Il diavolo ascolta le tue preghiere
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About this ebook
Horror - racconto lungo (43 pagine) - Tornato nel mondo dei vivi, Joseph Harris è determinato a fare strage dei suoi assassini…
Joseph Harris, affermato medico di una piccola cittadina, si risveglia nella tomba. Tornato nel mondo dei vivi nelle sembianze di un’orrida bestia, ha un solo obiettivo in mente. Tuttavia, qualcosa di molto oscuro si annida nel buio e sussurra il suo richiamo di sangue…
Rebecca Stagno nasce a Roma nel 1994. Dopo il liceo classico si iscrive alla facoltà di Lettere e Filosofia, dove consegue una laurea triennale in Lettere Moderne e una laurea magistrale in Scienze Storico-religiose.
I suoi racconti Lobotomia e Pioggia di vermi figurano, rispettivamente, nelle antologie Schegge di Halloween all’italiana 2016 e Orrore al sole 2021, entrambe a cura di LetteraturaHorror.
Ha scritto, inoltre, articoli per blog e riviste di divulgazione storica e culturale.
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Il diavolo ascolta le tue preghiere - Rebecca Stagno
I provocatori, i soverchiatori, tutti coloro che, in qualunque modo, fanno torto altrui, sono rei, non solo del male che commettono, ma del pervertimento ancora a cui portano gli animi degli offesi.
Alessandro Manzoni, I promessi sposi
1.
Mi risvegliai nell’oscurità. Intorno a me umidità e odore di chiuso, una coltre pesante di aria mefitica e insalubre. Provai a muovermi, ma qualcosa mi impediva di fare anche i movimenti più elementari. Tastai nel buio, cercando di crearmi un’immagine mentale dello spazio che mi circondava. Erano pareti, confini, la sagoma tutta angoli di un contenitore che custodiva il mio corpo come un ventre opprimente ed oscuro. Una bara.
Dunque, ero morto? Da quanto tempo? Com’era successo?
Ci misi un po’ a ricordare. Il sangue, la lama affilata dell’ascia che si conficcava nella carne e nelle membra, penetrando giù, verso gli organi. Il dolore insopportabile che provavo ad ogni colpo che mi veniva inferto, la pelle lacerata e in fiamme. Una mattanza. Ricordai le mie viscere riverse sul pavimento, l’addome sventrato e bruciante. Odore di sangue e interiora, odore di morte. I loro sorrisi, anche quelli ricordavo. I loro volti storti, deformati dalla follia. Volti di demoni, maschere di spettri che ridono nel buio.
Rachel. Cosa l’era accaduto? Mi sforzai di ricordare. Mi concentrai. Credo che una parte della mia mente volesse proteggermi, impedirmi di rivivere quello che era accaduto, che le era accaduto. Ma io dovevo ricordare, me lo imposi e mi sforzai per riportare a galla quell’incubo. E allora la vidi. Il suo corpo mutilato, rigido in una posizione innaturale a causa delle ossa rotte. La mia Rachel, la mia adorata moglie, ridotta ad una poltiglia insanguinata abbandonata sul pavimento come spazzatura. Il bambino era morto con lei, nel suo ventre gonfio e custode di una vita in procinto di nascere. Mio figlio non avrebbe mai visto la luce, ammazzato ancora prima di venire al mondo.
Gridai. Gridai con tutta la forza che avevo in corpo. Gridai la mia rabbia, vomitai il mio dolore. Nel buio, le mie urla rimbombavano come tuoni d’inferno. Qualcosa – o qualcuno – mi aveva riportato indietro dalla morte ed ora respiravo ed urlavo, vivo in una bara che avrebbe dovuto custodire per sempre il mio cadavere oltraggiato, reso immondo e irriconoscibile da una follia omicida.
Dovevo uscire, tornare a camminare nel mondo dei vivi ed ottenere la mia vendetta.
Dovevo uccidere.
Compresi di non essere più un essere umano quando un istinto animale, demoniaco, ordinò al mio corpo di balzare fuori. Qualcosa mi diceva che ero abbastanza forte da rompere la bara. Era una forza primordiale, antica, quella che mi permise di spaccare il legno della cassa e di attraversare la terra che mi serrava nel suo ventre umido e nauseante.
Era notte. Ricordo che mi guardai intorno, affascinato. La mia vista era diversa, nitida come non lo era mai stata. Distinguevo alla perfezione i profili nodosi dei tassi, le loro chiome aggrovigliate che svettavano nel cielo tetro e gonfio di nuvole. C’era odore di pioggia, nell’aria, un olezzo che mi solleticò le narici come mai prima d’ora. I miei sensi dovevano essersi sviluppati in una maniera sorprendente. Ne ebbi la certezza quando un gufo bubolò in lontananza e subito ne avvertii la presenza, intuendo improvvisamente a quanti metri di distanza, su quale albero e persino su quale ramo si trovava. Un istinto atavico e sconosciuto mi disse di correre in quella direzione. Volai, rapido come il vento, e, molto prima che me accorgessi, avevo affondato i denti nel petto tenero dell’animale. Lo divorai con tutte le piume, strappando a morsi lembi di carne insanguinata. Mangiavo, famelico e bestiale, immondo come le creature della notte che, da bambino, avevano popolato i miei incubi. Avevo fame e sete. Sentivo lo stomaco contrarsi, la gola bruciare. Il mio nuovo corpo di demone mi chiedeva a gran voce di trovare presto del cibo, del buon cibo.
Divelsi lapidi e distrussi bare, in cerca di corpi ancora freschi da divorare. Tranciavo e ingoiavo pezzi di carne putrefatta e brulicante di vermi, tentando disperatamente di saziare la mia fame. Ingurgitai chili e chili di carne decomposta, ma non fu sufficiente. Avevo bisogno di altro. Avevo bisogno di qualcosa di vivo. La fame era implacabile, ma la sete rischiava di farmi perdere il senno. Bramavo il sangue, le membra