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Raccontando Ballao
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Raccontando Ballao

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Racconti come immagini, ricordi come ritratti, storie come schegge di vita di un tempo perduto che rivive nelle testimonianze documentali, ora intense e vibranti, ora flebili e periture, degli abitanti di Ballao, protagonisti di un'antologia di pensieri sulla storia sociale ed economica del paese all'alba del Novecento. Brani vergati di seppia per riecheggiare, sul filo di una memoria divenuta storia, uno spaccato di vita comunitaria, sospesa tra racconto e fantasia, mito e leggenda, all'ombra di un passato che è nostalgia, malinconia, tormento, ma anche inviolabile eredità storica e spirituale, da custodire e tutelare.

In sommario le testimonianze orali di Antonietta Arba, Maddalena Boglino, Silvana Boldrini, Maria Cardia, Felice Caredda, Antonio Congiu, Benigno Congiu, Giuseppe Congiu, Lucia Congiu, Maria Addolorata Congiu, Rosina Maria Congiu, Benigno Cossu, Giuseppe Cossu, Lucia Cossu, Ezelinda Cubeddu, Antonio Deplano, Gerardo Deplano, Grazia Lai, Vincenza Lecca, Giovanna Loddo, Rinalda Lussu, Giulia Mereu, Anna Mullano, Stefanina Murgia, Luigi Olla, Erminio Puddu, Marinella Serra, Salvatore Sestu, Antonio Siddi, Pietro Vincis.

Il presente e-book ripropone in versione digitale i contenuti del volume "Raccontando Ballao" di Maria Elena Caredda (Editoriale Documenta, 2020, Isbn 978-88-6454-420-5) ad esclusione del repertorio fotografico.
LanguageItaliano
Release dateJul 22, 2021
ISBN9788864544403
Raccontando Ballao

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    Raccontando Ballao - Maria Elena Caredda

    Maria Elena Caredda

    Raccontando Ballao

    ISBN: 978-88-6454-440-3

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    https://writeapp.io

    Sommario

    Prefazione

    Nota editoriale

    Se i soldi mancavano

    Le case

    Il fuoco in cucina

    Le fontane

    La povertà

    La fame

    Il vicinato

    La corriera

    Una struttura polifunzionale

    Collaborazione in famiglia

    Is serbidoris

    Il periodo fascista

    La guerra

    I soldati a Ballao negli anni Quaranta

    Su pistoccu e sa pillonca

    Passatempi e storielle di vicinato

    Vita da poveri

    Voltandomi indietro

    Ricordi d’infanzia

    L’analfabeta

    La severità dei genitori

    Le ombre della sera

    Il pastore bambino

    Sardo o romano, il nostro pecorino

    Giovani lavoratori

    La semina

    Routine familiare

    Da Cagliari a Ballao

    A Ballao dal 1948

    Il Genio Militare

    La Cassa Agraria

    Il Dopoguerra

    L’olio

    Altri tempi

    La vendemmia

    La mietitura

    Il fiume e la pesca delle anguille

    Le alluvioni

    Su carrettoneri

    Il lavoro del calzolaio

    Il lavoro in miniera

    Il bucato

    Il lavoro delle donne in miniera

    L’emigrazione in Germania

    Alla ricerca di un impiego

    Le cose fatte in casa

    La scuola

    Il collegio

    Il Sabato e la Befana fascista

    Il divertimento dei ragazzi

    Il gioco del calcio

    Sa tzaccarredda e sa ranedda

    Is animmeddas, su cinnadroxu e su tunditroxu

    Il Natale e l’Epifania

    I balli in casa

    Le feste, i balli e le passeggiate

    Le feste

    La processione di Gesù e il Corpus Domini

    Battesimo, Prima comunione e Cresima

    Il fidanzamento e il matrimonio

    I giochi nel piazzale della chiesa

    Giochi e is pipieddas de tzapulas

    Il vestiario

    L’ostetrica

    Il medico condotto

    La morte

    I funerali

    Religione e superstizione

    La chiesa

    Don Cerina

    Il parroco

    POA, CIF e CRES

    Antiche credenze

    Is cogas

    Filastrocche scolastiche

    Filastrocche

    Mutettus

    Mutettu religioso

    Preghiere

    © EDITORIALE DOCUMENTA

    www.editorialedocumenta.it

    in copertina

    Ritratto di Benigno Congiu

    Proprietà letteraria riservata

    Prima edizione ebook: luglio 2021

    ISBN 978-88-6454-440-3

    Prefazione

    Racconti come immagini, ricordi come ritratti, storie come schegge di vita di un tempo perduto che rivive nelle testimonianze documentali, ora intense e vibranti, ora flebili e periture, degli abitanti di Ballao, protagonisti di un'antologia di pensieri sulla storia sociale ed economica del paese all'alba del Novecento. Brani vergati di seppia per riecheggiare, sul filo di una memoria divenuta storia, uno spaccato di vita comunitaria, sospesa tra racconto e fantasia, mito e leggenda, all'ombra di un passato che è nostalgia, malinconia, tormento, ma anche inviolabile eredità storica e spirituale, da custodire e tutelare.

    Nota editoriale

    Il presente e-book ripropone in versione digitale i contenuti del volume Raccontando Ballao di Maria Elena Caredda (Cargeghe, Editoriale Documenta, 2020, Isbn 978-88-6454-420-5) ad esclusione del repertorio fotografico.

    Il volume raccoglie una selezione di testimonianze orali di abitanti di Ballao. I testi, trascrizione di interviste realizzate sul campo nell’arco temporale intercorrente tra i mesi di novembre 2018 e luglio 2019, riportano il contenuto dei documenti orali originali con larga fedeltà alle forme sintattiche e semantiche adottate dagli informatori.

    Se i soldi mancavano

    Ai miei tempi Ballao non era povero, era poverissimo! Non c’era niente e, anche se costava poco, non potevamo permetterci nemmeno un gelato perché soldi non ce n’erano.

    I gelati erano quelli col cono, sfusi. Quelli piccoli costavano cinque lire, quelli più grandi dieci. Io l’ho potuto mangiare qualche volta quando sono andata a lavorare in un bar per sostituire mia sorella che si era ammalata. Capitava infatti che a volte la padrona ne mangiasse uno e lo dava anche a me.

    All’epoca avevo circa quattordici anni, ricordo che per fare il gelato c’era una macchina dentro la quale si mettevano zucchero, torrone e altro ancora, ottenendo un composto che si spalmava sul cono con la paletta, così come si fa oggi.

    La gente era davvero povera; ricordo che in quegli anni, dove adesso c’è la casa del parroco, arrivavano dei sacchi contenenti soprattutto indumenti e farina da destinare a chi ne avesse bisogno. Una volta mi diedero un cappotto verde con tanti bottoni che a me sembrava un cappotto militare. Non so perché fosse toccato a me, forse a me stava meglio.

    Anna Mullano

    Le case

    Le case? Erano dei veri e propri buchi, specialmente quelle dei poveri, fatte di una stanza adibita a cucina e una in cui si dormiva.

    Il pavimento, in terra battuta e ottenuto da una miscela di terra e sterco di mucca che una volta asciutto sembrava cemento, veniva pulito ogni mattina buttandoci sopra dell’acqua e spazzando.

    Le sedie erano fatte con un materiale che si raccoglieva nei posti umidi, solitamente vicino al fiume, su sessini, mentre i materassi e i cuscini erano imbottiti di lana, per chi poteva permettersela, altrimenti di fieno d’orzo.

    Le galline erano libere di entrare e uscire dalla cucina e facevano l’uovo in is fronestras, dentro delle nicchiette sui muri delle stanze. Tra il tetto, fatto di canne e tegole, e le stanze del piano terra, c’era un altro livello col pavimento in terra, paglia e canne, a cui si accedeva usando all’occorrenza una scala a pioli.

    Il bagno ovviamente non era incluso tra gli ambienti domestici e si trovava all’esterno, in cortile, in genere vicino al ricovero del maiale o il pollaio. Poteva essere uno spazio chiuso alla bene e meglio, ma senza porte e spesso senza copertura o, se l’aveva, era fatta di canne, quindi se pioveva ci si bagnava lo stesso. Era molto spartano, costituito da una tavola su cui appoggiare i piedi, e lo si ripuliva ogni giorno buttandoci sopra della paglia che a sua volta veniva buttata nei pressi del fiume, lontano dal centro abitato.

    In casa non c’era nemmeno l’acqua corrente e per lavarci andavamo a prenderla con le brocche presso i rubinetti sparsi in paese per riempire, una volta a settimana, una bacinella che mettevamo in cucina per fare il bagno a turno.

    Eh, sì! C’era chiaramente un po’ di arretratezza!

    Felice Caredda

    Il fuoco in cucina

    Il fuoco si faceva in cucina, in mezzo alla stanza. Camino ancora non ce n’era e la stanza si riempiva di fumo. Per questo si usava appendere prosciutti, salsicce e lardo in modo che affumicassero.

    Per riscaldarci, noi ragazzi ci mettevamo tutti intorno al fuoco. Gli uomini erano soliti mangiare seduti col piatto sulle ginocchia invece mio padre sedeva a tavola dove prendeva anche il caffè. Noi ragazzi invece tottus a traversu.

    Mio fratello lavorava in miniera e, con quel poco di stipendio che aveva, nel 1940 era riuscito a mettere la corrente elettrica a casa. In pochi a Ballao potevano permettersela e noi ne alternavamo l’utilizzo con l’uso di una candela a carburo. Ricordo che tutti insieme intorno al fuoco dicevamo: «Non è ancora rientrato Giovanni dalla miniera che ci porta la candela?», e mentre aspettavamo cuocevano le castagne arrosto. Era una felicità!

    Nel fuoco si faceva anche l’arrosto nello spiedo e i ceci alla brace che erano buonissimi: « Non furiat a papai ciocolatinus no, furiat a papai cixiri!».

    Vincenza Lecca

    Le fontane

    Acqua in casa non ne aveva nessuno. La prendevamo dai rubinetti sparsi in paese. Funzionavano a orario: venivano aperti la mattina presto e richiusi la sera da un signore che aveva le chiavi della valvola.

    C’era sempre una gran fila e per prendere il posto ci alzavamo anche alle due del mattino, posizionavamo la nostra brocca e tornavamo a letto. Alle prime luci del sole tornavamo al rubinetto e aspettavamo il nostro turno, con la speranza di non dover ricominciare la fila altrove se l’acqua finiva proprio quando toccava a noi.

    Il primo deposito pubblico, quello di Via Cagliari, risale al 1905. Poi misero altri rubinetti, come Sa Funtana de Mesu Idda, Su Semucu, quello di Capudali, di Via Sulis e di Pratza

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