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L'Architetto dell'Antico Egitto: Amenhotep Figlio di Hapu
L'Architetto dell'Antico Egitto: Amenhotep Figlio di Hapu
L'Architetto dell'Antico Egitto: Amenhotep Figlio di Hapu
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L'Architetto dell'Antico Egitto: Amenhotep Figlio di Hapu

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About this ebook

Durante i miei soggiorni nel decennio degli anni ’80 al Cairo, come esperto delle missioni con la Cooperazione Tecnica per i Paesi in Via di Sviluppo, non mancavo ogni anno di visitare il Museo Archeologico. Esso era diventato la mia casa con i suoi reperti e testimonianze della civiltà e cultura dell’antico Egitto.
Fra i personaggi della statuaria, i miei momenti di sosta e ‘dialogo’ mentale erano di fronte alla statua del re Thuthmose III e di un saggio, Amen-hotep, figlio di Hepu. Per il primo, la fermata era in funzione della grandezza di questo re che, con oculata politica e spirito cavalleresco, espanse il dominio egiziano in tutto il Medio Oriente e nel sud dell’Egitto: piccolo grande Uomo, stratega coraggioso e astuto che condusse la sua principale azione bellica contro la fortezza di Megiddo, e che regnò a lungo sulla Terra Nera con grande intelligenza e precisione.

 
LanguageItaliano
Release dateOct 3, 2021
ISBN9788831427708
L'Architetto dell'Antico Egitto: Amenhotep Figlio di Hapu

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    L'Architetto dell'Antico Egitto - Pietro Testa

    PIETRO TESTA

    L’ARCHITETTO DELL’ANTICO EGITTO

    Amenhoteph Figlio di Hapu

    © Tutti i diritti riservati alla Harmakis Edizioni

    Divisione S.E.A. Servizi Editoriali Avanzati,

    Sede Legale Località Casavecchia, 109 – Cavriglia (Ar)

    Sede Operativa, la medesima sopra citata.

    Direttore Editoriale Paola Agnolucci

    www.harmakisedizioni.org

    info@harmakisedizioni.org

    I fatti e le opinioni riportate in questo libro impegnano esclusivamente l’Autore.

    Possono essere pubblicati nell’Opera varie informazioni, comunque di pubblico dominio, salvo

    dove diversamente specificato.

    ISBN: 9788831427708

    2021

    © Impaginazione ed elaborazione grafica: Paola Agnolucci

    Quando togliamo qualcosa alla terra, dobbiamo anche restituirle qualcosa.

    Noie la Terra dovremmo essere compagni con uguali diritti.

    Quello che noi rendiamo alla Terra può essere una cosa così semplice

    e allo stesso tempo così difficile come il rispetto.

    Jimmie Begay - Indiano Navajo-1924-2012.

    PREFAZIONE

    Durante i miei soggiorni nel decennio degli anni ’80 al Cairo, come esperto delle missioni con la Cooperazione Tecnica per i Paesi in Via di Sviluppo, non mancavo ogni anno di visitare il Museo Archeologico. Esso era diventato la mia casa con i suoi reperti e testimonianze della civiltà e cultura dell’antico Egitto.

    Fra i personaggi della statuaria, i miei momenti di sosta e ‘dialogo’ mentale erano di fronte alla statua del re Thuthmose III e di un saggio, Amen-hotep, figlio di Hepu.

    Per il primo, la fermata era in funzione della grandezza di questo re che, con oculata politica e spirito cavalleresco, espanse il dominio egiziano in tutto il Medio Oriente e nel sud dell’Egitto: piccolo grande Uomo, stratega coraggioso e astuto che condusse la sua principale azione bellica contro la fortezza di Megiddo, e che regnò a lungo sulla Terra Nera con grande intelligenza e precisione.

    Il secondo, raffigurato in pose di scriba, mi affascinava principalmente per i tratti fisionomici che, in una sua statua in cui dichiarava di aver vissuto 80 anni, erano espressione di un ermetismo sconfinante in una ferma e misteriosa eternità: il suo sguardo non lasciava spazio a penetrare nella sua mente, e a domande che restavano senza risposte.

    In questi lunghi anni lontani dai miei soggiorni in Egitto, mi ha sempre seguito nella mente e nel ricordo il volto dello scriba Amen-hotep, e spesso mi ha parlato della sua vita, alcune volte a frammenti, altre in modo completo.

    Mi ha narrato le sue esperienze di architetto, di studioso, di saggezza acquisita studiando e cercando le antiche tracce dei misteri della cultura di una terra divina bagnata da un fiume meraviglioso ed eterno. Mi ha edotto sul pensiero religioso e culturale della sua epoca, delle imprese dei sovrani precedenti il re Amenophis III, durante i cui regni egli nacque, visse e morì.

    Da questa esperienza ho tratto insegnamento, e non ho potuto fare a meno di non scrivere il tempo della vita di questo personaggio la cui memoria rimase viva nei secoli dopo la sua morte, fino a essere deificato alla pari del grande Im-hotep in epoca tarda.

    Auguro, quindi, a chi avrà la ventura di leggere queste pagine, di avere un buon incontro con lo scriba reale Amen-hotep, figlio di Hepu.

    Pietro Testa

    Napoli 2019

    CAPITOLO 1

    LE PARTI SPIRITUALI DELL’UOMO

    Io vivo da millenni nell’aldilà, poiché sulla mia mummia e nella mia tomba furono eseguiti tutti i rituali e le devozioni per il mio ka, il mio ba, e il mio akh. Sotto forma di akh splendido, io vivo tra le stelle dello spazio infinito e vengo per narrarvi la mia vita nella terra dell’antico Egitto.

    Prima di iniziare è bene per voi, che non siete antichi Egiziani, comprendere i principi costitutivi dell’essere umano secondo il nostro pensiero.

    Noi avevamo sviluppato dei concetti molto specifici sulla natura umana. Per ogni essere umano (compreso il re) si riteneva che, per esistere, fossero necessari cinque elementi diversi. Riferimenti a questi elementi si presentano in testi di qualsiasi genere.

    a) il corpo ( Ha).

    L’elemento più facile da comprendere è la parte fisica: il corpo è l’involucro nel quale ogni essere umano esiste. Noi sapevamo che il corpo discendeva da singoli genitori, dal seme del padre messo nell’utero della madre. Comprendemmo anche che il corpo consisteva di varie parti; per questa ragione, il plurale Haw, che significa qualcosa come membra, fu usato spesso per la parola singolare corpo.

    b) il cuore ( ib).

    Era la parte più importante del corpo. Per noi, il cuore non solo era il centro dell’attività fisica ma anche il luogo del pensiero e dell’emozione ¹. Questa è una comune credenza umana; voi ancora avete sue reminiscenze in frasi come, ad esempio, cuore spezzato o auguri di tutto cuore. Nei nostri testi in cui è usata la parola ib, la traduzione mente, spirito, animo, qualche volta ha un senso più appropriato che non il letterale cuore. Noi usavamo anche la parola HAty per riferirci al cuore come organo fisico, (un nisbe derivato da HAt, fronte: cioè l’organo frontale) piuttosto che a ib.

    c) l’ombra ( Swt).

    L’ombra è un’aggiunta essenziale al corpo che la crea. Poiché l’ombra è generata dal corpo, noi ritenevamo che avesse qualcosa di questo e, perciò, del suo proprietario. Qualche volta le rappresentazioni degli dei sono chiamate le loro ombre per la stessa ragione.

    d) il ba ( bA).

    Questo forse è il concetto più difficile da comprendere. Essenzialmente, il ba è tutto quello che rende una persona individuo, tranne che per il corpo. Il ba si riferisce anche all’impressione che un individuo fa sugli altri, qualcosa come il nostro concetto di personalità; questa nozione è sottoposta al nome astratto bAw (di solito scritto , un falso plurale) che significa qualcosa come imponenza; solennità.

    Come la vostra nozione di anima (con cui qualche volta è tradotto bA), il ba è un principio più spirituale che fisico, ed è la parte di una persona che vive dopo che il corpo muore. Noi lo immaginavamo come un’entità capace di muoversi liberamente dal corpo mummificato, fuori della tomba e nel mondo dei viventi; per questa ragione, qualche volta è rappresentato, e scritto, come un uccello antropocefalo ( ).

    Il concetto del ba è associato soprattutto a esseri umani e dei; ma anche una cosa, come una porta, poteva avere un ba. Ciò è presumibile perché tali oggetti possono avere una personalità distinta o creare una particolare impressione, anche se non sono vive allo stesso modo degli esseri umani e degli dei.²

    e) il ka ( kA).

    Questo concetto significa qualcosa come forza vitale. Il ka è ciò che fa la differenza tra una persona vivente e un morto: la morte avviene quando esso lascia il corpo. Noi credevamo che la forza vitale del ka fosse apparsa con il Creatore, fosse trasmessa all’umanità in generale attraverso il re, e trasferita ai singoli esseri umani dai propri padri. La nozione di questo trasferimento qualche volta fu rappresentata metaforicamente come un abbraccio; questo poteva essere l’origine del segno delle braccia stese con il quale la parola ka è scritta in geroglifico. Noi ritenevamo anche che il ka si sostenesse con cibo e bevande, poiché senza queste sostanze l’essere umano muore. Questa nozione è espressa sotto il nome astratto kAw (scritto come un falso plurale) che significa qualcosa come energia, specificamente quella presente nel cibo e nelle bevande. Ciò è collegato anche all’usanza di presentare offerte di cibo e bevande al defunto.

    Noi eravamo consapevoli che tali offerte non erano consumate fisicamente dal trapassato; quindi ciò che era presentato, non era il cibo stesso ma l’energia (kAw) all’interno dell’alimento di cui lo spirito del defunto poteva fare uso. In vita, quando a una persona era dato da mangiare o bere qualcosa, ciò era espresso spesso con le parole n kA.k, per il tuo ka.

    Solo gli esseri umani e gli dei sembrano avere avuto un ka; anche se gli animali erano considerati esseri viventi, non eravamo sicuri se avessero un ka. Come il ba, il ka era un’entità spirituale e non poteva essere raffigurato. Tuttavia, per rappresentare il ka, noi usavamo una seconda immagine gemella dell’individuo; per questa ragione, la parola kA qualche volta è tradotto come doppio.³

    f) il nome ( rn).

    Per noi i nomi erano molto più importanti di quanto lo sono nella vostra società. Si riteneva che essi fossero parte integrante dei loro proprietari, come mezzo necessario per l’esistenza degli altri quattro elementi. Questa è la ragione per cui chi poteva permettersi di spendere molte risorse economiche, assicurava ai suoi nomi la condizione di sopravvivenza nella sua tomba e sui suoi monumenti. Un nome poteva essere cancellato in vita, così come su un monumento o nel sepolcro (damnatio memoriae).

    Noi consideravamo ognuno di questi cinque elementi la parte integrante di ogni individuo, e pensavamo che nessun essere umano potesse esistere senza di essi. Questo spiega, in parte, perché la mummificazione del corpo fu considerata necessaria per la vita ultraterrena. Si pensava anche che ogni elemento contenesse qualcosa del suo proprietario. Ciò era particolarmente vero per il nome; la menzione del nome di un individuo poteva richiamare alla memoria la rappresentazione di quella persona, anche se non viveva più.

    Scrivere il nome di una persona su una statua o vicino un’immagine incisa, rappresentava la possibilità di identificare l’immagine con quell’individuo, e quindi fornire alla persona una forma fisica e alternativa oltre che il corpo. Questa è la ragione della presenza di statue e rilievi nelle tombe; per lo stesso ragionamento, noi più spesso ci tenevamo a porre le nostre statue nei templi, affinché potessimo essere per sempre vicino, o alla presenza del dio. Nello stesso tempo, scrivere il nome di una persona su una piccola statua d’argilla e poi fracassarla significava, ed era considerato, un efficace mezzo per distruggere il nome del proprietario (riti d’envoûtement).

    L’identificazione di un nome con il suo proprietario era così forte che gli stessi nomi erano trattati come una persona. Infatti, spesso è più significativo tradurre la parola rn con identità che con nome. Conoscere il nome di una persona era lo stesso che conoscerla.

    Il potere infinito del Verbo conferisce al nome l’essenza stessa di una persona o di un oggetto. Nominare una cosa equivale a crearla, per cui pronunciare il nome di un individuo significa farlo vivere in una creazione permanente, nel bene e nel male. Includere il nome di una persona in un contesto malefico, oppure eliminare il nome da un monumento, significava distruggere l’individuo portandolo alla condizione di non esistenza, la cosa peggiore che potesse capitare a un Egiziano. Questa sfortuna aveva il nome di seconda morte, la cui unica difesa era la litania in cui ripetutamente si precisa che il nome di Tizio vivrà eternamente. Per aumentare le possibilità di esistenza eterna del defunto gli si fa assumere l’identità di un dio, compreso il suo nome.

    g) lo akh

    Il termine Ax è tradotto correntemente con spirito. Etimologicamente equivale a glorioso, splendente, efficace: il termine si può intendere con parte trasfigurata del divino nell’umano. Originariamente l’akh fu attribuito solo alle divinità e conseguentemente anche al re e in seguito ai comuni mortali. Tenete conto che Axw significa potere magico; potenza/potere di un dio; formule magiche; rituali; preghiere; qualità; virtù di un uomo. Quindi, akh rappresenta l’alta radianza dei principi spirituali.

    Sembra lecito sottolineare che la traduzione di questi termini è sempre relativa, facendo essi parte di un patrimonio culturale e religioso molto lontano da voi e appartenente ad una lingua morta.

    CAPITOLO 2

    LA CITTÀ DI ORIGINE

    Io nacqui in Athribis, una cittadina del Delta medio orientale. Essendo vissuto nel tempo che non ha limite, ho visto le trasformazioni di questa città che ora vi descrivo.

    Tell Atrib, o Kom el-Atrib (أتريب‎) a nord-est di Benha, indica ancora la parte visibile del sito dell’antica Athribis, capoluogo del X distretto del Basso Egitto, il cui nome Kem-ur (km-wr), ‘Il-grande-toro-nero’ ⁵ rimonta per la prima volta nel regno del re Sahu-Ra (V dinastia). Il termine Kem-ur sopravvisse fino all’epoca romana nei testi di lingua tradizionale per indicare il distretto e il suo capoluogo.

    Verso la XVIII dinastia s’iniziò a usare la designazione Hut-hry-ib (Hwt-Hry-ib(t)), ‘il castello della parte di mezzo’, in riferimento alla parte di mezzo, la reliquia osiriana dell’epoca. Più tardi s’incontrano le grafie come Hut-ta-hery-ib e dalle quali derivano le forme assire, greche (Ἄθλιβις / Ἀθάρραβις), latine, copte e arabe.

    La divinità più importante di Athribis era un dio coccodrillo chiamato Khenty-khety e inteso, dalla XII dinastia in poi, come un dio falco: per questa ragione dei falchi vi erano allevati, adorati, mummificati e sepolti nella Bassa Epoca. Dal Nuovo Regno all’epoca romana la divinità era poi spesso chiamata Horus-khenty-khety (Αρκεντεχϑαι).

    Kem-ur, dio eponimo del distretto, ben presto perse la sua identità e si assimilò a Horus-khenty-khety e a Osiride con il nome di Osiride-Kem-ur. L’altra forma dell’Osiride locale fu Osiride-che-risiede-a-Athribis, poiché l’antico coccodrillo Khenty-Khety era stato identificato con Osiride sul modello del Sobek di Busiris. Benché Iside, Hathor e Sekhmet, abbiano ricevuto un culto nella città, la grande patrona era Khuyt (xwyt) ‘la protettrice’. Essa appare dopo il Nuovo Regno e aveva l’epiteto di ‘quella che veste il dio’ (Hbst nTr), rappresentata con ali spiegate in postura protettiva, ed era considerata compagna di Horus-khenty-khety. Altre divinità erano adorate nella città, come An-em-her (con ipostasi un toro), Merehu (dio di Tukh el-Meleq), Neb-ankh (una forma di Osiride), Arpocrate, e Reshef.

    Un solo monumento del Medio Regno proviene dalla città, e cioè la statua BM 288 (1237).⁶ Pertanto la città ebbe un gran ruolo, stando alla diffusione dei nomi teofori formati dal dio Khenty-khety, ed è possibile che il centro urbano abbia fornito numerosi quadri amministrativi ai sovrani della XII dinastia.

    Athribis è citata tra le città dei cui templi ebbe la direzione l’architetto Min-mose sotto Thuthmose III e Amenophis II.⁷ Colui che contribuì all’abbellimento del centro abitato fui io: il mio re, Amenofis III, mi affidò numerosi incarichi.⁸ Il mio ricordo restò vivo nella città dato che una principessa saita lo invocava ancora.

    Stando ai reperti trovati in situ, Ramesse II costruì molti monumenti nella città, a parte i nomi di Mer-en-Ptah e Sety I, che testimoniano l’occupazione della città in questa epoca.

    Durante il Terzo Periodo Intermedio, Athribis tornò con Heliopolis il principato riservato al principe ereditario.

    Fu nella XXV dinastia che Athribis conobbe una grande espansione. La missione polacca rinvenne un edificio con depositi di fondazione a nome di Amasis, e lo stesso re dedicò a Kem-ur un naos. ⁹ Non mancano tracce di altri re della dinastia, a parte il sarcofago della regina Ta-khuit, sposa di Psammetico II, e le sepolture di due personaggi della XXVI dinastia che si trovano a nord della città.

    Anche i re della XXX dinastia hanno lasciato le loro testimonianze, insieme ai monumenti privati. Di questi, famosa è la statua guaritrice di Jed-Hor-il-salvatore che intraprese il restauro del santuario dei falchi sacri e riorganizzò il loro culto dopo la seconda dominazione persiana.¹⁰

    Tra i documenti d’epoca tolemaica si evidenzia il decreto trilingue di Tolomeo XI Alessandro, che accordava il diritto d’asilo nel tempio di Horus-Khenty-khety.¹¹

    Ammiano Marcellino infine teneva in gran conto Athribis come una delle più grandi città d’Egitto e gli scavi polacchi hanno confermato la complessità archeologica del sito in epoca romana.¹²

    CAPITOLO 3

    NASCITA E CONSIDERAZIONI SULLA

    DONNA EGIZIANA

    Io nacqui nel giorno 10 del terzo mese dell’Inverno dell’anno 48 del regno di Sua Incarnazione Thuthmose III.¹³ Mio generò mio padre e mi partorì mia madre. Mio padre si chiamava Hapu, che è il nome del toro Apis, e mia madre si chiamava Itu. Mio padre era zab (magistrato) e mia madre era ‘signora della casa’, oggi direste ‘casalinga’.

    Il titolo zab

    Il titolo zab (zAb) è rappresentato dal segno che non può essere considerato come l’esatta rappresentazione di un preciso animale. Probabilmente potrebbe essere il piccolo sciacallo africano ¹⁴ differente dallo unesh (wnS) il cui prototipo potrebbe applicarsi al Canis aureus lupaster. Vari studiosi hanno proposto una traduzione del zab e, senza prenderla per le lunghe, i risultati del significato sarebbero ‘magistrato’; ‘giudice’; ‘ufficiale giudiziario’; ‘dignitario’ e, in genere, un funzionario legato alla giustizia. Verosimilmente si può vedere nel termine zab un ‘giurista’ avente particolari capacità in materia di diritto e di gestione, qualifiche che gli permettevano di accedere a un ventaglio di funzioni, tra le quali la giustizia.¹⁵

    La ‘signora di casa’ e la donna in Egitto

    La ‘signora di casa’ era una denominazione della ‘casalinga’ che si occupava dell’andamento economico e sociale dell’abitazione, espressione del nucleo familiare. A questo punto è bene informarvi sulla condizione della donna nella mia terra d’Egitto.

    Potrei iniziare con le parole di saggezza dei una grande nostro antenato, Ptah-hotep, visir del re Jed-ka-Ra Izozi (V dinastia):¹⁶

    Se tu sei eccellente, dovresti fondare la tua casa, e dovresti amare tua moglie nell’interno del conto. Riempi il suo ventre e vesti il suo dorso! È un rimedio del suo corpo l’unguento!

    Rendi lungo il suo cuore ¹⁷ il tempo della tua esistenza. È un campo utile per il suo signore! Non giudicarla, tienila lontana dal potere e calmala! È una tempesta il suo occhio mentre guarda! È un farla durare nella tua casa! Il tuo frenarla è (come) acqua! La vagina ponila nelle sue braccia ¹⁸ e, quando fa una domanda, crea per lei un canale!

    Se sposi una donna avvenente (?) ¹⁹ e gioiosa, che hanno conosciuta i suoi concittadini, quando essa era nelle due leggi ²⁰ ed era leggiadro per lei il tempo, non la ripudiare ma fa che ella mangi! Ella sarà gioiosa e conterà lo aqaa.²¹

    Benché i ruoli sociali di uomini e donne fossero differenti, il loro stato legale era abbastanza simile. Uomini e donne potevano rivendicare la condizione di nmH, libero cittadino, indicando ciò che la persona non era legata a un’istituzione ma era libera di agire per proprio nome. Similmente uomini e donne erano responsabili delle proprie azioni in termini civili, giuridici e giudiziari.

    Uomini e donne potevano partecipare a un documento legale, portare un caso alla corte, o essere chiamati in giudizio, o testimoniare in tribunale.

    Le donne raramente servivano come testimoni, e ciò era dovuto al fatto che i testimoni erano selezionati normalmente nel circondario in cui il caso era trattato, uno spazio pubblico frequentato da uomini e non da donne. Nel caso della testimonianza di donne, queste erano collegate alle parti del documento che le interessava e probabilmente intenzionalmente si recavano al luogo in cui avveniva la transazione legale.

    Inoltre uomini e donne potevano acquisire e disporre proprietà in loro nome, e le donne non avevano bisogno di alcun atto o permesso stilato dall’uomo per determinate decisioni: vendita; transazioni; testamenti, ecc.

    Le donne avevano un ruolo importante nella società ed anche nell’educazione delle future generazioni. Le massime di Any parlano chiaro riguardo alla madre che attende il figlio che torna da scuola e giornalmente lo accudisce con birra e pane della casa.

    Nelle tombe, specchio della cultura e del pensiero sociale del nostro Egitto, le donne sono sempre raffigurate nelle scene parietali non solo come testimonianza della loro presenza terrena, ma anche della futura vita dell’aldilà: la loro sessualità e fertilità avrebbe accompagnato il defunto nel mondo dei più. Quasi sempre le donne delle rappresentazioni tombali sono abbigliate con vesti attillate, alcune volte anche semitrasparenti, il seno semi coperto, con parrucche e gioielli, elementi di discreto ma convincente eros.

    Nella vostra società le ragazze sotto i 16-18 anni sono considerate ancora minorenni. Altrove la realtà del menarca o del matrimonio possono annunziare la maturità. In Egitto i due fenomeni avvenivano intorno ai 12 anni, data la brevità della vita rispetto a quella dei vostri tempi.

    Vi sono piccole prove della sessualità delle preadolescenti e scene erotiche le mostrano pubescenti. Così la sessualizzazione era vista come un avvertimento per il matrimonio e, una volta sposate, le ragazze diventavano donne rispettabili mostrate completamente vestite.

    Gli Egiziani distinguevano logicamente tra ragazze, o adolescenti, e donne adulte, le prime erano nfrwt, le seconde zt, donna: le differenze erano evidenziate dalle acconciature e dagli abiti. La circoncisione dei genitali non era praticata.

    Il saggio Any diceva:

    Prendi per te una donna finché sei ragazzo: ella ti farà un tuo figlio. Possa lei procreare per te finché sei giovane! È giusto dunque creare delle persone! È buono per un uomo la cui prole è numerosa: egli è onorato per i suoi figli ²²

    Con queste parole il saggio Any consigliava di sposarsi giovani con ragazze potevano avere 12 o 13 anni di età.

    Solitamente i matrimoni avvenivano nell’ambito degli stessi ceti sociali. Gli archivi tardi indicano che il matrimonio tra cugini o zio e nipote era permesso, così come tra fratellastro e sorellastra con lo stesso padre o differenti madri. Il matrimonio tra fratelli e sorelle, raro tra la gente comune, diventò usuale nel periodo tolemaico, forse per mantenere nell’ambito familiare i beni e le proprietà terriere.

    Un giovanotto di una classe abbiente tanto si sposava quando era sicuro di poter creare un focolare e condurre una vita adatta al suo rango. Poiché terminava la sua educazione intorno ai 15-16 anni, a quest’età poteva trovarsi una moglie. Benché il matrimonio con ragazze minorenni sia documentato nella XXVI dinastia, in genere le unioni tra uomo e donna avvenivano quando questa era uscita dalla pubertà (ricordare che a quei tempi si era fortunati se si viveva fino a 40-50 anni, quindi tutto avveniva con anticipo rispetto ai vostri tempi).

    Il pretendente contattava il padre della ragazza desiderata o, se il genitore era defunto, la madre o lo zio. Una volta stabilite le questioni del caso, in presenza di testimoni si stipulava un contratto che era custodito dalla coppia, o da una terza persona, o depositato in un tempio. Spesso redatto quando la coppia già aveva avuto dei figli, il contratto regolava i diritti della moglie e dei suoi figli durante il matrimonio e in caso di divorzio.

    Il marito doveva rispettare la moglie e amarla. L’infertilità non era una ragione per ripudiarla e sono documentati casi di adozione. Un appellativo frequente della moglie era, come ho detto prima, nbt pr, signora di casa, e spesso per il marito lei era snt.f mrt.f, la sua amata sorella, sottintendendo forse anche quella sfumatura di fratellanza che si può creare tra due coniugi. Documenti e rappresentazioni testimoniano mutuo soccorso tra marito e moglie e, quando questa moriva, il marito si faceva dovere di compiere tutte le bisogne funerarie del caso in onore della defunta. ²³ Spesso, specie nell’Antico Regno, le tombe contenevano la sepoltura per la moglie e talvolta anche per i figli: erano dunque tombe di famiglia.

    Anche se i legislatori erano uomini, il sistema proteggeva la posizione finanziaria delle donne e dei figli con il fine di favorire la formazione della famiglia. La questione della monogamia e poligamia dipendeva dalla ricchezza dell’uomo se poteva permettersi una o più mogli.

    Anche se la gestione dei beni comuni apparteneva di diritto al marito, la moglie poteva controllare questa condotta e imporre al coniuge una linea differente di gestione patrimoniale.

    Poiché il matrimonio non aveva veste legale o religiosa, di conseguenza il divorzio era libera scelta dei coniugi. Le ragioni potevano essere varie: sterilità; maltrattamenti; cecità a un occhio; adulterio, ecc.

    Ho accennato che i contratti matrimoniali erano di natura economica legati alle proprietà e ai diritti economici dei coniugi. Anche se il marito amministrava la proprietà comune, una parte di questa era della moglie che la poteva esigere in caso di divorzio. Il sistema legale era concepito in modo tale da assicurare un giusto accordo.

    Spesso il marito era istigatore del divorzio. Poiché la maggior parte delle donne non aveva una carriera professionale, la loro debole condizione economica le spingeva a tentare di conservare il più a lungo possibile una vita matrimoniale.

    L’espressione usata dal marito era xAa (r bnr), lett. gettare fuori, e la donna doveva abbandonare la casa lasciando talvolta i figli al coniuge.

    La sua applicazione prevedeva che i coniugi si riprendessero i loro beni portati al matrimonio, o che la proprietà comune si dividesse tra 2/3 al marito e 1/3 alla moglie. Questo 1/3, in egiziano sfr, serviva a dare alla donna una sua indipendenza economica senza dovere ricorrere ai contributi dei figli o ritornare a vivere con i propri genitori. Ma la donna poteva anche reclamare la propria parte di beni portata in dote per il matrimonio.

    In definitiva la nostra società riconosceva alla donna non solo la sua eguaglianza con l’uomo, ma la sua indispensabile complementarietà espressa notoriamente nell’atto creativo. Questo rispetto si esprimeva chiaramente nella morale e nella teologia, pur tenendo conto delle debolezze dell’essere umano.

    Nel prossimo capitolo v’illustrerò come si nasceva e il periodo dell’infanzia nella mia terra.

    CAPITOLO 4

    PARTO E INFANZIA

    Anche qui io ricorrerò a una testimonianza di un papiro che voi chiamate Westcar, e che illustra il parto di una donna chiamata Ruj-jedet con l’intervento e la cooperazione di varie divinità. ²⁴

    Uno di quei giorni avvenne che allora Ruj-jedet soffrisse poiché il suo travaglio era doloroso. Allora disse la Maestà di Ra, signore di Sakhebu, a Iside, Nephtis, Meskhent, Heqet e Khnum:

    "Oh, dunque, recatevi e fate partorire Ruj-gedet dei 3 bimbi che sono nel suo ventre, affinché essi possano espletare la loro funzione eccellente in questa terra intera e possano costruire i vostri templi,possano provvedere i vostri altari, possano far prosperare le vostre tavole di offerte, e possano incrementarle vostre offerte divine!".

    Allora questi dei andarono, si trasformarono in musicanti ²⁵ e Khnum era con loro portando una portantina. Allora essi giunsero alla casa di Ra-user ²⁶ e lo trovarono con la tunica sottosopra. Allora essi presentarono a lui i loro menat e i sistri.

    Allora egli disse a loro:

    " O mie dame, vedete, vi è una donna che è sofferente per il travaglio del suo parto!".

    Allora loro dissero:

    Permetti che noi la vediamo! Vedi, noi sappiamo (come) far partorire.

    Allora egli disse a loro:

    " Recatevi!".

    Allora loro entrarono in direzione di Ruj-jedet. Allora loro chiusero ermeticamente la stanza su essa insieme a loro. Allora Iside di pose di fronte a lei, Nephtis dietro di lei mentre Heqet affrettava la nascita.

    Allora disse Iside:

    "Non essere potente nel suo ventre, in questo tuo nome di User-raf!"²⁷

    Allora fuggì questo bimbo sulle sue braccia come un bimbo di 1 cubito, essendo robuste le sue ossa, essendo destinate le sue membra a essere di oro e la sua cuffia di veri lapislazzuli. Allora loro lo lavarono, (dopo avere) tagliato il suo cordone ombelicale, ponendo(lo) su un parallelepipedo di mattoni.

    Il racconto indica la presenza e la protezione di varie divinità durante il parto. Oltre quelle menzionate nel papiro, concorrevano la dea Thueris, qualche volta il dio Thoth con sua moglie Hathor, e le Sette Hathor che prevedevano che tipo di morte era destinata al neonato, una volta divenuto adulto.

    Nel grande papiro medico, che voi denominate Ebers, vi sono un paio di modi per vedere se il neonato viveva o moriva al momento della nascita.

    Altro (modo di) riconoscere il bimbo il giorno della sua nascita.

    Se egli dice ‘ny’, vuol dire che egli vivrà; se dice ‘embi’, vuol dire che egli morirà. ²⁸

    Altro (modo di) riconoscere.

    Se si ode la sua voce di sofferenza, vuol dire che egli morrà.

    Se egli pone il suo volto verso il basso, vuol dire che comunque morrà. ²⁹

    Dopo il parto, la donna doveva purificarsi, isolandosi per 14 giorni.³⁰ Il bimbo era allattato dalla madre o da una nutrice (mnat): questa figura era tenuta in grande considerazione, specialmente negli ambienti regali.

    Per quanto ricette o rimedi fossero inventati dai medici, le madri egiziane proteggevano i loro piccoli con

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