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Un virus per tutte le stagioni
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Un virus per tutte le stagioni

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Si tratta di una sorta di diario e di una serie di riflessioni sulla vicenda "pandemia" , con una mole di citazioni da altri testi al riguardo.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateDec 6, 2021
ISBN9791220373098
Un virus per tutte le stagioni

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    Un virus per tutte le stagioni - Claudia Berton

    1) Paura, solitudine e rinoceronti

    In questa prima primavera funestata dal Covid, come folate di aria fresca mi vengono alla mente i versi di Agonia di Ungaretti, li faccio miei, li sento scorrere nel mio sangue, fortificare il mio intento. Mi creo un’immagine di me conforme a quello che vorrei essere e non sono. In realtà, proprio perché amo intensamente la vita, temo la morte che vedo come la fine di tutto quello che conosco e amo. So che sono ancora ben lontana dalla saggezza, e me ne rammarico, né ho la fede nell’aldilà di cui parlava il catechismo della mia infanzia. Se qualcosa di buono questa pandemia di Sars-CoV-2 avrebbe potuto insegnarci, sarebbe stato un memento sulla fragilità e l’impermanenza della natura umana, una meditazione sulla precarietà della società in cui viviamo, sul fatto che quando avvertiamo che la nostra vita è in pericolo abbiamo bisogno di cercare un senso, una dimensione altra a confortarci. Questo però non è accaduto. Al contrario, travolti dalla Grande Paura costruita ad arte dal potere e dai suo media, siamo diventati in men che non si dica da cittadini a sudditi, collaboratori volontari dei dettami imposti dalla dittatura sanitaria che ha preso in ostaggio il governo - peraltro non votato, come pure i precedenti - e rassegnati a rinunciare alla libertà per avere in cambio una supposta sicurezza: mantra che dai molto ambigui fatti dell’11 settembre 2001, su cui non è mai stata fatta luce, ci viene inculcato a ritmo martellante da vent’anni. Cosa non accetteremmo per la nostra sicurezza! Così, per proteggerci dalla raffica di paure con cui ci hanno contagiato - terrorismo, ISIS, Ebola, sedicente invasione di migranti, Califfato islamico - hanno sempre più ristretto i nostri margini di libertà e il nostro diritto alla privacy per cui stoltamente continuiamo a firmare moduli, persino dal dentista.

    A proposito della paura, ho trovato interessanti paragrafi rileggendo un libro del 1951 di Ernst Jünger¹: la paura assume sempre la maschera, lo stile dei tempi. L’oscura cavità dei cieli, le visioni degli eremiti, le creature larvali dei Bosch e dei Cranach, gli sciami di streghe e demoni del medioevo sono tutti anelli dell’eterna catena di angoscia da cui l’uomo è legato come Prometeo al Caucaso. Egli può liberarsi di tutti gli empirei che vuole - con grande astuzia la paura rimarrà al suo fianco. (…) Penetrando nei rigorosi universi della conoscenza, l’uomo si fa beffe dello spirito che si lascia atterrire dalle ombre e dalle figure dell’inferno gotico. E non immagna che medesimi lacci tengono avvinto anche lui. I fantasmi che lo insidiano usano naturalmente lo stile della conoscenza, si presentano come fatti scientifici. L’antica foresta sarà diventata un territorio demaniale, zona di sfruttamento economico. Ma il bambino ancora vi si aggira smarrito. Il mondo è ormai dominio incontrastato degli eserciti di microbi; la minaccia di un’apocalisse incombe più che mai, anche se la dobbiamo alle macchinazioni della fisica. L’antica follia continua a manifestarsi come psicosi e nevrosi. Sotto un travestimento riconoscibile, rotroveremo, negli inferni produttivi del nostro tempo, anche il vecchio orco - e non soltanto in qualità di sfruttatore e aguzzino. Si tratterà, più probabilmente, di un sierologo che, fra strumenti e storte, pensa a come strarre dall’uomo la milza o lo sterno per usarli come materia prima per qualche farmaco miracoloso. Siamo nel cuore del vecchio Dahomey, nel Messico antico. (…) In ogni tempo, in ogni luogo, in ogni cuore, la paura dell’uomo è sempre la stessa: paura dell’annientamento, paura della morte. E quanto ascoltiamo già da Gilgamesh, lo ascoltiamo nel Salmo XC e così è rimasto fino a noi oggi. Vincere la paura della morte equivale dunque a vincere ogni altro terrore: tutti i terrori hanno significato solo in rapporto a questo problema primario. Passare al bosco, quindi, vuol dire innanzitutto andare verso la morte.

    Altre chicche ho trovato in questo libretto di Jünger: sull’uomo d’oggi vivace, attento al proprio tornaconto, maniaco della sicurezza, facilmente influenzabile dagli slogan della propaganda di cui troppo spesso gli sfuggono i voltafaccia solitamente repentini; (è) nutrito di teorie filantropiche ma, se il prossimo o i vicini non si adeguano al suo sistema, è anche disposto a ricorrere a una violenza tremenda. E quanta verità c’è in affermazioni come questa: Comunque si giudichi il nostro universo di mutue, assicurazioni, industrie farmaceutiche e specialisti, colui che può farne a meno è più forte. Assai sospetto, e dunque da considerare con estrema vigilanza, è l’intervento crescente che, di solito con pretesti filantropici, lo Stato esercita sull’organizzazione sanitaria. (…) Siamo proprio certi che il mondo delle assicurazioni, delle vaccinazioni, dell’igiene scrupolosa, della vita media più lunga sia un vantaggio? (…) Nella nostra epoca, ogni giorno può portare alla ribalta sistemi inauditi di coercizione, di schiavitù e di sterminio - diretti contro alcune categorie sociali o estesi a interi territori. (…) (Ma) è importantissimo che chiunque sia minacciato si abitui a pensare che la resistenza comunque è possibile. (…) Il vero problema è piuttosto che una grande maggioranza non vuole la libertà, anzi ne ha paura. Bisogna essere liberi per volerlo diventare, poiché la libertà è esistenza.(…) Che il gregge si trasformi in branco, è questo l’incubo dei potenti. Noi, smidollati uomini d’oggi che abbiamo perduto il sapore della libertà, riusciremo forse a trasformarci in branco? Anche Leo Longanesi lamentava che non manca la libertà, mancano gli uomini liberi.

    La Covid-19 con cui ci stanno opprimendo è per qualcuno una grande opportunità: oltre le Big Pharma in prima linea, troviamo le multinazionali del digitale, del delivery, gli speculatori finanziari. Dall’inizio di febbraio 2020 i super ricchi dalla miniera d’oro della pandemia hanno incassato miliardi di dollari. Si tratta della più grande ridistribuzione, ampiamente documentata, di ricchezza globale nella storia del mondo, che è accompagnata da un corrispondente processo di impoverimento mondiale. L’impatto sulla salute - mortalità e malattia - causato dalla chiusura delle economie nazionali sorpassa di gran lunga quello attribuito alla Covid-19. Secondo fonti ONU, in almeno 25 paesi in via di sviluppo si sono verificate carestie. Le chiusure, il distanziamento sociale, la perdita di impieghi, le bancarotte, la povertà di massa e la conseguente disperazione hanno avuto un forte impatto sulls salute mentale di milioni di persone nel mondo, con l’aumento di suicidi e di consumo di droghe. Solo nel nostro paese 300.000 piccole e medie imprese - cioè il tessuto portante dell’economia italiana - sono state chiuse, portando il numero dei disoccupati a 900mila: ma i numeri sono in difetto. Inoltre, a decine di migliaia si contano gli abbandoni della scuola da parte degli studenti. Le inutili chiusure imposte a nostra protezione da comitati non eletti sono state una vera prova di dittatura. In paesi come India, Sud America e Africa subsahariana, il prezzo è stato ancora più alto per i lavoratori nel settore informale che non hanno nessuna rete di protezione. Per loro il funesto lockdown, i cui costi ricadono solo sulla gente comune, ha rappresentato la rovina. Associazioni indiane hanno denunciato l’aumento dello sfruttamento del lavoro e della prostituzione tra i bambini lasciati a casa da scuola. I veri poveri, circa un miliardo nel mondo, sono stati condannati a morte da questi meccanismi internazionali.

    Un’altra delle infauste conseguenze della pandemia è stato l’accantonamento degli strumenti internazionali in difesa dei Diritti umani e, in Italia, di alcuni articoli della nostra ottima, disattesa Costituzione, in contrasto con la quale dal marzo 2020 il paese è stato governato tramite Dcpm, task force e cabine di regia (1) colluse con le multinazionali, alle quali ubbidiscono. Il parlamento è stato esautorato - è comparsa anche una segreteria tecnica che resterà in carica fino al 2026 e nei ministeri e alla presidenza del consiglio sono i fantomatici esperti a dettare legge, non i parlamentari votati, e questi organi non eletti avranno un potere assoluto anche nella gestione dei fondi europei (forse) in arrivo: un lauto banchetto. La politica italiana è dunque commissariata fino a data da destinarsi e non c’è alcuna speranza che si possa combattere in parlamento la battaglia contro le prevaricazioni: questa lotta va combattuta sul territorio, tra la gente, ma la massa è paralizzata dalla paura del virus gonfiata ad arte a dismisura. In questa situazione si può forse dire che siamo ancora una democrazia?

    Intanto, passato un anno, è arrivata la primavera 2021 e - sempre per la nostra supposta sicurezza - abbiamo iniziato ad accorrere, immemori di voci difformi, a sottoporci a terapie geniche sperimentali che vanno sotto il nome erroneo di vaccini, per avere in cambio la promessa della salvezza attraverso una (incerta) immunizzazione. Come un anno fa, a causa di questa conclamata emergenza sanitaria che tuttora perdura siamo transitati da un arcobaleno di zone: in una discesa agli inferi, siamo passati dalla purgatoriale zona gialla a quella arancione, e quindi siamo sprofondati nuovamente nell’infernale zona rossa. La voce del popolo, in moralistica riprovazione, ne ha attribuito la colpa ai giovani incoscienti che - ritenendo la socialità più importante della paura - non rinunciano ad incontrarsi e ad assembrarsi. Quanto a me, sono oppressa da norme in cui non credo, stabilite da decreti amministrativi incostituzionali, e imbavagliata con una fastidiosa museruola quando esco: anche solo abbassarla per offrire la faccia al sole mi sembra un atto di grande audacia, punito da sguardi di disapprovazione dei passanti. Il conformarsi a regole assurde viene visto come grande senso di responsabilità e la critica, il dubbio, nel nome della libertà di pensiero vengono riprovati come egoismo e mancanza di responsabilità. Così imbavagliati non si può sorridersi, e comunque pochi in questi tempi hanno voglia di farlo. Inutile tentare di far riflettere sul fatto che, mentre stiamo rinchiusi e imbavagliati e ogni attività è bloccata, il Sistema continua a svolgere le attività che gli convengono: propaganda vaccinale, taglio di alberi, installazione di antenne per il 5G, lavori per l’Alta velocità.

    E intanto in tutta Europa, come l’anno scorso, stanno scorrazzando 28.000 soldati USA, extracomunitari arrivati in marzo senza alcun problema in 13 aeroporti e 4 porti europei, insieme a un gran numero di carri armati, mentre noi, per motivi di sicurezza, non possiamo spostarci fuori dalla nostra zona di residenza. E’ l’ennesima sceneggiata di questi tempi distopici. Insieme agli alleati di 25 paesi NATO le truppe USA - insieme alle forze aeree e alla marina, e usando armi e missili - svolgeranno esercitazioni in una trentina di zone di dodici paesi. Ma già, l’esercito americano arriva per l’annuale missione Defender Europe 21. I nostri potenti alleati, finanziati anche da noi, ci difendono dalla Russia che ha un atteggiamento aggressivo - così ci raccontano - e destabilizza i paesi suoi vicini. Uno scenario costruito capovolgendo la realtà, scrive Manlio Dinucci². Ad esempio, si accusa la Russia di cercare di interferire nei Balcani, dove fu la NATO a interferire nel 1999 lanciando da 1.100 aerei 23.000 bombe e missili sulla Yugoslavia. Tranne Dinucci, nessuno dai media detti mainstream ha segnalato questa invasione militare avvenuta mentre noi stavamo chiusi in casa: è la narrativa Covid, infatti, a occupare tutto lo spazio ormai da un anno. Dopo qualche mese su suolo europeo i difensori dell’Europa si sposteranno in Africa per difendere anche Tunisia, Marocco e Senegal. Ovviamente non si è affatto contemplato che questi soldati potessero diffondere o contagiarsi con la Covid-19. Non si è fatto alcun cenno al fatto che i paesi partecipanti alle esercitazioni dovranno pagarne i costi con denaro pubblico: e l’Italia quest’anno ha il dubbio onore di essere il paese ospite! Già, ma non continuano a dirci che per affrontare la pandemia le nostre risorse sono molto scarse?

    Nella città ricca e assai poco ribelle dove vivo, le osservazioni critiche scarseggiano. I miei stessi amici, che sento solo al telefono perché temono ogni contatto, mi disapprovano perché non mi sono ancora sottoposta, come sono corsi a fare loro, alla terapia genica contro la Covid-19, anche se a dire il vero solo una mi ha accusata di poco spirito sociale e di menefreghismo nel non voler proteggere i miei concittadini. Ma se è ormai chiaro che anche i vaccinati possono contagiarsi e contagiare, a cosa vale questo proclamato sacrificio? Non amo discutere, e trattengo le parole che mi si affollano in gola e che fluirebbero liberamente, forti dei tanti libri che ho letto al riguardo, delle fotocopie in varie lingue che ho fatto - e che, debitamente sottolineate, ormai raggiungono uno spessore di una decina di centimetri -, delle ore ed ore passate ad ascoltare su media alternativi interventi razionali e documentati di medici, osservatori e critici di diverse nazioni che gli ubbidienti ad oltranza stigmatizzerebbero con la patetita accusa complottisti. Ma il compianto Giulietto Chiesa diceva bene che complottista è chi nasconde i propri complotti, non chi invece li svela e li documenta.

    E’ il ricordo di una lontana sera a teatro che, prepotente, mi torna spesso alla mente in questo teatro dell’assurdo dove siamo all’improvviso sprofondati, anche se non mi può consolare. Stampata nei miei occhi è la scena finale del dramma I rinoceronti di Ionesco. Scritta nel 1959, quest’opera racconta di un’epidemia immaginaria in cui sempre più rapidamente tutti gli abitanti di una cittadina francese (e in seguito di tutto il paese) si trasformano in rinoceronti. Metafora delle ascese dei totalitarismi, il testo affronta i temi del conformismo e della resistenza al potere politico. Nel secondo atto del dramma, quando gli abitanti cominciano a trasformarsi in rinoceronti, appare la prima opposizione, quella di Botard che - complottista ante litteram - non crede nella realtà della conclamata rinocerontite. Secondo lui l’epidemia è un’infame macchinazione. Tuttavia, nonostante la sua disperata resistenza, anch’egli finirà per trasformarsi in un rinoceronte, dimostrando che la retorica della dittatura può ingannare anche i più resistenti ad essa. Via via il numero di rinoceronti aumenta in città e fa questa fine anche Jean, il miglior amico di Berenger, che è il protagonista del dramma. Dopo che i due avevano discusso e litigato perché Jean aveva preso ad affermare che l’Umanesimo era morto e quelli che ancora lo seguivano erano vecchi sentimentali, Jean - che aveva cominciato ad apprezzare i rinoceronti - comincia a trasformarsi sotto gli occhi del disperato Berenger, che viene scacciato dalla casa dell’amico. Nell’ultimo atto Berenger è ormai l’unico a reagire umanamente e a non trovare accettabile la rinocerontizzazione. Preso dal panico, si ribella all’epidemia, nonostante persino la sua innamorata l’abbia abbandonato, attratta da un rinoceronte che, al di là delle finestre della loro casa, le appare attraente e pieno di ardore.

    Ho raccontato a tavola a due dei miei nipoti - la cui scuola elementare è stata a lungo chiusa per la pandemia, nonostante nelle loro classi non vi sia stato nemmeno un malato dall’inizio dell’anno scolastico ed essi stessi nello scorso inverno non abbiano avuto nemmeno il consueto raffreddore stagionale (forse grazie alle mascherine?) - il senso di questo dramma e la scena finale, che a teatro mi aveva commosso fino alle lacrime. Berenger, rimasto solo sulla scena, con lo spot di luce che lo illumina, sta per porre fine alla sua tenace resistenza e accasciarsi a terra carponi. Poi però, con uno scatto improvviso, si rialza in piedi, tende le braccia verso l’alto e grida, con un urlo disperato: Io sono l’ultimo uomo! Non mi arrendo. Non mi arrendo!. Potente il messaggio del dramma, e indimenticabile. I miei nipotini mi ascoltavano con gli occhi sbarrati: forse erano intristiti, ma io speravo che nel futuro il ricordo di quel momento e della nonna infervorata nel racconto avrebbe dato i suoi frutti. Ogni parola che scrivo, ogni parola che dico, specialmente a loro, è infatti per me la speranza di mantenere accesa la fiamma della consapevolezza di quale deve essere il senso umanistico della vita, a cosa debba dare importanza l’Uomo e come sia importante dubitare sempre e non ubbidire mai pedissequamente, per conformismo. Solo in questa prospettiva non mi dispera il pensiero che morirò, e solo la speranza di passare - con le mie parole, nei miei scritti, con l’esempio - il testimone di questa fiamma offre alla mia fine, quando verrà, la speranza - o forse solo l’illusione? - di un barlume di immortalità: l’unica comunque che, foscolianamente, ci sia data.

    In quest’ultimo anno qualcosa è cambiato dentro di me. E’ di nuovo primavera e i suoi doni ritornano con consolante puntualità, punto fermo in un mondo che sta mutando velocemente, e non certo in meglio. Il cielo è lo stesso della mia infanzia - almeno quello non ce l’hanno ancora rovinato - anche se pullula di satelliti e ordigni vari che ogni tanto, come comunicano i media nel loro terrorismo, minacciano di rovinarci addosso. Come nell’infanzia mi incanto a guardare le metamorfosi delle nuvole, grandi nuvole spumeggianti, interpretando le forme sempre diverse che disegnano. Gli uccelli, beatamente incuranti della Covid-19, si affaccendano a costruire i nidi, e ho sorpreso sull’antenna televisiva da più di trent’anni dismessa sul mio tetto un gruppo di rondini: erano scomparse dalla città ma evidentemente sono ritornate. La natura guarisce velocemente quando l’uomo non la violenta, e forse l’unico risultato delle chiusure per la Covid è stato la comparsa nelle città di animali selvatici e di pesci nei canali di Venezia tornati quasi limpidi. Gli alberi esplodono in merletti di gemme, e i profumi nel mio piccolo giardino lo trasformano in un Eden all’apparenza inviolato. E’ un conforto vedere ancora una volta l’ordinata sequela della comparsa dei fiori, immutata nel tempo: prima i calicanthus e i bucaneve, poi il mandorlo e i narcisi - i magici daffodils di Wordsworth -, insieme ai giacinti e, allo stesso tempo della fioritura del ciliegio, i tulipani. Ora l’inverno può dirsi alle spalle e i media comunicano un calo dei casi positivi alla Covid-19, grazie alle vaccinazioni in corso. Dimentichi infatti che i casi si erano quasi azzerati anche la scorsa primavera, e senza vaccini³, attribuisceono il miglioramento della situazione a queste terapie geniche sperimentali e mettono in guardia dalla ripresa dei contagi su larga scala in autunno, se per allora non saremo tutti vaccinati. Sento il ricatto sottostante e prevedo che i non vaccinati come me diventeranno i capri espiatori, ma non me ne curo affatto.

    Un anno fa mi tastavo spesso la fronte e avevo paura, una paura disseminata dai media e contagiosa più del virus, pur non avendo io da più di trent’anni la tv a inquinare la mia casa e non leggendo i giornali di massima tiratura, che del resto appartengono tutti alla stessa cupola simil mafiosa e ubbidiscono alle stesse direttive di squadra (Il Secolo 19°, la Stampa e La Repubblica nelle mani di Mr Fiat Elkann, e gli altri grandi media, fra cui RCS e LA7, in quelle dell’affarista Urbano Cairo. Essere precipitata all’improvviso nella situazione surreale, distopica, di una pandemia in cui le persone della mia generazione - a cui fino a un attimo prima la pubblicità aveva offerto prospettive mirabolanti di eterna giovinezza - vengono crudamente definite anziani, in prima fila nel rischio di contrarre il misterioso virus e di soccombergli, mi destabilizzò come un pugno in pieno viso. Oggi la rabbia e il desiderio di ribellione hanno soffocato la mia mite obbedienza di allora e continuo a figurarmi azioni di disobbedienza, di fuga. Mio nonno, magistrato, ripeteva che le norme devono essere poche, chiare e comprensibili a tutti e che chi le trasgredisce deve essere punito. Oggi però chi le trasgredisce sono innanzitutto i nostri governanti, che violano impunemente la Costituzione, ridotta a carta straccia in molti suoi lungimiranti articoli. E’ ormai ovvio che il branco di sedicenti politici al governo - governatori della colonia Italia come sono - obbediscono, a parte qualche rara eccezione come la veneta Sara Cunial , a una cupola transnazionale senza volto e senza nome, anche se a ben guardare molti nomi sono sotto gli occhi di tutti. Una cupola di fronte alla quale siamo impotenti perché non riusciamo a creare una forte opposizione e ad unirci, rinunciando così al grande potere che in realtà avremmo, se solo credessimo di averlo. La sensazione di essere sola mi pervade, circondata come sono da un gregge impaurito che non vede come il sedicente pastore sia in realtà il lupo.

    Ero stata in India per la quarta volta nel dicembre 2019, insieme alla maggiore dei miei sette nipoti, e ne ero ritornata carica di energia e con l’intenzione di scrivere un libro sulla storia del subcontinente: un libro che avrebbe deprecato l’eredità negativa del colonialismo britannico tanto a lungo subita, e nel quale avrei stigmatizzato la politica etnica del premier Modi, sullo sfondo devastante dell’imperante, pernicioso neoliberismo: questo sì una orrenda pandemia, al momento ancora priva di antidoti e terapie, che governa attraverso una falsa democrazia perché si basa sulla competizione di tutti contro tutti, trasforma vizi come la prevaricazione in virtù e svantaggia tutti tranne pochi. Due mesi dopo, a fine febbraio, quando si era già diffusa la notizia dell’epidemia scoppiata a Wuhan in Cina, di ritorno in treno da una bella presentazione del mio ultimo libro presso l’istituto di Cultura ellenica di Trieste badai bene di sedermi lontana da un cinese che viaggiava nel mio stesso scompartimento, anche se la ragione mi diceva che era un atteggiamento sciocco perché non sapevo nulla di quell’uomo che certo viveva in Italia. In quei giorni, però, il governo invece di isolare i viaggiatori che giungevano dalla Cina, si occupava di essere politicamente corretto diffondendo messaggi del tipo abbraccia un cinese, pranzate al ristorante cinese, l’unico virus è il razzismo e via di seguito.

    In gennaio il dottor Burioni Roberto, esperto probabilmente in qualcosa, ma non ho mai capito in cosa, ha ufficialmente dichiarato alla televisione italiana che il virus non stava circolando, scrive Silvana De Mari⁴. Il 2 febbraio tale Speranza Roberto, ministro della salute di questa nazione per motivi che continuano a restarmi ignoti, dichiara: non bisogna creare allarmismi perché la situazione è sotto controllo. Il 5 febbraio con il decreto numero 371 viene istituito il comitato tecnico scientifico, il che è piuttosto curioso tenendo presente che tutti ci rassicurano sul fatto che non ci sia niente da temere. Il 15 febbraio, una settimana prima della circolare che dichiara i pazienti morituri senza speranza perché sta circolando una malattia di tale inaudita letalità che l’unica cosa da fare è isolare i pazienti come se fossero radioattivi, e una settimana dopo l’istituzione del CTS, tale Di Maio Luigino ministro degli Esteri per meriti imperscrutabili, regala alla Cina un numero imprecisato di tonnellate di dispositivi di protezione individuale tra cui mascherine, tute, guanti occhiali. Il 21 febbraio si registrano i primi due casi in Veneto, a Vo’ Euganeo, il 22 febbraio arriva una circolare che dice: morti tutti, l’unica speranza è rinchiuderli a morire da soli così da salvare gli altri. E subito dopo la situazione precipitò, fummo rinchiusi in lockdown e l’ansia si diffuse tra la gente, come un fuoco tra le stoppie secche. Agli anziani come me veniva consigliato di stare lontani dai giovani, in particolare dai bambini, che venivano descritti come pericoloso untori, ricettacoli privilegiati del temuto virus. Resistetti forse un mese, poi ricominciai a frequentare i miei nipoti e ad abbracciarli, con una sorta di disperato fatalismo. A peggiorare la situazione c’era l’appuntamento serale on line con sedicenti luminari del cosiddetto comitato tecnico-scientifico - CTS - che leggevano in tono funereo il numero dei contagiati - in maggioranza persone risultate positive al già controverso tampone - e quello dei morti, senza specificare se erano morti a causa della Covid o con la Covid oltre ad altre morbilità.

    ___________________

    ¹ E. Jünger, Trattato del Ribelle, Adelphi 1990

    ² M. Dinucci, Global Research, 1 aprile 2021

    ³ Confrontiamo i dati ufficiali: 31/5/2020, nuovi casi 355; tamponi effettuati 54.118; 0% di positivi sui tamponi 0,66%. 31/5/2021, nuovi casi 1.820; tamponi 86.977; 0% di positivi sui tamponi 2,09%

    ⁴ Spaventati dai morti per Covid, pochi di noi sapevano che ogni giorno in Italia ci sono 650 morti per infarto e 450 per tumore

    2) Seconde ondate e varie menzogne

    Già nell’autunno del 2020, all’inizio della seconda ondata di contagi dopo la tregua estiva, fu l’infettivologo Matteo Bassetti, dall’alto dei salotti televisivi di cui era divenuto una star da sconosciuto direttore di Malattie Infettive dell’ospedale San Martino di Genova che era stato, a dichiarare: Abbiamo sbagliato perché abbiamo contato i decessi in maniera diversa rispetto a tutto il resto d’Europa. Vogliamo continuare nell’errore? Da quando abbiamo cambiato la metodologia di conteggio dei decessi stiamo drammaticamente decrescendo come letalità ma abbiamo un peccato originale che riguardamarzo-aprile, quando chiunque arrivasse in ospedale con un tampone positivo, anche chi aveva un infarto, veniva qualificato come morto per Covid. Anche il governatore del Veneto Luca Zaia ha ammesso, in una conferenza stampa del 27 agosto, quello che in realtà molti sospettavano, e cioè che i numeri dei cosiddetti contagiati e dei decessi per Covid erano gonfiati per assurde e allucinanti direttive ministeriali, come quelle venute alla luce sui decessi da incidenti stradali ufficialmente attribuiti alla Covid-19. Zaia ha pubblicamente affermato che se pazienti risultati positivi ma poi negativizzati morivano per altre cause, la regione era obbligata a classificarli come decessi da Covid: "So che è assurdo, so che è sbagliato, ma è cosi⁵". Già un anno fa però c’era chi ripeteva che il Sars-CoV-2 era letale solo per pazienti di un’età media di 82 anni e sofferenti di altre patologie, ma che anche tra questi non pochi si potevano salvare se venivano curati fin dalle prime avvisaglie della malattia.

    Se poteva sembrare che Bassetti avesse deciso di ridimensionare i dati dei contagi per stemperare la vigente atmosfera di puro terrore, egli si riposizionava invece di diritto tra i medici di regime quando, nel febbraio 2021 a L’aria che tira su La7 mise in stato di accusa il dottor Mariano Amici, medico di base che a differenza della maggioranza dei suoi colleghi aveva un approccio diverso nella cura della Covid-19. Il dottor Amici infatti curava i suoi pazienti sul campo, aveva posizioni critiche rispetto alla vaccinazione anti-Covid e nella suddetta trasmissione aveva espresso la propria opinione sulla pandemia e sui metodi per sconfiggerla. La credibilità

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