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Senza di te il treno non parte
Senza di te il treno non parte
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Senza di te il treno non parte

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About this ebook

Francesco ha appena compiuto 40 anni e, tutto sommato, non ha fatto un granché, né ha un futuro promettente. La vita va così così. Una mattina, nel bagno di casa, si trova davanti uno sconosciuto che gli pone un aut aut: morire il giorno dopo o ripercorrere i suoi 40 anni all’indietro, come uno spettatore, senza poter cambiare niente del passato.
Dapprincipio pensa a un macabro e ben congegnato scherzo di amici, e siccome di morire il giorno dopo non se ne parla davvero, ecco che il viaggio alla rovescia ha inizio.
Quello intrapreso si rivelerà un viaggio unico, attraverso le emozioni non vissute, gli sguardi non visti, i sapori gustati solo a metà, nella fretta di correre dietro alla vita. Francesco andrà al funerale del nonno per rivederlo il giorno successivo e vivere ogni attimo con lui con una nuova intensità, rivivrà momenti che nemmeno ricordava e altri che non avrebbe voluto rivivere, sorriderà alle occasioni perdute, agli schiaffi presi e ai baci non dati. Un’opportunità unica. È come premere il tasto rewind e riavvolgere il nastro fin là dove tutto è iniziato: il grembo materno. Con una sorpresa finale.
LanguageItaliano
Release dateNov 22, 2016
ISBN9788868992934
Senza di te il treno non parte
Author

Marco Voleri

Marco Voleri è tenore professionista di livello internazionale, con esibizioni in Europa, Asia e Sud America. Vasto il suo repertorio, dalla musica sacra all’opera, dai lieder alla musica da camera e contemporanea. Ha cantato in importanti teatri (tra cui La Scala e La Fenice) e lavorato con grandi registi, come Beppe de Tomasi e Franco Zeffirelli. Dinanzi a Papa Francesco ha cantato l’Ave Maria di Vavilov, nella Basilica di Maria Ausiliatrice a Torino (2015). Nel 2013 ha esordito come autore con l’autobiografia Sintomi di felicità (Sperling & Kupfer) e dal 2015 è firma del quotidiano Avvenire. È testimonial nazionale di AISM e si dedica a progetti di sensibilizzazione riguardo alla sclerosi multipla attraverso l’associazione di cui è presidente (www.sintomidifelicita.it), creata nel 2013 e finanziata anche con i diritti dei suoi libri.

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    Senza di te il treno non parte - Marco Voleri

    Prologo

    Il tempo non esiste, è solo una dimensione dell’anima. Il passato non esiste in quanto non è più, il futuro non esiste in quanto deve ancora essere, e il presente è solo un istante inesistente di separazione tra passato e futuro.

    Sant’Agostino

    Driiiiiin. La sveglia sul comodino cominciò a suonare, senza sosta. Francesco, svegliatosi da sogni inquieti, cercò di spegnerla tenendo gli occhi serrati, poi tornò a rifugiarsi con la testa sotto il cuscino, cercando dentro di sé la forza di alzarsi. Niente da fare. Lo squillo assordante gli perforò i timpani, entrandogli in testa come un ago.

    «Ecco, ora è anche caduta sul tappetino scendiletto» pensò rassegnato, «ma sfortunatamente non si è rotta, e continua a suonare come se nulla fosse. Ok, mi alzo.»

    Dalla tapparella rotta e mai riparata passava il solito, dannato raggio di sole, che tagliava la stanza come un raggio ufo, che non veniva di certo a portare speranza. Odiava dormire e svegliarsi con la luce del giorno, anche se poca. E quella mattina, visto lo stato in cui versava, da pugile suonato prima del gong, accusava il colpo ancora di più.

    La sera avanti aveva festeggiato i suoi quarant’anni con gli amici di sempre. Una cosa tranquilla, almeno in principio. Erano appena una ventina. Poi alle due Gabriele aveva tirato fuori l’idea del Cuba Libre digestivo. Roba da ventenni, in effetti. Fatto sta che erano rimasti svegli fino all’alba i soliti cinque alcolizzati e la sua faccia sbattuta lo raccontava ampiamente allo specchio.

    «Altro che quarantenne, sembra che mi sia passato sopra un tir» pensò sconsolato.

    L’alcol gli ristagnava ancora nel sangue facendolo galleggiare in uno stato di dolorosa incoscienza che gli impediva di mettere a fuoco le cose. Si sentiva debole e passivo, per non parlare del cerchio alla testa, una morsa impietosa che non gli lasciava scampo.

    Doccia calda e barba fresca alla schiuma mentolata: lo aspettava una giornata particolarmente impegnativa e aveva bisogno di tante energie, nonostante al momento non ne avesse nessuna. Accese l’iPod e sparò Piazzolla al massimo volume, l’unica cosa che forse avrebbe potuto scuoterlo.

    Avete presente quelle mattine dove tutto, come per un maleficio, va storto e non c’è verso di raddrizzarlo in nessuna maniera? Ecco, Francesco ne aveva appena vinta una. Due telefonate deliranti, una terza con un gestore telefonico che voleva per forza fargli cambiare compagnia e non sentiva ragioni, e lui in mutande a imprecare, a rivendicare il suo diritto di farsi una doccia. E uscire di casa, magari. Nel più breve tempo possibile.

    Finalmente nudo, si guardò nello specchio del bagno. Nonostante la notte brava, magro, i muscoli tesi dalle partite a calcetto, la barba leggermente incolta, e gli occhi verdi infossati dagli eccessi dell’alcol e dall’insonnia, faceva molto pubblicità Dolce & Gabbana. Si piacque e si sorrise.

    Ci sono momenti nella vita in cui tutto va talmente veloce che non sai più dove sei finito e perché. Ti chiedi se la scelta che hai fatto quel giorno, che ha cambiato la tua vita, fosse davvero quella giusta. Ti metti in standby e ti chiedi se in quel frangente avresti dovuto avere più coraggio, o semplicemente essere più incosciente. E a volte sembra quasi che non ci sia alcuna differenza.

    Ecco, Francesco era in uno di quei momenti. L’acqua calda scorreva sul suo corpo nudo, scivolandogli sulla schiena glabra e caricandolo dell’energia necessaria per affrontare la lunga giornata. Nella cabina della doccia respirava aria calda alla fragranza di pino silvestre e menta (una nuova abbinata della sua marca che provava per la prima volta). Piazzolla, con il suo tango malinconico e vigoroso, gli pulsava nelle vene con forza. Dietro gli occhi chiusi vide scorrere attimi di vita del passato, alcuni perfettamente chiari e nitidi, i più cari da sempre, altri perlopiù vaghi e sfocati, come incerti.

    «Ecco fatto, è il caso di darsi una mossa» pensò. «È tardissimo, e devo ancora scegliere l’abito e farmi il nodo alla cravatta, che non ho mai imparato a fare in maniera decente. Ma prima di tutto la barba, dov’è finito il rasoio?»

    Gommino, il suo gatto arancione, aveva fame. E quando il suo stomaco brontolava si faceva le unghie in qualsiasi posto per segnalare disappunto e riprovazione, e siccome quella mattina era particolarmente gentile, aveva scelto la spalletta del divano in pelle per affilarsi gli artigli. Francesco, esausto e pieno di schiuma, col cellulare che squillava in un posto lontano e imprecisato, decise che era meglio cercare subito i croccantini. Finiti. L’altra busta era nel bagagliaio dell’auto, ma nei tre minuti che avrebbe impiegato per andare a prenderla, la bestia sarebbe stata capace di sbrindellargli l’intero divano. C’era quindi un’unica soluzione.

    Uscì in cortile in ciabatte e vestaglia scozzese molto bravo ragazzo, col gatto in braccio, la schiuma sul viso e due occhiaie da far paura. La vicina lo guardò sprezzante – e pensare che qualche anno prima voleva persino farlo uscire con sua figlia.

    «Ce l’ho fatta» si disse fiero, «finalmente posso radermi.» Ma il ritardo a questo punto si era fatto pesante. «Tagliarsi è normale, visto lo stato di catalessi e delirio in cui sono» pensò rassegnato. Mentre si radeva il telefono continuava indefesso a squillare chissà dove. Smise il cellulare e cominciò il fisso. Smise il fisso e cominciò Skype.

    «Molto bene» si disse. La giornata iniziava male.

    Ebbe una strana sensazione. Si sentì come osservato da dietro le spalle e sì girò di scatto.

    Niente.

    «Starò mica impazzendo?» pensò turbato.

    Continuò, aveva quasi finito. Il rasoio cominciava quasi a non tagliare più, la lama era da cambiare.

    «Ti pareva!»

    Aprì l’armadietto e la bottiglia di profumo più grande che aveva cadde proprio sul dorso del suo piede nudo. Ma non si ruppe. «Che culo, eh?» Non riusciva a raddrizzare il corso degli eventi.

    A un tratto vide un’ombra stagliarsi dietro di sé. Si girò su se stesso, stavolta molto lentamente.

    Un signore distinto sulla settantina, forse di più, ma in ogni caso ben portati, in gessato grigio e cravatta magenta, gli sorrise educatamente. Non molto alto, magro, elegante, aveva occhi così chiari e limpidi che Francesco non riuscì a fissarlo più di tanto. Capelli candidi, pettinati con la riga di lato, occhialini tondi d’argento. Se fosse stato un famoso attore di teatro non se ne sarebbe stupito. Emanava un fascino quasi ipnotico.

    «Mi perdoni, continui pure, non volevo disturbarla.»

    «Ma cosa… Lei chi è? Che ci fa in casa mia? Come ha fatto a entrare? Chiamo subito la polizia, anzi, i carabinieri, che mi sembrano molto più veloci.»

    «Suvvia, si calmi. Cosa mai potrebbe farle un signore della mia età? Guardi che i ladri entrano col passamontagna nelle case, e spesso sono anche armati di tutto punto. Io non ho armi né copricapi.»

    «È vero, ieri sera ho bevuto parecchio, ma non ricordo di aver fumato nulla. E questo chi diavolo è?» pensò Francesco. Non riusciva a capacitarsi di avere una simile visione, non ne aveva mai avute in vita sua. Cos’era, un’allucinazione?

    «Ok, signor…»

    «Angelo» disse l’uomo, impassibile e compassato.

    «Ok, signor Angelo. Io non so come abbia fatto a entrare, né cosa voglia. Ma è tardi, e la giornata per me oggi sarà veramente lunga. Quella è la porta.»

    «Aspetti. È vero, non sa chi sono né perché sono venuto. È naturale che si allarmi.»

    «Ok, ho capito. È uno scherzo di quei quattro deficienti dei miei amici. Ci conosciamo da quando siamo bambini e non hanno mai smesso di fare i cretini. Sentiamo, sono tutt’orecchi.»

    «Le farò perdere poco tempo, vengo subito al dunque. Il mio non è un compito facile né gradevole, comunque la storia è molto semplice: è giunta la sua ora. Domani, purtroppo, lei avrà un incidente e morirà. Ma non se ne dispiaccia più di tanto, la morte giunge spesso imprevista ed è un doloroso evento per quelli che ci sopravvivono più che per noi, che ne restiamo in un certo senso estranei.»

    «Ah ah ah! Di cazzate ne ho sentite tante, ma stavolta i ragazzi si sono superati! Favolosi… Si faccia un po’ guardare. Beh, l’abbigliamento non è male devo dire. Alta classe. Davvero notevole. E la falce dove l’ha lasciata, giù in auto?»

    In effetti, pur in ritardo e nel casino generale, Francesco stava cominciando a divertirsi parecchio. Quel signore, così distinto e raffinato, era inspiegabilmente gradevole. E aveva modi quasi familiari, pur essendo uno sconosciuto. Se non fosse capitato nel bel mezzo di una mattinata veramente caotica e frettolosa, forse Francesco ci avrebbe anche scambiato qualche parola in più. Peccato che quel giorno la cosa fosse impossibile.

    «E mi dica, quanto le hanno dato per questa scenetta? Cento euro? Duecento? Sicuramente tutto questo è opera di Matteo. Lui è la mente più malvagia tra di noi, fin da quando eravamo piccoli.»

    L’elegante signore lo guardava immobile, con il medesimo sorriso enigmatico stampato sulle labbra: «Lei non mi ha capito evidentemente. Non mi hanno mandato qui i suoi amici. Non ci sono giochi o scherzi di mezzo. Però, per sua fortuna, lei ha ancora due possibilità. Quindi può scegliere.»

    La tentazione di ridergli in faccia era forte, anzi, le risate ebbero la meglio. Per una manciata di secondi. Poi Francesco si rifece serio. «Ho due possibilità, ha detto? Beh, sono proprio fortunato.»

    Angelo dosò le parole e disse lentamente: «Lei può scegliere, ma deve farlo subito, adesso. Sono qui per spiegarle la faccenda. Può decidere di morire domani, non so esattamente quando, ma senz’altro prima di mezzanotte…»

    «Oppure?» disse Francesco, seriamente preoccupato per la perdita di tempo e il ritardo ormai irrecuperabile.

    «Continuare a vivere per altri quarant’anni ma al contrario: non in avanti, all’indietro, nel passato.»

    «Beh, non c’è che dire, ai miei beceri compagni la fantasia non è mancata» sentenziò Francesco nella sua mente. Avevano visto forse troppe volte Amici miei, il film capolavoro del grande Mario Monicelli.

    «Al contrario? Interessante. Certo, vivere altri quarant’anni mi sembra meglio. E sentiamo, che cosa vorrebbe dire esattamente al contrario

    «Vorrebbe dire che lei da domani vivrà ma tornerà indietro, fino al momento esatto in cui è stato concepito: quarant’anni e nove mesi fa. Vivrà ogni cosa ma non potrà cambiare niente di ciò che ha vissuto, le sarà dato solo di percepirlo, a livello psicologico ed emotivo, in modo del tutto diverso.»

    Se volevano buttarla sull’ascetico o sul filosofico potevano anche dirlo prima. Non ci poteva credere.

    «Davvero interessante. Un ottimo spunto per un film di fantascienza. Da sviluppare, come idea. Bene, carissimo, è stato un piacere conoscerla.»

    Francesco tese la mano ad Angelo amichevolmente e gli dette una schietta pacca sulla spalla. Il profumo dell’uomo aveva un che di familiare.

    «Adesso devo proprio salutarla. Ah, s’intende che scelgo la seconda possibilità» disse precedendolo in corridoio e sorridendo tra sé e sé, «se non altro perché la prima è la morte e, sa com’è, mi hanno sempre insegnato che da quella non c’è scampo.»

    Alla porta si salutarono con una stretta di mano.

    Rimase un po’ a riflettere su questo scherzo singolare e sinistro. «Di solito tra di noi ne facevamo di ben più goliardici. Non si andava mai a sforare nello psicologico o nel filosofico.» Più ci pensava, più gli pareva strano.

    Barba finita, gatto sfamato. Pantaloni, camicia, nodo cravatta, scarpe allacciate, giacca. Profumo Tom Ford, occhiali da sole. Finalmente pronto, uscì.

    Quei pochi, paradossali minuti passati nel suo bagno, in accappatoio, col rasoio in mano e un elegante signore sconosciuto, pensò che li avrebbe dimenticati in fretta.

    Errore, grosso errore.

    Start

    Non ho mai capito perché noi esseri umani pensiamo al tempo come a una linea che va da dietro in avanti, mentre potrebbe procedere in tutte le direzioni, come ogni altra cosa nel sistema del mondo.

    Ferruccio Busoni

    L’aria aveva il profumo della primavera che stava arrivando, seducente, come una donna dalle curve mozzafiato. Appena chiusa la porta di casa alle spalle la sua allergia alle graminacee subito si fece sentire, con i sintomi di ogni anno: starnuti e lacrimazioni. «Per essere un quarantenne devo dire che comincio ad assomigliare a un piccolo catorcio full optional» pensò scuotendo la testa.

    L’allergia l’aveva si può dire da sempre, ma non gli aveva mai creato problemi o limitazioni di alcun tipo.

    «Vabbè, tanto da domani torno indietro nel tempo!» pensò fischiettando una canzone degli anni novanta. L’aria fresca lo accarezzava gentile, facendolo sentire giovane.

    Entrò in auto e si diresse verso la sua meta. Lo aspettavano un’ora prima, aveva un’importante audizione per suonare in un’orchestra. Francesco era un violoncellista. Anni addietro, ora non ricordava bene il perché, aveva scelto lui quello strumento, simile a un grande violino, dalle forme rotonde e sinuose come i fianchi di una donna. Si era diplomato a vent’anni, dopo dieci di studio, come tutti i musicisti del resto. E come tutti i violoncellisti aveva la sindrome della lumaca: da quando aveva cominciato a suonare, in pratica era diventato una cosa sola col suo strumento e la sua ingombrante custodia rigida. Se lo portava ovunque, come un figlio, riempiendolo di premure. Viaggio in aereo? Benissimo, un biglietto per sé e uno per il violoncello: non

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