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Celestino: un’infanzia quasi felice
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Celestino: un’infanzia quasi felice
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Celestino: un’infanzia quasi felice

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About this ebook

Non il semplice ricordo o la consueta ricostruzione di un’infanzia da parte di un adulto, ma una vera e propria “immersione” di un bambino nei primi anni della propria vita. 
Attraverso i suoi occhi e le sue parole, il piccolo Celestino ci svela la sua storia senza seguire un preciso ordine cronologico, ma percorrendo la mappa emotiva del suo mondo: il cortile e la casa della nonna, l’asilo e la scuola delle suore, la casa della mamma, la parrocchia, la scuola pubblica, le gite domenicali e le vacanze estive. 
Un minuscolo ma significativo spaccato di un paese (ma non solo) del Veneto nei primi anni Sessanta visto con lo sguardo di un bambino, nato sì in città ma per lunghi e regolari periodi vissuto, con la sorella, in campagna. 
A sconvolgere la sua piccola mente, un giorno di primavera entra nella sua classe, in una scuola elementare gestita da suore, “un vecchio prete basso, con le lenti grosse, piene di cerchi sempre più piccoli” a chiedere se ci sia per caso qualcuno che abbia intenzione di entrare in seminario, di farsi prete (La vocina). 
Sta per concludersi così l’infanzia “quasi felice” di Celestino, scelte fin troppo impegnative lo assediano, rischiando di sopraffarlo.
LanguageItaliano
Release dateOct 5, 2021
ISBN9791259600745
Celestino: un’infanzia quasi felice

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    Celestino - Francesco Crosato

    Francesco Crosato

    Celestino

    un'infanzia quasi felice

    Francesco Crosato

    Celestino

    un'infanzia quasi felice

    RONZANI S.r.l. - © Ronzani Numeri

    Via San Giovanni Bosco, 11/2 - 36010 Dueville (Vi)

    www.ronzanieditore.it | info@ronzanieditore.it

    eISBN 979-12-5960-074-5 - Prima edizione digitale: ottobre 2021

    Questa opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore (L. 633/1941 e successive modificazioni). L’utilizzo del libro elettronico costituisce accettazione dei termini e delle condizioni stabilite nel contratto di licenza. Tutti i diritti, in particolare quelli relativi alla riproduzione in qualsiasi forma, nonché alla pubblicazione e diffusione attraverso la rete Internet, sono riservati.

    La duplicazione digitale dell’opera, anche se parziale, è vietata. Per l’autorizzazione all’uso dei contenuti, si prega di rivolgersi alla Casa editrice

    ISBN: 9791259600745

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    https://writeapp.io

    Indice dei contenuti

    Celestino

    IL CORTILE DELLA NONNA

    LA CAMERA DELLA NONNA

    A CASA DALLA MAMMA

    ALL’ASILO E A SCUOLA DALLE SUORE

    ANCORA DALLA NONNA

    GITE, GIOSTRE E VACANZE

    A SCUOLA DA SOLI

    LA VOCINA

    ALLA SCUOLA PUBBLICA

    VISITA AL MAESTRO

    NOTE

    NOTA ORTOGRAFICA SUL DIALETTO

    VentoVeneto 12

    Celestino

    Francesco Crosato

    «Quando si narrano fatti veri passati, si estraggono dalla memoria non i fatti in se stessi, che sono passati, ma le parole suggerite dalle loro immagini, che, passando attraverso i sensi, hanno impresso quasi delle orme nella mente. La mia infanzia, che non esiste più, è nel passato che non c’è più; la sua immagine, però, quando la rievoco e ne parlo, io la vedo nel presente, perché è ancora nella mia memoria».

    S. Agostino, Le Confessioni,

    Libro XI, cap. XVIII.

    Il pennello sfiora il celeste sul bordo del piatto bianco, tocca il cielo, accarezza il manto, s’immerge, sfiora il rosa e lo stende piano sulla fronte, attorno agli occhi: la Madonna lo guarda dolce, sempre più bella. Il pennello affoga nel cielo nuvoloso, s’intinge in una macchia nera, segue le sopracciglia, le labbra: la Madonna sempre più vicina sorride e lo guarda.

    È la Madonna della grotta più piccola dell’asilo, quella che si può perfino toccare con la mano: col piede immacolato schiaccia decisa, ma quasi soprappensiero, la testa del serpente che sputa fuori la sua lingua rossa e biforcuta.

    IL CORTILE DELLA NONNA

    L’aiuola posa sui sassi i suoi capelli verdi, mentre dal treppiede piangono trecce da un vaso. Oltre la siepe, il cappello sfondato dello spaventapasseri. Non spaventi più nessuno col sole, caro il mio spaventapasseri, tanto meno i passeri che si rincorrono da un ramo all’altro e poi volano a prendere il sole lungo i fili della luce.

    Sul marciapiede un merlo marcia solitario.

    Celestino se ne sta con le gambe nude sulla paglia della seggiola: si toglie gli zoccoli per sentire i sassi tiepidi.

    Un esercito di formiche della gloriosa Fanteria Regia avanza sul greto del Piave, Fiume Sacro alla Patria, e s’arrampica lungo il muro, tra i monti del Pasubio. Qualche formica rossa degli Arditi attraversa, coltello tra i denti, il cemento minato, a puntini. Uno sbaretolón austriaco esce allo scoperto, dà un’occhiata in giro e scappa, risalendo le crepe che ‘aveva disceso con orgogliosa sicurezza’, come dice il Bollettino della Vittoria Firmato Diaz incorniciato di fianco al crocifisso a scuola.

    Una lama è piantata di sbieco davanti al portone tagliato da catenacci e ricoperto da squame di pelle di serpente.

    La casa della nonna è una galea veneziana con la scala di legno tirata a lucido. Il Sacro Cuore alla parete mi ordina di segnarmi sotto il suo lume sempre acceso non t’avessi mai offeso oh mio caro e buon Gesù non ti voglio offender mai più.

    Come metto il piede sulle tavole di legno in camera, l’acquasantiera e il lampadario dondolano e mi muovono le budelle, il trumò col cappello di un ammiraglio mi riflette sul suo specchio scuro. Goccioline di umidità scendono dalle pareti. Giù invece c’è il sottoscala buio, dove se comincia a piovere la nonna infila più piante possibili dal cortile. Si salvi chi può!

    Il treppiede con le sue trecce abbandona il ponte del veliero per ultimo, se trova posto, sennò resta fuori, alla tempesta. E gli sta bene! Vecchio e scrostato com’è, piange sempre anche quando, come oggi, c’è il sole.

    Appoggio la mano sul legno tiepido del balcone ricoperto da squame di pelle di serpente, mentre le tende si gonfiano per il vento.

    Fra un po’ l’uccellino della radio cinguetterà con l’ultima selìga rimasta sul filo della luce e il sole brillerà sul pavimento lasciandosi dietro una lunga scia di polvere.

    A Pasqua forse tornerò a casa.

    Ho già pronta in cartella la lettera per la mamma da infilarle di nascosto sotto il piatto.

    La tana del nonno

    Mi avvicino alla tetòia del nonno col cuore che batte forte e mi guardo attorno come un ladro. Mi sembra di fare qualcosa di sbagliato. Anche quando me ne sto in cortile e non faccio niente lì, vicino alla pompa, mi sembra di fare qualcosa di sbagliato, o quando entro in qualche stanza… lì sì però sto facendo senz’altro qualcosa di sbagliato, la nonna me lo dice sempre: « No’ sta ’ndàr curiosàr in giro, Celestino!»

    Io invece vado sempre a cacciarmi nello sgabuzzino a metà scala, pieno di pannocchie, con una trappola per sórzi che guardo di sfuggita sperando che non ci sia un sórze, anche se un giorno o l’altro lo troverò un sórze, lì dentro, e così imparerò una buona volta a non andare a curiosare in giro.

    La nonna brontola sempre, il nonno bestemmia ubriaco, soprattutto di notte, la zia grida la sera quando torna dal lavoro e magari piove e gli tocca spingere la bici fin dentro casa con l’ombrello in mano: « Voéu vèrsarme ’sto portón? No’ vedé che go ’e man intrigàe?»

    Quando entro in tetòia ho paura perché lì dentro il nonno nasconde le sue bottiglie, anche se io, di bottiglie in tetòia, non ne ho mai vista una. La nonna però dice che « ghe ze bòsse scónte dapartùto eà drénto» e che « quéo eà el ze bon ’ndàr soteràrle sóto l’orto cóe patate e so maedéte bòsse».

    Il nonno, quando è in tetòia, se ne sta seduto su un sóco, col cappello in testa. Sulle spalle, la giacca di velluto a righe che sa di tabacco, un ciuffo bianco al posto del baffo e un occhio chiaro che sembra di vetro. Di solito cura radicchio con la sua brítola, scuoia conigli e squarta galline. Ho sempre paura che mi arrivi alle spalle, per questo mi volto continuamente indietro.

    Lì è bello soprattutto quando la pioggia vien giù forte in estate e batte sull’insalata, sulle zucche, sulla giacca dello spaventapasseri, sul laghetto, sulle lamiere arrugginite del tetto, su tutti quei coperchi di latta tondi e appuntiti. L’acqua entra anche dentro in tetòia e se mi trovo in un punto sbagliato, mi scivola giù sulla schiena. Scende da un buco vicino al palo storto che tiene su tutto.

    Le galline se ne stanno inpuneràde in fondo, i conigli schiacciati in un angolo nelle gabbie. Sembra che tutti abbiano una gran paura lì dentro, verso sera. I conigli si sa che hanno paura, ma anche le galline, oltre che stupide, non sembrano per niente coraggiose. Non riesco a star tranquillo in tetòia ma ci vado lo stesso.

    Tra le lamiere scopro sempre qualcosa di nuovo: una colombina del Duce, una medaglietta di Fatima, un santino di sant’Antonio o di Bernardetta in ginocchio con la sorellina davanti alla grotta, o di san Giovanni Bosco che solleva la tònega nera impolverata e gioca a pallone con dei bambini urlanti. Se arriva il nonno, come una stupida e paurosa gallina, scappo dietro il punèr, raggiungo la pompa, attraverso il cortile e, facendo finta di niente, entro in cucina. Anche se raschio bene le suole sulla lama piantata di sbiègo davanti al portone, la nonna mi ricaccia sempre fuori perché le sporco il pavimento di cemento coi puntini anche se sono ormai quasi tutti consumati: « Córi fòra, cèo, và ra fango che te me porti drénto, to mare!»

    La Venere d’Urbino

    Con la stessa paura con cui entro nella tetòia del nonno, mi infilo nel salotto nuovo della zia, aprendo la porta a vetri che, dice la zia, dà luce alla stanza, anche se la stanza è sempre al buio, coi balconi chiusi, perché la zia ha paura che il sole le smarìssa il sofà. Prima della porta a vetri c’era il portone di legno, uguale a quello della cucina di fronte: « ’ Varémo da canbiarlo pa’ fòrsa, un dì o st’altro, anca sto portón, sinò qua ze cofà ’na scarpa e un sòcoeo» brontola la zia, ma la nonna alzando il braccio le risponde di cambiare casa, che fa prima.

    La nonna sta di là, in cucina, e non mi può sentire. Cammino scricchiolando sul linoleum verde come le poltrone, incollato da poco sul vecchio pavimento in cemento coi puntini consumati. Anche il cellofan sulle poltrone e sul divano scricchiola se provo a sedermi. Meglio star fermo. Le bolle di umidità hanno ripreso a correre lungo le pareti, anche se solo due sabati fa la zia le ha scrostate a una a una e ha imbiancato: « Chéa bruta troia de ’na mufa», ripete sospirando.

    Nella vetrinetta, i bicchieri, che ha tirato fuori dopo tanti anni dagli scatoloni scuri, stanno in fila come soldatini, le bambole spagnole mi guardano, gonne all’aria, la ballerina sulla gondola sarebbe pronta a partire felice se solo le girassi la chiavetta sulla schiena.

    Sugli scaffali, una lunga serie

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