Genova 2001-2021 L'agguato: Le testimonianze dal libro bianco con i contributi di Marco Crispigni e Anna Pizzo
By AA. VV.
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Carlo Giuliani ucciso da un carabiniere, cui questa memoria è dedicata. L’irruzione notturna alla scuola Diaz, la “macelleria messicana”. I black bloc e le “devastazioni” della città. Le torture fasciste della polizia nei confronti dei fermati nella caserma di Bolzaneto. Tre giorni di enormi manifestazioni riprese da migliaia di videocamere e fotografie, un diluvio di immagini che inondarono televisioni e rete.
A vent’anni di distanza questo libro ripropone le testimonianze raccolte ‘a caldo’ sulle giornate di Genova che facevano parte di un Libro bianco pubblicato nel 2002 grazie alla collaborazione del Genoa Social Forum con cinque editori della sinistra (l’Unità, Liberazione, il Manifesto, Carta, Manifestolibri) e due saggi che tornano a riflettere su quegli avvenimenti da un punto di vista storico e politico.
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Genova 2001-2021 L'agguato - AA. VV.
ESPLORAZIONI
genova 2001-2021
l’agguato
Le testimonianze dal libro bianco
con i contributi di
Marco Grispigni e Anna Pizzo
manifestolibri
A
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Attribuzione non commerciale.
2021 manifestolibri La talpa srl
via della Torricella 46 00030
Castel S. Pietro RM
ISBN 979-12-8012-458-6
www.manifestolibri.it
info: book@manifestolibri.it
A
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Indice
Vent’anni dopo
Marco Grispigni
Genova 2001-2021
Anna Pizzo
Public Forum Lunedì-Mercoledì 16/17/18 Luglio
Giovedì 19 Luglio
Cronaca della manifestazione, delle azioni
e dei percorsi preparatori
Venerdì 20 Luglio
Secondo appuntamento con le manifestazioni contro il g8
La discesa del Carlini
Piazza Paolo da Novi
Piazza Alimonda
Porto Alegre, inaugurazione del campeggio Carlo Giuliani
Elaborare il lutto
Dalla lettera di Giuliano Giuliani al direttore de L’Unità
Sabato 21 Luglio
L’arrivo
Il corteo
Piazza Kennedy
La prima carica
Lo spezzone in corso Italia
La folla su via Casaregis
La diaspora
La partenza
Ore 15, stiamo già tornando
La sera di chi resta
La notte della mattanza
Parlamentari impotenti, legali sbigottiti
C’è molto sangue ed è sangue vivo
E sentivo le costole spezzarsi
Ricordo solo di aver gridato: perchè
Si muovevano eccitati, urlavano
Uno in borghese, Il Dottore
, era lui che dava gli ordini
La paura nel microfono
I momenti del blitz in diretta alla radio
Ci sembrava il posto più sicuro dove dormire
Il lager di Bolzaneto e altri luoghi di tortura
Ecco i Gom, la Costituzione è sospesa
Il ministro Castelli a Bolzaneto
Dentro gli Ospedali e fuori
Le violenze alla Fiera del Mare, piazzale Kennedy, San Giuliano
Un lager a orologeria
Dovevano rimanere in carcere
I processi
Piazza Alimonda: l’inchiesta
La controinchiesta
Diaz
Bolzaneto
Sud ribelle e altri
Vent’anni dopo
Marco Grispigni
Scusa Mimì. Hai letto i giornali? Hai sentito la televisione? Hanno detto, più o meno chiaramente, che nelle sale operative genovesi in quei giorni c’era gente che non ci doveva stare. Ministri, deputati e tutti dello stesso partito. Quel partito che si è sempre appellato all’ordine e alla legalità. Ma bada bene, Mimì: il loro ordine, la loro legalità
.
E questo che significa?
Significa che una parte della polizia, la più fragile macari se si crede la più forte, si è sentita protetta, garantita. E si è scatenata. Questo nella migliore delle ipotesi
.
Ce n’è una peggiore?
Certo. Che noi siamo stati manovrati, come pupi nell’opira dei pupi, da persone che volevano fare una specie di test
.
Su cosa?
Su come avrebbe reagito la gente ad un’azione di forza, quanti consensi, quanti dissensi. Fortunatamente non gli è andata tanto bene
(Andrea Camilleri)
A me la gente che prima va a fare a botte e poi si mette a piangere non m’è mai piaciuta. M’hanno menato
. Io ti rimenerei un’altra volta. Sti Casarini ed Agnoletto, poi, già non m’avevano convinto dall’inizio. Quell’Agnoletto somigliava troppo a Arrigo Sacchi, un Sacchi in piena depressione. E dopo è stato pure peggio. Siamo in Cile, in Argentina!
. Piagnone ancora più di Sacchi. La colpa è tutta della polizia
. Eppure loro che stavano andando a Genova – repubblica marinara per eccellenza – avrebbero dovuto saperlo che chi va per mare qualche volta imbarca acqua. Invece prima hanno spaccato i cocci e poi si sono messi a piangere: hanno dato la colpa agli altri
(Antonio Pennacchi)¹
Genova, luglio 2001. Carlo Giuliani, ragazzo, ucciso da un carabiniere. L’irruzione notturna alla scuola Diaz, la macelleria messicana
. I Black bloc e le devastazioni
della città. Le torture fasciste della polizia nei confronti dei fermati nella caserma di Bolzaneto. Gianfranco Fini, segretario del partito post-fascista
, Alleanza nazionale, e vice presidente del Consiglio nel governo Berlusconi, che segue la gestione della piazza nella sala operativa della Questura di Genova. Tre giorni di enormi manifestazioni riprese da migliaia di videocamere e fotografie, un diluvio di immagini che inondano televisioni e rete. Genova fu questo e molto altro. Per giorni e giorni tutti si sentirono in diritto di parlare di Genova: politici, manifestanti, poliziotti, giornalisti, intellettuali, un torrente di parole.
Prima di Genova il movimento dei movimenti
² era diventato un attore politico e sociale riconosciuto nelle strade di Seattle nel 1999. Erano gli anni della sbornia trionfale di un nuovo liberismo privo ormai di qualsiasi limite. Dopo il crollo definitivo del sistema sovietico, prima con la caduta del Muro e poi, nel 1991, con la fine dell’Unione Sovietica, i teorici della fine della storia
, i cantori del TINA, there is no alternative, lodavano le capacità innovative di un nuovo capitalismo, dominato dalla finanza, dalla deregolamentazione dei mercati, dalla capacità del denaro di circolare a velocità sconosciuta in precedenza, grazie agli algoritmi, producendo sempre di più profitto dalla semplice circolazione fra le differenti borse, magari sgocciolando
un poco per i più poveri³.
Come è ormai noto, l’uscita dalla seconda crisi generale del capitalismo novecentesco avvenne attraverso la combinazione di tre processi fondamentali. Innanzitutto una nuova rivoluzione tecnologica, che modificò profondamente la natura e l’organizzazione delle forze produttive e la loro dislocazione territoriale. A questo fenomeno si unì un nuovo salto dell’internazionalizzazione degli scambi che per la prima volta coinvolse oltre alle merci, i capitali finanziari, per la progressiva caduta, a partire dal mondo anglosassone fin dagli anni Ottanta, di tutti i vincoli statali alla loro circolazione, che avevano costituito uno dei punti di forza del capitalismo regolato. Infine il superamento di uno dei tratti caratteristici del libero scambio imposto dalla potenza vincitrice della seconda guerra mondiale dopo circa settant’anni di protezionismo, che combinava la progressiva caduta delle barriere allo scambio delle merci con la potestà regolatrice dello stato sulla circolazione finanziaria, determinò la crescente egemonia della finanza sull’intero sistema economico, con la conseguente marginalizzazione dell’industria come baricentro del sistema produttivo⁴.
In questo contesto l’Organizzazione mondiale del commercio (WTO), uno dei grandi attori della nuova globalizzazione, il custode del libero mercato, aveva organizzato a cavallo del novembre e dicembre 1999, il biennale convegno dei suoi dirigenti allo State Convention and Trade Center di Seattle.
Il movimento contro il modello liberista di globalizzazione, che da alcuni anni si stava sviluppando intrecciando alleanze e producendo un articolato pensiero critico contro i dogmi dell’onnipotenza del mercato, riuscì in questa occasione, grazie anche a un accordo con i sindacati, a organizzare grandi manifestazioni e a bloccare il convegno. Alle 7.30 della mattina del 30 novembre, alcune decine di migliaia di manifestanti avevano invaso il centro della città. Circa diecimila si erano incatenati formando un vero e proprio muro umano che impedì ai delegati al convegno di accedere agli edifici dove doveva tenersi. Lo stesso Kofi Annan, segretario generale dell’ONU che doveva partecipare alla seduta inaugurale, non riuscì a raggiungere l’edificio⁵. La reazione della polizia, presa totalmente di sorpresa dalla vasta partecipazione alla manifestazione e dalle azioni messe in pratica, fu durissima con un largo uso di lacrimogeni e manganelli, con l’aggiunta dei proiettili di gomma, contro i manifestanti e chiunque si trovasse a tiro. Nella battaglia che infuriò fecero la loro prima apparizione gruppi di «persone che indossavano indumenti neri e maschere da sci»⁶. Le manifestazioni durarono per alcuni giorni con la partecipazione anche dell’Afl-Cio, la più importante organizzazione sindacale americana. Una nuova coalizione sociale conquistava la piazza.
In qualche modo la battaglia di Seattle che impediva la tenuta del convegno del WTO e nella quale si affermava un nuovo soggetto politico, il movimento contro la globalizzazione liberale, sembrava essere un eco dell’insurrezione zapatista che il 1 gennaio 1994, giorno dell’entrata in vigore del trattato commerciale di libero scambio NAFTA (North American Free Trade Agreement), aveva visto insorgere l’esercito zapatista guidato dal subcomandante Marcos nel Chiapas. L’esperienza zapatista e le riflessioni di Marcos, e non solo, fecero da subito parte del bagaglio culturale e ideale del movimento. Il proclama dalla Selva Lacandona con cui si dà il via all’insurrezione, «Noi indigeni sfruttati e dimenticati insorgiamo non per prendere il potere, ma per rivendicare per tutti, e con la società civile, i diritti di dignità, democrazia, giustizia e libertà», sarà uno dei principali riferimenti teorici del movimento dei movimenti.
La rivolta contro il trattato Nafta di libero commercio tra Stati Uniti, Canada e Messico (che entrava in vigore proprio all’inizio del ‘94) recava con sé molte suggestioni politiche. Il neoliberismo di Margaret Thatcher e Ronald Reagan, che aveva dominato il decennio Ottanta su scala pressoché mondiale, trovava finalmente un’opposizione radicale. Su tre milioni di abitanti del Chiapas prendevano la parola coloro che rappresentavano istanze e speranze di un milione di indigeni. Con la loro ribellione segnalavano che il primato dell’economia non è tutto e che un’area di libero scambio economico non poteva far dimenticare le condizioni di vita reale delle popolazioni e delle minoranze indigene⁷.
Il riferimento, a volte un po’ mitologico, all’esperienza dello zapatismo e più in generale al nuovo protagonismo di numerose popolazioni indigene che sarà alla base della lunga e vincente ondata del socialismo del XXI secolo
nell’America Latina, segnala alcuni contenuti profondamente innovativi del movimento dei movimenti.
La trasversalità del movimento, meticcio
per scelta e composizione, l’attenzione alla madre Terra e la centralità delle questioni ambientali in un mondo sempre più lanciato verso una folle autodistruzione dell’ambiente, la consapevolezza, in gran parte del movimento, di non poter riproporre modelli alternativi storicamente sconfitti a fronte delle sfide del nuovo capitalismo
postindustriale, la profonda riflessione sull’esodo da una società distruttiva piuttosto che la presa del potere
⁸. Il camminare domandando
del movimento zapatista sembra affermarsi come modello per la crescita del movimento.
Dopo l’irruzione sulla scena politica e sociale di Seattle, il movimento segue un percorso che tiene insieme la presenza nelle strade in occasione degli appuntamenti internazionali dei vari organismi che in qualche modo dirigono
le sorti del mondo, con una profonda riflessione sui contenuti e le strategie che troverà il suo punto più alto con i Forum Sociali Mondiali, il primo dei quali ha luogo a Porto Alegre in Brasile dal 25 al 30 gennaio 2001⁹. L’esperienza dei Forum fu molto importante nell’elaborazione delle riflessioni e delle proposte concrete del movimento, in particolar modo la campagna per l’istituzione della cosiddetta «Tobin tax» (tassazione dei trasferimenti internazionali di capitale proposta dall’economista statunitense James Tobin con il gettito della quale finanziare i paesi più poveri), la cancellazione del debito dei paesi in via di sviluppo, l’eliminazione dei paradisi fiscali, la battaglia contro gli organismi geneticamente modificati e la lotta contro il «libero commercio».
Siamo diversi donne e uomini, adulti e giovani, popoli indigeni, contadini e urbani, lavoratori e disoccupati, senza casa, anziani, studenti, persone di ogni credo, colore, orientamento sessuale. L’espressione di questa diversità è la nostra forza e la base della nostra unità. Siamo un movimento di solidarietà global, unito nella nostra determinazione di lottare contro la concentrazione della ricchezza, la proliferazione della povertà e delle ineguaglianze e la distruzione della nostra terra. Stiamo costruendo alternative, utilizzando modi creativi per promuoverle. Stiamo costruendo una ampia alleanza a partire dalle nostre lotte e dalla resistenza a un sistema che è fondato sul patriarcato, il razzismo e la violenza, che privilegia gli interessi del capitale sui bisogni e le aspirazioni dei popoli¹⁰.
La parola d’ordine che emerge dal Forum, Un altro mondo è possibile
, diviene uno slogan capace di esercitare una notevole forza comunicativa radicalmente opposto all’impossibilità di un’alternativa (TINA) dominante dai tempi della controrivoluzione conservatrice della Thatcher e di Reagan.
Le nouveau siècle commence à Porto Alegre… Cette sorte d’Internationale rebelle se réunit à Porto Alegre au moment même où se tient, à Davos (Suisse), le Forum économique mondial qui rassemble, depuis des décennies, les nouveaux maîtres du monde et en particulier tous ceux qui pilotent concrètement la mondialisation. Lesquels ne cachent plus leur inquiétude. Ils prennent très au sérieux les protestations citoyennes qui, de Seattle à Nice, ont lieu désormais, systématiquement, lors de chaque sommet des grandes institutions qui gouvernent, de fait, le monde: Organisation mondiale du commerce, Fonds monétaire international, Banque mondiale, Organisation de coopération et de développement économiques, G7 et même Union européenne… À Porto Alegre, en ce siècle qui commence, quelques nouveaux rêveurs d’absolu rappelleront qu’il n’y a pas que l’économie qui soit mondiale, la protection de l’environnement, la crise des inégalités sociales et la préoccupation des droits humains sont aussi des affaires mondiales. Et c’est aux citoyens de la planète de les prendre enfin en main¹¹.
Come detto, parallelamente alla vasta e partecipata riflessione collettiva, il movimento contro la globalizzazione liberista è ormai presente in piazza, attore fisso
, nel contestare tutti i summit internazionali dei nuovi padroni del mondo
. E sempre di più al movimento si contrappone un vasto schieramento delle forze dell’ordine per difendere
le riunioni internazionali. Nelle manifestazioni iniziano a coesistere modalità non violente e creative per infrangere le zone rosse
con cui vengono difesi i summit, con pratiche di confronto diretto con le forze dell’ordine. Dopo Seattle, a Praga nel settembre del 2000 contro il summit del Fondo Mondiale Internazionale (FMI) e della Banca Mondiale, duri scontri sconvolgono la città.
I delegati del Fondo monetario e della Banca mondiale prigionieri nel palazzo fino a sera. Il popolo di Seattle
sfida l’impressionante servizio di sicurezza, assedia i potenti. Non sono più di 10 mila, e la gran parte (italiani in testa) fronteggia per ore i poliziotti andando a mani alzate e senza armi contro i manganelli e gli spray al pepe. L’ala dura e minoritaria (cechi, spagnoli, inglesi) sceglie lo scontro. Volano le pietre dell’antico selciato di Praga, si alzano barricate di sedie, cassonetti, travi. Le due anime del movimento anti-globalizzazione celebrano ciascuna alla sua maniera la prima assemblea del Fmi in un paese dell’Est. Capitalism cannibalism
, gridano¹².
È poi il turno di Göteborg, in Svezia, quando in occasione di una riunione sui temi dell’ambiente del Consiglio d’Europa, nel giugno 2001, la polizia reagisce alle manifestazioni di protesta e un poliziotto sparando ferisce gravemente un ragazzo di 19 anni, Hannes Westberg.
Complessivamente tra Seattle e Genova sono ben otto i vertici internazionali accompagnati da proteste e scontri con le forze dell’ordine¹³.
Poi venne Genova.
Le giornate del luglio 2001 a Genova, la loro preparazione, il drammatico svolgimento e la gestione del dopo segnarono un passaggio fondamentale per il movimento dei movimenti oltre che per la storia italiana dell’ultimo ventennio. Quel movimento fu l’ultimo in Italia, con l’eccezione significativa del movimento femminista, a incidere nella scena politica, coinvolgendo settori sociali e culturali diversi da quelli classicamente rappresentati dalla sinistra, sia nella sua versione istituzionale che in quella antagonista. Dopo c’è stato il nulla, perché anche un movimento conflittuale importante come quello No Tav
non è mai riuscito a oltrepassare i confini di una vicenda locale.
Genova fu un evento che segnò il percorso umano prima ancora che politico di un paio di coorti di età. Per alcuni/e il sognato salto di qualità dopo il movimento della pantera
nel 1990; per altri/e il primo, e in molti casi l’ultimo, incontro con l’attivismo politico.
In questo breve saggio non intendo ricostruire nel dettaglio quegli avvenimenti. Per quello abbiamo deciso, come casa editrice, di ripubblicare il racconto a caldo, la cronaca di quelle tre giornate, dal 19 al 21 luglio, che fu pubblicato nel 2002 in Genova. Il libro bianco frutto della collaborazione fra il Genoa Social Forum e cinque testate, «l’Unità», «Liberazione», «il Manifesto», «Manifestolibri» e «Carta».
Vent’anni dopo credo che sia possibile e utile riflettere su alcuni nodi storici e politici rispetto ai quali quegli avvenimenti furono una sorta di cartina tornasole. In particolar modo vorrei affrontare quattro temi che riguardano i movimenti sociali, la gestione dei conflitti e il ruolo dei media: la questione del rapporto tra un movimento sociale e le organizzazioni politiche; quella relativa alla violenza nei conflitti sociali; la gestione dell’ordine pubblico a Genova, messa in confronto al prima e al dopo nella storia dell’Italia repubblicana; lo stato dell’arte della democrazia in Italia, utilizzando come osservatorio privilegiato il ruolo dei media nel racconto e nell’interpretazione delle giornate di Genova. Nel trattare questi argomenti farò riferimento all’esperienza specifica italiana, ma credo che l’insieme di questi temi vada oltre la dimensione nazionale perché il luglio genovese fa parte di un movimento che per alcuni anni fu un protagonista sociale, politico e culturale della scena internazionale.
Partiti e movimenti: l’eterna questione
Il movimento dei movimenti è il primo movimento sociale conflittuale italiano dopo la scomparsa del Partito comunista, il suo cambio di nome (e di ragione sociale) e la scissione da cui prendono vita due distinte formazioni politiche, il Partito democratico della sinistra (poi dal 1998 Democratici di sinistra) e Rifondazione comunista. Nella storia dell’Italia repubblicana a partire dagli anni Sessanta con la nascita della nuova sinistra e poi con il biennio 1968-1969, era andata in crisi la capacità ferrea
del Partito comunista di controllare e organizzare i differenti movimenti sociali che, a volte spontaneamente, emergevano nella società. Così come il sindacato termina di essere semplicemente cinghia di trasmissione
dell’elaborazione teorica e delle priorità definite dal partito, i movimenti sociali acquisiscono non solo una completa autonomia, ma spesso nascono e si sviluppano in polemica esplicita con i partiti. Resta però che nella lunga stagione dei movimenti, che arriva fino alla parte