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Lo scopritore di talenti
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E-book73 pagine56 minuti

Lo scopritore di talenti

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Weird - racconto lungo (48 pagine) - Durante la cerimonia di una premiazione letterararia arriva un ospite molto strano, dall'aspetto buffo ma allo stesso tempo inquietante...


Chi è Sigmund Meyer? Un semplice turista tedesco dalla testa simile a quella di un gufo, o un essere spregevole, dotato di un misterioso potere, implicato in numerosi delitti per i quali nessuno è mai riuscito ad incriminarlo? Anna e Mattia, due giovani studenti universitari vincitori di un premio letterario, lo scopriranno a loro spese e la sera della premiazione si trasformerà in un incubo senza fine.


Elìa Giovanaz è nato a Trento nel 1988 e attualmente insegna lettere in Veneto ai ragazzi delle scuole medie. Fin dagli anni del liceo, ama scrivere racconti e poesie. Appassionato di cinema e vorace lettore di gialli e fantascienza, terminata l’università, ha stretto amicizia con Jacopo Jannelli: insieme condividono la passione per la letteratura e per Sherlock Holmes e, tra molte risate e degustazioni di vino, hanno intrapreso insieme l’avventura della scrittura a quattro mani, scrivendo tre apocrifi per la collana Sherlockiana.

LinguaItaliano
Data di uscita13 lug 2021
ISBN9788825417128
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    Anteprima del libro

    Lo scopritore di talenti - Elìa Giovanaz

    I

    Nell’affollata hall dell’Hotel Nettuno, un giovane impiegato della portineria correva incontro al nuovo arrivato con un sorriso da manuale stampato in faccia e un cordialissimo buonasera. Si stava rivolgendo ad un ometto molto più basso di lui, poco più di un metro e sessanta, con un corpo piuttosto gonfio e agghindato in maniera singolare, una giacca a quadretti color ocra e un vistoso papillon marrone che spuntava da sotto il grasso mento.

    – Il mio nome è Meyer, Sigmund Meyer – bofonchiò. – Ho prenotato tre settimane fa.

    – Ah, certo, il signore dalla Germania… – e nel pronunciare quella frase l’inappuntabile portiere si era in parte spiegato lo stravagante abbigliamento del suo ospite. Mentre sbrigavano le formalità, non poté fare a meno di continuare a osservarlo con curiosità. Fra le strette spalle dell’ometto torreggiava una grossa testa quadrata come quella di un gufo; un cappello marrone a tesa larga e un paio di piccoli e spessi occhiali dalle lenti rotonde completavano il suo poco invitante ritratto. Teneva le labbra sottili ben serrate in un’espressione severa. Sembrava propenso a restare in silenzio, ma ad un tratto si sentì lo scoppio di un applauso provenire da una delle stanze adiacenti all’entrata. Quel fragore risvegliò l’interesse del tedesco.

    – Che sta succedendo là dentro?

    Aveva un accento marcatissimo, quasi comico.

    – È la sala conferenze – spiegò l’impiegato. – Stasera vengono premiati i vincitori di un concorso letterario…

    Fu in quell’istante che il grasso e serio volto di Meyer si accese e le due folte e arricciate sopracciglia s’alzarono di un paio di centimetri.

    – Davvero? – chiese, strabuzzando gli occhi. – Ma che cosa interessante! E questa sala è aperta al pubblico?

    – Certamente, signore.

    – Allora – dichiarò il tedesco, con fare solenne – credo proprio che, appena sistemate le valige, andrò a dare un’occhiata.

    A quel punto il piccolo uomo trasfigurò. Aveva fatto qualcosa che aveva mutato radicalmente il suo aspetto, caricandolo di un alone di ambiguità, anzi, rendendolo decisamente sinistro. Se lo avesse saputo prima, l’impiegato non si sarebbe mai avvicinato a quello strano tipo, avrebbe lasciato fare al suo collega. Fu solo con grande fatica che riuscì a mantenere il proprio volto impassibile e a nascondere il proprio turbamento di fronte a un tale spettacolo: Sigmund Meyer aveva sorriso.

    II

    Osservavo il susseguirsi di intellettuali (ce n’erano di veri e ce n’erano di falsi) di scrittori, di sponsorizzatori e commissari vari al microfono, come se i loro discorsi non mi riguardassero minimamente. Come se il vincitore del premio letterario di cui stavano tessendo le lodi da più di un’ora non fossi io. Le motivazioni del mio distacco potevano essere due. Innanzitutto nella mia vita mi era capitato di vincere ben poche cose e meno di tutte un prestigiosissimo premio letterario su scala nazionale: per la precisione il concorso riservato a scrittori esordienti con il montepremi più cospicuo di tutta Italia. Mi trovavo catapultato nella sontuosa e strapiena sala conferenze dell’Hotel Nettuno di Roma, con la sensazione che tutto ciò non stesse realmente accadendo a me. Che cavolo, avrò scritto un paio di racconti in tutta la mia esistenza; poi mi iscrivo per la prima volta ad un concorso e tac! Stavo per portare a casa il primo premio! Era stato davvero incredibile.

    C’era poi una seconda motivazione al mio senso di straniamento. Se il romanzo premiato fosse stato integralmente opera mia e farina del mio unico sacco, sarebbe stato un discorso, ma qui si trattava di un’opera scritta a quattro mani: cioè le mie, più quelle della mia carissima collega di università Anna Franzini. Se in quell’istante ero seduto là, non lo dovevo solo alla mia abilità di scrittore, dunque.

    A lanciare l’idea di unire i nostri cervelli, cioè il mio arrugginito e scalcinato ammasso di neuroni più quello di Anna, prodigioso miracolo dell’anatomia umana, era stata proprio lei, nel corso di una noiosissima lezione di filologia romanza. Ci eravamo arresi alla fatica di raccogliere appunti incomprensibili e avevamo intrapreso una lunga chiacchierata, modulando la nostra voce sulla frequenza degli ultrasuoni per non essere sentiti dai compagni intorno a noi. Una delle cose che condividevamo, oltre alla scelta della facoltà di Lettere e Filosofia, era l’hobby della scrittura. Io, in particolare, ero un accanito lettore di gialli, thriller e surrogati vari e avevo tentato di creare qualcosa di analogo attingendo alla mia discreta fantasia. Mentre parlavo delle mie modeste prove letterarie, Anna aveva lanciato l’idea di scrivere qualcosa insieme. Mi aveva preso alla sprovvista. Non so dirvi quanto la cosa mi ispirasse, in realtà.

    A questo punto devo mettervi al corrente di quello che provavo per Anna, così mi capirete meglio. Lei era stata una delle primissime persone che avevo conosciuto, da quando avevo iniziato a frequentare i corsi dell’università

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