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Le infinite sfumature dell'estasi
Le infinite sfumature dell'estasi
Le infinite sfumature dell'estasi
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Le infinite sfumature dell'estasi

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About this ebook

In questo libro, ti tufferai in profondità nel mondo dell’esperienza estatica, a partire dal mezzo con cui la maggior parte delle persone la raggiunge: il sesso. Ma questo libro è molto più di una guida pratica sul sesso: è una vera e propria esplorazione della parte erotica di sé e delle infinite possibilità dell’espressione estatica. Le intuizioni e le informazioni che otterrai lungo questo viaggio alla scoperta dell’estasi ti aiuteranno ad avvicinarti al sesso e alle relazioni interpersonali sicuro di te.
LanguageItaliano
Publishermylife
Release dateAug 10, 2012
ISBN9788863868029
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    Le infinite sfumature dell'estasi - Barbara Carrellas

    Barbara Carrellas

    Le infinite sfumature dell'estasi

    Guida pratica per nutrire, scoprire
    ed espandere la tua natura sensuale

    Copyright © 2012 by Barbara Carrellas

    Published and distributed in the United States by: Hay House, Inc.

    Titolo originale: Ecstasy is necessary: a practical guide

    Traduzione: Katia Prando

    Editing: Enza Casalino

    Revisione: Sonia Vagnetti, Marco Morra

    Impaginazione e Grafica di copertina: Matteo Venturi

    Stampa: Fotolito Graphicolor snc Città di Castello (PG)

    I° Edizione: Settembre 2012

    © 2012 Edizioni MyLife

    www.mylife.it

    Via Garibaldi, 77 - 47853 Coriano di Rimini

    ISBN 978-88-6386-802-9

    L’autore di questo libro non dispensa consigli medici né prescrive l’uso di alcuna tecnica come forma di trattamento per problemi fisici e medici senza il parere di un medico, direttamente o indirettamente. L’intento dell’autore è semplicemente quello di offrire informazioni di natura generale per aiutarvi nella vostra ricerca del benessere fisico, emotivo e spirituale. Nel caso in cui usaste le informazioni contenute in questo libro per voi stessi, che è un vostro diritto, l’autore e l’editore non si assumono alcuna responsabilità delle vostre azioni.

    Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta tramite alcun procedimento meccanico, fotografico o elettronico, o sotto forma di registrazione fonografica; né può essere immagazzinato in un sistema di reperimento dati, trasmesso, o altrimenti essere copiato per uso pubblico o privato, escluso l’uso corretto per brevi citazioni in articoli e riviste, senza previa autorizzazione scritta dell’editore.

    Per Anne Francis
    (1930-2011)
    e
    Chester Mainard
    (1953-2007)
    Le mie voci da casa. 

    Una nota sui pronomi

    In questo libro riprendo un’antica tradizione linguistica.

    Tutti i miei lavori sono dedicati a persone di ogni orientamento sessuale e inclini a qualsiasi forma di espressione del proprio genere, compresi quegli individui la cui identità non può essere circoscritta alla definizione di maschile o femminile. Per questo motivo, mi piace scrivere con pronomi neutri. Tuttavia l’inglese ne è tristemente carente. In anni recenti persone intelligenti e volenterose hanno suggerito alternative all’uso del pronome maschile inglese he [lui, egli] da applicare a tutti i generi. Ma termini come ze e hir non hanno attecchito nell’uso popolare e molte persone li ritengono inutili.

    Ho trovato la mia personale soluzione a questo dilemma nella storia della lingua inglese. Sapevi che prima del 1745 esisteva un pronome universale comunemente accettato? A cambiare tutto fu Anne Fisher, maestra inglese del XVIII secolo e prima donna a scrivere un libro di grammatica inglese. Nel 1745 Anne scrisse la popolarissima New Grammar nella quale dichiarava che il pronome he avrebbe dovuto essere applicato a entrambi i sessi. Per secoli, invece, il pronome universale era stato they [loro]. Fin dai tempi di Chaucer, gli scrittori lo usavano sia per il maschile che per il femminile, singolare e plurale. Così fecero Byron, Austen, Thackeray, Eliot, Dickens, Trollope e molti altri.

    Be’, direi che se andava bene a Chaucer allora va bene anche a me. Quindi per tutto il libro userò they quando il genere o la pluralità non sono importanti. Così facendo spero di rendere tutti partecipi al discorso e mi auguro di ispirarti a pensare al di fuori dei binari dei generi e del sesso tradizionalmente inteso.¹

    Preludio

    Il cervello al vaglio 

    della scienza, ovvero l’estasi 

    incontra la paura in laboratorio

    Se un dottore avesse consigliato a me, che soffro di claustrofobia, di chiudermi volontariamente dentro a un macchinario per la risonanza magnetica, avrei risposto di no. Non ne vale la pena, avrei insistito, a meno che non si tratti di un tumore al cervello. Potrebbe suonare tragico ma è davvero così. Soffro talmente di claustrofobia che cambierei la prenotazione di un volo piuttosto che rischiare di sedermi in un posto centrale o vicino al finestrino.

    Allora cosa ci facevo in quella clinica, gli occhi fissi su un enorme macchinario bianco con un’apertura orribilmente piccola, sul punto di sottopormi a una risonanza magnetica al cervello, senza che si trattasse di una questione di vita o di morte? È esattamente quello che mi sono chiesta mentre me ne stavo sdraiata in un gelido laboratorio di analisi di Newark, New Jersey. Facevo profondi respiri, sperando che il cuore smettesse di battere all’impazzata. La sola vista del macchinario per la risonanza aveva innescato in me un attacco di tachicardia sopraventricolare, portando il mio cuore alla modalità fuga-o-lotta, a circa duecento battiti al minuto. Come avevo potuto anche solo pensare di dire di sì a questo esame?

    Mi trovavo lì perché non era stato un medico a chiedermelo, ma una studiosa di orgasmi e un regista di documentari. Questa insolita coppia mi aveva fatto una proposta che non avevo potuto rifiutare: l’opportunità di trovare una spiegazione scientifica a una esperienza erotica che altrimenti non avrei saputo motivare.

    Tutto era cominciato un mese prima, quando avevo ricevuto la telefonata di una produttrice televisiva che stava creando una nuova serie per Discovery Channel. Volevano girare un breve documentario su come avere un orgasmo con il pensiero. All’inizio non ero sicura di cosa intendessero. Avevo orgasmi senza stimolazione genitale da anni, ma la mia tecnica non era esclusivamente mentale. Più importante della visualizzazione che avveniva a livello mentale, era la respirazione ritmica consapevole che mi portava in uno stato di orgasmo prolungato. Stavano cercando persone che raggiungessero il piacere solo con la fantasia? Sapevo per certo dell’esistenza di questo tipo di individui, ma non era il mio caso. No, precisò la produttrice, stavano cercando persone che potessero avere un orgasmo senza nessuna forma di stimolazione genitale. A darle il mio nome era stata la mia amica e collega Nan Wise, studiosa dell’orgasmo. Aspirante dottoranda al dipartimento di neuroscienze della Rutgers University, lavorava con il dr. Barry Komisaruk, uno dei pochi uomini di scienza impegnato nello studio di ciò che accade nel cervello durante l’orgasmo.

    Sapevo che Nan aveva assistito Barry nello studio della funzionalità cerebrale durante gli orgasmi indotti attraverso la stimolazione genitale. Avevano scansionato il cervello di alcune donne mentre raggiungevano l’orgasmo in laboratorio. Di certo non ero la sola persona in grado di avere un orgasmo energetico con il respiro, ma sicuramente ero tra le più appassionate all’argomento. Ero affascinata da questa ricerca e desideravo prendervi parte, ma non mi ero offerta volontaria a causa della claustrofobia di cui soffrivo.

    Avevo imparato per la prima volta come avere un orgasmo energetico alla fine degli anni Ottanta, durante il periodo di massima diffusione dell’AIDS. Lavoravo come general manager al teatro di Broadway. Durante quegli anni terribili frequentavo il New York Healing Circle in cerca di sostegno emotivo e spirituale. Ci stavamo avvicinando al periodo più nero di tutti. L’industria del teatro, con la sua percentuale esorbitante di uomini gay, era stata una delle comunità più devastate dall’epidemia. Nel giro di poche settimane, a causa dell’AIDS, persi quattro persone care tra amici, familiari e colleghi. Ero arrivata al New York Healing Circle con un bisogno urgente d’aiuto per gestire il dolore inarrestabile e schiacciante che provavo. In quei giorni non era insolito trovarsi in ospedale accanto a un amico morente, solo per venire a sapere che un altro era appena spirato all’altro capo della città. Le persone morivano a una tale velocità che non si riusciva a piangerle in modo appropriato. Volevo risposte alle grandi domande che ci facciamo quando avvengono delle tragedie. Interrogativi come Esiste un Dio? e Se un Dio esiste, perché permette che accada tutto questo?.

    L’incontro del grande gruppo dell’Healing Circle si svolgeva nell’auditorium di una scuola superiore sulla Diciassettesima Strada. Dopo un’ora che mi trovavo lì, avevo capito di essere nel posto giusto. Il circolo si fondava sui principi dell’amor proprio e del pensiero positivo diffusi da Louise Hay. Il suo gruppo, l’Hayride, che si incontrava ogni settimana a Los Angeles, stava offrendo un supporto simile a centinaia di malati di AIDS sulla West Coast. L’amore, il conforto, l’incoraggiamento, l’amicizia e il sollievo che vi si respiravano erano talmente edificanti e genuini che lasciavi gli incontri con la sensazione di poter camminare sull’acqua. Nel giro delle prime due riunioni, il bisogno pressante che mi aveva portato lì era stato soddisfatto in modo eccellente e scoprii di averne uno ancora più urgente: quello di aiutare gli altri.

    I gay avevano costituito l’avanguardia della rivoluzione sessuale. Avevano portato l’esplorazione e l’espressione sessuale a vette e profondità senza eguali. E ora tutto questo era finito. La libertà sessuale che avevamo celebrato con tanto entusiasmo e abbandono negli anni Settanta, adesso si era trasformata in un’arma di autodistruzione. Iniziammo a praticare il sesso nel modo più sicuro possibile, almeno quelli di noi che ancora lo facevano. Nella nostra comunità, c’erano persone talmente malate o spaventate che smisero di avere rapporti sessuali. Il resto di noi si rivestiva di lattice e si augurava che tutto andasse per il meglio. Ma era una situazione precaria. Sapevo che la paura non avrebbe indotto le persone all’astinenza o al sesso sicuro per sempre. Dovevamo trovare modi nuovi che rafforzassero lo spirito, che ci guarissero emotivamente e che fossero sicuri ed estatici quanto i mega party a base di sesso e droga che duravano tutta la notte dell’era pre AIDS. All’Healing Circle conobbi due pionieri dell’erotismo, Joseph Kramer e Annie Sprinkle. Anche loro cercavano un modo nuovo per esprimersi sessualmente. Unimmo con entusiasmo le nostre forze. Diventammo cari amici, colleghi, una famiglia.

    La nostra ricerca ebbe inizio in oriente. Joseph stava già studiando i principi della sessualità taoista e aveva cominciato ad abbinarli alla pratica del massaggio e alla tecnica del rebirthing. Stava mettendo a punto una tecnica di massaggio erotico ed era sulla buona strada per creare un percorso completo verso l’illuminazione spirituale, la guarigione e il sesso spinto. Annie, una famosa pornostar, si stava interessando all’arte erotica femminile e la guarigione sessuale. Insieme a lei cominciai a studiare il Tantra. Nelle pratiche spirituali orientali, il sesso non è considerato tanto un atto eseguito, ma piuttosto un’energia che si lascia fluire. E niente poteva dimostrare meglio il passaggio di energia sotto forma di estasi come gli orgasmi ottenuti con il respiro.

    Il mio primo orgasmo energetico avvenne durante un  piccolo seminario condotto da una donna di nome Jwala, il cui nome significa Fuoco d’amore, che sarebbe diventata presto la mia prima maestra di Tantra. La conobbi come molti dei miei insegnanti in quel periodo: era venuta all’Healing Circle come ospite per tenere un discorso. Jwala era una vera hippie. Non aveva fissa dimora, passava molto tempo a studiare con i suoi guru in India ed era diversa da tutti i ricercatori spirituali che avevo incontrato. Era carnale e mistica con la stessa intensità. Malgrado in lei questa combinazione sembrasse naturale e spontanea, all’inizio ero scettica. Qualcosa nel profondo della mia formazione cattolica precedente e della mia personalità newyorkese istigata dall’ambizione professionale, mi faceva rizzare il pelo contro la sua grande dedizione per la libertà, la sessualità e la spiritualità. Ero invidiosa di quanto sembrasse felice. Ma Jwala era generosa e disposta a insegnarmi tutto quello che sapeva; innanzitutto mi spiegò come avere un orgasmo energetico con il respiro.

    Ci sedemmo in cerchio sul pavimento mentre Jwala spiegava il funzionamento della tecnica. A ogni respiro, raccontava, immaginate di riempire di energia tutti i chakra, i sette principali centri energetici del corpo. Per mostrare come fare, Jwala si era sdraiata sulla schiena al centro del cerchio e aveva iniziato a respirare. La osservammo usare il respiro e l’immaginazione per attrarre l’energia dalla Terra fin dentro il suo corpo. Era partita dal primo chakra (perineo), risalendo gradualmente fino all’ultimo. Nel giro di pochi minuti rideva, tremava e si contorceva sul pavimento. Fu uno degli orgasmi più gioiosi e intensi a cui avessimo mai assistito. Poi toccò a noi.

    Jwala ci offrì alcune indicazioni sotto forma di meditazione guidata. Non c’era niente di erotico, e all’inizio non provai nulla. Ma sentii Jwala dire: Non preoccupatevi, continuate soltanto a respirare, e così feci. Immaginai di far salire l’energia di chakra in chakra. Nell’istante in cui l’energia raggiunse il mio cuore, sentii un formicolio alle braccia che si diffuse al torace e alle gambe. Iniziai a ridacchiare. Ebbi la sensazione di venire sollevata da un’enorme onda che cresceva in altezza e in forza a ogni respiro. Scoprii che tutto quello che dovevo fare per restare sulla cresta era continuare a respirare. Jwala ci stava ancora guidando lungo i chakra, ma ormai io andavo per conto mio. Ridevo istericamente. Gemevo con profondi sospiri intermittenti. Ero tutta un formicolio. Era come se lampi di luce fuoriuscissero scoppiettando dalle mie dita. Mi sentivo animata dagli dei. E la cosa continuò a lungo.

    Com’era possibile che ignorassi l’esistenza di questa pratica? Tutti avrebbero dovuto sapere come farlo! L’estasi che avevo provato era ciò che immaginavo potesse essere il sesso. Ma raramente, o forse mai, era stato così. Strano a dirsi, questo orgasmo energetico con il respiro si era sviluppato in ogni angolo del mio corpo tranne che nei genitali.

    L’esperienza d’estasi era andata ben oltre il piacere. Fu un evento che mi cambiò profondamente e mi fece conoscere tutte le mie emozioni (comprese alcune che non avevo mai provato prima). Fu come attraversare a nuoto un vortice nel punto di convergenza dei fiumi chiamati Emozione, Intuizione, Misticismo e Sesso.

    Ne fui subito conquistata. Gli orgasmi energetici con il respiro divennero il fondamento della mia personale pratica erotica e la pietra miliare su cui in seguito ho costruito la mia professione di scrittrice e insegnante di seminari sull’argomento.

    E adesso mi trovavo in un laboratorio di analisi a Newark. Dopo vent’anni e innumerevoli orgasmi energetici con il respiro, ero sul punto di scoprire la risposta alle domande che mi ero fatta e che mi avevano posto centinaia di persone ai seminari: si tratta veramente di orgasmo? Mi ero presa gioco di me per tutti quegli anni? Stavo semplicemente iperventilando? O forse non facevo altro che procurarmi convulsioni indotte dalla respirazione? Il cervello riconosceva la differenza tra un orgasmo genitale e questa esperienza estatica, visionaria, trascendentale che sembrava coinvolgere tutto il corpo fino all’apice del piacere?

    Ero arrivata nell’ufficio del dr. Barry Komisaruk alle 9.30 del mattino, accompagnata dalla mia amica Sarah Sloane. Aveva risposto alla mia disperata richiesta di avere accanto una professionista del piercing quando mi fu detto che per fare la risonanza magnetica avrei dovuto togliere i gioielli dai diciotto fori che avevo sul corpo. Alcuni di essi non erano mai stati rimossi nel corso dei venti anni precedenti e sei non potevano essere riposizionati senza l’aiuto di un professionista. Ma la presenza di Sarah quella mattina non era dovuta solo alla sua abilità nei piercing. Non mi fu chiesto di rimuovere i vari gioielli, mi fu ordinato e io non reagisco molto bene alle imposizioni. Oltre all’apprensione per la claustrofobia, mi sentivo anche intimidita e provavo rabbia e impotenza per i miei piercing. In precedenza, avevo svolto dei rituali con Sarah e mi aveva sempre fatto sentire al sicuro. Mi dava forza e sostegno; riusciva a essere determinata e protettiva. Avrei avuto bisogno di tutte le sue doti per superare la giornata.

    Avevo imparato che fMRI sta per scansione con risonanza magnetica funzionale. Il macchinario con cui eseguirla è un imponente e costoso attrezzo medico che genera campi magnetici (da qui la necessità di rimuovere tutti i gioielli) con lo scopo di tracciare l’attività cerebrale. Per sottoporsi a questo tipo di esame, devi sdraiarti su una piattaforma orizzontale, simile a una barella, che scorre all’interno dello stretto tunnel cilindrico della macchina, dove sei circondato fin sotto la vita.

    L’esame prevede la scansione magnetica del paziente da tutti i lati e rivela la struttura del cervello e la sua attività. Funziona così: i neuroni cerebrali attivi consumano più sangue di quelli inattivi. Quindi, il sangue fluisce maggiormente in certe aree del cervello quando sono attive. L’emoglobina presente nei globuli rossi è una molecola che immagazzina ossigeno tramite l’aria che entra nei polmoni ed è capace di assorbirlo e rilasciarlo molteplici volte. L’emoglobina ossigenata è diamagnetica, cioè respinge leggermente un campo magnetico. Quella deossigenata invece è paramagnetica, vale a dire che l’applicazione di un campo elettrico esterno la rende leggermente magnetica. Il macchinario per la risonanza intercetta la proprietà lievemente magnetica dell’emoglobina deossigenata nelle aree neurali attive e trasmette questi risultati in maniera tale da permettere ai ricercatori di studiare l’attività del cervello.

    Affinché la scansione sia precisa, il paziente deve restare immobile. Ma come avrei potuto avere un orgasmo senza muovermi? Mi ero esercitata a casa per una settimana, tenendo ferma la testa tra due pile di cuscini mentre raggiungevo l’orgasmo con la respirazione. Ero ragionevolmente sicura di poterlo fare senza muovermi troppo. Ma per fare la risonanza, non muoversi troppo non era sufficiente. La testa non doveva muoversi affatto. Il dr. Barry mi spiegò che avrebbe creato una specie di casco in rete di plastica da posizionare sul capo per immobilizzarlo. Mi venne in mente Hannibal Lecter. La cosa stava diventando troppo assurda persino per me. Feci respiri lenti e profondi. Il dr. Barry mi chiese se stessi bene. Sarah sembrava sul punto di dare un pugno a qualcuno se avessi detto di no. Lo trovai rassicurante.

    Una volta messo a punto il casco di contenimento, non ci restava che andare nella struttura vicina che aveva il macchinario per la risonanza magnetica. È un tipo di attrezzatura molto costoso. Non puoi fare un colpo di telefono al negozio all’ingrosso di zona e ordinarne una perché ne hai bisogno per l’esperimento di scienze del giorno. Avevamo a disposizione un prezioso paio d’ore tutto per noi per svolgere l’esperimento. L’orologio aveva già iniziato a ticchettare quando gettai il primo sguardo all’apertura orribilmente stretta attraverso la quale intendevano infilare il mio corpo con la testa protetta dal caschetto. Ebbi un attacco di tachicardia sopraventricolare.

    Cercai di costringermi a rilassarmi, ma, com’era prevedibile, non ci riuscii. Pregai, meditai e supplicai la mia guida interiore di dirmi se fosse il caso di lasciare  il laboratorio o restare lì fino a che la tachicardia non si fosse interrotta. Per tutto il tempo, Sarah aveva alternato i tentativi di calmare me, in una stanza, e i produttori televisivi e gli studiosi di orgasmi, altrettanto agitati, nell’altra.

    Alla fine il produttore capo entrò nella stanza dove giacevo sul pavimento. Non c’era più tempo per decidere. Mi disse che non avrei dovuto sottopormi alla risonanza se sentivo di non farcela. Avevano elaborato un sistema alternativo per ricavare il tracciato. Ascoltai. Valutai la sua offerta. Ma l’alternativa, ovviamente, non avrebbe fornito la prova decisiva dei miei orgasmi energetici con il respiro. Malgrado l’attacco non fosse del tutto finito, sapevo che il mio cuore non sarebbe esploso. Finalmente riuscii a sentire la voce dell’intuizione parlare più forte della paura: Puoi farcela. L’orgasmo energetico con il respiro è la via d’uscita dal panico che stai provando.

    I produttori televisivi erano stati molto rispettosi. Non avevano ripreso nemmeno un minuto del mio terrore. Chiesi loro di tenere le videocamere spente ancora per qualche minuto finché non fossi entrata nel macchinario per la risonanza. Con un sollievo e un’apprensione trattenuti a stento, mi accordarono quanto richiesto. Il dr. Barry e Nan mi posizionarono sul capo il caschetto in rete di plastica e lo fissarono a una cornice tondeggiante in acciaio attaccata alla piattaforma della macchina. Mi sentivo come la vittima impotente di un film dell’orrore inglese della metà degli anni Settanta. Il dr. Barry mi chiese se fossi pronta.

    Un’altra cosa, aggiunsi. Per favore potreste bendarmi gli occhi?. Il dr. Barry parve sorpreso ma accomodante e avvolse la benda attorno alla cornice di acciaio e al caschetto.

    Ah. Meglio. Bendata, potevo fingere che si trattasse di una scena sessuale particolarmente perversa, invece di una tortura medica. La ragione principale per cui avevo voluto la benda era che quando ho un orgasmo energetico con il respiro i miei occhi si aprono. Se avessi visto che mi trovavo in quel tunnel, ero certa che lo avrei perso. Immaginai di bucare le pareti d’acciaio del macchinario con la mia forza sovraumana.

    Poi, chiesi un’ultima cosa: tappi per le orecchie. Mi ero preoccupata solo dello spazio ristretto e circoscritto, ma tutti quelli con cui avevo parlato della risonanza magnetica mi avevano messa in guardia dal rumore. E avevano ragione. Il rumore metallico, i colpi e il fracasso che produce sono assordanti. Per fortuna da tempo sono appassionata di musica strana sparata a tutto volume. I tappi ridussero la cacofonia quanto bastava per sfruttare quei rumori come musica di sottofondo in una colonna sonora sperimentale di un film di fantascienza.

    Alla fine mi fecero scivolare nella macchina per la risonanza. Inizialmente fu una cosa tranquilla. Prima di svolgere la scansione vera e propria, dovevano scattare delle fotografie statiche al cervello. Queste immagini avrebbero rappresentato la tela su cui si sarebbe manifestata l’attività cerebrale. Me ne stavo sdraiata in quello spazio strettissimo mentre loro trafficavano, sistemavano e calibravano. Per fortuna, conoscevo un modo per affrontare tutto questo. Da bambina, avevo imparato a lasciare il mio corpo quando le condizioni in casa si facevano troppo claustrofobiche e terribili. Così fluttuai in un angolo del laboratorio, vicino al soffitto, e aspettai che Nan, il dr. Barry e il tecnico finissero. Quando furono pronti scivolai nuovamente dentro me stessa. Mi concentrai sul respiro. Visualizzai l’energia erotica fluire dentro di me attraverso la sommità della testa e le piante dei piedi. Feci spuntare una radice immaginaria dai genitali che mi connetteva con il centro della Terra. Visualizzai energia erotica rossa come il fuoco che scorreva dentro di me partendo dal basso, mentre un sole incandescente si riversava in me dall’alto.

    Nel giro di pochi minuti, stavo facendo uno dei lunghi viaggi che associavo a quel genere di orgasmo. È un po’ come volare su un tappeto magico. Non so mai in quale punto del cosmo finirò, ma si tratta certamente del posto giusto in cui andare. Quella volta sembrava che qualcuno avesse diviso l’universo in una serie di stanze che comunicavano tra loro tramite portali che si aprivano e si chiudevano come le iridi degli occhi. Ci voleva una enorme quantità di energia e di respiro per attraversarne uno. Una volta oltrepassata la soglia, il viaggio diventava più lento e fluido e avevo la possibilità di riconoscere e incontrare diverse tribù di antenati. Vedo spesso persone defunte in questi stati di trance, e quella volta fu un giorno memorabile per i cari estinti. Alcuni erano appartenuti alla famiglia allargata di questa vita. Altri erano esseri alati. C’erano stanze affollate di antenati appartenenti ad antiche culture. Ciascuna tribù impartiva un diverso genere di amore e sostegno. Avevo la sensazione che mezzo universo si fosse fatto vivo per dire: Ciao, ti amiamo. Ti ricordiamo, anche se tu potresti non ricordarti di noi. Sappiamo quello che stai facendo e siamo qui per te.

    Risi, piansi, rimasi senza fiato, in soggezione. Il viaggio che stavo vivendo non si stava svolgendo solo nella mia testa, ma anche per tutto il corpo. Nan era accanto alla macchina per la risonanza magnetica. Mi aveva chiesto di stringerle la mano quando iniziavo a sentire l’orgasmo. Gliel’avevo stretta quando ero passata attraverso il primo portale. Più respiravo e continuavo ad avanzare, più l’orgasmo si diffondeva nel corpo e più frequentemente e intensamente stringevo la sua mano. Nan usava l’altra per comunicare al dr. Barry l’intensità dell’orgasmo. Più stringevo la sua mano, più dita sollevava. Nan mi disse di non aver avuto più dita a disposizione poco prima della metà del viaggio. Mi trovavo in uno stato di alterazione tale che non ricordo di essermi fermata. Alla porta successiva, il dr. Barry e il tecnico

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