Pasta love e fantasia
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About this ebook
Di sicuro abbiamo capito che non ama la precisione scientifica negli affetti, nelle passioni, nell’entusiasmo e in cucina. Nota buongustaia e cultrice della gastronomia napoletana, per niente preoccupata che le usanze e le abitudini di ieri vengano prese in giro, come roba sorpassata, Marisa le salva dall’oblio e le condivide con il suo amato pubblico.
In questo libro i sapori del cibo si mescolano con il gusto dei ricordi che fanno sfilare davanti ai nostri occhi personaggi sconosciuti o famosi raccontati con ironia, affetto, e simpatia. E intanto lei, la nostra star, generosa negli affetti come nelle dosi, sostituendo il chilo all’etto e l’etto al grammo, ci sforna, ricetta dopo ricetta, cibi che ci ridanno sapore di casa.
A dispetto di una nouvelle cuisine molto fumo e poco arrosto, questo simpatico ricettario è un invito alle giovani donne a continuare a cucinare, è un inno alla gioia ed un ritorno alla semplicità. Tra lasagne, zuppe di cavolo, torte Paradiso, struffoli, parmigiane, bombolotti da salvare per la nostra memoria storica prima che spariscano e diventino rarità archeologiche, con un tono sorridente che svuota dalla malinconia anche i ricordi più intimi, ci porta, facendoci seguire la scia profumata di un ragù, nella casa delle sue radici dove qualcuno si alzava all’alba per cucinare per gli altri, e gli odori del cibo si mischiavano ai sentimenti ed al profumo del calore e dell’attenzione.
Per Marisa il tempo sembra essersi fermato: per lei cucinare è sempre stato un atto d’amore.
Marisa Laurito, nata a Napoli in un giorno di primavera di un anno meraviglioso, famosissima artista a tutto tondo, ma a detta degli amici “pazzesca” come cuoca.
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Book preview
Pasta love e fantasia - Marisa Laurito
CUCINARE È UN ATTO D’AMORE
C’è chi mangia per vivere, e chi vive per mangiare; chi non ha da mangiare e chi mangia le lucertole; chi mangia per tre, chi a quattro palmenti; chi mangia pane a tradimento e chi ti mangia con gli occhi; chi di matematica non ne mangia e chi ti mangerebbe il cuore; chi mangia la foglia e chi s’è mangiata tutta la torta; chi si mangia le parole e chi si mangia le mani. Poi c’è il pesce grande che mangia il pesce piccolo, mentre lupo non mangia lupo. Infine ci sono anch’io, che mangio e che amo dare da mangiare a tutti: cani, gatti, uccellini, pesci… amici. Adoro regalare affetto alle persone che amo attraverso il cibo.
L’affetto in cucina è un ingrediente indispensabile che unito a un pizzico di fantasia e di esperienza, può fare miracoli, persino resuscitare i morti. Sia in cucina che nella vita è tutta una questione di impasto e l’equilibrio delle dosi giuste sono alla base di una buona riuscita. E la stessa tecnica allegramente fatalista e per niente calcolatrice che applico alla vita, spesso la trasferisco anche in cucina. Insomma, amo la cucina (e la vita) senza regole rigide. Molti dicono che sono troppo passionale, istintiva, qualche volta cocciuta… Può essere, ma non sto lì a soppesare gli ingredienti del mio carattere, i grammi di entusiasmo o quelli di coraggio; oddio, gli etti qualche volta li considero, ma solo quelli di grasso e mai quelli della passione.
Così anche in cucina non peso gli ingredienti e non cucino con precisione scientifica, gli impasti come nella vita mi vengono naturalmente, e perciò ho avuto qualche difficoltà in questo libro a precisare bene le dosi, ma con un po’ di intuito e di mano
sono sicura che le mie ricette diventeranno vostre. L’esecuzione di una portata, pur essendo la stessa, non è mai uguale alle altre: dipende dal direttore d’orchestra, e dall’arrangiamento, come nella musica, perciò mi fido della vostra creatività.
La vita è un’immensa macedonia di elementi che quotidianamente si mescolano, trascolorano, si trasformano di minuto in minuto: un’alchimia di fortuna, pazienza, testardaggine, coraggio, passione, disperazione, amore. E spesso, questi elementi, questi momenti della nostra vita sono accompagnati da odori che ce li ricordano. Se sento espandersi nell’aria il profumo del Bil Bol Bul, immediatamente il mio pensiero corre a quando tornavo da scuola, e trovavo mia madre che mi aspettava sorridente sulla porta di casa, e l’aroma della torta al cioccolato mi accoglieva già per le scale.
E mi manca, a Roma, dove vivo da più di quarant’anni, l’odore del ragù che, nel mio palazzo a Napoli, la domenica tutti cucinavano.
Da ogni porta che si apriva usciva fuori un po’ di quel profumo. Tutti gli odori dei ragù che pippiavano sul fuoco si mischiavano come se il palazzo fosse diventato un unico pentolone che ribolliva delle storie di tutti. E anche il portone rimaneva aperto, perché il portiere nel suo basso cucinava il ragù che doveva sfogare
, e il profumo inondava la strada, già satura di altri profumi: segno che qualcuno anche nelle altre case si era alzato all’alba, per occuparsi dei propri cari.
Cucinare è un atto d’amore. Ecco perché non lascerei mai il compito di cucinare per quelli che amo… a nessun altro.
Il mio ragù
per 6 persone
1 kg di spuntature di maiale
1 kg e 500 di passata di pomodoro
2 cucchiai di concentrato di pomodoro
1 cipolla bianca
2 foglie di alloro
olio evo
100 ml di vino rosso
sale e pepe qb
600 g di candele spezzate
parmigiano qb
150 g di ricotta di pecora
per le braciole
6 fettine di manzo (paletta o copertina)
100 g di pancetta arrotolata
1 spicchio d’aglio
24 chicchi di uva passa
24 pinoli
1 bel ciuffo di prezzemolo
2 uova sode
Prima di tutto bollite le uova per farle sode. Cospargete le spuntature di sale e pepe e lasciatele marinare per una decina di minuti, mentre preparate le braciole. Fate un battuto di pancetta, 1 spicchio di aglio con 1 bel ciuffo di prezzemolo. Stendete le fette di manzo su un ripiano, battetele con il batticarne. Salate e pepate e poi giratele dal lato opposto. Su ogni braciola stendete uno strato sottile di battuto, aggiungete sopra un quarto di uovo sodo, 4 chicchi di uva passa e 4 di pinoli. Arrotolate le fette e chiudetele con uno stuzzicadenti.
In una pentola capiente, soffriggete le spuntature, con un filo d’olio, insieme alle braciole fino a ottenere una crosticina dorata, quindi unite la cipolla tagliata molto sottile. Fate appassire con il coperchio, sfumate con il vino rosso e, non appena l’alcol sarà evaporato, coprite la carne con la passata di pomodoro ed il concentrato. Fate cuocere a fuoco lento per 2 ore.
Togliete poi la carne, per non farla disfare troppo, aggiungete 2 foglie di alloro e continuate a cuocere lentamente ancora per 3 ore, sempre mescolando di tanto in tanto. A questo punto aggiungete le braciole e le spuntature, e continuate a cuocere ancora per 1 ora sempre a fuoco lentissimo. Il colore del ragù deve essere rosso scuro, e l’olio si deve staccare dal sugo, solo allora sarà pronto.
Mettete a bollire l’acqua con il sale, e lessate al dente le candele spezzate. Versate le candele ben colate in una zuppiera, conditele con il ragù e il parmigiano, e se vi piace potete aggiungere a tavola una ciotola di ricotta ben stemperata nel sugo, così ognuno se ne potrà servire. Io me ne farei delle flebo.
ZIA MARGHERITA
Mia zia Margherita adorava la parmigiana di melanzane, quando la preparava si muoveva come un direttore d’orchestra, e durante l’esecuzione non permetteva a nessuno di disturbarla. Così poteva concentrarsi bene sulla partitura, pardon, sulla doratura delle melanzane, su come tirare
il sugo al punto giusto e come asciugare delicatamente le foglie di basilico. Anche una piccola distrazione poteva compromettere la riuscita e gli applausi finali alla performance.
«Le cose o si fanno bene o non si fanno proprio», sentenziava, poi mandava tutti via e si chiudeva da sola in cucina per creare.
Questo accadeva nel 1932, e zia Margherita, come molte altre donne, oltre che a ricopiare poesie del Leopardi nel suo diario, andare a messa, ricamare e fissarsi nella preparazione della parmigiana di melanzane, il suo tempo lo passava fra sogni e chimere. Finché non si fidanzò con quello che sarebbe diventato mio zio Peppino, giovane ribelle al fascismo, anarchico convinto, e sostenitore del movimento di liberazione della donna: un bagaglio ideologico poco rassicurante per il padre di zia Margherita, che aveva organizzato un vero e proprio cambio della guardia, in casa, pur di non lasciare mai soli i fidanzati quando lui veniva a trovarla. Ma tutta questa sorveglianza, questa attenzione, si allentavano quando zia Margherita cucinava la parmigiana, perché tutti in famiglia erano