Il segreto del Clown: e altri saggi filosofici
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Il segreto del Clown - Valentino Bellucci
Valentino Bellucci
IL SEGRETO DEL CLOWN
e altri saggi filosofici
deserto2Premessa
Dopo Nietzsche la Filosofia non può essere che una spina nel fianco. Inutilmente certi hegeliani più o meno mascherati hanno cercato di ricomporre una sua posizione accademica che in realtà non è mai esistita. Hegel resta il cialtrone assoluto. I primi filosofi erano degli idiot savant, cadevano nei fossi per studiare le stelle, mettevano per ore la testa in un forno ormai tiepido, avevano poteri mistici, morivano gettandosi nei vulcani o per eccesso di veleno.
Il vero aut-aut è da sempre questo: i sofisti o Socrate? I professionisti del sapere o i giullari del sapere? Questi saggi sono dalla parte dei giullari, quei giullari che amano scherzare e dire quelle verità a cui nessuno pensa; oggi l’occidentalizzazione sta corrodendo sé stessa e non è piacevole. I problemi enormi dell’ecologia, dell’etica, dell’economia, in fondo sono gli effetti di concetti errati che si sono impossessati della mente umana. Il filosofo come esorcista? Non sarebbe altro che una variante del giullare. Il giullare-filosofo esorcizza, risveglia, deride, urla, canta, danza. Se nel mondo greco Socrate scandalizzò molti dicendo chiaramente che la felicità non ha nulla a che fare con il corpo, oggi il giullare-filosofo dovrebbe scandalizzare nel dire che anche gli elettroni hanno un’anima. Pardon, una coscienza!
Ma la cultura di massa e quella accademica non ne vogliono sapere; preferiscono stordirsi con allucinogeni tecnologici o filologici. Posso comprenderli. Chi ha tempo per la verità? È stata sempre troppo scomoda, troppo ingombrante, troppo.
Eppure qualcuno diceva: la verità vi renderà liberi
. Ma come la mettiamo con quelli che amano restare in catene? Ecco, al giullare non resta che proseguire nel suo canto. Il filosofo indossa il suo costume e inizia il suo delirio. Egli osa affermare, in questi saggi, che un folle danzante è pur sempre migliore di qualsiasi accademico (qui anche le citazioni fanno parte della danza) buon passo, allora, caro lettore.
Valentino Bellucci, Ancona 2016-05-16
Fenomenologia del Clown
Saggio sul comico
…leoni che ridono hanno da venire![1]
F. Nietzsche
Il clown è un poeta in azione. È lui stesso la storia che interpreta[2].
H. Miller
…il Circo Equestre è uno di quei quattro o cinque schemi elementari – come il Tempo, lo Spazio, l’Amore, la Fame – che sono dall’origine immutabili e perfetti[3].
M. Bontempelli
Introduzione
"Il vecchio rabbino Mordekhai Weiss è stato accolto in paradiso ma, essendo un attaccabrighe e uno che non la smette mai di porre domande, anche lì infastidisce un po’ tutti, da Abramo a Mosè, dall’angelo Gabriele all’Eterno. Un giorno anzi gli chiede:
«Signore del mondo, cosa sono per te mille anni?»
«Un minuto.»
«E un milione di dollari?»
«Un centesimo.»
«Signore del mondo, regalami allora un centesimo.»
«Senz’altro, aspetta un minuto.»"[4].
Perché questa storiella ebraica ci fa ridere? Se lo chiedessimo a una persona qualsiasi probabilmente ci risponderebbe: perché è buffa! Ma che significa buffo
? E cosa rende certi fatti, certe storie, qualcosa di buffo, di comico? Con questo saggio vorremmo cercare di analizzare ancora una volta un problema filosofico che ha interessato uomini come Bergson, Nietzsche, Bataille e altri. Ma nelle loro risposte, pur essendoci acume e profondità, c’è sempre qualcosa che manca. È come se l’essenza del comico sfuggisse di continuo, e soprattutto quando ci si approssima a coglierla. È chiaro, come vedremo riferendoci a Le Goff, che il problema del riso è un problema assai complesso, con valenze storico-culturali, psicologiche e sociologiche, e non è possibile esaurirle tutte. Ma ciò che ci interessa fare è tentare una descrizioni fenomenologia del fenomeno, sperando di poterne cogliere l’essenza. È per questo che il titolo di questo saggio si riferisce al Clown. La sua figura (e ciò apparirà totalmente chiaro nella parte dedicata ad un racconto di Henry Miller) vuole essere un punto focalizzatore, un baricentro del comico. È come se il clown fosse l’uomo divenuto interamente comico, o almeno questo è il primo significato che scorgiamo nel clown stesso. Come già notava Jean-Paul Sartre: Il riso è una risposta globale: io interiorizzo la contraddizione, e me ne libero calcando sull’antitesi: l’ubriaco non è né il mio prossimo degradato né il mio nemico diabolico; è un subuomo che si scambia per un uomo, ed io assisto, io, persona umana per diritto divino, ai suoi sforzi grotteschi e vani per avvicinarsi alla nostra condizione. […] Il riso scaturisce dall’intenzione vissuta – ed inconscia – di radicalizzare l’antitesi, riducendo l’ubriaco alla pura esteriorità[5].
In queste parole di Sartre c’è già l’abbozzo di una teoria del riso, una teoria ontologica, se si vuole, e noi potremmo accogliere già il suo acuto suggerimento per aggiungervi che il Clown è il subuomo assoluto, una sorta di ubriaco perenne, la radicalizzazione ufficializzata dell’antitesi. Ma così si aprono nuovi problemi, ancora più complessi: cos’è esattamente un subuomo e in che rapporto sta con l’uomo? E tutto ciò non presuppone una essenza dell’uomo? Ma tale essenza è assai dubbia e allora il subuomo è un enigma tanto quanto l’uomo. Inoltre perché proprio il riso è la reazione a questo spettacolo? Lo stesso Sartre approfondisce un discorso che dovrò lasciare allo stato di abbozzo per motivi di spazio, per poter proseguire su Flaubert:…coloro che ridono, non spiegano mai il senso del loro ridere: ridono, e basta. […] Si ride degli inetti, dei malcapitati, dei becchi, della merda: la scatologia fa morir dal ridere, molto più di rado la pornografia, tranne che non miri a ridicolizzare il corpo femminile. […] Si ride, in generale, di tutti i bisogni, perché, nelle nostre società borghesi, si suppone che deprezzino il personaggio umano. Si ride dei difetti, dei vizi, delle topiche, degli smacchi; possiamo ridere di tutte le nostre inclinazioni e di tutti i nostri gusti, purché appaiano nell’altro, come agenti di disumanizzazione; persino della morte, come dimostrano le Famous last words raccolte dagli umoristi inglesi. È come dire che il riso è spietato. O, più esattamente, che vi si fa ricorso contro la pietà[6].
In fondo Sartre recupera l’analisi di Nietzsche, che già aveva notato la malvagità di colui che ride,