Le relazioni internazionali russo-sovietiche tra XIX-XX secolo
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Francesco Randazzo è professore Associato di Storia delle relazioni internazionali presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Perugia. Da diversi anni collabora con l’Archivio storico dello Stato Maggiore dell’Esercito di Roma di cui è stato consulente. Autore di svariati studi e monografie sui temi della Russia tardo-imperiale, collabora scientificamente con istituzioni accademiche italiane e straniere tra cui l’Università Statale di San Pietroburgo, l’Università di Targu Mures in Romania, il Centre d’Études Slaves dell’Università La Sorbonne di Parigi, l‘Università di Granada e l’Università “A. Moro” di Bari. È coautore della trilogia Andrà tutto bene? [Edizioni Libellula, 2020]. Tra le sue pubblicazioni più recenti From Moscow to Rome: Italian-Soviet Relations from 1943 to 1946, Cambridge, Cambridge Scholars Publishing, 2019; La guerra civile in Russia nei documenti militari e diplomatici italiani 1918-1922, Libellula, Tricase, 2019; Zarstvo and Communism. Italian Diplomacy in Russia in the Age of Soviet Communism, Cambridge, Cambridge Scholars Publishing, 2018.
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Anteprima del libro
Le relazioni internazionali russo-sovietiche tra XIX-XX secolo - Francesco Randazzo
Introduzione
La politica estera della Russia rappresenta un unicum nella storia delle relazioni internazionali. Senza dubbio, vi sono fattori che hanno concorso a determinare un simile risultato e vanno come sempre ricercati nell’evoluzione/involuzione di alcuni processi storici e nella secolare collocazione di questo paese ai margini dell’Europa e, in gran parte, seppur solo geograficamente, in area asiatica. Partendo da questa riflessione, che rimane una costante negli studi degli storici di ogni tempo, va evidenziato come proprio tale peculiarità, ovvero il voler preservare una doppia identità, o meglio forgiarne una terza, l’abbia preservata, in qualche modo, da due grandi eventi che hanno travolto non solo il vecchio continente ma anche l’intera umanità: l’epopea napoleonica agli inizi dell’Ottocento e la conquista del mondo nazifascita degli anni Trenta/Quaranta del Novecento. Eventi che, per la loro natura totalitaria, qualora seguiti dal successo, avrebbero potuto imprimere alla storia una svolta dalle conseguenze imprevedibili.
La Russia di Pietro il Grande, agli inizi del Settecento, aveva dimostrato di saper competere con i grandi vettori della politica europea e internazionale e soprattutto aveva saputo guadagnarsi quel rispetto sui campi di battaglia di cui a fare per prima le spese furono gli eserciti svedesi. Un nuovo gigante si profilava all’orizzonte e sia l’onnipotente impero ottomano che quello britannico cominciarono a guardare con sospetto il nuovo inquilino che dimostrava di saper raccogliere l’eredità del vecchio impero bizantino e rappresentarne idealmente la continuità in termini di spiritualità cristiana e nel connubio politico-religioso. E così, quando alle porte dell’impero zarista si affacciò il grande nemico della cristianità che avrebbe voluto sottomettere l’Europa intera alle sue volontà dittatoriali, la Russia rispose col sacrificio dei suoi uomini coscienti che la partita aperta sarebbe stata decisiva per le sorti delle genti europee e della cristianità. Ciò avrebbe comportato un ulteriore sacrificio del popolo russo costretto ad abbandonare i propri villaggi, distrutti onde evitare che il nemico avanzando potesse trovare scorte alimentari e ricoveri adatti ai propri bisogni. Lo zar Alessandro I preferì aderire alle pressioni esterne e decise il 20 agosto 1812 di nominare comandante supremo dell’esercito l’anziano, esperto e prestigioso generale Michail Kutuzov, eroe della guerra contro Napoleone. Da questo momento in poi la Russia si ritaglierà nel quadro del concerto
europeo una sorta di posizione di privilegio che le permetterà di arrivare al Congresso di Vienna con un vantaggi