Non è mai una fine
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Info su questo ebook
Un romanzo sull'amore che affronta, senza compromessi, mettendo a nudo l’anima della sua autrice, le gioie ma soprattutto i dolori che questo sentimento riesce ad infliggere, troppo spesso, al cuore e alla psiche.
Gelosia, rimpianto, rabbia, frustrazione, passione, tradimento, promesse, idealizzazioni: Francesca Corsetti affonda la sua penna nei prismi cangianti di un sentimento effimero, ingannevole, crudele.
Ma allo stesso tempo vitale, insostituibile, immortale. Che ci rende liberi e schiavi insieme, che ci innalza verso l’empireo e ci sprofonda all’inferno.
Il seguito de L’eco di una melodia diventa, quindi, sotto gli occhi del lettore, la cronistoria di un amore, l’itinerario di una passione inesorabile, la radiografia impietosa di cosa siamo disposti a soffrire e di quello che siamo disposti a patire per raggiungere l’altra metà del cielo.
Francesca Corsetti
Quarantasei anni e tre figli, è un'appassionata di marketing digitale e letteratura. Da sempre divora libri e li colleziona. Ama alla follia Franz Kafka ed è andata a Praga a ripercorrere i suoi passi. Crede di aver letto ogni cosa su di lui e come lui ha imparato a convivere con l’angoscia esistenziale che ci accompagna. Quella malinconia che un po’ tutti ci portiamo dentro e che ci porta a convivere inermi con la nostra natura. Quella sensazione di inappagamento quando del mondo e di te stesso hai acquisito troppa consapevolezza.
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Anteprima del libro
Non è mai una fine - Francesca Corsetti
Francesca Corsetti
Non è mai una fine
Romanzo
© Bibliotheka Edizioni
Via Val d’Aosta 18, 00141 Roma
tel: +39 06.86390279
info@bibliotheka.it
www.bibliotheka.it
I edizione, gennaio 2019
Isbn libro 9788869345081
Isbn ebook 9788869345098
È vietata la copia e la pubblicazione, totale o parziale,
del materiale se non a fronte di esplicita autorizzazione scritta
dell’editore e con citazione esplicita della fonte.
Progetto grafico: pastinadesign | Mara Scanavino
Disegno di copertina: Eureka3 S.r.l.
www.eureka.it
Francesca Corsetti
Quarantasei anni e tre figli è un’appassionata di marketing digitale e letteratura. Da sempre divora libri e li colleziona.
Ama alla follia Franz Kafka ed è andata a Praga a ripercorrere i suoi passi. Crede di aver letto ogni cosa su di lui e come lui ha imparato a convivere con l’angoscia esistenziale che ci accompagna. Quella malinconia che un po’ tutti ci portiamo dentro e che ci porta a convivere inermi con la nostra natura. Quella sensazione di inappagamento quando del mondo e di te stesso hai acquisito troppa consapevolezza.
In me ristagna l’eco di un amore. Nella soffitta della mia mente c’è un baule chiuso con mille lucchetti e all’interno il segreto del tuo amore, che mi punisce con il suo continuo esistere, e mi frusta l’anima per non esser stato capace di ricambiarlo.
Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale e frutto della fantasia dell’autore.
A chi c’è sempre stato
e a chi mi ha sempre ingannato
Ho voglia di imbrattare una tela con un pennello intinto
nella tavolozza dei colori del passato
Vorrei ammirare l’emozione che ho provato
farne un quadro da appendere alla porta
del futuro
che ho guardato.
F. Corsetti
Non so se è amore che possiedi o amore che simuli
quello che mi dai. Dammelo. Questo mi basta.
Se non lo sono più per età,
che io sia giovane per sbaglio.
Poco gli dei ci danno, e quel poco è illusorio.
E tuttavia, quando ce lo danno, pur illusorio, come dono
è autentico. Lo accolgo,
chiudendo gli occhi: mi basta.
Ma che pretendo di più?
Fernando Pessoa
Introduzione
Giornalisti e sostenitori attendevano trepidanti l’ingresso nella sala conferenze della nuova scrittrice dell’anno.
L’autrice del romanzo L’eco di una melodia, Angelica Cinti, si dirigeva verso l’ennesimo appuntamento divenuto ormai per lei una routine.
Angelica si accingeva ad arrivare a Roma, luogo in cui si sarebbe tenuta la plurima presentazione e a varcare la soglia del palazzo della convention, per rilasciare le interviste ai vari inviati dei giornali culturali che la attendevano sull’uscio.
Mai avrebbe immaginato tanto successo, aveva scritto quel racconto per esorcizzare un amore che le aveva lacerato l’anima, che le aveva permesso di soggiacere al dolore di quella perdita, scaricandolo su carta come un peso troppo pesante da poterlo contenere all’interno di sé, facendogli compagnia come un amico, amandone anche gli spasmodici postumi, aggrappandosi ad esso per trovare la forza di proseguire nel gioco della vita.
Era stato grazie al suggerimento della sua amica Cristine che, alimentando la sua ambizione di diventare scrittrice, le aveva intimato di trasformare quell’esperienza in parole, mitigando quel dolore, convertendo quell’avventura nel futuro che lei aveva da sempre bramato di poter realizzare.
Ora faceva i conti con i risultati che davano forma alla sua nuova realtà. Un sogno si era concretizzato a discapito di un altro svanito nel nulla, ma la scrittrice continuava ancora a sperare fosse solamente propedeutico.
Angelica era diventata una narratrice itinerante, mescolava vocali e consonanti nella speranza che fungessero da note su un pentagramma, per comporre la musica che avrebbe tanto desiderato arrivasse come un eco lontano, al cuore del suo perduto Albert.
Virgole, punti e grafemi a fungere da note, per stilare la partitura di una perduta melodia, come un’ancora di salvataggio per un marinaio che sogna un porto lontano verso il quale tornare ad attraccare.
Il passato le scorreva avanti agli occhi come la pellicola di un film visto tante volte, dalla cui visione non riusciva mai a sottrarsi, benché fosse passato un anno dall’averlo vissuto.
Ho perso il cuore fra i fili d’argento dei tuoi capelli
Sulla tua pelle che odora di notti vissute.
Ho perso il cuore fra l’arte della tua immaginazione
tra la tua fantasia, tinta di note e parole.
Ho perso il cuore fra le tue mani di musicista
fra le scintille del tuo fuoco, che arde lento
e non si spegne mai...
F. Corsetti
Avvistò il palazzo, e si avvicinò lentamente verso il marciapiede, accostando.
Guardò quel gruppo di gente che la attendeva, sorrise compiaciuta, forse non si sarebbe mai abituata a quell’evoluzione della sua vita, ma le piaceva, la gratificava, nonostante le mancasse la persona con la quale avrebbe voluto condividere tutta questa gioia.
Avrebbe desiderato poter guardare negli occhi Albert e dirgli: Guarda, ce l’ho fatta, il nostro amore ha vinto!
.
Alzò la visiera del casco, spense la moto e scese, mettendo il cavalletto e togliendosi i guanti. Guardò con amore la sua Moto Guzzi Breva 750 rossa fiammante, la accarezzò, come a farle una promessa di temporanea assenza.
Si tolse il casco, lasciando che i capelli le ricadessero sulle spalle, e fiera, con i suoi stivali da biker, si diresse verso l’aula, per raccontare ancora una volta a quell’enclave, la sua storia.
Senza eco, la voce si spegne presto.
Sarà per questo che gli scrittori scrivono,
per non far mai morire le parole.
F. Corsetti
Capitolo 1
Albert
Guardo il soffitto da questa mattina. Non ho voglia di alzarmi. Sono disteso sul letto e faccio compagnia ad un ragno, che in un angolo della parete, tesse la sua ragnatela, in attesa di poter catturare qualche insetto con cui nutrirsi. Almeno lui ha un intento, un fine nella sua giornata sempre uguale.
Resto a poltrire rilassato, e continuo a guardarlo. I suoi movimenti sono lenti e precisi, un artigiano della tela.
Con le sue quattro paia di zampe, l’aracnide continua a tessere tutto il giorno e non credo abbia altri pensieri per la testa. Giungo alla conclusione che non deve essere niente male vivere così, come automi che hanno un’unica finalità, quella di preparare una trappola mortale per la preda di cui necessitano cibarsi.
Decido di cambiare la mia visuale e mi volto verso il pc acceso situato sulla scrivania. Alcune mail in arrivo lampeggiano sul desktop, dovrei decidermi a leggerle, ma così darei inizio alla mia giornata e non ne ho alcuna voglia, quindi decido di poltrire un altro po’, girandomi su un fianco e cercando di riprendere sonno.
Chiudo gli occhi e di nuovo appaiono i tratti del viso della donna che un anno prima aveva stregato la mia razionalità.
Quella donna così semplice ed anche un po’ maldestra, che mi guardava come se fossi l’unica persona esistente su tutto il pianeta. La sua ammirazione nei miei confronti era allarmante, mi destrutturava, mi metteva in agitazione.
Cosa avrei mai potuto dare ad una donna in cui ho visto delle potenzialità così immense come quelle che oggi leggo essere di dominio pubblico?
Cosa avrebbe mai potuto dare, un comune uomo come me, con tanti limiti e barriere mentali, ad una donna così viva, che stava per sbocciare alla vita?
Nonostante questo tormento che continuava ad ossessionarmi, racimolai le forze per alzarmi e cominciare la giornata, con l’intenzione fatua di evitare di pensarci ancora.
Sul comodino, L’eco di una melodia, il suo romanzo, il nostro romanzo, letto almeno dieci volte, mi impediva di togliermela dalla mente, mi rievocava il suo amore, il nostro vissuto, e si beffava di me, della mia stupidità.
Anche oggi il tempo che mi avrebbe accompagnato sarebbe stato scandito da questo ostinato rimuginare continuo attorno a lei, come una pergamena antica scritta con lacrime e pentimento, da consegnare solo al giudizio del tempo.
Era inquieto, sentiva un gran bisogno di solitudine e nutriva il desiderio di abbandonarsi alla propria tristezza senza fare nulla, per alleviarla.
Fëdor Dostoevskij
Angelica
«Ci dica Angelica, ancora non si è fatto vivo l’uomo misterioso? Nessun contatto con lui, nemmeno dopo il successo del suo romanzo?»
«Sto scrivendo il sequel quindi preferirei non rivelare nulla!»
«Ci sta forse manifestando che sarebbe possibile?»
«Sto solo dicendo che per ora preferirei non rispondere a questa domanda.»
«Potrebbe toglierci qualche dubbio rispondendo almeno alla perplessità che ci poniamo riguardante il fatto che lei sia stata a letto con un uomo, in una camera d’albergo, senza sapere nemmeno chi fosse, ed in giro per l’Europa con una persona di cui non era assolutamente a conoscenza di nulla?»
«Il mio libro è un romanzo, le considerazioni sono del lettore e non sono tenuta a rispondere sulla veridicità! Scusate, voi quando uscite con qualcuno andate prima a farvi stilare dei certificati all’anagrafe?»
«Ma più volte lei ha lasciato intendere che il romanzo fosse autobiografico… lo è oppure no?»
«Lo è, ma solo in parte. Il discernimento non lo avrete da me, io scrivo, è il lettore che deve interpretarlo in base alla sua immaginazione e sensibilità, che in questo contesto non sto cogliendo!»
Le domande continuavano a susseguirsi e mi stavo annoiando oltre che irritando. Sopportavo ogni allusione, sempre nella speranza potesse fungere da eco, e risuonare in qualche posto sperduto ad Albert, nascosto chissà in quale angolo di mondo.
L’unico pensiero che avevo era evadere in moto, dirigendomi verso paesaggi naturali con la mia nuova compagna inseparabile a due cilindri, sostando in qualche oasi di pace del creato. Quanto ero cambiata, che trasformazione incredibile aveva avuto su di me conoscere il mondo dei bikers!
Quella pace portatrice di serenità, la ricercavo continuamente. Avrebbe contribuito a delineare il contesto necessario attorno a me, per poter di nuovo permettere ai ricordi di riappropriarsi del presente.
Un passato mai dimenticato, intriso solo di Albert. Mi sarebbe bastata come vittoria un’apparente aggraziante pausa, in un mondo dove ogni giorno devi mandar giù sconfitte.
Avessi avuto almeno la possibilità di decidere se fosse stato giusto terminare un rapporto o lottare per poterlo salvare! Non ho avuto nessuna possibilità di valutare dove dirigermi, mi è imploso fra le mani, quasi come lo avessi solo immaginato svanendo poi nell’oblio.
Ancora domande senza risposta chissà per quanto ancora. Sull’orlo di un precipizio con un eterno dubbio, che spazza via la ragione e non permette soluzioni matematiche. L’unica logica consiste nell’accettare l’indiscutibile fatto che mi aveva lasciato, quindi non ero abbastanza per lui.
Nonostante continui a realizzarlo, mi sento ugualmente sua, stretta nella morsa di un legame invisibile che va oltre quello in cui molti restano incastrati, coloro che stanno insieme e spesso non sono nemmeno innamorati, fanno solo coppia. Eppure la immagino facilmente valicabile, quella linea che separa l’ordinario dallo straordinario, ma alla fine, invece, ci si abitua ad ogni situazione, perché ci si costringe a farlo.
Al male subìto, alle parole mai ascoltate, a quelle sopportate, alle promesse mai mantenute, al focolare della speranza, alle briciole, a diventare un fantasma.
Ci si abitua ad essere ferite, a ripiegare nell’angolo, a stare immobili, a piangere in silenzio, a soffrire e a subire ogni ingiustizia in attesa di qualcosa che cambi questa drammatica situazione. Ed invece si sommano quelle che fanno ancora più male come la totale indifferenza.
Allora cerchi di trovare di nuovo la forza, spossata come sei e non sai più dove prenderla, a cosa aggrapparti, per saperne patire il carico.
Non resta che inventarsi nuove scuse.
Riluttante e con gli occhi lucidi, racimolando coraggio e spirito di adattamento, si riesce a sopportare la realtà verso la quale si è impotenti. Bisogna reggere il passo della sabbia che sancisce lo scorrere del tempo, tanto non la si può bloccare.
I giorni e le notti
Suonano in questi miei venti d’arpa
Vivo di una gioia malata d’Universo
E soffro per non saperla accendere di parole.
Giuseppe Ungaretti
Cristine
Fare colazione con Anthony al mattino era un piacevole rituale che adoravo. Mi gratificava quel meccanismo consuetudinario di prendermi cura di lui, preparargli le ordinarie vivande che maggiormente gradiva.
Avevo comprato la macchinetta per il cappuccino ed ero diventata un asso nel dimenarmi con la schiuma del latte che ormai ero capace di addensare fino a renderla una gustosa crema. Spesso riuscivo anche a completare disegnini in superficie come i migliori baristi.
Poi aggiungevo le fette biscottate con la marmellata di pesca e lo yogurt magro con i cornflakes per rendere la tavola più soddisfacente.
Quando usciva dal bagno dopo la doccia, si sedeva in cucina con me, guardavamo la tv, ed iniziavamo la nostra giornata insieme, seduti al tavolo del primo pasto in comune. Poi io mi dirigevo al lavoro e lui restava a casa, poiché ancora non osava lavorare. In verità Anthony di lavorare non aveva mai avuto volontà nemmeno prima dell’intervento, ma l’importante era che lo facesse uno dei due.
Quanta felicità! Anthony, dopo l’operazione al fegato avuta l’anno precedente, aveva promesso che sarebbe cambiato e non mi avrebbe più fatto soffrire con la sua indifferenza e superficialità e insperatamente stava mantenendo la parola.
Anthony, sei felice?
gli domandavo spesso.
"Certo che sono felice; con