otto civiltà unitarie, che nascono e declinano in una durata di mille anni, incomunicabili fra loro e quando ci sono dei trasferimenti si hanno delle pseudomorfosi e perturbamenti. L’alta cultura è l’esito di paesaggio e anima collettiva, un amalgama di clima e trauma. Per Spengler la civiltà è il fenomeno originario di ogni storia mondiale passata, presente e futura. Per lui il concetto di umanità non ha alcun senso. L’umanità si presenta sempre sotto forma di civiltà. Fenomeno originario è quello in cui l’idea del divenire si presenta pura al nostro sguardo. Per cui così scrive, «io vedo una molteplicità di civiltà possenti, scaturite con una forza elementare dal grembo di un loro paesaggio materno, al quale ciascuna resta rigorosamente connessa in tutto il suo sviluppo: civiltà che imprimono ciascuna la propria forma all’umanità, loro materia, e che hanno ciascuna una propria idea e delle proprie passioni, una propria vita, un proprio volere e sentire, una propria morte...Vi è una giovinezza e una senilità nelle civiltà, nei popoli, nelle lingue, nelle verità, negli dei, nei paesaggi... Ogni civiltà ha proprie, originali possibilità di espressione che germinano, si maturano, declinano e poi irrimediabilmente scompaiono» [7] .

    Per A. Toynbee le ventuno civiltà che si sono succedute sulla terra hanno una durata indeterminata, alcune possono sussistere senza tramontare, secondo il modello sfida ( challeng) – risposta ( answer). Alfred Weber massimo, rappresentante della Kultursoziologie di Heidelberg, nella sua concezione universale della storia e nella sua sociologia delle civiltà, distingue le alte civiltà primarie, le civiltà secondarie di primo e secondo grado.

    Anche K. Jaspers si inserisce in questo dibattito e contribuisce con il suo concetto di Civiltà Assiali, con la frattura che queste provocarono nella storia e con la successiva tensione che ne scaturì. Anzi, possiamo dire che quelle precedenti non erano propriamente civiltà, per cui civiltà e assialità sembrano quasi sinonimi. Ma il concetto stesso di civiltà è tutt’altro che semplice e rimane da definire ulteriormente, portandosi poi dietro l’interrogativo decisivo se la modernità sia oppure no una nuova Età Assiale. Nel futuro ci aspetta un nuovo periodo assiale? Si deve vedere nell’età moderna che va dal 1500 al 1800 un nuovo periodo assiale con la sua scienza e la sua tecnologia? Secondo Jaspers sembrerebbe di no. Si tratta piuttosto di uno sviluppo materiale, un nuovo prometeismo della tecnica che può portare ad una unificazione. «Il presente è un’epoca di reale rimodellamento tecnico e politico, non un’epoca di creazioni spirituali eterne. Possiamo paragonarci, con le nostre grandiose scoperte scientifiche e invenzioni tecniche, all’epoca dell’invenzione degli utensili e delle armi, del primo impiego degli animali domestici e dei cavalli, più che a quella di Confucio, Lao-tse, Buddha e Socrate» [8] .

    Uno dei più importanti contributi contenuti nell’opera di Jaspers, Origine e senso della storia [9] , è l’introduzione del concetto di Età Assiale ( Achsenzeit). Con questa espressione Jaspers indica una realtà empirica, un periodo lungo seicento anni che va dall’800 a. C. al 200 a. C.. Cinquecento anni prima di Cristo, in cinque luoghi differenti dell’Eurasia nascono una serie di profeti, filosofi e sapienti capaci di imporre una nuova visione del mondo, figure religiose o politiche che, con il loro pensiero, hanno contribuito a imprimere una svolta al corso della storia. Cinque luoghi di irruzione: Grecia, Palestina, Persia, Cina India. Confucio e Lao-tse in Cina, le Upanishad e Buddha in India, Zarathustra in Iran, i profeti di Israele nel Medio Oriente, Omero, i filosofi, i tragici in Occidente, ne rappresentano i vertici. Jaspers, in un altro suo testo, definisce alcuni di questi profeti e filosofi come personalità decisive [10] , ovvero il cui pensiero ha avuto una efficacia storica di ampiezza e durata incomparabile, portando a chiarificazione forme di coscienza storica universale. Queste personalità decisive, anche se il loro pensiero ha avuto grandi conseguenze storiche capaci di dare corpo ad intere civiltà, sono radicalmente diverse dai grandi personaggi storici come uomini politici o capi militari. Se misurati con il metro del successo mondano o della carriera la loro vita appare come un colossale fallimento. Ma la differenza sta nella stoffa delle personalità stesse che non ha niente in comune con il ruolo che il caso può svolgere. «Può mai il caso creare qualcosa di duraturo dal nulla? – si domanda Jaspers – Nel campo della storia politica la questione si può ben presentare in termini diversi, essendo possibile che, per i fattori casuali di una situazione, un uomo qualunque acquisti con la sua azione effettiva una potenza passeggera, relativa ed esteriore e tuttavia mancante di una profonda motivazione. Ma un tale uomo non potrà mai esercitare un’efficacia spirituale piena e grande, né diventare qualcosa di veramente duraturo» [11] . Si può diventare grandi, famosi e potenti capi politici, rivoluzionari, capi militari, capitani di industria, che pure hanno cambiato le sorti di interi popoli e fatto la storia, ma non personalità decisive. La loro voce non cessa mai di agire, essi ci parlano ancora, non ci danno pace, sono esseri unici e insostituibili, la cui potenza e grandezza spirituale non ha niente a che vedere con le altre forme del potere. «Le loro richieste non si esauriscono in precetti; per intendere ciò

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