Rimani o vai via?: Il desiderio di Giuseppe
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Il nome Iosèf, in ebraico, significa "colui che aggiunge". Giuseppe aggiunge il desiderio al discernimento. L'umiltà all’orgoglio ferito. L’amore alla crisi con Maria. Il coraggio alla paura di essere inadeguato a fare il padre. La libertà al possesso. La speranza alla morte. Questo libro sogna di entrare nel mondo interiore di Giuseppe e, attraverso di lui, di aggiungere sogni alle notti di ogni uomo e di ogni donna.
Gabriele Vecchione
È nato a Roma il 2 maggio 1988. Dopo essersi diplomato al liceo classico Cornelio Tacito, ha conseguito la laurea triennale in Scienze Politiche all'università di Roma Tre. Nel 2010 è entrato nel Pontificio Seminario Romano Maggiore. Nel 2013 ha conseguito la laurea magistrale in Scienze Politiche. Il 7 maggio 2017 è stato ordinato presbitero da papa Francesco. Il suo primo incarico è stato da viceparroco nella Parrocchia San Carlo da Sezze a Roma. Dopo pochi mesi è stato trasferito nella Parrocchia Nostra Signora di Lourdes a Tor Marancia. Qui svolge il suo ministero tutt'oggi. Nel settembre 2018 ha conseguito la licenza in Teologia dogmatica alla Pontificia Università Gregoriana. È dottorando nella medesima università.
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Rimani o vai via? - Gabriele Vecchione
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Gabriele Vecchione
Rimani
o vai via?
Il desiderio di Giuseppe
Effatà Editrice logoAi ragazzi di Nostra Signora di Lourdes
a Tor Marancia (Roma),
ché, da grandi, possano nutrire sogni
che non saranno i loro
Non devono nascere da te i figli per essere tuoi
(dal film Collateral Beauty)
Introduzione
La sobrietà della narrazione evangelica non ci dice in che razza di crisi Giuseppe dovette piombare quando Maria gli annunciò la gravidanza «per opera dello Spirito Santo» (Mt 1,18). L’evangelista Matteo ci dice solamente che pensava di «ripudiarla in segreto» (Mt 1,19).
Provo a immedesimarmi in lui. Ripenso a ogni volta che mi sono sentito anch’io escluso, toccato nell’orgoglio, delegittimato dalle persone a cui volevo bene. Sento ancora la sferzata di dolore di alcune parole che mi hanno fatto sentire non‐amato. Spesso impiego molto tempo a interpretare i significati delle parole che mi vengono dette. Ci torno e ci ritorno su, mi interrogo sulle reali intenzioni della persona che le ha pronunciate, chiedo chiarimenti. Le parole di stima o di affetto lavorano in me a rilascio ritardato, come fossi sempre scettico sulla possibilità di essere benvoluto o apprezzato. Ma le parole che significano non‐amore o tradimento le riconosco subito, fanno subito male all’anima, sono quasi inequivocabili. Arrivano dritte al cuore.
Ogni volta che mi sono sentito o sono stato effettivamente rifiutato non è stato facile continuare ad amare la persona che mi faceva male. Andare via mi sembrava ben più immediato e anche comprensibile. In preda al dolore ho spesso vagheggiato di cambiare luogo, ho spesso pensato che la mia rabbia potesse fare giustizia, ho spesso immaginato di poter riempire la faglia aperta nel cuore con i più disparati palliativi.
A un certo punto, dopo una discreta dose di non‐detti e incomprensioni, Maria deve aver chiesto al suo promesso sposo: rimani o vai via?
Giuseppe è rimasto.
Le rappresentazioni della sacra famiglia, spesso, sono talmente stilizzate e impomatate di sacralità (appunto) che si arriva a pensare che l’amore tra Maria e Giuseppe sia stato un inciso ridondante, una dinamica platonica, un dettaglio superfluo in mezzo a legioni di angeli, schiere di pastori devoti e aureole dorate. Charles Péguy diceva di certi cristiani: «Dato che non amano nessuno, dicono di amare Dio»¹. Forse abbiamo interpretato così questi due sposi, molto pii e poco innamorati. Forse abbiamo pensato che Giuseppe — il padre putativo (che orrore quest’aggettivo sovente usato nei libri devozionali!) — abbia stretto i denti e abbia tenuto in piedi la famiglia per spiccato senso di responsabilità, per volontarismo o per essere entrato nel copione assegnatogli dalla moglie angelicata.
Ma se quest’uomo, invece, avesse provato per Maria un amore in grado di attraversare e superare la crisi? Ma se quest’uomo, invece, avesse percepito come autentica la vocazione a essere padre? Ma se quest’uomo, invece, fosse stato realmente visitato da Dio nella sua intimità, nel suo desiderio?
Nelle pagine che seguono commenterò alcuni passi dei primi due capitoli di Matteo, il vangelo — tra i quattro — in cui si parla più diffusamente del tormento di Giuseppe, dei suoi sogni, della sua missione di sposo e di padre.
1. Parce qu’ils n’aiment personne, ils croient qu’ils aiment Dieu
(
C. Péguy
, Note conjointe sur M. Descartes et la philosophie cartésienne, in Œuvres complètes, tome IX, Éditions de la Nouvelle Revue française, Paris 1924, p. 181).
Dio non è la legge,
la legge non è Dio
Giuseppe, poiché era uomo giusto
e non voleva accusarla pubblicamente,
pensò di ripudiarla in segreto.
(Mt 1,18)
Giuseppe era un uomo giusto. Conosceva la legge di Mosè. Conosceva senz’altro le inequivocabili prescrizioni del libro del Levitico: «Se uno commette adulterio con la moglie del suo prossimo, l’adultero e l’adultera dovranno esser messi