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Tutto (o quasi) sulla Messa: I Riti iniziali e la Liturgia della Parola - Vol. 1
Tutto (o quasi) sulla Messa: I Riti iniziali e la Liturgia della Parola - Vol. 1
Tutto (o quasi) sulla Messa: I Riti iniziali e la Liturgia della Parola - Vol. 1
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Tutto (o quasi) sulla Messa: I Riti iniziali e la Liturgia della Parola - Vol. 1

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About this ebook

Perché nelle chiese c'è una doppia porta? Perché salutare un tavolo prima delle persone? Perché chiedere perdono a tutti?
A queste e altre domande rispondono le pagine del libro, che si rivolge a catechisti, animatori, operatori parrocchiali ma anche a semplici fedeli desiderosi di comprendere meglio i tanti significati del rito eucaristico.
Mettendo insieme preparazione teologica e passione liturgica, profondità e umorismo, l’autrice svela la ricchezza millenaria della Messa e favorisce, con piccoli ma preziosi suggerimenti concreti, una partecipazione più consapevole e attiva all’appuntamento domenicale.
Il rischio per tutti, preti e laici, riguardo alla Messa è l’assuefazione perché manca lo stupore di fronte a un dono tanto immeritato e sorprendente.

LanguageItaliano
Release dateNov 26, 2021
ISBN9788869298110
Tutto (o quasi) sulla Messa: I Riti iniziali e la Liturgia della Parola - Vol. 1
Author

Elisabetta Casadei

È docente di Filosofia presso la Pontificia Università Gregoriana (Roma) e all'ISSR «A. Marvelli» della Diocesi di Rimini, dove si occupa anche delle Cause di beatificazione tra cui, come postulatrice, quella di don Oreste Benzi. A Roma insegna anche all’Accademia Alfonsiana e collabora al Master di Consulenza Filosofica e Antropologia Esistenziale presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum. Vive con i suoi studenti l’esperienza dello Studium Evangelii Gaudium, comunità di studio, lavoro ed evangelizzazione, secondo le vie tracciate da papa Francesco. È consacrata nell’Ordo virginum della Chiesa di Roma.

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    Tutto (o quasi) sulla Messa - Elisabetta Casadei

    Copertina del libro Tutto (o quasi) sulla MessaCopertina del libro Tutto (o quasi) sulla Messa

    Inizia la lettura

    Indice

    Informazioni sull’autrice

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    Colophon

    Elisabetta Casadei

    Tutto (o quasi)

    sulla Messa

    I Riti iniziali e la Liturgia della Parola

    Vol. 1

    Effatà Editrice logo

    Sigle e abbreviazioni

    AT:Antico Testamento

    CCC:Catechismo della Chiesa Cattolica

    CEI: Conferenza Episcopale Italiana

    CD:Christus Dominus (Costituzione sui compiti dei vescovi, del concilio Vaticano II)

    DV:Dei Verbum (Costituzione sulla Rivelazione, del concilio Vaticano II)

    gr.: greco

    lat.: latino

    NT:Nuovo Testamento

    OGMR:Ordo Generale Messale Romano (Istruzioni sull’uso del Messale)

    OLM:Ordinamento delle Letture della Messa

    PNMR:Principi e Norme per l’uso del Messale Romano

    p. es.: per esempio

    RS:Redemptionis Sacramentum. Istruzione su alcune cose che si devono osservare ed evitare circa la Santissima Eucaristia, della Congregazione per il Culto e la Disciplina dei Sacramenti (2004)

    SC:Sacrosanctum Concilium (Costituzione sulla Liturgia, del concilio Vaticano II)

    Prefazione

    Illustrazione di penna e inchiostro

    Un aneddoto. Era il lontanissimo 1968. Il mondo nord‐ovest di allora era tutto in ebollizione. Anche la Chiesa. Anche seminari, università, noviziati e monasteri. Anche il nostro seminario.

    Un giorno arrivò a farci visita Vittorio Bachelet, allora giovanissimo presidente dell’Azione Cattolica Italiana, e ci raccontò di essere stato invitato in una parrocchia romana a parlare della presenza e della missione dei laici nella Chiesa. Al termine, l’anziano parroco, dopo aver bofonchiato per tutto l’incontro, esplose con un botto: «Ma insomma, adesso voi laici non ci lascerete neanche più celebrare la Messa!». «Certo che no», aveva risposto, mite e imperturbabile, il professore. E davanti al parroco, sprofondato in grave costernazione, rincarò: «Perché, la Messa, voi preti e noi laici la... con‐celebriamo!».

    Una perla. Ovviamente, il futuro martire delle BR non aveva nessuna intenzione di livellare il ruolo irrinunciabile del sacerdozio ordinato con il ruolo basilare del sacerdozio battesimale. Ma voleva serenamente condividere la preziosa, sacrosanta scoperta — in verità è una ri‐scoperta — del concilio, una vera e propria perla: la partecipazione attiva dei fedeli.

    Eccola: «La Chiesa si preoccupa vivamente che i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede, ma che, con una comprensione piena dei riti e delle preghiere, partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente» (SC 48).

    Una partecipazione che non consiste però nel far fare a tutti qualcosa, ma nel fare tutti la stessa cosa: l’Eucaristia, unendo cioè le nostre menti sugli stessi segni e significati, i nostri cuori nella stessa fede, speranza e carità, le nostri voci nei canti e nei dialoghi liturgici, e perfino assumendo gli stessi atteggiamenti e le stesse posizioni del corpo.

    Certamente sono stati fatti molti passi verso questo obiettivo — passaggio dal latino all’italiano, pubblicazione di nuovi libri liturgici, cura del canto dell’assemblea, riconfigurazione del presbiterio con l’altare rivolto al popolo, con la costruzione dell’ambone, e altro.

    Ma molto, molto altro ancora resta da fare. Assicurando sempre la distinzione e l’armonica composizione dei ruoli, ed evitando ogni equivoco e ambiguità, in modo che i fedeli non si clericalizzino e i sacerdoti non si laicizzino.

    Un sentimento. Il rischio per tutti — preti e laici — riguardo alla Messa è l’assuefazione. Ormai si sa come funziona; si sa pure come va a finire.

    Le conseguenze estreme, ambedue letali, sono due: o una celebrazione raffazzonata e... scappa, scappa; oppure una ingessata, automatica esecuzione di norme e rubriche.

    Senza quello stupore che non dovrebbe mai mancare di fronte a questo dono immeritato e sorprendente: l’Eucaristia, il sacramento dei sacramenti, la perfezione delle perfezioni, la bellezza assoluta e insuperabile. Un dono che, se non ci fosse stato rivelato, mai mente creata avrebbe potuto supporre come possibile, né immaginare come realizzabile, né godere come fruibile.

    Ecco il termometro della mia partecipazione alla celebrazione eucaristica: quando non provo più il brivido dello stupore, mi devo dire che sono un prete e/o un fedele in fin di vita.

    Una parola su questo sussidio: è una raccolta di catechesi liturgiche, pensate con intelligenza d’amore; sperimentate con fedeltà creativa, nella nostra cattedrale di Rimini, ogni domenica da più di un anno; scritte con precisione teologica, con linguaggio spigliato e vivace. Ma soprattutto attraversate da quel brivido di stupore che può aiutare sacerdoti e laici a non andare in automatico con la Messa.

    La consapevolezza della nostra incapacità a comprendere il mistero della fede, più che scoraggiarci, deve piuttosto spronarci all’approfondimento teologico, alla riflessione spirituale, a una continua e scrupolosa verifica delle nostre prassi celebrative. È lo scopo dell’Autrice. Che sia anche il beneficio dei Lettori.

    Rimini, 4 dicembre 2013 (50° Anniversario della promulgazione della Costituzione Conciliare Sacrosanctum Concilium sulla Liturgia)

    ✠ Francesco Lambiasi

    Introduzione

    Illustrazione di una perla dentro alla sua conchiglia

    Questa è la storia di un Vecchio saggio.

    Un giorno, mentre lavorava paziente nel suo Giardino, all’improvviso vide sgusciare tra le zolle un raggio di luce.

    Sorpreso ed emozionato, scavò con le mani: trovò una perla. Una perla assai preziosa!

    Che stupore!

    Da quanto tempo aspettava quel momento! Sapeva infatti che un suo antico maestro, quattrocento anni prima, l’aveva nascosta proprio in quel Giardino, ma nessuno era ancora riuscito a trovarla.

    Quel giorno gli rimase impresso a fuoco nella mente: era il 4 dicembre 1963.

    Commosso, la raccolse con venerazione, la strinse al petto e pensò tra sé: «La farò incastonare sull’anello della mia Sposa!».

    La ripulì ben bene, la lavò e la lucidò con cura, come gli avevano insegnato nella bottega dell’orefice.

    Ma, ahimè, inaspettatamente, gli scivolò dalle dita e andò a cadere nella pozzanghera, dove rane e ranocchi, attratti dalla sua luce, si precipitarono a zomparci sopra.

    Che costernazione! Che guaio!

    E adesso?

    Adesso, caro lettore, aiutiamo il Vecchio saggio a recuperare la nostra Perla, perché possa rifulgere sul nostro anello nuziale.

    Prima Parte

    LA PREPARAZIONE

    1

    La Convocatio

    Ma quando inizia la Messa?

    Illustrazione dei fedeli che si dirigono verso la chiesa

    Non ce la faccio mai ad arrivare in orario. Non so se capita anche a te. Mi chiedo allora: ma quando inizia davvero la Messa? Tanto per non sgarrare di troppo...

    Qualcuno forse risponderebbe: quando il sacerdote esce dalla sacrestia; altri, invece: no, quando si ode il suono della campanella; altri ancora: quando il celebrante all’altare pronuncia: «Nel nome del Padre, del Figlio...».

    Per trovare la risposta giusta possiamo chiederci: quando inizia un matrimonio? Non certo quando gli sposi arrivano in chiesa o salgono all’altare, ma molto prima; esso, infatti, richiede tutta una preparazione che già immette nella festa e la fa pre‐gustare: la scelta del vestito, del regalo, degli invitati, del luogo per il banchetto ecc.

    Anche la Messa, o Cena del Signore, è un vero e proprio banchetto nuziale, che vede Cristo Sposo rinnovare il suo patto di alleanza con la sua Sposa, la Chiesa (e ciascuno di noi), e a cui chiede il rinnovamento del suo «Sì». Ciò che Gesù ha compiuto nell’ultima cena e sulla croce, infatti, si rinnova realmente in ogni Eucaristia, che non è tanto un ricordo, una commemorazione, ma molto di più: è un’attualizzazione nell’oggi del dono che il Signore ha fatto di Se stesso a te, a me, a noi. Questa attualizzazione nell’oggi si chiama memoriale, termine che la teologia cristiana ha ricevuto da quella ebraica, che lo chiama zikaron. In altre parole, oggi, il Signore è disposto a donare il suo corpo e il suo sangue per te, per me, per noi; oggi, come a Mosè sul Sinai, desidera far udire a noi la sua Parola.

    In ogni Eucaristia si compie la parabola di quel grande re che fece un banchetto di nozze per il figlio e mandò i suoi servi per le strade del regno a chiamare gli invitati, fino quasi a rapirli (cfr. Mt 22; Lc 14)!

    Ma il Padre chiama anche in modo invisibile attraverso lo Spirito Santo (e non si possono escludere gli angeli e l’angelo custode !), che illumina la nostra mente, donandoci, per esempio, una comprensione più profonda dell’Eucaristia; oppure accende il nostro desiderio di incontrare il Signore, magari infondendoci la nostalgia di Lui; o rafforza la nostra capacità di combattere e di vincere gli impedimenti che si frappongono al nostro andare alla Messa. Impedimenti che non mancano mai, poiché il maligno non è affatto contento che andiamo ad ascoltare la Parola di Dio, a chiedere perdono dei nostri peccati e a ricevere il Corpo e il Sangue di Cristo! Per cui, non è difficile vederlo darsi tanto da fare a tener lontani i fedeli dall’Eucaristia. Riconoscere le tentazioni è il primo passo per vincerle con la forza dello Spirito di Dio!

    Possiamo quindi ora comprendere quando inizia la Messa: nelle nostre case. Al mattino, per esempio, quando decidiamo di andare all’Eucaristia; oppure anche qualche giorno prima, magari al lavoro, dove avvertiamo l’invito delicato dello Spirito che ci chiama. Allora, non ci è neppure difficile riconoscere che, mentre ci rechiamo in chiesa, in auto o in bicicletta, lo Spirito ci accompagna e il Signore ci precede, perché il Padre ci ha con‐vocati! Sì, l’Eucaristia non è nostra iniziativa, ma è una con‐vocazione di Dio, la chiamata (vocazione) e l’invito del gran Re alle nozze del Figlio! L’appuntamento lo dà Lui e non noi; a noi, la libertà di rispondere all’invito. Per questa ragione nessuna Messa è privata, ma è sempre pubblica.

    E allora?

    Allora, se, per assurdo, nella nostra parrocchia si sposasse il nostro cantante o attore preferito e ci avesse invitati tra i suoi ospiti personali, avremmo il coraggio di arrivare in ritardo? E Dio Padre, che ci invita alle nozze del suo Figlio e desidera rinnovare il suo patto nuziale con noi, lo faremo forse aspettare?

    2

    Il portone

    Perché nelle chiese c’è una doppia porta?

    Illustrazione delle doppie porte di una chiesa

    Per fermare gli spifferi? Forse per appoggiare gli ombrelli bagnati? Magari per affiggere gli avvisi parrocchiali? Niente di tutto ciò! Non dobbiamo mai dimenticare che i segni visibili di un edificio religioso sono sempre (o quasi) segni di realtà invisibili, cioè delle cose di Dio.

    Anzi tutto dobbiamo notare che dove c’è un portone, c’è anche una soglia; e quanto più grande è il portone, tanto più è importante varcare quella soglia, passare dal fuori al dentro.

    Varcare la soglia di una chiesa significa compiere il passaggio dal mondo alla presenza di Dio; passare dalla dimensione orizzontale (il mondo) a quella verticale (Dio: il Padre che mi ama, il Figlio che mi salva e lo Spirito Santo che mi consola, purifica e santifica); dalla dimensione immanente a quella trascendente dell’Assoluto (ab‐solutus: slegato da tutto); dai rumori (non solo esterni, ma anche del cuore, come per esempio i pensieri che distraggono o gli affetti che preoccupano) alla voce di Dio; dal finito all’Infinito. È un vero e proprio salto, molto più lungo di quello dalla Terra alla Luna, o dalla Terra all’ultima galassia dell’Universo!

    Questo passaggio ultradimensionale, quindi, richiede un luogo, uno spazio intermedio che consenta di rendersi conto del gran salto, di raccogliersi e di mettersi alla presenza di Dio.

    Il piccolo atrio delle nostre chiese, ricavato tra il portone principale e le porte interne, non è altro che il rimasuglio dell’atrio o del nartece che introducevano alle antiche basiliche. L’atrio era spesso costituito da un giardino, come quello che si può ancor oggi vedere, per esempio, alla basilica di San Paolo fuori le Mura a Roma. Il nartece (dal graco nárthēx = bastone, flagello), invece, era una specie di portico appoggiato alla facciata della chiesa, come quello della basilica di San Pietro o di San Lorenzo al Verano; il luogo da cui i catecumeni e i pubblici peccatori potevano partecipare all’Eucaristia, per cui simbolo di purificazione e di pentimento.

    A cosa serve però oggi il piccolo atrio delle nostre chiese parrocchiali? Ad un uso spirituale non molto diverso da quello antico: lì, il Signore, quando arrivo, mi chiede di aprire un altro grande portone, pesantissimo: quello del mio cuore. «Ecco, Io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre, verrò a lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20). Lì, mi preparo all’incontro con Dio: ad ascoltare la sua Parola, a partecipare al Banchetto nuziale, a rinnovare l’Alleanza, cioè il mio nel grande di Dio per me. Come l’aereo ha infatti bisogno di scaldarsi e di rullare prima di spiccare il volo, così anche il nostro cuore ha bisogno di scaldarsi prima di entrare alla presenza di Dio.

    Ma come scaldarlo nel piccolo atrio della Chiesa? Qui ci viene in aiuto la madre Chiesa con il suo splendido Catechismo, in cui insegna come lo Spirito Santo ci aiuta a preparare il cuore per partecipare con frutto all’Eucaristia (cfr. n. 1098).

    Primo, risvegliamo la fede, magari con queste parole: «Ti ringrazio Signore per avermi portato qui, nonostante...», oppure: «Grazie Signore che mi vuoi bene e non ti sei ancora stancato di me», o anche: «Credo

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