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Il Medioevo russo: Secoli X-XVII
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Il Medioevo russo: Secoli X-XVII

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Questo volume, primo di quattro, esamina il tema della conversione della Rus’ e dell’influenza del mondo bizantino sul cristianesimo orientale, il quale, a causa della dominazione tatarica, viene a trovarsi isolato per due secoli e mezzo dall’Europa e dalla sua evoluzione culturale. A seguito dell’espansione lituana, che incorpora le terre occidentali della Rus’, nascono la metropolia di Halyč e quella di Lituania e si pone in tal modo fine al principio dell’unità giurisdizionale della Chiesa della Rus’ rappresentata dalla metropolia di Kyïv prima e di Mosca poi. Nel secolo successivo questa frattura trova conferma nell’Unione di Firenze (1439), respinta dalla Chiesa di Mosca, la quale al tempo di Vasilij II il Cieco decide di proclamare la propria autocefalia da Costantinopoli (1448). Con l’allargamento dei confini del principato di Mosca ad opera di Ivan III il Grande, i tempi sono maturi per l’affermarsi dell’idea di Mosca Terza Roma e per l’incoronazione del primo zar russo (1547), Ivan IV il Terribile, il quale istaura un regime assolutista e porta a compimento il processo di asservimento della Chiesa al potere politico che segnerà la storia della Russia nei secoli successivi. Per contro, la parte occidentale della Rus’, che comprende le terre bielorusse e ucraine incorporate nella Rzeczpospolita polacco lituana, a confronto con la mentalità occidentale, assorbe peculiarità linguistiche e culturali che l’allontanano progressivamente dalla Russia moscovita e culmineranno nel 1596 con l’adesione a Roma delle eparchie rutene, in risposta alla nascita del Patriarcato di Mosca (1589) e alle sue velleità espansionistiche. A questa terza grande frattura dell’unità della Chiesa di Mosca fa seguito nel secolo successivo lo scisma dei Vecchio-credenti che dà vita ad una Chiesa nazionale contrapposta a quella ufficiale posta al servizio del potere politico.
LanguageItaliano
PublisherJaca Book
Release dateMay 12, 2021
ISBN9788816802834
Il Medioevo russo: Secoli X-XVII
Author

Giovanni Codevilla

Allievo di Orio Giacchi, grande canonista dell’Università Cattolica di Milano, ha insegnato per quarant’anni Diritto dei Paesi dell’Europa Orientale e Diritto Ecclesiastico comparato nell’Università di Trieste. È autore di diverse monografie dedicate alle relazioni tra Stato e Chiesa in Urss e nell’Europa Orientale e di numerosi contributi scientifici pubblicati in Italia e all’estero.

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    Il Medioevo russo - Giovanni Codevilla

    IL MEDIOEVO RUSSO

    SECOLI X-XVII

    1. L’EVANGELIZZAZIONE DEGLI SLAVI E DELLA RUS’

    La Rus’, terra natale dello Stato russo, inizia a formarsi nell’VIII secolo nel bacino del Dnipro (Dnepr), a Kyïv, e si va progressivamente estendendo sino a comprendere verso nord la città di Novgorod¹.

    Al potenziamento di questa nuova entità statuale contribuiscono i normanni, progenitori degli scandinavi e conosciuti anche come vichinghi, menzionati nelle cronache del mondo greco e antico slavo come varjaghi², i quali, nella seconda metà dell’VIII secolo, scendono lungo le grandi pianure della Slavia orientale, attraversano i laghi Ladoga e Beloozero e incrociano i grandi fiumi, in particolare il Dnipro, la Volga e i loro affluenti, che usano come vie di comunicazione verso Oriente e il Meridione. È questa la cosiddetta via dei varjaghi (varjažskij put’), lungo la quale sorgono le città di Novgorod e Kyïv³.

    Secondo la Cronaca di Nestore⁴, nell’anno 6370 (862 d.C.), gli slavi, incapaci di amministrarsi a causa dei continui conflitti, invitano i varjaghi a governarli: «[gli slavi] cominciarono da sé a governarsi, e non vi era fra loro giustizia, e si levò stirpe contro stirpe, e vi era fra loro discordia e cominciarono a combattersi essi fra loro stessi. E si dissero: cerchiamo un principe, il quale ci governi e giudichi secondo giustizia. E andarono al di là del mare dai Varjaghi, dai Russi. Giacché questi Varjaghi si chiamavano Russi⁵, così come altri si chiamano Svedesi, altri Normanni, Angli, Goti, così anche questi. Dissero ai Russi i Čudi, gli Slavi, i Kriviči, e i Vesi: La terra nostra è grande e fertile, ma ordine in essa non v’è. Venite a governarci e comandarci. E si riunirono tre fratelli con la loro gente, e presero seco tutti i Russi; e giunsero [ivi]; il più anziano, Rjurik, si stabilì a Novgorod, e il secondo Sineus a Beloozero, e il terzo Truvor a Izborsk. E da questi Varjaghi prese nome la terra russa, i Novgorodiani, sono questi novgorodiani di stirpe varjaga, prima però erano slavi. Dopo due anni Sineus morì e anche il fratello suo Truvor. E assunse il potere Rjurik, e distribuì agli uomini suoi le città: ad uno Polock, ad un altro Rostov, ad un altro Beloozero»⁶.

    Capo di questi peculiari colonizzatori che unificano i territori della Rus’ è Rjurik, dal quale discenderà una dinastia che governerà la Rus’ prima e la Moscovia poi sino al 1598⁷, anno della morte dell’ultimo dei Rjurikoviči, Fëdor Ivanovič, figlio del Terribile.

    Alla sua morte (879), Rjurik lascia il Principato a Oleg «dopo aver affidato a lui il figliol suo Igor’, ancora fanciullo»⁸. Nell’anno 882 Oleg, conquistata Kyïv, unifica il Paese: «E si stabilì Oleg principe in Kiev, e disse Oleg: Sia questa la madre delle città russe. E aveva presso di sé Varjaghi e Slavi e altri che si chiamavano Russi. Oleg fondò città ed impose tributi agli Slavi, ai Kriviči, ai Meri, e dispose che da Novgorod venisse dato ai Varjaghi un tributo di 300 grivne⁹ all’anno, per la tutela della pace, e [Novgorod] fino alla morte di Jaroslav pagò ai Varjaghi»¹⁰.

    Di un primo tentativo di cristianizzazione della Rus’ si ha notizia in una enciclica del patriarca Phōtios, nella quale si menziona che nell’anno 865 un vescovo greco viene inviato nella Rus’: «Poiché non è stato solo questo popolo [bulgaro] a mutare la precedente empietà nella fede in Cristo, ma anche lo stesso popolo denominato Ros, che gode grande fama e tutti supera per ferocia e spargimenti di sangue: un popolo che, avendo osservato quanti vivevano vicino ad esso ed essendosene oltremodo insuperbito, aveva levato la mano contro la stessa potenza romea! Anch’essi, tuttavia, hanno ora mutato la fede pagana di prima nella religione pura e veridica dei cristiani, atteggiandosi con sottomissione e benevolenza anziché con ruberie e arroganza nei nostri confronti, come avveniva fino a poco tempo fa. E si è tanto acceso il loro desiderio appassionato e il loro zelo per la fede […] che hanno accolto presso di sé un vescovo e pastore, e con grande fervore e impegno ritengono i riti cristiani»¹¹.

    Gli ottimi rapporti commerciali che si instaurano tra la Rus’ e Bisanzio dopo l’incursione infausta¹² di Askol’d e Dir contro i greci dell’866, vengono turbati ancora nell’anno 941 da un’altra sciagurata spedizione organizzata dal principe Igor’¹³ e vengono ripresi a seguito di un ulteriore tentativo di Igor’ nel 944 di sconfiggere i greci, il cui imperatore, venuto a conoscenza della volontà aggressiva del principe, gli manda a dire: «Non venire, prendi piuttosto un tributo, come lo prese Oleg, aggiungerò ancora qualcosa a quel tributo»¹⁴. «Igor’, giunto al Danubio, convocò la družina¹⁵, e si consigliò, e comunicò ad essa il discorso dell’imperatore. E la družina di Igor’ disse; Se così dice l’imperatore, cosa vogliamo di più? Senza combattere avremo oro, e argento, e seta […]. Igor’ prestò loro ascolto, ed ordinò ai Peceneghi di combattere contro la terra bulgara; mentre egli, dopo aver preso dai Greci oro e tessuti per sé e per tutti i guerrieri, tornò indietro, e giunse a Kiev, alla sua citt໹⁶.

    A Kyïv i seguaci del Cristianesimo sono già numerosi alla metà del X secolo: nel 945, anno della morte di Igor’¹⁷, esiste una chiesa dedicata a sant’Elia, dove i compagni del principe giurano fedeltà al patto di pace con Bisanzio¹⁸, nel quale sono espressamente menzionati i russi cristiani.

    Si è discusso a lungo se Ol’ga, la vedova di Igor’, sia stata battezzata a Costantinopoli nel 957, oppure a Kyïv nell’anno 955, come si afferma nella Cronaca nestoriana: «Andò Ol’ga dai Greci, e arrivò a Costantinopoli. Era allora imperatore Costantino¹⁹, figlio di Leone²⁰; e venne a lui Ol’ga; ed avendola vista molto bella d’aspetto e sensata, l’imperatore parlandole ebbe a meravigliarsi della sua intelligenza, e le disse: Sei degna di regnare con me in questa città. Ella allora, avendo compreso, disse all’imperatore: Io sono pagana, se vuoi battezzarmi, battezzami tu stesso; altrimenti non mi battezzerò; e l’imperatore la battezzò con il vescovo. Essendosi purificata, godé spiritualmente e materialmente; e la istruì il patriarca sulla fede, e le disse: Sii benedetta tra le donne russe, perché tu ami la luce, e la tenebra hai rigettato. Ti benediranno i figli russi fino alle future generazioni dei nipoti tuoi. E le dette i precetti sul regolamento della chiesa, sulla preghiera e sul digiuno, sulla carità e sulla conservazione della purezza del corpo. […] Fu battezzata col nome di Elena: questo era stato anche [il nome] della vegliarda imperatrice, madre di Costantino il Grande»²¹.

    Nestore sottolinea il ruolo svolto da Ol’ga nella diffusione del Cristianesimo nella Rus’: «Come l’aurora precorre il sole e come l’alba la luce, così fu Ol’ga a precorrere il cristianesimo della terra [russa]. Giacché come splendeva la luna nella notte, così tra gli uomini pagani ella splendeva: come splende una gemma nel fango; vi erano uomini infangati dal peccato, non purificati dal santo battesimo. Ella era stata purificata alla santa fonte battesimale, e si era liberata dalle spoglie peccaminose dell’antico uomo Adamo; del nuovo Adamo si era rivestita, cioè di Cristo»²².

    Sarà la principessa Ol’ga, ora chiamata Elena in onore dell’imperatrice, sua madrina di battesimo, a rivolgersi all’imperatore del Sacro Romano Impero Ottone I per chiedere di inviare dall’Occidente un vescovo nella città di Kyïv.

    Pertanto, quando ancora non si è consumata la frattura tra Roma e Costantinopoli, sussistono nella Rus’ due presenze missionarie, una orientale e l’altra occidentale, le quali si riconoscono vicendevolmente.

    La diffusione del Cristianesimo nella Rus’ è concordemente attribuita a Volodymyr (Volodymer) il Grande (958-1015), al quale spetta l’appellativo onorifico di uguale agli apostoli (ισαπόστολος, ravnoapostol’nyj), riconosciuto agli imperatori bizantini e attribuito anche alla principessa Elena, sua nonna²³. È infatti Volodymyr, dopo aver ricevuto il battesimo a Kyïv nell’anno 988, a rendere il Cristianesimo religione dello Stato e a porre le premesse per la sua espansione, anche se per lungo tempo le divinità precristiane²⁴ sopravvivranno accanto a esso, dando origine al fenomeno della doppia fede (dvoeverie)²⁵, peraltro non peculiare della sola Rus’, che durerà a lungo.

    Il battesimo di Volodymyr prima, e quello della Rus’ poi, nasce da particolari circostanze politiche, giacché è una conseguenza dell’aiuto militare a lui domandato dagli imperatori Basilio II (Bulgaroktonos) e Costantino VIII Porfirogeneti per arginare gli attacchi provenienti dall’Asia Minore. Il principe Volodymyr accoglie la richiesta, ma pone la condizione di avere in moglie la sorella degli imperatori, Anna, impegnandosi nel contempo a ricevere il battesimo cristiano.

    La conversione al Cristianesimo della Rus’ avviene tardivamente rispetto a quella di altri popoli slavi: infatti, nell’863 Rastislav, principe di Moravia, chiede all’imperatore bizantino Michele III l’Ubriaco (ὀ Μέθυσος) e al patriarca Phōtios l’invio di missionari: «Il nostro popolo, da quando ha respinto il paganesimo, osserva la legge cristiana, però non abbiamo un maestro tale, che sia in grado di spiegarci la vera fede cristiana nella nostra lingua, perché anche le altre regioni [slave], vedendolo, seguano il nostro esempio. Inviateci pertanto, Signore, un tale vescovo e maestro. Da voi, infatti, sempre emana la legge valida per tutto l’ecumene». Soggiunge Rastislav: «Missionari sono venuti dall’Italia, dalla Grecia e dalla Germania, insegnando a noi in maniera diversa; noi slavi siamo gente semplice e poco colta e non abbiamo chi ci educhi nella verità e ci spieghi il senso»²⁶.

    L’imperatore bizantino accoglie questa «innovazione ardita, studiata e giustificata a Bisanzio nei circoli imperiali e patriarcali»²⁷ e dispone l’invio di due fratelli di Tessalonica, città in cui esiste una folta colonia slava che ha permesso loro di apprendere perfettamente questa lingua in gioventù. Essi sono figli del magistrato Leone, legato alla Corte bizantina, non nuovi all’esperienza di governo e missionaria: infatti, Costantino (824-869), compagno di studi dell’imperatore Michele III, trasferitosi a Bisanzio per terminare gli studi è uomo di grande cultura e dottrina, assai vicino al futuro patriarca Phōtios, del quale può essere considerato allievo e col quale ha modo di compiere in età giovanile varie e importanti missioni diplomatiche. Ordinato sacerdote, viene incardinato nel clero della cattedrale di Santa Sofia. Il fratello maggiore Metodio (815-885), protetto dal cancelliere imperiale Teoctisto, viene nominato arconte con l’incarico di amministrare una provincia, secondo alcuni nella vicina Macedonia e secondo altri in Anatolia. Dopo, l’uccisione di Teoctisto (856), favorito dell’imperatrice Teodora, i due fratelli si ritirano per circa due anni in un monastero sull’Olimpo di Bitinia, dove anche Metodio matura la sua vocazione religiosa, e da qui vengono chiamati ad evangelizzare i chazari, stanziati tra il Don e il Caucaso.

    Entrambi i fratelli²⁸ non sono, dunque, nuovi all’esperienza missionaria, soprattutto Metodio, il quale svolge attività di evangelizzazione anche in Pannonia, terra che il patriarca di Costantinopoli Phōtios vuole sottrarre all’influenza latina, contrastando l’espansione di Roma e dei franchi verso i popoli slavi²⁹. È, infatti, viva quanto mai la frattura creata dall’incoronazione da parte di papa Leone III di Carlo Magno a Sacro Romano Imperatore nella notte di Natale dell’anno 800, avvenimento che costituisce in ultima analisi la causa scatenante degli attriti tra Roma e Bisanzio³⁰, che non a caso sono coevi al diffondersi dell’attività missionaria latina nelle terre slave, e che sfociano dapprima nella rottura e reciproca scomunica al tempo del patriarca Phōtios e poi nella successiva, tragica divisione delle Chiese di Roma e Costantinopoli nel 1054, ad oggi non sanata.

    Si tratta di una missione assai delicata: infatti, Bardas Foca, fratello di Teodora, e zio di Michele III, che di fatto regge il potere, è ben consapevole, al pari di Phōtios, che la Moravia è una terra evangelizzata dal clero latino e appartenente ormai alla sfera di influenza dell’Impero carolingio, per cui l’invio di missionari bizantini comporta il rischio di un conflitto di giurisdizione tra Bisanzio e Roma.

    «I santi Cirillo e Metodio vennero in Moravia nell’863 a portare la missione, per confermare e corroborare la rudis christianitas Moravorum. Vennero con una traduzione della liturgia, con una parziale traduzione della Bibbia (completata, poi, in Moravia), con un codice penale per i laici, con una lingua letteraria, con una scrittura e un alfabeto nuovo: l’alfabeto glagolitico»³¹. Tutto ciò permetterà la comprensione e la diffusione del Cristianesimo nelle terre circostanti e conferirà dignità alla lingua slava, ora usata nella liturgia accanto al latino, imposto dal clero germanico sottomesso a Salisburgo, e dal clero latino dipendente dal Patriarcato di Aquileia.

    I due fratelli, che parlano fluentemente la lingua slava, vengono accolti calorosamente con i sacerdoti al loro seguito e sono agevolati nella loro missione, al punto che l’anno successivo il principe boemo Bořivoj Přemyslovec, della dinastia dei Přemislidi, e la moglie Ludmila³², ricevono da Metodio il battesimo.

    Tuttavia, l’uso della lingua slava viene ostacolato dal clero germanico e latino soprattutto per ragioni politiche, giacché «l’eventuale creazione di nuove diocesi, pur dipendenti da Roma, avrebbe limitato l’espansione» degli episcopati di Salisburgo, Passavia e Ratisbona «ed esteso fin oltre il Danubio l’influenza di Bisanzio»³³.

    Poiché la missione dei due tessalonicesi si svolge entro i limiti della giurisdizione della Chiesa latina, Costantino e Metodio si recano a Roma, probabilmente convocati da papa Nicolò (858-867) per chiarire ed eventualmente regolarizzare la loro posizione ecclesiastica. Al fine di evitare uno strappo e di ammorbidire la posizione romana, Costantino fa precedere il suo arrivo da un dono particolarissimo per il pontefice: le reliquie di papa Clemente I (92-97), morto esule a Cherson attorno all’anno 100, da lui rinvenute in occasione del suo soggiorno presso i chazari e oggi conservate nella Basilica di San Clemente al Laterano.

    La preoccupazione della curia per la missione dei due fratelli e dei loro seguaci è vivissima perché compromette la strategia latina nel Balcano. Costantino difende con ardore l’uso della lingua slava, sottolineando che nelle prime comunità cristiane ciascuna di esse si esprimeva nella propria lingua materna. Papa Adriano II (867-872), succeduto a Nicolò I, comprende che, contrariamente a quanto ritenuto dal clero germanico, la protezione della missione bizantina può risolversi in un vantaggio per Roma, la quale potrebbe espandere la sua giurisdizione sui territori da questa acquisiti. Mentre papa Adriano prepara la seconda missione dei due fratelli di Tessalonica, Costantino si ammala e muore a Roma nel Febbraio dell’869, dopo aver preso i voti monastici secondo l’uso bizantino e adottato il nome di Cirillo, con il quale è universalmente conosciuto.

    Dopo pochi mesi, Metodio viene inviato da papa Adriano II in Moravia e alla fine del medesimo anno 869 è nuovamente a Roma, dove viene nominato arcivescovo di Sirmium, capitale della provincia della Bassa Pannonia³⁴. Su questa terra, appartenente alla giurisdizione della sede romana, e sui più ampi territori dell’Illiricum di cui essa provincia è parte, corrispondenti in sostanza alla penisola balcanica, nel periodo dell’iconoclasmo il patriarca di Costantinopoli Anastasios (730-753) aveva esteso la sua giurisdizione con il patrocinio dell’imperatore Leone III Isaurico (675-741 ca), dando origine a severi attriti tra Roma e Costantinopoli per l’evangelizzazione delle popolazioni là residenti.

    Mentre è sulla via del rientro in Moravia, Metodio è fatto prigioniero dai Bavari: egli viene condannato da un Sinodo all’uopo convocato perché la sua attività viola i diritti dell’arcivescovo di Salisburgo, al quale apparteneva la giurisdizione sulla Pannonia prima della nomina di Metodio. Trascorso un periodo di incarcerazione nel monastero di Reichenau, sul lago di Costanza, Metodio viene liberato su ordine di papa Giovanni VIII (872-882), il quale scomunica i vescovi che avevano sottoscritto la condanna di Metodio³⁵.

    Il successore di Rastislav di Moravia, Svatopluk il Grande (871-894), messo sul trono da Carlomanno, re d’Italia e di Baviera, figlio di Ludovico il Germanico, viene costretto ad avvicinarsi ai franchi, fa espellere Metodio e i suoi discepoli dalla Grande Moravia, scegliendo un vescovo tedesco e imponendo la liturgia latina. Prende avvio da allora un’opera di occidentalizzazione e latinizzazione della Boemia che sarà portata a compimento nell’XI secolo³⁶.

    Nel medesimo tempo, papa Giovanni VIII accetta nell’880 l’introduzione della lingua slava nella liturgia, «vincendo molte remore curiali e l’opposizione dell’episcopato latino e franco-germanico»³⁷.

    Nell’881-882 l’arcivescovo Metodio è a Costantinopoli, dove incontra l’imperatore Basilio I il Macedone (867-886) e il patriarca Phōtios ristabilito sul soglio patriarcale nell’877³⁸.

    A seguito della cacciata dalla Grande Moravia, una parte dei discepoli di Cirillo e Metodio si sposta in Boemia, alcuni si dirigono sulla costa dalmata, mentre altri giungono a Ochrida, in Macedonia, luogo dal quale la loro opera si espande verso la Bulgaria orientale (Preslav, capitale del primo Impero bulgaro)³⁹.

    In Moravia cresce il sospetto sull’uso della lingua slava, alimentato dai papi Stefano V (885-891) e Formoso (891-896); i numerosi discepoli di Metodio continueranno l’attività missionaria in altre terre slave: Bulgaria, Serbia e Rus’. In particolare, alcuni di essi, guidati dai santi taumaturghi Kliment Ochridski (840-916) e Naum Preslavski (o anche Ochridski, 830-910), creeranno a Ochrida un centro di cultura slava: «I discepoli degli apostoli degli slavi esercitarono una profonda influenza spirituale sui serbi recentemente battezzati, sia da Ochrida sia dalla Bassa Pannonia. Grazie all’Ufficio divino e alla predicazione in lingua slava il Cristianesimo pose radici sempre più profonde tra i serbi e li avvicinò culturalmente sempre più alla Chiesa bizantina e a Costantinopoli, donde Cirillo e Metodio furono inviati a evangelizzare gli slavi. Sebbene i Papi all’inizio fossero stati favorevoli ai santi fratelli e avessero permesso l’uso della lingua slava, tuttavia quest’ultima fu a poco a poco esclusa da tutte le regioni che erano sotto la giurisdizione di Roma, il che con il passare del tempo contribuì all’allontanamento da Roma anche di alcune di quelle regioni, abitate da slavi, che per molto tempo erano state sotto un più forte influsso della Chiesa romana che di quella greca»⁴⁰. Il problema dell’ostilità al rito slavo non si limita, dunque, alla sola Boemia.

    L’anno successivo alla conversione di Rastislav (864), chiede il battesimo il re bulgaro Boris, il quale in onore del suo padrino, l’imperatore bizantino⁴¹, prende il nome di Michele: egli si adopererà per evangelizzare il suo popolo con l’aiuto dei discepoli di Metodio, morto a Velehrad nell’885, dopo vari e vani tentativi di metterlo sotto accusa.

    Il re Boris si prodiga anche per ottenere l’autocefalia della Chiesa bulgara, ma dovrà cedere di fronte all’avversa delibera del Concilio costantinopolitano dell’anno 869-870, nel quale Phōtios fa dichiarare ai vescovi che la Bulgaria deve far parte della sfera religiosa, e quindi anche politica, del Patriarcato di Costantinopoli, annullando per allora ogni speranza di costituire un Patriarcato bulgaro. L’autocefalia sarà riconosciuta alla Chiesa bulgara nel secolo successivo (927): sarà la prima Chiesa della Slavia a godere di questo privilegio.

    Nei medesimi anni (879) vi è il cosiddetto secondo battesimo⁴² dei serbi: il principe (knez) Mutimir (850-891), dopo avere sconfitto i bulgari, si allea con l’imperatore di Bisanzio Basilio I il Macedone (867-886) e dà vita al Principato serbo: viene allora creata la prima eparchia, quella di Ras (Raška), che resta in comunione con Costantinopoli, disattendendo l’invito di papa Giovanni VIII (872-882) ad accettare di sottomettersi al vescovo di Sirmium, capitale della Bassa Pannonia, il quale riconosce l’autorità papale.

    Lo spostamento del baricentro di irradiazione religiosa dalla Grande Moravia a Ochrida e Preslav, assai vicine a Bisanzio, a parere di F.V. Mareš, fa sì che «La traduzione della Sacra Scrittura si adattò al testo ufficiale della Chiesa greca e la liturgia diventò chiaramente bizantina, conservando nei testi solo delle tracce del calendario occidentale»⁴³.

    Ochrida diventa, dunque, il centro di irradiazione del Cristianesimo bizantino slavo.

    ¹Con il termine Rus’ si intende lo Stato costituito lungo il corso medio del fiume Dnipro (Dnepr), che nella seconda metà del IX secolo raggruppa le tribù slave orientali e si espande a comprendere la Rus’ di Kyïv e Novgorod, ossia l’attuale Ucraina, parte della Bielorussia, della Russia, della Polonia e delle regioni baltiche. Il Principato di Rus’ rappresenta la maggiore potenza degli slavi orientali sino all’invasione tataro-mongola.

    ²Βάραγγοι in greco e Vaeringjar nell’antico scandinavo. Sull’argomento cfr. E.A. Mel’nikova, Slavjane i skandinavy, Progress, Moskva 1986.

    ³Conosciuta anche come Via dai varjaghi ai greci (Put’ iz Varjag v Greki) o semplicemente come Via per l’oriente (Vostočnyj put’). Questo percorso avveniva via acqua e via terra: dal Golfo di Finlandia si seguiva il corso della Neva sino al lago Ladoga; si imboccava poi il fiume Volchov sino al lago Il’men’ e da là si proseguiva alla volta di Velikie Luki, dove si prendeva la Dvina occidentale e si arrivava, dopo aver superato un displuvio, al Dnipro che conduceva al mar Nero, proseguendo poi lungo le coste di questo sino a Bisanzio.

    ⁴Cfr. D.S. Lichačev, Povest’ vremennych let, izd. A.N. SSSR, Moskva-Leningrad 1950. Di questa opera fondamentale, monumento della letteratura dell’antica Rus’, esistono due traduzioni italiane: [Nestore], Racconto dei tempi passati. Cronaca russa del secolo XII, a cura di I.P. Sbriziolo, con un saggio storico-introduttivo di D.S. Lichačëv, Giulio Einaudi editore, Torino 1971; Nestore l’Annalista, Cronaca degli anni passati (XI-XII secolo), introduzione e commento di A. Giambelluca Kossova, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo, 2005. L’edizione della Cronaca curata da D.S. Lichačëv, pubblicata da ImWerden Verlag, Moskva-Augsburg 2003, è disponibile sul sito http://www.imwerden.de/pdf/povest_vremennyx_let.pdf. Sull’argomento cfr. R. Picchio, La letteratura russa antica, Sansoni/Accademia, Firenze 1968, p. 65 e ss.

    Russi (o Ruotsi, o Rusi) è la denominazione di una tribù normanna.

    ⁶Cfr. [Nestore], Racconto dei tempi passati. Cronaca russa del secolo XII, op. cit., pp. 11-12.

    ⁷Sulla quanto mai complessa genealogia dei rjurikidi dal XII al XVI secolo si veda l’accurato studio di N. De Baumgarten, Généalogies des branches régnantes des rurikides du XIII au XVI siècle, Pontificium Institutum Orientalium Studiorum, «Orientalia Christiana», vol. XXXV, 1, Iunio 1934.

    ⁸Ivi, p. 13.

    Grivna, moneta d’argento.

    ¹⁰Cfr. [Nestore], Racconto dei tempi passati. Cronaca russa del secolo XII, op. cit., pp. 13-14.

    ¹¹Cfr. Ilarion (Alfeev), La Chiesa Ortodossa Russa. Profilo storico, EDB, Bologna 2013, p. 95 e fonte citata.

    ¹²«L’imperatore a stento nella città entrò, e con il patriarca, con Fozio, nella esistente chiesa della Santa Madre di Dio a Blacherna tutta la notte preghiera innalzò, tra canti portarono fuori il manto divino della Santa Madre e nel mare l’orlo [di esso] bagnarono. Vi era calma, e il mare era quieto; improvvisamente, una tempesta si alzò con vento, e onde grandi, sollevandosi alternativamente, le navi dei Russi pagani spinsero lontano e contro la riva le scagliarono e le fracassarono a tal punto che pochi di loro a tale calamità sfuggirono e alle loro case tornarono», cfr. [Nestore], Racconto dei tempi passati. Cronaca russa del secolo XII, op. cit., p. 12.

    ¹³«Anno 6449 [941]. Mosse Igor’ contro i Greci. E i Bulgari la notizia inviarono all’imperatore: i Russi muovono contro Costantinopoli, su diecimila navi. Essi giunsero, e sbarcarono e presero a combattere i paesi della Bitinia, e combatterono lungo il Ponto [Eusino] fino ad Eraclea e alla terra della Paflagonia, e tutto il paese di Nicomede assogettarono, e il Corno tutto incendiarono; e [gli] uomini catturarono, mutilarono alcuni, altri, sistemati a mo’ di bersaglio, trafissero con dardi, li maltrattarono, legarono loro le mani dietro e conficcarono loro chiodi nel mezzo della testa. Molte sante chiese incendiarono, e monasteri, e villaggi bruciarono, e non poca ricchezza da ambedue le regioni tolsero. In seguito giunsero i guerrieri da oriente, il comandante Panthir, con quarantamila [uomini]. Foka, il patrizio, con i Macedoni, Teodoro, il comandante alla testa dei Traci, con loro erano anche molti altri dignitari, e accerchiarono la Rus’. Tennero consiglio i Russi, armatisi, mossero contro i Greci e a causa del terribile combattimento che vi fu tra loro, a mala pena vinsero i Greci. I Russi tornarono alla loro družina verso sera, di notte salirono sulle navi e fuggirono», ivi, pp. 24-25.

    ¹⁴Cfr. [Nestore], Racconto dei tempi passati. Cronaca russa del secolo XII, op. cit., p. 25.

    ¹⁵La radice del termine è drug, amico. Nell’antica Rus’, družina sono i reparti armati a difesa del principe: essi partecipano alle guerre, alla direzione del Principato e si prendono cura della proprietà personale del principe. La družina è costituita da due corpi: del primo fanno parte i membri anziani (staršaja družina), più vicini al principe, chiamati anche bojare o knjažie muži, i quali, oltre a occupare posizioni di comando nell’esercito, costituiscono il collegio dei consiglieri del principe (dumcy o bojare dumajušćie); del secondo corpo fanno parte i membri più giovani, che costituiscono la molodšaja družina: (detskie, otroki e gridi, successivamente chiamati deti bojarskie), i quali occupano posizioni subordinate nel campo civile e amministrativo. Sull’argomento si vedano le rispettive voci in Dictionary of Russian Historical Terms from the Eleventh Century to 1917, compiled by S. Pushkarev, edited by G. Vernadsky, Yale University Press, New Haven and London 1970.

    ¹⁶Cfr. [Nestore], Racconto dei tempi passati. Cronaca russa del secolo XII, op. cit., pp. 25-26.

    ¹⁷Secondo la Cronaca di Nestore ucciso dai drevliani con la sua družina, ivi, p. 31. Sull’espansione del Cristianesimo a Kyïv prima di Ol’ga cfr. S. Senyk, A History of the Church in Ukraine, volume I, To the End of the Thirteenth Century, «Orientalia Christiana Analecta», 243, Pontificio Istituto Orientale, Roma 1993, pp. 27-32.

    ¹⁸Ivi, pp. 26-30.

    ¹⁹Costantino VII Porfirogenito.

    ²⁰Leone VI il Saggio.

    ²¹Ivi, pp. 34-35. Sull’argomento cfr. A. Giambelluca Kossova, All’alba della cultura russa. La Rus’ Kieviana (862-1240), Ed. Studium, Roma 1996, pp. 25-27; S. Senyk, A History of the Church in Ukraine, volume I, To the End of the Thirteenth Century, op. cit., pp. 32-40.

    ²²Cfr. [Nestore], Racconto dei tempi passati. Cronaca russa del secolo XII, op. cit., p. 37.

    ²³Volodymyr è, infatti, figlio di Svjatoslav (915-972), a sua volta figlio del principe Igor’ e di Ol’ga.

    ²⁴Sull’argomento cfr. M. Bagagiolo, Credenze religiose degli slavi precristiani, Ed. Centro Studi Russia Cristiana, Milano 1968 e bibliografia citata.

    ²⁵Sull’argomento cfr. I. Levin, Dvoeverie i narodnaja religija v istorii Rossii, Indrik, Moskva 2004; V.M. Živov, Razyskanija v oblasti istorii i predystorii russkoj kul’tury, izd. Jazyki Slavjanskoj Kul’tury, Moskva 2002, pp. 306-316; S. Senyk, A History of the Church in Ukraine, volume I, To the End of the Thirteenth Century, op. cit., pp. 191-201.

    ²⁶Cit. in V. Peri, Cirillo e Metodio: due santi per la Chiesa di oggi, in AA.VV., Storia religiosa dei popoli balcanici, a cura di L. Vaccaro, La Casa di Matriona, Milano 1983, p. 37.

    ²⁷«Tutti gli argomenti opposti da Costantino a Venezia ai Pilatiani, come il fatto che la missione non abbia stabilito alcun vescovo nel territorio canonicamente appartenente al Patriarcato d’Occidente, come la decisione di stabilire un alfabeto per tradurre i libri liturgici in slavo (sino ad allora si sapeva a Bisanzio solo di tentativi di scrivere lo slavo con caratteri latini o greci o di qualche altro alfabeto e non sussisteva alcuna lingua letteraria), tutto questo dice la somma dei problemi affrontati e risolti con ardire e tempestività nella capitale dell’Impero», così V. Peri, Cirillo e Metodio: due santi per la Chiesa di oggi, op. cit., pp. 37-38.

    ²⁸Sui santi Cirillo e Metodio la bibliografia è assai vasta; si vedano: Cirillo e Metodio, Le biografie paleoslave, Introduzione, traduzione e note di V. Peri, O.R., Milano 1981; Ejusdem, Da Oriente e da Occidente. Le chiese cristiane dall’impero romano all’Europa moderna, a cura di M. Ferrari, 2 voll., Ed. Antenore, Roma - Padova 2002 (in particolare "Il mandato missionario e canonico di Metodio e l’ingresso della lingua slava nella liturgia); A.E. N. Tachiaos, Cirillo e Metodio. Le radici cristiane della cultura slava, a cura di M. Garzaniti, Jaca Book, Milano 2005 (che riporta la traduzione delle vite dei santi); M. Lacko, Cirillo e Metodio, Apostoli degli Slavi, La Casa di Matriona, Milano 1981; F. Grivec, Santi Cirillo e Metodio. Apostoli degli Slavi e compatroni d’Europa, Urbaniana University Press, Roma 1984; J. Vodopivec, I santi fratelli Cirillo e Metodio compatroni d’Europa, Urbaniana University Press, Roma 1985; R. Jakobson, Premesse di storia letteraria slava, Il Saggiatore, Milano 1975 (in particolare La missione bizantina tra gli Slavi); M. Garzaniti, Gli slavi. Storia, culture e lingue dalle origini ai giorni nostri, Carocci Editore, Roma 2013, pp. 143-154 e passim; A. Giambelluca Kossova, All’alba della cultura russa. La Rus’ Kieviana (862-1240), op. cit., p. 41 e ss.; G. Fedalto, Le Chiese d’Oriente, in tre voll., Jaca Book, Milano 2010-2012, vol. I, Da Giustiniano alla caduta di Costantinopoli, pp. 140-146.

    ²⁹Nelle regioni a Oriente e a Meridione della Baviera, abitate da popoli slavi, operano, infatti, come evangelizzatori sacerdoti latini di origine germanica o celtica che hanno appreso la lingua slava.

    ³⁰Nota giustamente il Garzaniti che «Con l’incoronazione di Carlo Magno il papa e la curia romana avevano deciso di rinnovare l’impero occidentale, facendo del regno dei franchi l’erede dell’impero romano. Proprio nell’antica capitale era venuto maturando un disegno politico, religioso e culturale che rappresentò una svolta fondamentale nella storia dell’Europa, in contrapposizione alla tradizione dominante a Costantinopoli, dove si continuò a riconoscere un unico legittimo imperatore, l’imperatore d’Oriente», cfr. M. Garzaniti, Gli slavi. Storia, culture e lingue dalle origini ai giorni nostri, op. cit., p. 127.

    ³¹Cfr. F.V. Mareš, Le origini liturgiche della lingua e cultura nazionale degli slavi, in AA.VV., Storia religiosa dei popoli balcanici, op. cit., p. 142. Sull’argomento cfr. altresì A. Cantarini, Lineamenti di fonologia slava, La Scuola, Brescia 1979.

    ³²Santa Ludmila di Boemia, venerata dalla Chiesa cattolica e da quella ortodossa.

    ³³Cfr. M. Garzaniti, Gli slavi. Storia, culture e lingue dalle origini ai giorni nostri, op. cit., p. 148.

    ³⁴L’antica città di Sirmium, capitale dell’Illiricum, era sorta sulla riva sinistra della Sava, nel luogo dove oggi si trova la città di Sremska Mitrovica, nella provincia di Srem, in Vojvodina.

    ³⁵A favore di Metodio non si era pronunciato il precedente pontefice Adriano II, dimentico che nel’867 i due fratelli erano stati favorevolmente accolti a Roma da papa Nicolò I per discutere dell’uso della lingua slava nella liturgia. Vero è che Adriano II è ben consapevole del legame tra l’azione di Metodio e la tradizione teologica bizantina.

    ³⁶Cfr. F. Dvornik, Gli slavi nella storia e nella civiltà europea, in 2 voll. Dedalo Edizioni, Bari 1968, vol. 1, p. 213.

    ³⁷Cfr. V. Peri, Cirillo e Metodio: due santi per la Chiesa di oggi, op. cit., p. 30.

    ³⁸Phōtios viene eletto patriarca nell’858, quando l’imperatrice Teodora, madre e reggente di Michele III, depone il patriarca Ignatios. Questi si reca a Roma da papa Nicolò I (858-867), il quale nell’anno 863 convoca un Sinodo in cui si dichiara illegittima la deposizione di Ignatios, si scomunicano i legati pontifici inviati a Costantinopoli nell’861 e anche il patriarca Phōtios. Nell’867 quest’ultimo, con l’accordo di Michele III, a sua volta scomunica il papa Nicolò e invia una lettera ai vescovi bizantini in cui spiega le divergenze con Roma (in particolare, la questione del filioque, il celibato del clero, e altre). Nel medesimo anno l’imperatore Michele viene assassinato e sale al trono Basilio I il Macedone, il quale, determinato a trovare un accordo con Roma, depone Phōtios (867) e insedia nuovamente sulla cattedra patriarcale Ignatios, il quale manterrà la carica sino alla sua morte nell’877. Morto Ignatios, Basilio richiama Phōtios dal lungo esilio (867-877) sul soglio patriarcale con l’approvazione di papa Giovanni VIII († 882), decisione che viene approvata dal Concilio di Costantinopoli dell’879-880, che revoca le delibere adottate nel precedente Concilio di Costantinopoli dell’869, voluto da papa Adriano II (867-872), nel quale si era approvata la deposizione di Phōtios e convalidata la designazione di Ignatios. Il patriarca Phōtios resterà in carica sino all’886, anno in cui muore l’imperatore Basilio il Macedone e sale al trono Leone VI il Saggio (o il Filosofo, ὁ Σοφός), noto per la promulgazione della più imponente compilazione bizantina di leggi imperiali (60 libri), il quale depone Phōtios e colloca sul soglio patriarcale il proprio fratello Stephanos I, prontamente scomunicato da papa Stefano V (885-891) per violazione della procedura di nomina a patriarca.

    ³⁹Sull’argomento cfr. G. Eldarov, Tensioni occidentali e scelte orientali nella storia della Chiesa bulgara, in AA.VV., Storia religiosa dei popoli balcanici, op. cit., p. 253 e ss.

    ⁴⁰Così chiaramente e giustamente si esprime il metropolita Amfilochije (Radović), I serbi e la loro Chiesa nel corso dei secoli, in AA.VV., Storia religiosa dei popoli balcanici, op. cit., p. 157.

    ⁴¹Michele III.

    ⁴²I serbi ricevono un primo battesimo da sacerdoti latini provenienti dalla Dalmazia al tempo dell’imperatore bizantino Eraclio I (610-641). A causa del mancato radicamento del Cristianesimo in quelle terre i serbi ricevono un secondo battesimo: alcuni storici ritengono che sia stato amministrato da sacerdoti provenienti da Costantinopoli nell’anno 879, su richiesta dei serbi, cfr. Amfilochije (Radović), I serbi e la loro Chiesa nel corso dei secoli, in AA.VV. Storia religiosa dei popoli balcanici, op. cit., p. 156.

    ⁴³Cfr. F.V. Mareš, Le origini liturgiche della lingua e cultura nazionale degli slavi, op. cit., p. 147. Sulla evoluzione dell’alfabeto glagolitico in cirillico, che secondo l’illustre Autore non prende affatto il nome da san Cirillo, cfr. ivi, p. 147 e ss.

    2. IL BATTESIMO DELLA RUS’: VERITÀ E BELLEZZA NEL MONDO BIZANTINO-SLAVO

    Narra la Cronaca di Nestore che nell’anno 6494 (986 dell’Era Cristiana) il principe Volodymyr, alla ricerca di una fede a cui aderire, abbia incontrato gli esponenti delle religioni monoteiste: bulgari maomettani¹, inviati del papa², ebrei chazari³ e greci, i quali mandano a Volodymyr un filosofo che illustra al principe gli orrori della fede musulmana, gli errori di quella cristiana ed ebraica e la giustezza delle fede greca⁴ e conclude la sua esposizione mostrando a Volodymyr una tavola «sulla quale era disegnato il tribunale divino, gli mostrò a destra i giusti che vanno verso la felicità nel paradiso e a sinistra i peccatori che vanno verso le sofferenze. Volodimir, sospirando disse: Bene per coloro che [siedono] a destra. E male per quelli a sinistra. Egli disse: Se vuoi sedere alla destra con i giusti, battezzati. Volodimir posto nel cuore suo [questo pensiero]. Disse: Aspetterò ancora un poco, volendo riflettere su tutte le fedi. Volodimir dopo aver offerto a quegli molti doni, lo accomiatò con grande onore»⁵.

    Nell’anno 6495 (987 dC) «Chiamò Volodimir i boiari suoi e gli anziani della città, e disse loro: Ecco, sono venuti da me i Bulgari, per dire: accogli la nostra fede. Di poi sono venuti i Tedeschi, e costoro lodarono la fede loro. Dopo di loro giunsero gli Ebrei. Infine giunsero i Greci, biasimarono tutte le fedi, la propria lodarono e molto parlarono, narrando le origini del mondo e del suo esistere. Saggiamente dissero, e meraviglioso era ascoltarli; ad ognuno avrebbe fatto piacere udirli, e l’altro mondo svelarono: e chi, dissero, nella nostra fede entrerà, allora morirà, risorgerà, e non morirà in eterno; se in un’altra fede entrerà allora nell’altro mondo arderà nel fuoco. Qual è il vostro parere? Cosa rispondete?. E dissero i boiari e gli anziani: Sappi, principe, che nessuno biasima il proprio [rito], ma [lo] loda. Se vuoi avere delle prove sicure, tu hai pure degli uomini: inviali a studiare il culto di ciascuno di loro, e la maniera in cui serve Dio. E piacque il discorso al principe e a tutti gli uomini; scelsero uomini buoni e sensati, in numero di dieci, e dissero loro: andate per prima dai Bulgari e studiate la fede loro. Essi andarono, e giunti[vi] videro gli atti osceni e il culto della moschea; ritornarono nella terra propria. E disse loro Volodimir: Andate anche dai Tedeschi, osservate allo stesso modo, e da lì andate dai Greci. Vennero essi dai Tedeschi, e osservarono il rito ecclesiastico loro, giunsero a Costantinopoli e si presentarono all’imperatore»⁶.

    L’imperatore informa il patriarca dell’arrivo dei russi e questi «ordinò di convocare il clero, secondo il solito celebrarono il rito e gli incensi arsero, i canti e i cori si composero. E [l’imperatore] andò con loro in chiesa e fece loro prendere posto in un ampio spazio, mostrando la bellezza della chiesa, i canti e il rito dei vescovi, lo schieramento dei diaconi, parlando loro del servizio del Dio suo. Estasiati, e pieni di meraviglia, elogiarono il rito loro. E li chiamarono gli imperatori Basilio e Costantino, dissero loro: Tornate nella terra vostra, e li congedarono con doni grandi e con onore»⁷.

    Gli emissari del principe, al loro rientro si trovano d’accordo nel riferire che lo splendore fastoso dei riti greci nella magnifica cattedrale di Santa Sofia di Costantinopoli sia incomparabile rispetto alle cerimonie celebrate dalle altre religioni⁸.

    «E convocò il principe i suoi boiari e gli anziani, disse Volodimir: Ecco, sono giunti gli uomini da noi inviati, ascoltiamo da essi l’accaduto, e disse: "Parlate dinanzi alla družina. Essi dissero così: Siamo andati dai Bulgari, abbiamo visto come adorano [Dio] nel tempio, cioè nella moschea, stanno senza cintura; adorando [Dio] si siedono, e guardano qua e là come ossessi, e non vi è gioia in loro, bensì tristezza e lezzo grande. Non è buona la fede loro. E siamo andati dai Tedeschi, e vedemmo che nei templi molti riti officiavano, ma di bello non vedemmo nulla. E dai Greci andammo, e vedemmo dove officiavano in onore del loro Dio, e non sapevamo se in cielo ci trovavamo oppure in terra: non v’è sulla terra uno spettacolo di tale bellezza, e non riusciamo a descriver[lo]; solo questo sappiamo: che là Dio con l’uomo coesiste, e che il rito loro è migliore [di quello] di tutti i paesi. Ancora non possiamo dimenticare quella bellezza, ogni uomo che gusta il dolce, poi non accetta l’amaro, così anche noi non saremo più [pagani]. Rispondendo i boiari dissero: Se fosse stata empia la fede greca l’ava tua Ol’ga, che fu la più saggia di tutti gli uomini non l’avrebbe accettata. Volodimir in risposta disse: Dove riceveremo il battesimo? Essi dissero: Dove ti aggrada". E passò un anno»⁹.

    A questa alta considerazione del lato estetico emozionale¹⁰ rispetto a quello razionale, che caratterizza sin dalle origini il mondo slavo, contribuiscono nei secoli successivi anche gli eventi storici e segnatamente il distacco dal mondo latino germanico proprio nel periodo in cui quest’ultimo rielabora il suo pensiero in termini sistematici. Ciò avviene quando le terre della Rus’, sottoposte alla dominazione tataro-mongola, rimangono isolate dall’Europa cristiana; questa peculiarità del mondo russo è rimasta sino a ora essenzialmente immutata, così come immutata tende a rimanere in diversi ambienti culturali l’identificazione del vero con il bello e viceversa: basterà ricordare in proposito l’arte iconografica russa¹¹. Giustamente Pavel Evdokimov sottolinea che «Gli ortodossi non hanno mai avuto simpatia per le summe teologiche, né per i sistemi scolastici. Ogni formulazione o definizione eccessiva provoca una diffidenza istintiva. L’Ortodossia non ha bisogno di formulare, ha bisogno di non formulare. È una convinzione innata che viene dai Padri della Chiesa, che non è bene speculare sui misteri, è meglio contemplarli, lasciarsi illuminare e penetrare dalla loro luce; così senza farsi razionalizzare, il mistero diviene illuminante. Da qui ne deriva un tipo di spiritualità molto più liturgica ed iconografica che discorsiva, concettuale e dottrinale»¹².

    Si viene, dunque, a creare, nella Rus’ prima e nella Russia poi, un rapporto armonico tra verità e bellezza, che è la premessa per dar vita nel governo delle cose umane a una concordia tra il temporale e lo spirituale, essendo entrambi proiettati alla realizzazione del bene ultimo della salus animarum.

    Giustamente nota il Dal Santo, insigne studioso di Dostoevskij, che «la Bellezza (che è di origine divina, in quanto potenza salvifica; per Dostoevskij e per Solov’ëv essa è senz’altro una formula religiosa) diviene tutt’uno con l’ideale di salvezza; e la salvezza scaturisce a sua volta dalla fede nell’infinitamente grande, sicché la Bellezza s’identifica da ultimo con il Cristo medesimo, che reca appunto sulla terra la Sua Parola, la salvezza agognata, ossia Se stesso»¹³.

    Questo stretto vincolo che lega la religiosità popolare russa alla mistica bellezza e al fasto della ritualità bizantino-slava non è sostenuto da un’elaborazione dogmatica, bensì dall’ideale monastico che pervade la società della Rus’ nei primi tempi dall’introduzione del Cristianesimo. Già allora il clero bianco, ossia quello non monastico, non si occupa tanto dei problemi pastorali, ma si concentra sulle funzioni rituali, che, per l’alto e indiscusso valore estetico, suscitano l’adesione emotiva, più che quella razionale, della popolazione. Ha, dunque, ragione il Fedotov quando afferma che «come l’ebreo nella legge, il russo trova nel suo rito il conforto per una vita piena di sacrificio e di dedizione. Il rito serve a coagulare le energie morali e sociali»¹⁴. Il sacerdote è, dunque, sostanzialmente un vero e proprio ministro del culto che ha avuto una istruzione – non si può certo parlare di formazione teologica – assolutamente elementare, che spesso non sa neppure leggere¹⁵, ma conosce a memoria le formule liturgiche e conduce una vita umile, non dissimile da quella dei contadini, senza svolgere propriamente alcuna attività pastorale. Vero è che, a differenza di quanto accade nel mondo latino, nella storia russa la funzione sacerdotale non è affatto caratterizzata dall’attività di apostolato nella propria sfera di influenza. L’unico insegnamento teologico che la popolazione riceve è quello che si ricava dalla ritualità; similmente, anche i monaci non sono attratti dall’elaborazione dottrinale, ma perseguono un ideale ascetico quasi irraggiungibile, il quale suscita profonda ammirazione nel popolo che a essi si rivolge per chiedere conforto e assistenza spirituale. I monaci, pertanto, prendono su di sé il compito dell’educazione morale della popolazione, educazione che si basa non tanto sullo studio quanto sull’esempio di vita.

    Non è, dunque, un caso se i movimenti di rinascita nazionale e spirituale che periodicamente ricorrono nella storia russa trovino sempre origine e forza proprio nei monasteri.

    Il clero secolare, invece, nella considerazione popolare non gode di altrettanta stima, giacché questa è riservata, oltre che al monaco, al vescovo, che incarna l’idea della Chiesa trionfante ed è espressione dell’ideale nazionale, anche se la gente vede in lui più un alto dignitario che un pastore: egli, infatti, opera per rafforzare il potere del principe e i propri legami con esso, rimanendo sotto questo aspetto lontano dalla gente comune. Con ciò non si vuole certamente affermare che i vescovi non diano prova di santità, giacché proprio la figura del santo vescovo o svjatitel’ costituisce, accanto a quella del monaco asceta (prepodobnyj) e del santo principe fedele al bene o benfedele (blagovernyj)¹⁶, uno dei modelli della santità russa¹⁷.

    ¹«Anno 6494 (986 dC). Giunsero i Bulgari, che professavano la fede maomettana, e dissero: Tu, o principe, sei saggio e sensato, ma non conosci la legge; suvvia la nostra fede accetta e inchinati a Maometto. E disse Volodimir: Qual è la vostra fede? Essi dissero: Crediamo in Dio, e Maometto ci ha istruito dicendo: praticate la circoncisione, e non mangiate carne suina, e non bevete vino; ma potete con le donne fornicare, dice, dopo la morte. Maometto ha assegnato a ciascuno settanta belle donne, egli se ne è scelta una tra queste bellissime, che supera tutte le altre in beltà, costei sarà la tua donna. Qui, egli dice, è permesso abbandonarsi ad ogni lussuria. Colui che è povero in questo mondo lo sarà anche nell’altro; e dissero ancora altre menzogne, delle quali perfino scrivere è vergognoso. Volodimir li ascoltò, e giacché egli pure amava le donne ed ogni vizio, ascoltò con diletto», cfr. [Nestore], Racconto dei tempi passati. Cronaca russa del secolo XII, op. cit., p. 49. In questo passo e nei successivi si riporta il nome di Volodymyr nella trascrizione russa usata dall’editore.

    ²«Poi giunsero gli stranieri da Roma, e dissero: Siamo qui venuti inviati dal Papa e gli dissero: Così ti manda a dire il Papa: la tua terra è come la terra nostra, ma la fede vostra non è come la nostra fede; giacché la fede nostra è luce, noi ci inchiniamo dinanzi a Dio, che ha creato il cielo e la terra, le stelle, la luna e tutto ciò che ha vita, mentre gli dèi vostri sono pezzi di legno. Volodimir disse: Qual è il vostro precetto? Ed essi dissero: Digiuno secondo la propria forza, giacché non c’è bisogno di bere e mangiare, poiché tutto è nella gloria divina, come ha detto il maestro nostro Paolo. Disse Volodimir agli stranieri: Tornatevene, giacché i nostri avi non accettarono ciò», ivi, pp. 49-50.

    ³«Avendo avuto sentore [del colloquio], giunsero gli ebrei Chazari, e dissero: Abbiamo udito che sono venuti i Bulgari e i cristiani, ognuno vi ha istruito secondo la propria fede. I cristiani credono in colui che noi abbiamo crocifisso, mentre noi crediamo in un solo Dio, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. E disse Volodimir: Qual è la vostra fede?. Essi dissero: La circoncisione, l’astinenza dal mangiar carne suina e di lepre, la santificazione del sabato. Egli disse: E dov’è la terra vostra?. Essi risposero: A Gerusalemme. E disse: Proprio là?. Dissero: Dio si adirò con i padri nostri, e ci ha disperso per il mondo a causa dei peccati nostri, e ha dato la terra nostra ai cristiani. Ed egli disse: Come istruite gli altri se voi stessi siete stati respinti da Dio e dispersi? Se Dio avesse amato voi e la fede vostra, allora, voi non sareste stati dispersi per le terre straniere. O volete che ciò avvenga anche a noi?», ivi, p. 50.

    ⁴Ivi. pp. 50-62.

    ⁵Ivi, p. 62.

    Ibidem. Sul battesimo della Rus’ cfr. S. Senyk, A History of the Church in Ukraine, volume I, To the End of the Thirteenth Century, op. cit., pp. 49-81.

    ⁷Ivi, p. 63.

    ⁸ È dunque un criterio estetico e non intellettuale a stabilire che questa è la religione giusta e vera, cfr. T. Bremer, La croce e il Cremlino. Breve storia della Chiesa ortodossa in Russia, Queriniana, Brescia 2009, p. 74. Per dirla con Francis Conte, gli emissari del principe Volodymyr, assistendo all’ufficio divino nella cattedrale di Santa Sofia, subiscono uno shock estetico, cfr. F. Conte, Gli slavi. Le civiltà dell’Europa centrale e orientale, Giulio Einaudi Editore, Torino 1991, p. 464. Nella scelta ha anche influito l’antico divieto di bere bevande alcoliche, come riferito nella Cronaca, secondo cui non piaceva a Vladimir: «la circoncisione e l’astinenza dalla carne di maiale, e per quanto riguarda il bere, per contro, disse: «Nella Rus’ l’allegria è bere, non possiamo stare senza ciò». («Na Rusi est’ veselie piti, ne možem bez togo byti»). Prima della sua conversione al Cristianesimo Volodymyr non disdegnava affatto anche altri piaceri e passioni; il vescovo Tietmaro di Merseburgo (975-1018), che aveva visitato le terre di Rus’, ne traccia un ritratto non certo lusinghiero; scrive, infatti di lui: «erat enim fornicator immensus et crudelis», (cfr. Thietmar de Mersebourg, Chronicon, éd. J.P. Migne, Paris 1853, L. VII, cap. 25); anche nel Racconto dei tempi passati di Nestore si afferma «Volodimir si abbandonava alla concupiscenza, ed ecco quali erano le sue donne: Rogneda, che abitava sulla Lybed’, dove ora si trova il villaggetto di Predslavino, da questa aveva avuto quattro figli: Izjaslav, Mstyslav, Jaroslav, Vsevolod, e due figlie; da una greca [aveva avuto] Svjatopolk; da una ceca Vyšeslav; e da un’altra donna: Svjatoslav e Mstyslav; e da una bulgara Borys e Gleb; e aveva ancora trecento concubine a Vyšgorod, e trecento a Belgorod, e duecento a Berestovo […]. Ed egli era in questo insaziabile, seduceva donne da marito e fanciulle violava», op. cit., p. 46. Va detto che secondo alcuni storici, tra i quali Sergej Solov’ëv ed Evgenij Golubinskij, gli eccessi di immoralità e violenza di Vladimir sarebbero enfatizzati al fine di mettere in luce il suo cambiamento di vita dopo la conversione alla fede cristiana.

    ⁹ Cfr. [Nestore], Racconto dei tempi passati. Cronaca russa del secolo XII, op. cit., p. 63. Il battesimo della Rus’ avviene, infatti, nell’anno 6496 (988 dC).

    ¹⁰Stefano Caprio, attento studioso del mondo russo, nel suo corso di Storia della cultura russa tenuto presso il Pontificio Istituto Orientale rileva giustamente che in questo passo «Il termine bellezza (krasota) ricorre ben tre volte, ed in esso si trova la chiave della decisione favorevole al battesimo bizantino. Essa si riferisce propriamente all’aspetto liturgico-celebrativo, non a quello estetico e decorativo; la stessa osservazione sulla dimensione mistica del trovarsi in cielo o in terra corrisponde pienamente alla teologia liturgica bizantina, a partire da Dionigi lo Pseudo-Areopagita nel IV secolo passando per la liturgia cosmica di Massimo il Confessore, che applica al rito il valore simbolico della separazione/comunicazione tra la sfera umana e la sfera divina, unite dal mistero dell’incarnazione e della risurrezione di Cristo stesso», cfr. S. Caprio, Russia: fede e cultura, Appunti del corso tenuto al Pontificio Istituto Orientale, Roma 2012, p. 34.

    ¹¹Cfr. sull’argomento P.N. Evdokimov, Teologia della bellezza. L’arte dell’icona, Ed. Paoline, Roma 1971; L. Uspenskij, V. Losskij, Il senso delle icone, Jaca Book. Milano 2007, e P. Galignani, Il mistero e l’immagine: l’icona nella tradizione bizantina, La Casa di Matriona, Milano 1981; M. Alpatov, Le icone russe, Einaudi, Torino 1976; L. Ouspensky, Théologie de l’icône, Éd. Du Cerf, Paris 1980; E. Sendler, Icona, immagine dell’invisibile, Ed. Paoline, Roma 1984. Sulle radici teologiche dell’arte sacra nel mondo latino e bizantino si veda da ultimo il bel saggio di E. Fogliandini, L’invenzione dell’immagine sacra. La legittimazione ecclesiale dell’icona al secondo concilio di Nicea, Jaca Book, Milano 2015. Questa equazione, già affermata da Platone («Il bello è lo splendore del vero»), accolta pienamente dalla cultura russa, viene anche riaffermata nei secoli XIX e XX, basterà ricordare il principe Myškin ne L’idiota di F. Dostoevskij («La bellezza salverà il mondo»), Vladimir Solov’ëv, Konstantin Leont’ev e Aleksandr Solženicyn. (sull’argomento cfr. O. Clément, Solženicyn in Russia, Jaca Book, Milano 1976, pp. 224-226). Anche S.N. Bulgakov afferma che «l’Ortodossia ha un ideale fondamentale, non tanto etico, quanto piuttosto estetico-religioso», cfr. Pravoslavie, Ymca Press, Paris 1965, p. 328. Si vedano inoltre: T. Špidlík, L’idea russa. Un’altra visione dell’uomo, Lipa, Roma 1995, p. 97 e ss.; Ejusdem, Il senso della bellezza presso i russi, in : J. De la Ferrière, A. Piovano et al., Una Chiesa nella storia. Mille anni di Cristianesimo in Russia, Gregoriana Libreria Editrice, Abbazia di Praglia 1989, pp. 105-122; T. Špidlík, M. Rupnik, M. Campatelli, M. Tenace, M. Zust, Teologia pastorale. A partire dalla bellezza, Lipa, Roma 2005; L. Razzano, L’estasi del bello nella sofiologia di S.N. Bulgakov, Città Nuova, Roma 2006; V. Zelinskij, Mistero, cuore, speranza. Invito alla spiritualità ortodossa, prefazione di N. Valentini, Ancora, Milano 2010, p. 119 e ss.

    ¹²Cfr. P.N. Evdokimov, Cristo nel pensiero russo, Città Nuova Editrice, Roma 1972, p. 35. Sulla liturgia ortodossa si veda, del medesimo Autore, La preghiera della Chiesa orientale, Queriniana, Brescia 1969, p. 139 e ss. Nella sua bella prefazione all’edizione italiana di un testo purtroppo poco conosciuto di Nikolaj Gogol’, N. Valentini sottolinea che «l’esperienza liturgica e l’arte iconica sono diventati i tratti caratterizzanti e i migliori veicoli espressivi della spiritualità ortodossa in generale e russa in particolare». Questa spiritualità, prosegue Valentini citando Berdjaev «ha avuto come nutrimento spirituale non tanto un insegnamento dottrinale o dei sermoni, ma soprattutto la liturgia», cfr. N. Gogol’, Meditazioni sulla divina liturgia, a cura di S. Rapetti, illustrazioni di E. e M. Gran, prefazione di N. Valentini, Nova Millennium Romae, Roma 2007, p. 13.

    ¹³Cfr. L. Dal Santo, Problematica religiosa nei classici russi dell’Ottocento, in AA.VV., Storia religiosa della Russia, a cura di L. Vaccaro, La Casa di Matriona, Milano 1984, p. 201. Il medesimo Autore sottolinea che «Creando I Demoni [Dostoevskij] aveva inteso profeticamente costruire il romanzo dell’assenza di Dio (già nelle minute si legge: voi negatori di Dio e del Cristo, non avete riflettuto che senza il Cristo tutto nel mondo sarà infettato e bacato […]. Scartando il Cristo, voi derubate l’umanità dell’ideale inaccessibile della Bellezza e del Bene)», ivi. p. 212.

    ¹⁴Cfr. G.P. Fedotov, Rossija i svoboda: sbornik statej, Chalidze Publications, New York 1981, p. 183. A. Leroy-Beaulieu scrive: «l’Église russe a distribue à l’homme du peuple, non seulement le pain substantiel de l’Évangile, mais aussi cet aliment délicat dont aucun être humain ne saurait entièrement se passer, le sentiment du beau et de l’idéal», cfr. L’empire des tsars et les russes, tome III, La religion, Préface de Georges Nivat, Editions L’Age d’Homme, Lausanne 1988, p. 106. Il marchese Astolphe de Custine, non certo tenero verso l’Ortodossia, il quale ha presenziato al matrimonio della granduchessa Marija Nikolaevna Romanova, figlia di Nicola I, con il granduca Massimiliano di Leuchtemberg, celebrato nella cappella del Palazzo di Inverno a San Pietroburgo nell’estate del 1839, nel sottolineare la bellezza e fastosità della ritualità slava orientale, scrive: «Ogni strumento musicale è bandito dal rituale della Chiesa greca e solo le voci virili vi celebrano le lodi del Signore. Questa severità del rito orientale è propizia all’arte, cui conserva intera la semplicità, e produce effetti vocali davvero celestiali. […] Quell’uditorio profano ascoltava la musica sacra con un silenzio e un raccoglimento che avrebbero reso belli anche canti meno sublimi. Dio è là dentro, la sua presenza santifica perfino la corte, il mondo ormai è cosa accessoria, domina in tutti il pensiero del cielo», cfr. Custine, Lettere dalla Russia, Fogola editore, Torino 1977, pp. 80-81.

    ¹⁵Così Ju.N. Danzas, La coscienza religiosa russa, Morcelliana, Brescia 1946, p. 24.

    ¹⁶Il termine blagovernyj, attribuito ai santi prìncipi, è di derivazione ecclesiastica e non è di facile traduzione: esso comprende più i concetti di fedeltà e di bene, che quello di fede, letteralmente benfedele. Blagovernyj è anche attributo dello zar nelle formule della preghiera liturgica.

    ¹⁷Cfr. I. Kologrivov, Santi russi, con introduzione di T. Špidlík e nota di E. Vagin, La Casa di Matriona, Milano 1977, p. 77 e ss. e p. 91 e ss. e il bel contributo in questo stesso libro del compianto E. Vagin, I santi russi oggi, p. 473 e ss. Sui santi principi e i santi vescovi si veda G. Fedotov, I santi dell’antica Russia, a cura di M.P. Pagani, prefazione di G. De Rosa, postfazione di S. Dalla Palma, Aquilegia edizioni, Milano 2000, p. 93 e ss. e 113 e ss. (il prezioso volume è la traduzione di Svjatye drevnei Rusi, Ymca Press, Paris 1931, reprint Moskovskij Rabočij, Moskva 1991); V. Ključevskij, Drevnerusskaja žitija svjatych kak istoričeskij istočnik, izd. K. Soldatenkova, Tipografija Gračëva i K°., Moskva 1871; F. Chiti, Santi dell’antica Russia, Gribaudi, Milano 2001; P. Evdokimov, La santità nella tradizione della Chiesa Ortodossa, Ed. Esperienze, Fossano 1972. Per una bibliografia sul Cristianesimo ortodosso si veda P. Gonneau, Le christianisme orthodoxe en Russie: bibliographie sélective, in «Revue des ètudes slaves», tom 74, fasc. 1, 2002, pp. 193-220.

    3. LA PRIMA ORGANIZZAZIONE ECCLESIASTICA

    Alla morte del principe Volodymyr (1015) si scatena tra i suoi figli una lotta per la successione: Svjatopolk di Novgorod, il Caino russo¹, uccide i fratelli Borys, principe di Rostov, e Gleb, signore di Murom; essi saranno i primi santi della Chiesa russa², venerati come strastoterpcy, ossia coloro che hanno sofferto la passione, sacrificando la propria vita per la pace, invece di reagire alla violenza del fratello che sarà chiamato il Dannato o il Maledetto (Okajannyj) e sarà presto sconfitto nel 1019 da un altro fratello: Jaroslav il Saggio (Mudryj)³, il quale governerà a lungo e favorirà la diffusione del Cristianesimo. Risale, infatti, al suo regno l’edificazione della cattedrale di Santa Sofia e la diffusione del monachesimo, con la costruzione nel 1051 della Lavra⁴ delle Grotte di Kyïv⁵, centro di irradiazione di spiritualità, di carità⁶ e di educazione alla fede, iniziato dai monaci Antonij († 1073) e Feodosij († 1074)⁷ considerati i fondatori del monachesimo della Rus’⁸. Così la Giambelluca Kossova sintetizza le figure dei due monaci: «Sant’Antonij e San Feodosij incarnano due modi diversi, ma ugualmente importanti per la storia della spiritualità russa, di intendere, e quindi anche di testimoniare, la sequela di Cristo. Più meditativo Antonij, con predilezione per la vita semieremitica e contemplativa. Seguace del modello di Pacomio, come dire di un monachesimo organizzato in forma cenobitica⁹, comunitaria, codificata da Basilio il Grande nel IV secolo, Feodosij»¹⁰. Feodosij è, inoltre, l’archetipo del monaco colto.

    Sulla nascita del monastero scrive Nestore sull’anno 6559 (1051): «E diremo, a proposito, qualcosa sul monastero chiamato Pečerskij. Il devoto principe Jaroslav amando Berestovo¹¹ e la chiesa ivi esistente dei Santi Apostoli, convocò molti preti: fra cui v’era uno a nome Ilarion¹², uomo virtuoso, istruito e grande digiunatore. E questi soleva andare da Berestovo al Dnepr, sulla collina, dove è l’antico monastero Pečerski, e vi recitava la preghiera; era qui un bosco grande. Scavò una piccola grotta di 2 saženi¹³, e venendo da Berestovo, cantava le ore, e là pregava Iddio, in segreto. In seguito Dio ispirò il cuore del principe, ed egli lo nominò metropolita in Santa Sofia, e quella grotta rimase»¹⁴.

    Con la conversione al Cristianesimo della Rus’ si viene a realizzare una prima organizzazione ecclesiastica che fa capo al vescovo di Kyïv, al quale spetta la dignità di metropolita¹⁵.

    Il primo metropolita di Kyïv e di tutta la Rus’ è il santo vescovo (svjatitel’) Michail il Siro (Sirin † 992), consacrato dal patriarca di Costantinopoli Nikolaos II Chrysobergēs, al tempo degli imperatori Basilio II e Costantino VIII Porfirogeneti, e forse condotto da Cherson alla Rus’ dal principe Volodymyr¹⁶.

    Il primato di Kyïv si rafforza con il metropolita Feopempt (Theopemptos), la cui giurisdizione si estende a tutte le terre della Rus’. Grazie ai missionari provenienti dalla Grecia e soprattutto dalle regioni in cui era viva l’eredità di Cirillo e Metodio (Moravia, Boemia, Ochrida e Bulgaria), ben presto si costituiscono nuove sedi episcopali¹⁷ nei centri amministrativi che si vanno formando e rafforzando: Novgorod¹⁸, Rostov Velikij¹⁹, Volodymyr di Volinia²⁰, Belgorod²¹, Černihiv (Černigov)²², Jur’ev²³, Perejaslavl’²⁴, Polack (Polock)²⁵, ed altre²⁶, così che la gran parte di quei territori entra in un ambito ecclesiastico legato al mondo bizantino, anche se con Jaroslav il Saggio, nel secolo XI, la cattedra metropolitana sarà occupata da un russo.

    Già da tempo i Rjurikidi avevano perso la loro identità vichinga e si erano integrati con la popolazione slava, della quale avevano preso la lingua e proprio lo slavo ecclesiastico era divenuto il fattore di unione e di integrazione delle varie etnie presenti sul territorio. Nella lingua slava ecclesiastica erano stati tradotti la Bibbia e molti testi greci ed era stata redatta anche la Cronaca di Nestore.

    Al tempo stesso l’adozione dello slavo ecclesiastico favorirà successivamente l’allontanamento da Costantinopoli e la nascita di una coscienza religiosa nazionale.

    La maggioranza dei metropoliti di Kyïv sono greci, come il primo, Feopempt (Theopemptos), designato nel 1039, e l’ultimo, Isidor (1436-1458); peraltro, i vescovi sono quasi sempre slavi. Nei primi secoli della Rus’ la consacrazione e la nomina dei metropoliti spetta al patriarca di Costantinopoli e al Concilio, con l’assenso dell’imperatore. A questo principio si è fatta eccezione solo due volte con la scelta da parte dei principi della Rus’ di metropoliti non greci. Il primo caso è quello del già menzionato monaco Ilarion (o Illarion Rusyn)²⁷, consacrato metropolita di Kyïv (1051-1054 ca.) al tempo del gran principe Jaroslav Volodymyrovyč, e il secondo caso è quello del monaco dotto Klyment (Smoljatyč)²⁸, metropolita di Kyïv (1147-1154) al tempo del gran principe Izjaslav II Mstyslavyč, alla cui investitura si oppongono il vescovo Manuil di Smolensk, di nazionalità greca, e il vescovo Nifont di Novgorod²⁹.

    La campagna per sottrarre la Chiesa russa alla tutela bizantina prende vigore al tempo di Izjaslav II, con il contributo dei monaci slavi della Lavra delle Grotte di Kyïv. Ricorda N.V. Brjančaninov che il principe di Kyïv Rostyslav, in occasione dell’investitura del nuovo metropolita Ioann (Grek, 1008-1035) sostenuto da Costantinopoli, afferma con chiarezza «Per amicizia e per rispetto dell’augusta persona dell’imperatore, noi accettiamo volentieri tra le nostre mura il nuovo metropolita. Tuttavia, se il fatto si ripete, e se, senza avvisarci e senza domandare il nostro consenso, contrariamente alle prescrizioni degli apostoli, s’invia da Bisanzio un metropolita, allora non solo non lo riceveremo, ma emaneremo una legge eterna con la quale il diritto di scegliere e di nominare i vescovi spetterà, d’ora innanzi, solo alla volontà del gran principe»³⁰. I metropoliti Ilarion e Klyment non sono riconosciuti da Costantinopoli, che non rinuncia, comunque, alle sue prerogative sulla Rus’. Per contro, vi sono altri metropoliti designati dai russi e approvati da Costantinopoli: è il caso di Kirill III (1249-1281), scelto come metropolita di Kyïv dal gran principe e confermato da Costantinopoli nel 1250.

    Dagli Statuti dell’antica Rus’ appare chiaro il ruolo dell’organizzazione ecclesiastica nel sistema statale, che si esprime in uno stretto legame reciproco e nei poteri affidati al metropolita e al vescovo nella sfera economica e nell’amministrazione della giustizia. Questa interazione tra potere civile e religioso appare chiaramente nello Statuto del principe Volodymyr Svjatoslavyč (978-1015)³¹ sui Tribunali ecclesiastici, che tratta anche la questione delle decime e degli uomini di Chiesa, e in quello, ispirato al precedente, del principe Jaroslav Volodymyrovyč (1019-1054)³², alla cui elaborazione prende parte il metropolita di Kyïv Ilarion (Rusyn)³³, che definisce le forme e l’entità dell’aiuto materiale alla Chiesa, i limiti della giurisdizione ecclesiastica e le norme canoniche recepite dall’autorità civile. Di Ilarion (Rusyn) scrive la Giambelluca Kossova, «Nel panorama del Mille Ilarion è l’antesignano

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