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Udine bellissima. Il centro storico, le piazze, l’arte di costruire la città
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Udine bellissima. Il centro storico, le piazze, l’arte di costruire la città

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About this ebook

Attraverso un viaggio dell'autore nel centro storico alla scoperta delle ragioni della sua riconosciuta e originale bellezza, Udine, dal Medioevo, ci manda a dire che l'arte di costruire la città è un fatto molto serio, come lo era in passato quando, come risulta dagli archivi storici, la bellezza era vista e pretesa con passione dalla collettività non solo come uno strumento di prestigio per il committente ma anche come un servizio alla città e ai suoi cittadini. Nella costruzione della città moderna misurarsi con la grande ricchezza dell'arte urbana ereditata dal passato è dunque un obbligo e un privilegio, per attuare, nella piena consapevolezza del valore identitario di Udine quale città della pace e della cultura rappresentativa del suo territorio, un nuovo modello di sviluppo aperto all'Europa e improntato alla bellezza e alla sostenibilità.
LanguageItaliano
Release dateSep 3, 2021
ISBN9791220842938
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    Udine bellissima. Il centro storico, le piazze, l’arte di costruire la città - Amerigo Cherici

    Table of Contents

    Presentazione

    Prefazione

    Nota dell’Autore

    Il tema

    Capitolo 1

    Appunti sulla storia della città

    Anno 983: l’area udinese al tempo del diploma

    L’area udinese fra il diploma imperiale e Bertoldo di Andechs-Merania (983-1218)

    Le rogge

    Bertoldo di Andechs-Merania: la nascita della città

    La formazione della città

    Capitolo 2

    XIII secolo: la ripresa dell’urbanesimo e il modello urbano di Udine

    La ripresa generale dell’urbanesimo

    Il quadro storico generale. Accenni

    Caratteri del nuovo urbanesimo dei secoli XI-XIII

    Treviso

    Alessandria

    Chiavari

    S. Giovanni Valdarno

    Montevarchi

    Cortona

    Capitolo 3

    L’arte di costruzione della città: armonia e disarmonia

    Capitolo 4

    La città di Udine

    Il territorio di Udine

    L’identità del centro storico di Udine

    Le mura di Udine

    L’impianto urbanistico generale

    Le piazze

    La disposizione e la densità delle piazze nel centro storico

    La prima cerchia: il piazzale del Castello

    Le piazze della seconda cerchia: l’armonia del cuore

    Le piazze della terza cerchia

    Le piazze della quinta cerchia

    Piazza Patriarcato

    Piazzetta del Pozzo

    La qualità spaziale del centro storico e delle sue piazze

    Un esempio di come è stata costruita Udine: piazza Contarena, ora della Libertà

    L’impulso iniziale e i primi lavori

    Il primo ampliamento e il porticato del Lippomanno (1484-1486)

    La Crudel Zobia Grassa e il terremoto: la ricostruzione della piazza (1486-1529)

    Il completamento della piazza (1529-1532)

    I lavori successivi al compimento della piazza (1532-oggi)

    Un commento finale su piazza Contarena

    La questione della pavimentazione. Alcuni esempi

    Firenze. Piazza della Signoria

    Firenze. Piazza S. Maria Novella

    Firenze. Piazza S. Spirito

    Siena. Piazza del Campo

    Appunti sulle costanti qualitative della piazza italiana

    Un progetto per il Mercato Vecchio

    Capitolo 5

    Conclusioni

    Le ragioni della bellezza di Udine in sintesi

    Il futuro della città e il ruolo del centro storico

    BIBLIOGRAFIA

    ESSENZIALE

    Note

    Indice analitico ragionato

    RINGRAZIAMENTI

    L’Autore

    DigiLibris

    Cop02_udi.jpg

    Senza paura ognuom franco camini e lavorando semini ciascuno

    (dall’allegoria del Buono e del Cattivo Governo, di A. Lorenzetti,

    Palazzo pubblico di Siena, 1328-1340)

    ad Alessandro

    Con il sostegno

    del Comune di Udine

    Img_logoimg.jpg

    Copyright © 2018: Editore L’ORTO DELLA CULTURA

    Progetto grafico e impaginazione:

    GAM GRAFICA di Andrea Macelloni

    Finito di stampare nel mese di Settembre 2018

    dalle Poligrafiche S. Marco - Cormons (Go)

    Editore L’ORTO DELLA CULTURA

    Via Rovaredo, 3

    33037 Pasian di Prato (UD)

    www.ortodellacultura.it

    info@ortodellacultura.it

    Tutti i diritti sono riservati.

    Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, diffusa o trasmessa,

    in alcun modo, senza l’autorizzazione preventiva scritta da parte dell’Editore o

    del proprietario del Copyright.

    Le foto sono state fornite ed elaborate da Amerigo Cherici, autore del volume.

    In copertina: restituzione della cinta muraria e del sistema di accesso all’antico

    castello dei Patriarchi. Autori: Adalberto Burelli e Stefano Gri (disegno del 1987)

    AMERIGO CHERICI

    UDINE

    BELLISSIMA

    Il centro storico, le piazze,

    l’arte di costruire la città

    Ciliegio.JPG

    L’ORTO DELLA CULTURA

    Presentazione

    di Pietro Fontanini

    Sindaco di Udine

    Udine ha sempre richiamato l’attenzione di ricercatori, studiosi e cultori di vari interessi ed esperienza, sulla sua più che millenaria storia, la sua conformazione urbanistica, le sue relazioni con il territorio circostante.

    La città si è sviluppata grazie alle favorevole posizione – equidistante dai monti e dal mare – ed i facili collegamenti come naturale centro di riferimento e simbolo del Friuli.

    Così l’originario nucleo urbano, sorto ai piedi del colle - prima vedetta e poi sede delle massime istituzioni del governo locale - si è ampliato con vie e piazze ed arricchito di palazzi e chiese in un processo ininterrotto e che oggi la rende una vera ‘città d’arte’.

    L’opera dell’architetto Amerigo Cherici analizza in profondità ed inedite chiavi di lettura lo sviluppo cittadino offrendo stimoli che non mancheranno d’interessare sia gli studiosi che i meno esperti . Un contributo originale che amplia la storiografia dei luoghi e delle vicende cittadine e che si apprezza sia per l’aspetto documentale quanto per l’intento divulgativo.

    Le pagine scorrono veloci – con un ricco corredo di fotografie e un testo che poco concede alla retorica – e consentono di percorrere le vicende, l’economia, la cultura e la società di Udine e dell’intero Friuli.

    L’Amministrazione civica è, dunque, lieta di presentare questo nuovo volume anche perché la sua lettura potrà consentire ai concittadini e a quanti amano questa città di rinnovare quel senso di appartenenza, in un momento storico in cui la nostra identità è sempre più minacciata e, con il suo smarrimento, la perdita di un patrimonio ideale che costituisce la sola ed insostituibile base per affrontare con sicurezza e fiducia il nostro futuro.

    Prefazione

    di Angelo Floramo

    Per una nuova grammatica della città

    Esistono esplorazioni che dischiudono il senso della meraviglia, specialmente quando la verità è da sempre sotto gli occhi di tutti, eppure rimane celata, nascosta dall’indifferenza dell’andare, dall’abitudine dello sguardo, peggio ancora dall’assuefazione alla bellezza. Amerigo Cherici, firmando questo splendido e innovativo saggio, ci aiuta a comprendere meglio quelle chiavi che rinserrano le prospettive urbane di Udine, città che sempre più spesso si trova al centro del dibattito pubblico e istituzionale, non solo perché accreditata capitale storica e morale del Friuli, ma anche in quanto proiezione verso il futuro di riletture urbanistiche che hanno acceso, anche di recente, vivaci discussioni, perfino fra i non addetti ai lavori.

    Ad illuminarci con la dottrina di chi se ne intende, giungono queste pagine, fitte di sapienti considerazioni ma sempre molto lontane da quella monotonia accademica che troppo spesso soffoca l’impianto narrativo. Cherici racconta, invece - e lo fa partendo da una documentazione oggettiva, raccolta con fatica e perizia ma interpretata in modo del tutto nuovo – la genesi di una città, scompaginandola in una sorta di viaggio colto, regalando al lettore lo sguardo giusto per squadernare le scenografie di un centro storico di grandissimo interesse, disvelando così moduli e linee, prospettive e volumi che a poco a poco si configurano come una grammatica rigorosa, in cui nulla è lasciato al caso ma tutto corrisponde ad una perfetta assonanza che si palesa in particolar modo nella progettazione degli spazi pubblici. Le piazze, i giardini, i piazzali, gli slarghi, vengono così intesi non come luoghi lasciati vuoti dall’assenza degli edifici ma piuttosto come una sorta di abbraccio della città volto a preservare spazi ricchissimi di una simbologia che si carica di valore. Deputati all’incontro, alla condivisione, alla messa in scena di una vita socialmente e culturalmente ricca in cui nei secoli le diverse classi sociali potevano incontrarsi, sfiorarsi, guardarsi: insomma una sintesi palese delle anime multiformi e composite della città, ma anche un gioco sapiente in cui le forme, i perimetri, le prospettive si alternano a formare un profilo mosso e dinamico, una sinfonia nell’alternanza di pieni e di vuoti che non può essere pensata se non come precisa regia cui è sottesa una visione progettuale consapevole dell’Oikos urbano. E questa è senza dubbio una delle più evidenti novità che l’Autore è capace di articolare con chiari ed espliciti riferimenti ad una documentazione ricchissima, compulsata con l’avidità di chi intravvede per felice intuizione quanto ad altri fino ad ora è sfuggito.

    A differenza di quanto architetti, storici e urbanisti hanno infatti fino ad ora scritto, Cherici dimostra che l’equilibrata armonia del centro storico udinese è l’esito di una crescita antropica indipendente dalla linea della cerchia muraria, sopravvissuta fino al XIX secolo più come fasciatura (bellissima definizione) che come orizzonte guida dell’espansione successiva. Nemmeno la geometria ortogonale dell’antico castrum, in quest’ottica, è stata la matrice dei profili di questa città, che nell’analisi assolutamente convincente dell’Autore si adagia elegantemente per onde assecondando i rilievi del colle: e in questo si legge anche una chiara presa di posizione in merito all’interpretazione di Mercatovecchio come piazza allungata della città, in analogia a molte altre simili realtà coeve.

    Tutto ci racconta di un sito, Udine, che dichiara fin da subito la sua vocazione a riconoscersi in due fondamentali parametri: l’armonia con il contesto naturale e paesaggistico in cui si colloca e la godibilità dei suoi spazi vissuti come una sorta di crasi fra la funzionalità d’uso e la bellezza. Uomo e Natura dunque, in un binomio che rende questa città friulana unica nel suo genere, impedendo di leggerla come la proiezione di una Terra che si fa Cultura: non certo l’erudito compiacimento di forme concettuali comprensibili soltanto all’élite, nobiliare o borghese che sia, bensì come luogo privilegiato per l’intersezione, lo scambio e l’incontro tra l’interno e l’esterno, l’alto e il basso, il colto e il popolare. Una Civitas, in definitiva, che finalmente oggi, grazie allo studio di Cherici, disserra molti sussurrati segreti, rendendoli finalmente palesi. L’invito conclusivo? Quello di regalarsi, dopo la lettura di queste pagine, una passeggiata consapevole, con occhi curiosi ed attenti, che sappiano astrarre dalle linee degli edifici quel ductus scrittorio che, finalmente tradotto e alla portata di tutti, ha il sapore di una incantevole, inedita narrazione.

    Angelo Floramo

    Nota dell’Autore

    Uno dei problemi fondamentali per la scrittura di un libro, come di un film, è quello dell’attacco, il cosiddetto incipit. Il primo periodo – la prima inquadratura - ha un ruolo decisivo per introdurre il tema, catturare l’attenzione ed evitare quegli avvii di lettura stiracchiati in cui il lettore si impone di resistere almeno qualche pagina, in attesa di un lampo di interesse che lo stimoli a proseguire. Di questo travaglio dell’autore di solito non rimane traccia nel testo, come del resto non ne rimane dei travagli del libro, di cui l’incipit è solo il primo e importantissimo. Non mancano però i casi in cui il racconto della ricerca dell’avvio diventa parte dell’opera. C’è al riguardo un celebre esempio, che tra l’altro nel suo parlare di una città ha attinenza con il tema di questo libro: il film Manhattan di Woody Allen. Qui la voce fuori campo del protagonista Isaac Davids (lo stesso Woody Allen doppiato da Oreste Lionello), dopo aver citato con maniaca pignoleria una serie di frasi cervellotiche - comunque utili a dare l’idea dell’aria che tira nell’intelligentsia newyorchese - butta tutto nel cestino e fissa nel semplicissimo, genuino, essenziale New York era la sua città, e lo sarebbe sempre stata il primo istante del film, sullo sfondo dello skyline di New York avvolto dalle note della Rapsodia in blu di Gershwin. E tanto basta per fissare la città come personaggio del racconto, e dare un’istantanea del ruolo dell’autore con i significati e le atmosfere del film.

    Ecco, forse è il caso - fatte le debite proporzioni con il modello - che anche io faccia altrettanto, cioè una sorta di outing, insomma un’autodenuncia del travaglio dell’incipit per questo mio libro su Udine, e per un motivo comprensibilissimo: non sono udinese, anche se da qualche decennio sono residente a Udine. Parlare di ciò che Udine è per un suo cittadino, cosa non richiesta a un udinese di nascita, diventa nel mio caso più che una facoltà un dovere oltre che un modo di consolidare il mio rapporto con una città così diversa dalla mia originaria, Napoli. Dunque, cos’è Udine per me? Inappropriato, oltre che banale, ricalcare l’atteggiamento simbiotico di Woody Allen. Del resto, tanti udinesi di nascita hanno già espresso in opere la loro simbiosi con Udine, a cominciare dal Renzo Valente di Udine città con il tram, dal Gino Di Caporiacco di Udine e il suo territorio ("Udine è la mia città, la città di mio padre e di mio nonno…"), dal Francesco Tentori con i suoi studi sulla storia urbanistica della città, fra cui la sua monografia su Udine edita da Laterza, per proseguire fino ai nostri giorni con Adalberto Burelli e Liliana Cargnelutti nelle loro ricerche, ciascuno per la propria competenza, di architetto l’uno e di storica l’altra, sull’area del Castello e sul centro storico di Udine; e ancora con Paolo Medeossi nel tenero e appassionato racconto della sua città, La città che inizia per U, il titolo del suo ultimo libro. Né si può dimenticare Angelo Floramo, meraviglioso cantore del Friuli e della sua anima in tanti racconti e libri di storia, o quell’ "Udine è la mia città", incipit emotivo del piano regolatore del 2012 dovuto all’allora assessore comunale Maria Grazia Santoro, e tanti altri, che – scusandomi – non cito per brevità. Accodarmi a queste personalità udinesi doc sarebbe come portare i vasi a Samo. Che fare? Potrei prendere in prestito alcune narrazioni, come quella messa in luce su Wikivoyage e stigmatizzata in una ricerca comparata di Gilberto Marzano per l’Università di Riga, relativa alle narrazioni di luogo sul web (immaginiamoci che a leggere sia ancora Oreste Lionello/Woody Allen): Udine è un tranquillo capoluogo di provincia che comprende la maggior parte della Regione Friuli-Venezia Giulia. Mentre Trieste col suo porto marittimo un tempo grande è la capitale regionale e regna sulla costa, Udine presiede le pianure interne e le aree alpine. Per secoli, Udine fu una città veneziana, in contrasto con Trieste che era parte dell’Impero austriaco. Oggi, il Friuli è conosciuto come una regione di vini, prosciutto di S. Daniele e formaggio Montasio. Udine è una località eccellente per gustare questi prodotti e cominciare a visitare questa parte d’Italia poco percorsa. Una vulgata folcloristica, piena di luoghi comuni e di inesattezze storiche e geografiche; per di più, priva di ogni accenno al patrimonio paesaggistico e monumentale e all’università. Dovessi partire da questa visione, i contenuti del libro ne sarebbero condizionati al ribasso, denunciando una mia preoccupante pigrizia mentale.

    A questo punto il lettore che ha avuto la pazienza di arrivare fin qui si chiederà qual è, se esiste, l’impulso primigenio e profondo che spinge lo scriba foresto a dedicare le sue scarse forze a dire qualcosa del centro storico di Udine, oltre a quello che potrebbe essere un normale interesse di architetto. Nel momento della verità, non si può barare. In questo caso, l’unica via d’uscita per arrivare a una risposta sincera è tirar fuori dal proprio vissuto le volte che un episodio attinente ci ha colpito emotivamente e scegliere, se queste volte sono più d’una, quella che ci appare più significativa per l’azione che abbiamo intrapreso. Allora, quale delle volte in cui Udine è entrata nel mio orizzonte emotivo conta di più per la mia azione, cioè la scrittura di questo libro? La Udine della mia infanzia, una città lontanissima e sconosciuta ai confini d’Italia, dove nel dopoguerra si era stabilita la mia napoletanissima zia Luisa andata in moglie all’udinese verace Gigi Pravisani, mitico zio acquisito? Oppure, qualche anno dopo, la città alla volta della quale partì da Napoli, da casa mia al Vomero, il camion - si andava allora per la Cassia - con il plastico, ancora non finito e completato durante il viaggio, fatto da un mio zio studente di architettura per docenti napoletani partecipanti al concorso della Upim, con la collaborazione di Dario Pravisani figlio di zio Gigi, studente di Chimica a Napoli e anche lui imbarcato sul cassone? O, molto molto tempo dopo, la destinazione di servizio – Udine! - che mi fu assegnata alla fine del 59° Corso Allievi Ufficiali della Cecchignola?...Ecco, forse ci siamo. Ricordo che in quell’occasione il mio compagno di cameretta Neri Braulin, architetto veneto di grande sensibilità artistica, mi disse che mi era andata bene perché Udine è una città molto carina. Quando arrivai mi accorsi subito che non solo era vero, ma che la realtà andava oltre le aspettative. Cominciai a fotografare Udine e il Friuli in lungo e in largo, tanto che partecipai, onorato di una medaglia, ad un concorso fotografico del Circolo Universitario Friulano, organizzato da Etta Lazzarini, dedicato al Friuli che muore: una denuncia per immagini delle perdite di bellezza identitaria causate dal modello di sviluppo economico in auge. Allora, povero di esperienza professionale, accumulavo sopralluoghi, foto e disegni, ma non avevo risposte pronte ai tanti perché. E’ arrivato il momento di colmare la lacuna. E dunque: Udine è bella, anzi bellissima. Ma quali sono le ragioni di tanta bellezza? Questo sarà l’incipit del libro, e la sua ragion d’essere.

    Amerigo Cherici

    Il tema

    Alla luce della ragion d’essere di questo lavoro (le ragioni della bellezza di Udine, che ha ispirato anche il titolo), va innanzitutto chiarito che il libro non vuole essere un’illustrazione di singole componenti – strade, piazze, architetture, androni, portici, giardini, piante, ornamenti - del centro cittadino, magari dislocate secondo itinerari di visita. Per questo esistono già numerose e qualificate guide e pubblicazioni tematiche. Naturalmente queste componenti saranno ben presenti, perché sono esse la città. Ciò che cambia qui è il modo di guardarle, mettendo al centro dell’attenzione non i singoli oggetti ma le relazioni spaziali fra essi, in cui il ruolo preminente va riconosciuto agli spazi collettivi e particolarmente alle piazze intese come sistema.

    Con questo approccio si va in sostanza a guardare ai modi poco divulgati con cui nella storia i vari volumi edilizi sono stati disposti per formare la scena urbana, la cui componente fondamentale sono appunto le piazze. La città è, infatti, interpretabile anche come palcoscenico della vita reale in tutte le sue forme. Le città dell’antichità classica, come le medievali, rinascimentali e barocche si propongono ai vertici qualitativi della scena urbana. E’ in riferimento a queste che è lecito parlare di arte urbana, cioè di arte di costruire la città, produttrice di bellezza, quella considerata dall’Unesco ai fini dell’inserimento fra le opere patrimonio dell’umanità¹. Esempi di arte urbana esistono anche nella città ottocentesca e in quella contemporanea, ma in quote minoritarie – purtroppo molto minoritarie - rispetto agli sviluppi prevaricanti delle periferie dove la società moderna è riuscita a ridurre ai minimi termini l’esercizio dell’arte urbana.

    Le relazioni spaziali, e dunque gli spazi collettivi, sono il frutto della visione del mondo, della concezione dello spazio, delle conoscenze, dei metodi e degli strumenti di una determinata epoca, nel cui ambito sono messe a punto le regole dell’armonia fra le parti: di un edificio come della città. E le relazioni espresse dagli spazi collettivi sono una componente di base dell’identità di una città.

    L’identità è un aspetto fondamentale per valutare il passato e progettare il futuro di una città: questione molto delicata, perché proprio in questo campo è facile scivolare nella retorica, con il conseguente rischio di produrre progetti fuori della dimensione umana.

    Naturalmente si tratta di un concetto ricco di componenti, che vanno dalla storia della città ai caratteri tipologici e costruttivi dei singoli edifici. Anzi gli studi sono generalmente dedicati proprio a questi

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