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Hey, sembra l'America
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Hey, sembra l'America

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About this ebook

La SHS, acronimo di Silvana High School, è una scuola immaginaria americana, nello Stato del North Carolina. L’edificio, un monolite di mattoni rossi tagliato a distanza regolare dai quadrati delle finestre, si stende su un terreno prevalentemente pianeggiante e dolcemente ondulato, che passa dalla palude vicino alla baia, incastonato in un paesaggio bucolico.
Questo edificio degli anni Cinquanta non è neanche un lontano parente dell’America patinata e luccicante che siamo abituati a vedere nei magazines o in televisione. Vecchio, essenziale, e scarnamente funzionale al suo scopo: ingoiare duemila studenti ogni mattina, ruminarli tra le pieghe dei suoi meandri per sette ore e vomitarli fuori integri e istruiti al suono della campanella: il “mònotono bip montòno” della sesta ora. La voce narrante, Mr D, è un giovane professore italiano, che insegna latino, emigrato negli States. Oltre alla vocazione di insegnare, Mr D ha una grande passione: scrivere. Così Mr D ci accompagna in un diario a episodi, nelle aule della SHS, che rivela pagina dopo pagina, l’America nascosta: un Paese in disequilibrio perenne tra la ricerca di giustizia sociale, politiche del consenso, e la non-etica del capitalismo incipiente. Hey! sembra l’America ci racconta attraverso le storie di una classe di ragazzi e del suo professore, e con uno stile piacevole, preciso e scanzonato, quello che l’America è ma non vuol far credere di essere.

«Mr. D noi non insegniamo, noi creiamo consenso. Il nostro datore di lavoro sono le famiglie che pagano le tasse… e loro non vogliono che insegniamo, loro vogliono che…» Mr. Cummings aveva alzato la testa verso il soffitto, come a cercare una qualche ispirazione tra le pieghe del cartongesso pezzato di umidità, «loro vogliono che intratteniamo i loro figli.  Io mi limito a semplificare al midollo un programma che negli ultimi due decenni è stato gradualmente semplificato a causa delle pressioni anti-intellettuali di una società utilitaristica. Gli insegnanti di questo Millennio non devono insegnare, devono intrattenere. Imparare è un processo intellettuale e le famiglie lo trovano incredibilmente palloso. Noi abbiamo smesso di insegnare da molto tempo…»
LanguageItaliano
Release dateJul 24, 2021
ISBN9791220828031
Hey, sembra l'America

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    Hey, sembra l'America - Michele Di Mauro

    I fuori collana

    Per essere informati

    delle novità di Battaglia Edizioni visita:

    www.battagliaedizioni.com

    ISBN 978-88-944081-3-3

    HEY, SEMBRA L’AMERICA

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, attività commerciali, luoghi, eventi, locali e incidenti sono o prodotti dell’immaginazione dell’autore o utilizzati in modo fittizio. Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o morte o eventi reali è puramente casuale.

    © 2020 Battaglia Edizioni s.r.l.s., Imola

    Prima edizione novembre 2020

    Promozione: libri.goodfellas.it

    Distribuzione: messaggerie.libri.it

    Progetto grafico: Giulia Tudori

    Disegno di copertina: Giulia Tudori

    Redazione: Silvia Paglia

    Hey, sembra l’America

    Diario di un anno di insegnamento in USA

    Michele Di Mauro

    Prefazione di

    John C. McLucas

    A Giovanna,

    ubi tu Gaia, ego Gaius

    Patriae quis exsul

    Se quoque fugit?

    Chi, esule dalla patria

    Sta fuggendo anche se stesso?

    Orazio, 2.16, 18-20

    In my mind I’m gone to Carolina

    Can’t you see the sunshine?

    Can’t you just feel the moonshine?

    Ain’t it just like a friend of mine

    To hit me from behind?

    Yes, I’m gone to Carolina in my mind

    James Taylor, Carolina in my mind

    PREFAZIONE

    INSEGNARE STANCA

    di John C. McLucas

    PhD in Lingua e Letteratura Italiana, Università di Yale

    Insegnare all’estero impone un disinganno doppio e brutale. Mister D è giovane, in gambissima, e affronta contemporaneamente le due sfide, insegnando in USA il... wait for it... Latino. E chi lo vuole questo ablativo assoluto, questo congiuntivo, questa frase ipotetica, questo Virgilio, nel nuovo mondo? Qui gli studenti non sono convinti neanche (perché un insegnante, o peggio un genitore, gliel’ha detto) che due più due fa quattro; figuriamoci l’Eneide. Non è solo che Mister D arriva da un estero che i ragazzi stentano a concepire; è anche che arriva dal pianeta dei classici, dei morti. E questi ragazzi, spaesati anche loro nella fragilità di teenager, spesso figli di secondi o terzi matrimoni tra adulti meno maturi di loro o adulti che si raccomandano, che chiedono scusa prima di parlare, proprio questi ragazzi imparano a rispettare Mister D. Magari trovano agganci tra la loro vulnerabilità e la sua. In aula lo criticano, gli mancano di rispetto, lo prendono in giro. Ma a quattrocchi – anche nei momenti che sanno perfettamente ritagliarsi, quando lui preferirebbe di gran lunga prendere un caffè in beata solitudine nell’ora di pausa – confessano, come forse a pochi altri, sogni, chimere, speranze, avvilimenti, paure, nevrosi e forza d’animo.

    Per me, professore universitario americano, leggere queste storie durante un anno scolastico in cui insegnavo a studenti che avevano al massimo quattro anni in più rispetto a quelli di Mister D, con background del tutto paragonabili, è stato come vedermi in uno specchio carnascialesco. I miei colleghi all’università spesso si lamentano del bisogno di rifare il lavoro degli insegnanti del liceo: colpa di curricula sbagliati, d’incompetenza amministrativa, del fallimento dei genitori americani. Eppure, ho visto in questi alunni di Mister D un’inaspettata maturità, e in lui una capacità di comunicare loro non solo materia veramente pesante, ma anche valori accademici (quali onestà e oggettività), dubbi e conquiste. L’attività pedagogica, a turni esaltante e umiliante, l’avventura dell’apprendimento affrontata insieme (qui docet discit – chi insegna impara, sì, ben venga, ma anche docent qui discunt – insegnano coloro che stanno imparando) è sempre una, in qualsiasi contesto e sede.

    Insegnare stanca, vivere all’estero pure.

    In aula s’invecchia. Tutti pensano che il contatto con i giovani tenga giovani pure gli insegnanti, ma no: tempus fugit, velocissimo e inesorabile. L’insegnante lancia la carriera da fiorente venticinquenne che gli alunni trattano quasi come un amico. S’illude di essere più cool degli altri colleghi, ma bastano un paio di anni perché diventi un dinosauro brizzolato, stempiato, brontolone. Trentacinque anni fa, in aula davanti a un gruppo di ragazzi, cercavo di creare feeling:

    «Ragazzi, quella canzone di Aretha Franklin...» reazione zero. Riprovo con tono sempre più disperato: «...dei REM... di Dave Matthews...»

    «Ah sì, l’ascoltavano i miei genitori.»

    «Ragazzi, quella scena indimenticabile... avete presente, no? Quella tra Sophia e Marcello che si dicono...».

    I ragazzi mi guardano, leggermente infastiditi, come se parlassi della Duse, di Salvini, Amleto italiano dell’Ottocento... di Euripide, perché no?

    Anche vivere all’estero reca umiliazioni; questo campione di dialogo riassume quarantacinque anni d’incontri con amici italiani:

    «No, vi giuro che a casa sono considerato colto, raffinato, spiritoso...»

    «Ma no, caro John! Sei quell’americano bonario, sempliciotto, trasparente, e ti vogliamo bene proprio così, come sei!».

    Un minuto prima pensavo di colloquiare da concittadino; parlavamo di Ariosto, di Calvino, di sentimenti, di esperienze di vita. Ma poi siamo passati a pubblicità televisive anni ’60, a campagne politiche tra Craxi e chissà chi. Oh... so cosa vuol dire tromba, ma non capisco perché un amico senese rimprovera la volgarità del fiorentino che dice trombe per grondaia. E soprassediamo su quella volta in cui amici romani, durante un gioco da tavola, per farmi dire ditale parlavano di donne... sole.

    Lo straniero come per miracolo torna balbuziente, goffo, imbecille, infantile.

    Queste due cose – insegnare ed essere stranieri – hanno in comune il fatto di esporre senza pietà la debolezza dell’animo umano. Siamo in perpetua fuga dalla mortalità: sono giovane, e sono io. Mi conosco, ho un’identità stabile, so chi sono (anche gli altri sanno chi sono, o dovrebbero saperlo), so di dove sono... e poi per regola vostra, sono destinato all’immortalità.

    Non omnis moriar – non morirò del tutto – anzi... non omnino moriemur – non moriremo affatto.

    PROLOGO

    ROMA KAPUT MUNDI

    «Mr. D?»

    «Sì?»

    «Sono Ms. Harris, la segretaria della Silvana High School, la prego di restare in linea che le inoltro la chiamata.»

    «Mr. D?»

    «Sì?»

    «Sono Mr. O’Shaughnessy, il preside della Silvana High. Come sta oggi?»

    «Bene grazie...»

    «Allora, tenga presente che il lunedì le lezioni terminano alle tre e mezza perché tutti i docenti sono tenuti a fermarsi un’ora in più, fa parte del contratto.»

    «Ah capisco...»

    «L’orario per tutti gli altri giorni è dalle sette e mezza alle due e mezza...»

    «Va bene...»

    «L’ufficio abilitazione sta lavorando alle sue carte, forse dovrà sostenere degli esami universitari integrativi per ottenere la certificazione da insegnante definitivo, quello di cinque anni.» 

    «Ah... capisco.»

    «Nel frattempo le verrà rilasciato un patentino provvisorio della durata di dodici mesi, se al termine dell’anno non avrà superato gli esami richiesti non potrà più insegnare e il suo contratto verrà revocato. Tutto chiaro?»

    «Sì... cioè, no...»

    «In che senso?»

    «Nel senso che questa chiamata significa che vuole assumermi per insegnare alla Silvana High?»

    «Sì... intendiamo offrirle un contratto a tempo pieno.»

    «Quindi dalle sette e mezza alle due e mezza, sette ore al giorno dal lunedì al venerdì?»

    «No, come le ho detto all’inizio il lunedì dovrà rimanere fino alle tre e mezza.»

    «Quindi il tempo pieno è trentasei ore alla settimana?»

    «Esattamente. Da contratto lei sarà pagato come Master livello uno.»

    «E quanto percepirò mensilmente?»

    «Questa è materia dell’ufficio risorse umane.»

    «Ah... capisco.»

    «Da contratto lei insegnerà tre classi al giorno, ognuna della durata di un’ora e trenta minuti, mezz’ora è libera per il pranzo e l’altra ora e mezza sarà a disposizione...»

    «Capisco...»

    «Domande?»

    «No...»

    «Bene. Ha carta e penna per prendere nota?»

    «Nota di cosa?»

    «Dell’ufficio in cui dovrà recarsi domani...»

    «Per la firma del contratto?»

    «No. Per il rilevamento delle impronte digitali».

    A norma di legge, i dipartimenti scolastici degli Stati Uniti sono tenuti a far controllare i precedenti penali nazionali attraverso la banca dati dell’FBI per tutti i dipendenti.

    La legge prevede che a ogni dipendente che per motivi didattici potrebbe trovarsi solo con un minorenne vengano prese le impronte digitali, gestite attraverso la banca dati nazionale dell’FBI per garantire che non abbia precedenti penali.

    Ciò non vale solo per gli insegnanti, ma include autisti di autobus, lavoratori della mensa, insegnanti di sostegno, presidi e soprintendenti di tutte le scuole pubbliche e private. La legge include anche coloro che lavorano in asili nido, programmi di doposcuola e candidati che vogliono adottare bambini.

    ***

    «Nome?»

    «Mr. D.»

    «Per quale scuola deve fare le impronte digitali?»

    «Silvana High.»

    «Quale materia dovrebbe insegnare?»

    «Latino.»

    «Ah, latino-americano? Ballo, quindi.»

    «No, la lingua.»

    «Ah, lo spagnolo del Sud America?»

    «No, quella di Giulio Cesare.»

    «Ma la insegnano ancora?»

    «A quanto pare...»

    «Mi tolga una curiosità...»

    «Dica...»

    «In che paese si parla ancora latino?»

    «Da nessuna parte.»

    «...»

    «È una lingua morta...»

    «E a che serve imparare una lingua morta?»

    «Per pensare meglio... capire meglio... espandere i propri orizzonti.»

    «Vabbè... come si definisce?»

    «Innocente... ah ah ah...»

    «No... intendo dire se si definisce un lui, una lei, pansessuale, intersex...»

    «Ah ah ah...»

    «Perché ride, scusi?»

    «Ah, non era una battuta?»

    «No, era per via dell’Equal Employment Opportunity Act, la legge sulle pari opportunità sul lavoro.»

    «Ah...»

    «Etnia?»

    «...»

    «Nativo americano, latino, caucasico, ispanico, afroamericano, africano, asiatico, asiatico americano, multi razze, isolano del pacifico...?»

    «Italiano?»

    «Vabbè, ho capito...»

    «Ha mai commesso reati contro minori o edifici scolastici?»

    «Non ancora. Ah ah ah.»

    «Mr. D, ha mai commesso reati contro mi...»

    «No.»

    «Okay, mi dia la mano destra, ora metta il pollice sulla macchina, così, e ora le altre dita chiuse nel palmo.»

    «Abbiamo finito?»

    «Sì, deve solo firmare la liberatoria. Oggi, 12 agosto, Mr. D si è presentato presso gli uffici della contea per completare i rilevamenti delle impronte digitali per lavorare presso la Silvana High. Firmi qui... grazie.»

    «Posso farle una domanda io adesso?»

    «Dica...»

    «Lei ha un mortgage, un mutuo?»

    «Sì...»

    «E lei ha deciso di stipularlo, giusto?»

    «Sì.»

    «Lo sapeva che decide e mortgage sono due parole latine? Il suffisso cide in latino vuol dire tagliare, uccidere... pensi alle parole homi-cide, l’uccisione di un uomo, pesti-cide, l’uccisione di un insetto, e nel suo caso de-cide

    «Sì, ma de cosa vuol dire? Cosa avrei ucciso scusi?»

    «Ha ucciso la preposizione de, ovvero tutte le altre possibilità per restare solo con una, il suo mutuo.»

    «E quindi?»

    «Ecco, se Lei avesse studiato il latino, la lingua morta, forse ci avrebbe pensato due volte prima di scartare tutti gli altri de e accollarsi un mortgage...»

    «E perché?»

    «Mortgage, mutuo è una parola composta da mort e gage. Gage vuol dire pegno o impegno come nella parola engage... ma mort è latino e vuol dire mortale. Di fatto lei non ha scelto di firmare un semplice loan, un prestito, ma un mort-gage, un pegno mortale, un impegno così lungo che l’accompagnerà fino alla morte. Have a great day!».

    Quei cretini dei miei genitori invece mi hanno dato un’infarinatura di cultura.

    Che me ne faccio dei retorici e dei grammatici adesso?

    Schiocca le tue piccole penne e ritira i tuoi piccoli libri, Thalia.

    Se una scarpa può dare tutto ciò a un calzolaio.

    Marziale 9:73

    PRIMO QUARTO

    IN FONDO ANCHE IL SALE SEMBRA ZUCCHERO

    La Silvana High sembra un teatro la notte che precede la prima della stagione. L’edificio è straboccante di insegnanti, amici, studenti, genitori. È un via vai frenetico di persone che corrono da una stanza all’altra mentre i bidelli si affannano a soddisfare le richieste, a volte anche bizzarre, del corpo docenti.

    Io, seduto alla scrivania della mia nuova aula, fisso con sguardo assente la checklist che il preside ci ha consegnato lunedì mattina durante il primo collegio docenti dell’anno scolastico. Si tratta di una spunta su un foglio A4 che presenta una serie di adempimenti che ogni insegnante è tenuto a completare prima di martedì, quando i cancelli della Silvana High School apriranno ufficialmente per l’inizio dell’anno scolastico.

    Alzo per un attimo gli occhi e guardo l’aula così tranquilla e silenziosa. Dalle casse del computer Ben Howard canta: «Anger / I’ve seen it rise / From a careless word that I said / Well guilt is wasteful / Pride is childish».

    La piccola finestrella alla mia sinistra mi restituisce un cielo azzurro sgombro di nuvole che sembra salutare l’ultimo venerdì del mese di agosto. In North Carolina Charlotte, Raleigh, Greensboro sono frenetiche, come la maggior parte delle città degli Stati Uniti, del resto. L’ultimo weekend di agosto è considerato da tutti gli americani come la grande festa della fine dell’estate. Lunedì l’America si fermerà per celebrare il Labor Day, la Festa del Lavoro, poi martedì inizierà un nuovo anno lavorativo, un nuovo anno scolastico.

    Sospiro e torno a fissare la lista delle cose da fare.

    Controllare di aver ricevuto l’orario scolastico. Fatto.

    Assicurarsi di aver ricevuto le chiavi della propria aula. Fatto.

    Assicurarsi di aver scritto il programma per ogni classe insegnata. Fatto.

    Assicurarsi di aver organizzato la propria aula in modo coerente così da accomodare le esigenze degli studenti. Fatto.

    Alzo di nuovo la testa dal foglio. So di aver fatto tutto tranne il punto sette che ho volutamente procrastinato fino a ora... Inutile prendersi in giro.

    Punto sette. Completare il training.

    Sospiro e guardo l’orologio appeso alla parete: tredici e venticinque, ancora un’ora e mezza e la scuola chiuderà. Non posso più rimandare.

    Vado sull’account e inserisco username e password.

    Una scritta mi dà il benvenuto al corso online

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