L’Ombra dell’Apocalisse - I giorni della speranza
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Info su questo ebook
Il destino del Vecchio, però, non è nelle mani della sua allieva, ma esclusivamente nella sua forza di volontà e nella capacità di sconfiggere i demoni nella sua testa, affamati di ricordi e di rimpianti. Sarà in grado di sbarazzarsene e di elevarsi come l'uomo che è destinato a diventare?
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Anteprima del libro
L’Ombra dell’Apocalisse - I giorni della speranza - Elena Birigozzi
Elena Birigozzi
decorationL’Ombra dell’Apocalisse - I giorni della speranza
Proprietà letteraria riservata
© 2021 by Elena Birigozzi
© 2021 by Genesis Publishing, Rodi (GR)
ISBN Kindle: 978-960-647-170-4
ISBN Epub: 978-960-647-169-8
ISBN Pdf: 978-960-647-171-1
www.thegenesispublishing.com
In copertina
COVER DESIGN: © Genesis Publishing, a cura di Ester Kokunja
IMMAGINE GUERRIERO: © Andrey Kiselev
IMMAGINE MAPPA: © Fabio Porfidia
ISBN: 978-960-647-169-8
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
http://write.streetlib.com
INDICE
TRAMA
PROLOGO
CAPITOLO 1
CAPITOLO 2
CAPITOLO 3
CAPITOLO 4
CAPITOLO 5
CAPITOLO 6
CAPITOLO 7
CAPITOLO 8
CAPITOLO 9
CAPITOLO 10
CAPITOLO 11
CAPITOLO 12
CAPITOLO 13
CAPITOLO 14
CAPITOLO 15
CAPITOLO 16
CAPITOLO 17
CAPITOLO 18
CAPITOLO 19
CAPITOLO 20
CAPITOLO 21
CAPITOLO 22
CAPITOLO 23
CAPITOLO 24
CAPITOLO 25
CAPITOLO 26
CAPITOLO 27
EPILOGO
RINGRAZIAMENTI
Note
immagine 1TRAMA
«Ti racconterò di quel giorno, di quando il mare travolse tutto. Ti racconterò cosa significa non avere più niente, non sentire più niente… e poi aggrapparsi alla necessità di riemergere dal baratro. Ti racconterò di quanto, a volte, le cose più piccole finiscono per diventare le più importanti…»
Il viaggio di Maya nasce dalla disperata necessità di ritrovare il suo maestro, tragicamente caduto dalla scogliera di Fingar mentre tentava di difendere la città e lei stessa. Il senso di colpa e lo straordinario attaccamento all'uomo che le ha cambiato la vita la porteranno a credere disperatamente nella possibilità di riportarlo indietro. Ma non è solo questo, Olberich non è un uomo qualunque: è un grande condottiero e merita un ruolo di primo piano nella costruzione del mondo che verrà. Il sottile filo invisibile che lega maestro e allieva scatenerà la scintilla che porterà al senso di rivalsa. Maya si spingerà dove mai si è spinta, accompagnata da nuovi alleati ma con il cuore e la mente proiettati anche sui vecchi, soprattutto su uno di questi.
Il destino del Vecchio, però, non è nelle mani della sua allieva, ma esclusivamente nella sua forza di volontà e nella capacità di sconfiggere i demoni nella sua testa, affamati di ricordi e di rimpianti. Sarà in grado di sbarazzarsene e di elevarsi come l'uomo che è destinato a diventare?
Questo libro è dedicato ai miei amici lontani
che tuttavia non lo sono mai dal cuore.
PROLOGO
Il mio nome è Maya De Freye. È passato ormai un po’ di tempo da quando ho lasciato la città in cui vivevo, Fingar. Non l’ho mai considerata mia fino in fondo. Faticavo a riconoscere come miei concittadini e miei amici persone così tanto codarde. Non sono capaci di vedere a una spanna oltre il loro naso e questo io non l’ho mai accettato, motivo per il quale me ne sono andata.
Durante il viaggio mi sono imbattuta in Olberich Kronstad, il più grande ed esperto cavaliere di Karadur, nonché vice comandante del suo esercito. Mi ha preso sotto la sua ala protettrice e in lui ho trovato, non solo un faro di speranza per questo mondo oramai alla deriva, ma anche una guida… una figura su cui potevo fare affidamento, l’unica probabilmente.
Ho iniziato il mio percorso di addestramento per diventare cavaliere e conferire il mio aiuto nella lotta contro gli Annegatori, la quale devasta da tempo queste terre.
Non sono stata la migliore delle allieve, eppure il Vecchio, così veniva da tutti chiamato Olberich, vedeva qualcosa in me.
È forse per questo che il comandante di Karadur, Sergej Asimov, ha deciso di mandarmi via dalla fortezza in direzione di Karsat. Ha sempre avuto un atteggiamento odioso, non solo nei miei confronti ma anche verso il Vice Comandante.
Karsat è un covo di barbari spietati e privi di qualsiasi morale, tutto l’opposto rispetto alla città bianca di Karadur.
È lì che ho conosciuto Sinclair Redour, nuovo comandante di Karsat. Non so se fidarmi di lui, non è rozzo come i suoi sottoposti e sembra persino intelligente, tuttavia è arrogante e sinistro.
Eppure, era con me quando il mio maestro è caduto dalla scogliera di Fingar durante l’ultima battaglia contro gli Annegatori: e pensare che eravamo lì per aiutare quei codardi.
Cosa dovrei pensare?
Cosa sarà successo al mio maestro?
Troverò il modo per riportarlo a casa.
CAPITOLO 1
5° giorno, 4° mese, 30° anno d.A. [1]
Non so quanto tempo sia passato davvero.
Mi sono rialzata lentamente e ho continuato a fissare il mare alla ricerca di un suggerimento, di una parola che non sarebbe mai arrivata. Non avevo reale necessità di sentirla, sapevo che la risposta risiedeva già dentro di me e dovevo solo trovare il coraggio di afferrarla. Ma iniziare a camminare da sola, dopo essermi abituata a poter contare sempre su di lui, era estremamente difficile. Qualsiasi cosa dicessi o qualsiasi decisione prendessi da quel momento mi avrebbe condizionato la vita per sempre. E non solo la mia.
Percepivo la presenza di Sinclair dietro di me e questo, in un certo senso, mi dava coraggio. Non era lo stesso senso di protezione che sapeva diffondermi il mio maestro o mio padre, quando ancora mi sentivo parte di quel mondo malato che era Fingar. Victor De Freye era stato uno dei senatori della città e probabilmente lo era ancora. Il governo di Fingar si definiva rappresentativo, nel senso che erano i cittadini a decidere chi dovesse rappresentarli. Ma, ormai, le elezioni erano diventate una sorta di proforma, poiché da anni i rappresentanti eletti erano sempre gli stessi, e con ogni probabilità era così da generazioni. Non mi ero mai curata di indagare a fondo sulla questione, del resto non mi importava realmente.
A poco a poco avevo iniziato a sviluppare una sorta di rifiuto per quella nauseante immobilità, fino al punto da farmi diventare il suo peggior nemico. Spesso mio padre mi rimproverava di non portare lustro alla famiglia con il mio comportamento. Mikael gli sarebbe di certo succeduto, ma io dovevo essere una brava sorella devota così un qualche altro figlio di senatore avrebbe desiderato sposarmi. Questa fissazione per il matrimonio mi ha perseguitato per tutta la vita. A quanto pare, benché Sinclair fosse molto più divertente di un qualunque altro figlio di papà, aveva ucciso suo padre. Per giunta l’aveva fatto semplicemente per una… piccola divergenza di opinione.
Avevo deciso di iscrivermi all’accademia d’armi ma avevo scoperto, mio malgrado, che le donne non erano ammesse. Avevo imparato da sola ad andare a cavallo, avevo passato gran parte delle mie giornate chiusa in biblioteca a studiare le gesta di grandi regnanti del passato o delle prodezze di questo o quel comandante alla testa del suo esercito. Non si erano salvati molti libri dal giorno dell’Apocalisse, ciò nonostante, la biblioteca di Fingar era rimasta intatta e tanto bastava per farmi rimpiangere di non essere uomo: se lo fossi stata non mi sarebbero state precluse tutte le vie che volevo intraprendere. Tutto era sbagliato, tanto da convincermi che il mio posto nel mondo non potesse limitarsi a essere quello di sposa e sorella devota. Amavo mio fratello, cosa che non era cambiata nel tempo, ma probabilmente amavo di più le mie aspettative. Per questa ragione avevo deciso di andarmene. L’avevo fatto senza lasciare nessun biglietto, senza nessuna speranza in un mio prossimo ritorno, eppure ora mi trovavo a dover prendere, di nuovo, delle decisioni che apparivano più grandi perfino di me stessa.
Ma adesso non c’era più in gioco solo il mio futuro, bensì quello dell’unico uomo che fosse stato in grado di comprendere i miei desideri e alimentarli, fino a trasformarli in un incendio.
Qualcosa quel giorno era cambiato in me, fino al punto da dare un senso a tutto ciò che avevo vissuto all’interno di quelle mura così spesse da isolare l’intera città dal mondo reale. Era come se non volessero rendersi conto e accettare il fatto che l’Apocalisse aveva cambiato ogni cosa: le loro convinzioni, le loro abitudini, i loro modi di pensare dovevano cambiare e aprirsi a una collaborazione con gli altri per non venire schiacciati dalla società degli Annegatori. Quel maledetto giorno in cui le acque avevano sommerso metà del nostro mondo, non è stato che l’inizio e non il singolo evento che ha segnato le vite di molti. Non era finita, c’era ancora molto da combattere, ideali a cui aggrapparsi, compromessi da raggiungere per la sopravvivenza di quanti erano rimasti in vita.
Fingar aveva visto il mondo cadere in ginocchio ed era rimasta inerme dalla sua posizione sopraelevata e protetta. Il mare aveva corroso e distrutto chilometri di costa per poi ritirarsi un poco, lasciando un muro di roccia al vertice del quale troneggiava la mia stramaledetta città. Non so cosa abbiano provato coloro che avevano assistito a un simile scenario, ciò nonostante, so per certo di non averli mai invidiati per questo. Non li biasimo per non essere intervenuti: che cosa avrebbero mai potuto fare? Come potevano sperare di contenere la forza del mare?
Tuttavia, gli rimprovererò sempre di aver chiuso le porte in faccia ai vivi e di non essersi uniti a quella che era diventata una vera e propria guerra di sopravvivenza. Non facevano parte anche loro di questo mondo? Prima o poi sarebbe arrivato qualcosa, o qualcuno, capace di destarli da quel sogno di menzogne all’interno del quale avevano dormito fino ad allora. Ma a quale prezzo? A quello più amaro, più doloroso, capace di strapparmi via il respiro per portarlo nelle profondità dell’abisso.
Mentre ero lì, in piedi, di fronte al mare e alla scogliera, ripensai intensamente alle sue parole.
Avevamo appena concluso uno dei nostri allenamenti, io ero stremata ed ero crollata seduta a terra, con una di quelle maledette spade di legno ancora nella mano destra. Lui non mi aveva rimproverata per l’apparente arrendevolezza, ma si era seduto vicino a me, con lo sguardo rivolto verso la Bianca Fortezza. Non sembrava stanco, tuttavia aveva molti pensieri per la testa, così tanti che se avessi spinto la mia mano fra i suoi capelli forse sarei riuscita a toccarne almeno un paio.
« Ho un segreto da confessarti.» Se n’era uscito così, dal nulla, tanto che per un attimo mi ero guardata attorno per capire se ce l’avesse davvero con me. Lui se n’era accorto e aveva sorriso, in quel modo così dolce che quasi lo faceva sembrare una persona totalmente diversa rispetto all’uomo freddo che voleva mostrare al mondo.
« Sì, proprio a te. Stai imparando bene a combattere, impari alla svelta. Ma che mi dici della tua mente?»
« La mia… mente?»
« Spesso è lontana. Sembri chiederti qualcosa che ti fa perdere la lucidità. Anche io ero così, da giovane, mi chiedevo sempre se stessi facendo la cosa giusta e se questo mi avrebbe reso felice.» L’avevo fissato con tutta l’intensità di cui ero capace, come se temessi che quel momento fosse qualcosa di unico, più che di raro. Ogni giorno mi svegliavo al mattino sperando di potermi avvicinare di più alla sua anima, così segretamente sigillata all’interno di un corpo vecchio e stanco, ma non per questo debole.
« E vi siete risposto, Maestro?» Era tornato con lo sguardo su di me, con la stessa convinzione di chi in realtà volesse farmi capire più di quanto le parole dicessero in apparenza. Era difficile decifrarlo, ma a volte mi ritrovavo a pensare che il suo fosse un modo per chiedermi aiuto. Forse ero pazza, o solo un’inguaribile sognatrice, tuttavia quella sensazione non riuscivo a scrollarmela di dosso.
« Ho fatto la cosa giusta, ma questa non mi ha reso felice. La rifarei, perché il sacrificio è la mia via. Non so se sia anche la tua, però. Tu sei viva, non perdere quella fiamma. Non cercare di essere una persona diversa, non hai niente che non vada bene. Quando lo capirai, potrai davvero fare la differenza in questa guerra.» Si era alzato e mi aveva lasciata lì a fissarlo, fra la terra del campo di allenamento, con mille domande in testa e senza coraggio di porgergliele veramente. Mi stava invitando a smetterla di voler diventare un cavaliere? Mi stava allontanando? Voleva che tornassi a Fingar? No. Non erano parole di ammonimento, quanto piuttosto di incoraggiamento. Voleva che fossi me stessa, che imparassi ad amarmi per la mia vera natura senza considerarla un ostacolo. Io e lui eravamo diversi, ma non doveva essere vista come una cosa sbagliata. Finalmente iniziavo a sentirmi fiera di ciò che ero.
Avrei voluto sentire quelle parole da mio padre, ma non le avevo udite mai. Le aveva pronunciate lui, il mio Maestro, e allora tutto aveva iniziato a prendere senso.
«Maya.» Non era la sua voce, non era il suo aspro tono di rimprovero. Lui non mi chiamava quasi mai per nome: ero un cadetto, prima di qualsiasi altra cosa, persino di me stessa.
«Lo so, Sinclair, lo so.»
Mi voltai di spalle e mi accorsi che eravamo stati raggiunti dalla maggior parte dell’esercito di Karadur, o di ciò che ne restava. Si guardavano attorno smarriti e vagamente impauriti, poiché sapevano che qualcosa era successo, altrimenti il loro vero Generale sarebbe stato lì a elargire ordini e istruzioni. Scorsi lo sguardo di Isabelle in prima fila. I suoi occhi erano lucidi tanto da farmi capire di essere sull’orlo delle lacrime. Avrei voluto potermi permettere quegli occhi ma non era così, soprattutto non in quel momento. A poco a poco ci raggiunsero anche i cittadini di Fingar, scorsi diversi senatori e finalmente anche i miei genitori. Mi guardavano come se fossi un’estranea, come se non fossi mai stata la loro figlia… o forse, ormai, mi credevano morta, ed era difficile abituarsi di nuovo a rivedere le proprie convinzioni. Guardai negli occhi un’ultima volta mio fratello prima di decidermi a fare un passo in avanti per rispondere alla domanda che tutti si stavano ponendo. Quello che non si aspettavano, probabilmente, è che sarei andata oltre.
«Ha combattuto con onore, come ha sempre fatto. Ha rispedito indietro molti Annegatori, salvando