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Organizzazione Internazionale Ribelli
Organizzazione Internazionale Ribelli
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Organizzazione Internazionale Ribelli

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Dopo la cattura di Enrigo Keyworld l’intera Organizzazione Internazionale Ribelli si sta muovendo per mettere insieme un piano che garantisca la sua liberazione. Le prigioni di Pyongyang possono essere dure come lager e non si sa quanto una persona, pur forte e addestrata che sia, possa sopravvivere in quelle condizioni disumane. Intanto Joseph, ormai entrato di diritto all’interno dell’organizzazione, viene mandato assieme agli amici Leonard e Ylenia a svolgere una missione molto delicata: dovrà infatti seguire le ormai imminenti elezioni presidenziali americane, studiare i vari candidati e scoprirne eventuali scheletri nell’armadio, per poi riferire il tutto al Centro. Qualcosa, però, ai vertici dell’O.I.R. sta cambiando, rischiando di minare dalle fondamenta l’intera organizzazione…
Secondo capitolo della saga fantapolitica di Angelo Lepri, Organizzazione Internazionale Ribelli. Il Ritorno è un thriller ricco di azione e colpi di scena, che trasporta il lettore in uno scenario distopico, dove il principio di autodeterminazione dei popoli è spazzato via da poteri dittatoriali e calpestato da subdole macchinazioni mediatiche, tenendolo con il fiato sospeso fino all’ultima pagina.
 
Angelo Lepri, 28 anni, gestisce da 4 anni un bed and breakfast. Nel 2016 ha esordito con il romanzo Organizzazione Internazionale Ribelli (ed. Booksprint), primo capitolo dell’omonima saga.
LanguageItaliano
Release dateSep 30, 2021
ISBN9788830651524
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    Organizzazione Internazionale Ribelli - Angelo Lepri

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Salve signori, sono nuovamente io, Geraldo Lepri, vi farà piacere sapere che la nostra Storia in realtà era appena iniziata.

    Intanto la nostra potenza aveva già in mente qualche tipo di piano per salvaguardare la vita del povero Ribelle. Tutta l’organizzazione aveva molto a cuore la liberazione del Ribelle Enrigo Keyworld. L’organizzazione intera tuttavia non aveva assolutamente idea del motivo di cotanto interessamento da parte nostra. Il piano di Liberazione era ben ingegnato e solo alcuni membri avrebbero potuto partecipare a quella che avrebbe potuto essere una spedizione pericolosa.

    Ma qualcosa stava per cambiare all’interno del Centro, qualcosa di eversivo e totalmente fuori controllo stava per prendere piede.

    Capitolo 1

    Soluzione Finale.

    Così la chiamano, o almeno così era stato detto a Enrigo appena fu incarcerato nella prigione di Pyongyang.

    «Non prendertela troppo, loro non sanno cosa sia giusto» gli aveva detto il suo compagno di cella.

    Un americano robusto e con il pizzetto arancione, non aveva l’aria minacciosa e sembrava un vero pacioccone con le guance arrossate.

    Era stato rinchiuso in quella cella per dodici mesi e trenta giorni, segnava le date su un muro ed aveva completato la prima riga di tutte le pareti.

    Non pensava che ci fosse qualche possibilità di poter fuggire da quel posto orripilante e con quello strano e molto forte odore di zolfo.

    «Rey, perché sei rinchiuso in questa cella?» chiese Enrigo incuriosito sfregandosi le mani nere di terra.

    L’americano arrossì per un attimo, dopodiché guardando per terra iniziò a dire qualcosa: «Ero curioso» disse e si fermò toccandosi con l’indice il labbro inferiore.

    «Mi avevano parlato di questo posto, come se fosse un mondo assolutamente differente da quello occidentale» non alzò lo sguardo per paura di incontrare magari un’occhiata di disapprovazione da parte di Enrigo.

    «Come sei riuscito ad entrare?» chiese ancora.

    «Un mio amico è un ambasciatore del Governo americano infiltrato in Nord Corea, così gli ho chiesto, se magari poteva aiutarmi ad entrare senza troppe complicazioni.» Il suo sguardo rimase ancora basso.

    «All’inizio mi prendeva in giro e pensava che io stessi scherzando, ma poi quando vide che ero veramente interessato mi sconsigliò vivamente di fare questa "Avventura".

    Non avevo intenzione di rinunciare, così mi fornì una carta d’identità falsa, un numero di telefono da chiamare nel caso ci fossero state delle emergenze e il tesserino per ricevere il cibo razionato. Peccato che quel numero mi sia servito a poco.» Gli venne da sorridere, anche se era un sorriso amaro.

    «Sono arrivato in Cina con l’aereo, dopodiché mi sono recato all’unica stazione del treno che ti porta nei pressi della Corea del Nord.

    Il treno era normale a parte la grandissima quantità di persone che trasportava nonostante il poco spazio.» Le guance arrossirono di nuovo di colpo.

    «Le perquisizioni all’interno delle cabine sono particolari...» si fermò e si vergognò vistosamente «...diciamo che non si fanno scrupoli a controllarti anche intimamente.» Gli venne un sorriso forzato sulle labbra.

    Enrigo non chiese altro, sapeva che poteva essere imbarazzante parlare delle stupide scelte che si fanno nella vita.

    Quando Rey gli chiese perché invece lui stesse lì, Enrigo non seppe rispondere.

    Rimase quasi interdetto per qualche secondo, le mani iniziarono a sudare e iniziò a sentire troppo calore nonostante le gabbie fossero quasi gelide.

    La respirazione si fece affannosa e gli occhi puntarono in posti diversi rapidamente come se stesse per avere una crisi di panico.

    Rey lo guardò spaventato e tentò di calmarlo poggiando la sua mano grassoccia sul petto e tenendogli la testa ben salda con l’altra mano.

    In pochi secondi il corpo di Enrigo era zuppo di sudore e Rey non aveva mai assistito a nulla del genere, la domanda che gli aveva posto doveva aver avuto un impatto inimmaginabile su di lui.

    Si tranquillizzò e cominciò a respirare nuovamente, qualcosa di veramente terrificante gli era accaduto e quegli spasmi lo confermavano.

    Rey prese una ciotola d’acqua che era posizionata all’estremità della cella e la diede a Enrigo.

    Quasi terminò tutta l’acqua presente all’interno.

    «Non so cosa mi sia preso, non ho mai avuto attacchi di questo genere» disse Enrigo fissando il ragazzo che gli aveva appena passato la ciotola.

    Per qualche secondo Rey stette in silenzio poi pensò di dovergli fare una domanda.

    «Chi sei? Che cosa facevi prima di venire in questo posto?» chiese Rey incuriosito.

    Enrigo avrebbe voluto raccontagli qualcosa sul suo passato ma dopo quell’attacco le forze erano calate pesantemente e non riusciva neanche a tenere bene gli occhi aperti.

    Si accasciò stanco e di schiena verso il pavimento sporco di terra e fanghiglia a causa delle infiltrazioni dell’edificio che permettevano l’entrata della pioggia.

    Rey rimase a fissarlo, poi lo prese di peso in braccio e lo posò sulla panchina di legno retta da due semplici catene di ferro all’estremità del muro.

    Perlomeno non lo avrebbe fatto sporcare troppo.

    Enrigo aveva la faccia contratta come se in qualche modo stesse patendo un qualche tipo di dolore intenso, profondo, come se una lama molto lentamente si stesse immergendo nelle sue viscere.

    ***

    Le tribune del centro erano deserte e le votazioni procedevano molto a rilento a causa dell’incredibile assenteismo che si stava creando nell’aula.

    Solo la metà dei partecipanti si presentava puntualmente alle votazioni, ma non raggiungendo mai un numero sufficiente per poter proseguire con le votazioni venivano fatti tornare nelle proprie stanze e una richiesta sempre più forte da parte di Geraldo era quella che proclamava ad ogni sessione di votazione: «Convincete gli altri membri a tornare, senza la votazione molti paesi rischiano di perdere le loro libertà garantite dalla nostra organizzazione. Prego loro di presentarsi in aula entro la prossima settimana. Altrimenti sarò costretto a dichiarare il Rimpatrio di ogni membro non presente alla seduta di lunedì».

    Era la prassi quella di avvertire i membri prima di un nuovo mescolamento all’interno dell’organizzazione, molte delle persone che erano in passato state rimpatriate avevano poi riavuto il loro diritto di tornare nel Centro, altri invece erano completamente banditi dall’organizzazione.

    Geraldo ed Elisabeth si ritrovarono, alla fine delle poche votazioni avvenute quel giorno, insieme al Centro Discussioni e attesero l’arrivo di Mitch, il direttore del Giornale "Il Fatto" e di Rudolph, il vicepresidente.

    Geraldo portava una vestaglia azzurra e sotto si poteva notare una bella camicia celestina, aveva delle grandi borse nere sotto gli occhi a causa delle continue notti insonni, mentre Elisabeth era sempre elegante nonostante anche lei avesse l’aria stanca, un vestito lungo di paillettes d’orate è un tacco alto almeno otto centimetri.

    «Ancora non riesce a dormire, Signor Presidente?» chiese Elisabeth educatamente.

    Geraldo fece cenno di no col capo e tornò a camminare avanti e indietro a passi regolari.

    «Se può farla star meglio anche io ultimamente non riesco a prendere sonno» disse sorridendo, ma Geraldo pareva nemmeno averla ascoltata.

    La ragazza si imbarazzò molto.

    «Stanno tramando qualcosa ne sono certo» disse Geraldo.

    Elisabeth si trovò un tantino impreparata ma dopo qualche secondo riuscì a capire a chi si riferisse.

    «Crede che l’assenteismo sia opera di Klein?» disse infine.

    «Quel ragazzo non è mai stato troppo sveglio, ma adesso forse sta riuscendo nel suo intento» terminò di nuovo il Presidente.

    «Cosa pensa che stia facendo?» chiese di nuovo lei.

    «Ho paura che stia in giro per il Centro a Reclutare» disse ancor più pensieroso.

    Elisabeth non credeva molto nelle capacità di Klein.

    «Ti prego di non sottovalutarlo, è un errore troppo facile da compiere» disse infine Geraldo.

    Si aprirono le porte superiori del Centro Discussioni e scesero tra i banchi delle votazioni Mitch e Rudolph.

    «Signor Presidente, spero perdonerà il nostro ritardo, abbiamo soltanto terminato di fare un’intervista per il giornale di domani» disse Rudolph sorridendo.

    Elisabeth cambiò l’espressione del suo volto diventando rilassata e incuriosita.

    «Qualche novità da prima pagina?» chiese.

    «C’è una novità non molto rassicurante in verità» disse Mitch mentre si passò due dita sulle labbra appena screpolate. «Ma credo che voi dovreste saperla prima di tutti gli altri, abbiamo avuto una soffiata da parte di un membro del Centro».

    Tutti rimasero intenti ad ascoltare le parole che Mitch pronunciava quasi in forma di codice.

    «Una potenza sta per sprigionarsi all’interno delle nostre mura, c’è la possibilità che una quindicina di membri cospirino nei vostri confronti» e indicò il Presidente.

    La faccia di Geraldo si fece improvvisamente rilassata e quasi felice.

    Nessuno si aspettava un comportamento del genere rispetto alla notizia ricevuta, ma il Presidente sorrideva.

    «Una quindicina di persone sono coinvolte? Solo?» e si sedette su una poltrona libera.

    Mitch era un tantino adirato dal comportamento del Presidente, quella notizia sarebbe finita in prima pagina sul suo giornale, ma colui che doveva essere più colpito quasi gli rideva in faccia.

    «Credo che il numero delle persone che partecipino a questa cospirazione non cambi ciò che ora è un dato, stanno tentando di farla cadere dalla sua posizione» disse il direttore chiedendo con lo sguardo l’appoggio del vicepresidente Rudolph che però rimase impassibile.

    Geraldo si alzò e si avvicinò al direttore che era dall’altra parte del tavolo, si appoggiò poi sedendosi piano e fissandolo.

    «Entro quest’anno caro direttore ci sarà qualcosa di estremamente nuovo e pericoloso, pensavo che Klein avesse precorso i tempi, ma se ciò che il tuo giornale sta per pubblicare è vero, ci vorrà ancora del tempo prima che il pericolo si addentri nel palazzo» sorrise infine Geraldo.

    Sul tavolo del Centro venne aperta una cartina geografica che mostrava la Corea del Sud.

    Al lato sinistro, appena poco lontano dalle coste ad ovest della Corea, si trovava un’isoletta che nessuno aveva mai visto.

    «Quella è Rebelhood, o se vogliamo chiamarla nella versione originale quella è ma-eul bangun» disse Geraldo soddisfatto.

    Continuò il suo discorso perlustrando con le dita ogni centimetro dell’isolotto.

    «L’ho fatto costruire più o meno qualche mese fa, quella sarà la nostra sede Ufficiale.»

    E Mitch gli domandò: «E di questa struttura l’organizzazione cosa se ne farà? Voglio dire, rimarrà ancora di proprietà dell’O.I.R. oppure verrà venduta?»

    «Questa diventerà proprietà della Corea, e sarà adibita a struttura governativa del paese. A meno che membri conservatori non facciano richiesta di appropriazione per una seconda sede ufficiale per i loro interessi» terminò Geraldo.

    Rudolph spostò la discussione verso un altro argomento: «La squadra è pronta per la partenza?»

    Geraldo lo fissò per un momento, sembrava aver dimenticato la missione per salvare Enrigo, poi però d’un tratto sorrise: «Sono più che convinto che la preparazione dei nostri ribelli sia più che soddisfacente.»

    Mitch prese dalla sua borsa di pelle marrone una risma di fogli e li sbatté rapidamente sul tavolo.

    «Queste informazioni sono state pubblicate da "Il Paroliere"

    Geraldo prese quei fogli e iniziò a leggere lentamente:

    «Lotta contro un nemico insormontabile, è questo ciò che si prospetta nell’immediato futuro. La salvezza di un solo uomo vale la messa in pericolo di moltissimi uomini!» Terminò di leggere quella frase e poi passò ad un altro articolo: «Il cuore intrepido di un ribelle può affrontare ogni situazione, ma non può permettersi di affrontare il tradimento di un esponente importante della stessa nei confronti dell’organizzazione intera.

    Mentre il silenzio regna sovrano tra i banchi del Centro c’è chi invece si fa carico di poteri non concessigli dalle Leggi dell’O.I.R.

    Seppur il nostro Presidente porti con sé il fardello di una missione suicida ciò non crea nella sua amministrazione alcun problema. Potremo definirlo vittima se non continuasse a mentire spudoratamente e a nascondere azioni e motivazioni che ogni membro dovrebbe conoscere, con il beneplacito di un giornale che si è ultimamente ricoperto di fango e sangue pur di avere lo scoop a portata di mano.» Terminò di leggere quell’ultimo pezzo scorgendo al centro dello stesso articolo la foto dell’autrice.

    L’autrice era ben truccata e aveva dei bei pendoli dorati con una perla rosa attaccati alle orecchie, il rossetto non era particolarmente acceso e lo sguardo leggermente vacuo teneva con sé un sorriso malizioso.

    La signorina in questione sembrava essere parecchio conosciuta dai quattro che non parevano affatto sorpresi di leggere certe parole.

    Geraldo non sembrava affatto preoccupato per ciò che aveva appena letto, ma lo sguardo di Mitch invece pareva parecchio turbato.

    «Non crederà davvero che mi spaventi per un editoriale che in fondo non dice nulla?» disse Geraldo fissando il direttore del Fatto. «Sono esternazioni di una donna che ha una penna molto caparbia senza dubbio, ma oltre alla sua caparbietà nell’articolo non ci sono prove di nessun genere che possano mettere in pericolo la mia carica di Presidente, quindi potete star tranquilli, almeno per il momento.» Elisabeth sembrava sollevata dalle parole del Presidente.

    Rudolph fece un passo avanti e si avvicinò poggiando la mano sinistra sul bancone che lo divideva da Geraldo. «Signor Presidente lei ha il diritto di replica, spero vivamente che lo userà.»

    E Geraldo: «Risponderò certamente, e il fine della mia risposta sarà quello di non smentire le sue parole.» Rudolph rimase interdetto, se non avesse smentito quella megera l’organizzazione poteva rivoltarsi contro di lui.

    «So cosa state pensando tutti, e vi capisco, la paura che ci sia un’insurrezione nel nostro centro sembra alquanto abominevole.» Si fermò per un attimo e carezzò lievemente la guancia rosea di Elisabeth. «Non temete per ciò che accadrà, è qualcosa che comunque presto o tardi sarebbe dovuto accadere.» La serenità con cui parlava Geraldo era sconvolgente.

    Mitch iniziò a capire: «Da quando lo sa lei?» chiese incuriosito e anche un po’ turbato.

    «Da un bel po’, in realtà speravo che accadesse in un momento migliore di questo, ma nulla accade mai al momento opportuno.» Il centro era silenzioso e la luce all’interno era fioca ma si riusciva comunque a vedere nonostante tutto.

    Mitch prese la parola e indicò Elisabeth: «Sarebbe disposta a fare una conferenza stampa?» le chiese con tono speranzoso di una risposta positiva.

    Fece cenno di sì col capo.

    «Prepareremo le domande e lei risponderà a nome del Presidente, cerchiamo in qualche modo di placare per il momento il brusio creato da "Il Paroliere"

    Rudolph si propose di collaborare per la preparazione e tutti acconsentirono, si lasciarono dopo qualche secondo, appena salutati con un cenno di capo e strette di mano se ne tornarono alle loro mansioni.

    ***

    Il giovane londinese era stato lasciato da parte durante le varie decisioni e le varie discussioni che il Presidente indiceva all’interno della sua Stanza Presidenziale o nel Centro al termine delle sedute.

    Lo avevano accompagnato sempre i suoi amici Leonard e Ylenia in giro per il centro, era un modo per farlo svagare e Geraldo voleva tenerlo quanto più poteva lontano da quella situazione scomoda.

    Finirono spesse volte nei laboratori e vennero a conoscenza di spettacoli naturali a cui nessuno al di fuori del centro avrebbe potuto assistere.

    Videro una rosa sbocciare in meno di un minuto grazie alle nuove tecnologie che permettevano questo tipo di evoluzione rapida, dopodiché gli venne spiegato che potevano velocizzare o rallentare la normale vita di una pianta in base ad alcune modificazioni genetiche che erano riusciti ad impostare.

    «All’inizio non credere che sia stato semplice, cinquemila rose rosse sono appassite in pochissimi secondi, dato che non avevamo trovato il modo di bloccare la rapidità genetica della pianta, poi abbiamo scoperto che un gene animale poteva essere applicato alla stessa pianta e siamo quindi riusciti a bloccare o almeno per il momento rallentare lo sviluppo della rosa.» Joseph era affascinato.

    Leonard aveva

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