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Scrivimi (Viaggio musicale in quindici interviste nell'Italia del dopoguerra)
Scrivimi (Viaggio musicale in quindici interviste nell'Italia del dopoguerra)
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Scrivimi (Viaggio musicale in quindici interviste nell'Italia del dopoguerra)

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Un desiderio, una richiesta timida ma vibrante pare essere all'origine di questo libro: Scrivimi. Non è soltanto il ritornello di una famosa canzone italiana degli anni Trenta, ma anche la preghiera che la carrellata di cantanti presenti in queste pagine sembra aver rivolto affinché qualcuno scrivesse di loro, perché potesse – anche se per poco – restituire a chi se la merita tutta quella voce che, modulata in dolci melodie, ha fatto sognare, innamorare, commuovere generazioni di ammiratori, per i quali erano i beniamini della radio, gli idoli dei rotocalchi: (Nilla Pizzi, Gino Latilla, Wilma De Angelis, Narciso Parigi..)

Il gruppo delle quindici interviste è corredato da un capitolo conclusivo che, in occasione del centenario della nascita di Luciano Tajoli, l'autore ha inteso dedicare esclusivamente al cantante milanese, raccogliendo testimonianze sull'uomo e sull'artista rilasciate da numerosi protagonisti del mondo della canzone anche di epoche successive, tra cui Mogol, Iva Zanicchi, Orietta Berti, Al Bano, Gigliola Cinquetti…
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMay 28, 2021
ISBN9791220339520
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    Scrivimi (Viaggio musicale in quindici interviste nell'Italia del dopoguerra) - Stefano Paggioro

    GLORIA CHRISTIAN

    (Napoli, maggio 2020)

    L’avanguardia della canzone napoletana

    Ciao Gloria, partiamo dall’inizio…

    Sono nata a Bologna, da mamma veneta e da papà napoletano, e adesso ti spiego perché sono nata nel nord Italia. Mio papà era un musicista jazz, suonava la tromba nelle compagnie di rivista e mia mamma lo seguiva negli spostamenti e nelle tournée. In una di queste, sono nata io. Nel 1937 è stato scritturato ad Asmara e così siamo partiti: avevo solamente tre anni. Lui suonava nell’orchestra del luogo composta da tanti strumentisti italiani. Un bel giorno è arrivato da Napoli un giovane pianista, molto bravo. Ricordo che dopo le sue esibizioni mi faceva sedere sulle sue ginocchia e io, mangiando il gelato, gli sporcavo tutta la camicia. Il suo nome era Renato Carosone ( ride ). Negli anni, quando ci incontravamo, mi ricordava sempre quell’episodio simpatico del nostro primo incontro. Siamo rimasti là per alcuni anni, nel frattempo mio papà è stato richiamato alle armi e così mia mamma e io ci siamo trasferite a Addis Abeba. Nel 1948 siamo rientrate in Italia. Ricordo come fosse ieri il momento in cui siamo sbarcate a Napoli. Avevamo le nostre valigie e diversi pacchetti con torte e frutta che ci eravamo portate per il viaggio, ma in un attimo è sparito tutto: c’era una miseria incredibile. Erano venute a prenderci mia nonna, che avevo visto fino a quel momento solo in fotografia, e altri parenti. Quando siamo arrivate a casa sua, la nonna ci ha preparato un piatto di spaghetti neri col sugo di pomodoro, e io sono scoppiata a piangere. In seguito ho chiesto a mia mamma perché fossero di quel colore, e mi ha detto che non essendoci la farina, erano stati preparati con la crusca. Ti ho raccontato questo per darti l’idea della miseria in cui l’Italia viveva in quel periodo. Poi pian piano la situazione è migliorata e ho iniziato a frequentare la scuola.

    Come sono avvenuti i primi contatti con il mondo musicale?

    Un giorno, all’età di tredici anni, sono andata a trovare una mia compagna di scuola e, quando ho suonato il campanello, è venuto ad aprirmi un bellissimo ragazzo, coi capelli biondi, tutto abbronzato, coi pantaloncini corti e la pipa tra i denti. Chiamando sua sorella le ha detto: Tina, c’è una bambina che ti vuole. La bambina ero io (ride). Questo ragazzo, che poi sarebbe diventato il mio fidanzato e successivamente mio marito, suonava il contrabbasso in un complesso di musica jazz. In quel periodo avevamo assorbito un po’ tutti questa ventata di novità e, sua sorella e io, andavamo spesso ad ascoltare le loro prove ed esibizioni. Un giorno, durante una prova, hanno tirato fuori lo spartito di My dream is yours, che avevano ascoltato in un film e, siccome avevo studiato inglese a scuola, ho iniziato a leggere il testo e a canticchiare il pezzo sottovoce. Era un successo di Doris Day, che era la mia cantante preferita. Loro si sono guardati e mi hanno chiesto: Tu sai cantare?. E io di rimando: Ma va. Ma uno di loro ha insistito e mi hanno fatto provare il pezzo, così ho iniziato a cantare con loro. Ci trovavamo spesso a provare, finché un giorno si è presentata l’occasione di esibirci assieme ad altri gruppi di studenti, tra i quali c’era anche il giovane Marino Marini e un giovane presentatore, molto timido e timoroso, tant’è che in quel momento mi ha passato la sua paura, cosa che fino a quel momento non avevo mai avuto. Il suo nome era Alighiero Noschese. In quella occasione ho cantato Again, e ho avuto un successo incredibile. Subito dopo ci hanno scritturati allo Shaker club e al Grotta romana. Devi sapere che, una volta alla settimana da questo locale veniva fatto un collegamento radiofonico, il programma si chiamava Night in Italia e una sera, da Milano, il Maestro Gino Conte ha ascoltato la nostra esibizione e ha chiesto di me. Mi ha voluta conoscere e, quando sono andata a Milano, mi ha proposto un contratto con la casa discografica Vis Radio.

    Come è nato il tuo pseudonimo?

    Mi chiamo Gloria Prestieri, e con il mio nome ho mosso i primi passi e fatto le prime esibizioni. Il nome d’arte è stato pensato successivamente dalla casa discografica. Siccome ero una cantante jazz e cantavo nei locali le canzoni americane e a loro mancava una voce per questo genere musicale, hanno scelto per me il cognome Christian. Inventarono una storia sul mio conto, dicendo che ero italo-americana per farmi pubblicità. A me l’idea è piaciuta anche perché mi facevano incidere le canzoni dei film del momento come Moulin rouge, Kiss, Lili, brani delle commedie musicali e delle riviste americane, in italiano, come si usava allora. Questa storia, però successivamente mi ha creato qualche problema perché alcuni dirigenti della Rai, pensando che fossi straniera, non volevano che cantassi in radio. Però, dopo vari chiarimenti, ho avuto il permesso di cantare. Il primo disco che ho inciso è stato Unforgettable, del grande Nat King Cole, in inglese, con un bellissimo arrangiamento del Maestro Angelo Brigada.

    Come nasce la personalità di un artista senza che egli imiti gli artisti del momento?

    All’inizio canti ispirandoti a qualcuno che ti piace, ma poi viene naturale metterci del tuo, anche perché, se hai personalità, man mano che impari nuove canzoni viene fuori. Quando ho iniziato a cantare in italiano non avevo Doris Day come riferimento e mi è venuto istintivo cantare con un mio stile, e la cosa è andata avanti così.

    Mi racconti com’è nata l’idea del disco in duo con Claudio Villa?

    È stato uno dei primi dischi che mi hanno fatto incidere. Claudio era popolarissimo in quel periodo, era certamente il nome più forte della Vis Radio, ed era un ragazzo simpatico. Nel 1954 la Rai aveva distribuito delle canzoni nuove, che provenivano dai concorsi, alle varie formazioni orchestrali per dare una mano ai nuovi compositori. Ogni orchestra aveva distribuito ai propri cantanti alcuni pezzi e, siccome a Claudio avevano dato anche un duetto, si è prestato a cantare con me (ride). Avevano creato una storiella attraverso queste canzoni, un pezzo lo cantava lui, uno io, e la storia terminava con Luna di miele che era appunto il duetto che poi abbiamo inciso su disco.

    Che ricordo hai del Maestro Gino Conte?

    Era un musicista molto preparato, di stampo classico, dirigeva un’orchestra ritmo sinfonica, scriveva gli arrangiamenti e amava il jazz. Aveva lavorato a lungo nei night ed era il direttore artistico della Vis Radio. In quel periodo il Maestro faceva degli spettacoli radiofonici di prosa da Milano, con vari attori, tra cui la giovanissima Sandra Mondaini, e spesso mi invitava come ospite per cantare qualche canzone.

    Ora, parliamo del Festival di Napoli…

    Nel 1957, dopo un periodo in radio, sono stata invitata a Roma per partecipare ad alcuni spettacoli e programmi, ed è in quel periodo che la mia casa discografica mi ha proposto al Festival di Napoli. Anche in questa occasione l’organizzazione non ne voleva sapere, sempre per via delle mie inventate origini italo-americane (ride). Per il Festival di Sanremo, invece, hanno messo subito in chiaro la cosa, tanto che ho partecipato prima al Festival di Sanremo che a quello di Napoli. A Napoli, quell’anno mi hanno assegnato ‘O treno d’ ‘a fantasia di Luigi Ricciardi e ‘Nnammurate dispettuse del Maestro Furio Rendine. Questo secondo pezzo lo cantavo in duetto con Giacomo Rondinella e, oltre che piazzarsi al terzo posto, è stato un grandissimo successo. Purtroppo, però, non abbiamo potuto inciderlo su disco perché eravamo entrambi sotto contratto con case discografiche differenti. Abbiamo proposto di inciderne due versioni assieme e di farle pubblicarle rispettivamente alla Vis Radio e alla Fonit, ma non è stato possibile. Così, Giacomo lo ha inciso con Miranda Martino e io con suo fratello Luciano. Al Festival di Napoli, che in quel periodo era diventato popolare come quello di Sanremo, ho poi partecipato tante altre volte. Tra le varie canzoni che ho cantato vorrei ricordare soprattutto Cerasella, in coppia con Wilma De Angelis nel 1959, e che è rimasto uno dei miei più grandi successi. Poi Marechiaro Marechiaro col quale ho vinto il primo premio nel 1962 in coppia con Sergio Bruni, e ‘A prutesta nel 1967 cantata in coppia col grande Nino Taranto.

    All’epoca il Festival di Sanremo ricopriva un ruolo molto importante nel panorama musicale italiano. Come sei arrivata a far parte di questa manifestazione?

    Era una manifestazione importantissima. La mia casa discografica, da due o tre anni, aveva cercato di propormi ma senza successo. Aveva iniziato già dal 1956, l’anno dedicato alle voci nuove, ma a essere precisi io non lo ero, la mia era una voce radiofonica e discografica dal 1954. Nel 1956 ho partecipato però al Festival di Palermo e ho ottenuto un vero e proprio trionfo con la canzone Lu bajon di lu sceccu in dialetto siciliano. In quel Festival, come un po’ in tutti, partecipavano i cantanti del momento accompagnati dalle grandi orchestre. In quella occasione ho conosciuto Nilla Pizzi, Carla Boni e Achille Togliani che mi guardavano tutti con un po’ di curiosità. Forse avevano ascoltato la mia voce alla radio, ma non mi avevano mai vista. Con quel pezzo simpatico, ho avuto un successo talmente grande che il pubblico avrebbe voluto che concedessi il bis, ma il regolamento non lo permetteva. Ero imbarazzata, ma anche soddisfatta di essere acclamata a gran voce e forse, è stato proprio grazie a quel successo che l’anno successivo sono stata invitata a Sanremo. Ricordo che mi hanno comunicato che sarei stata affidata alla formazione del Maestro Armando Trovajoli; non credevo alle mie orecchie, era una notizia strepitosa, li avrei abbracciati (ride). Cantare con la sua orchestra moderna rappresentava un sogno, era una cosa sensazionale, sembrava un’orchestra americana.

    Com’era l’atmosfera che si respirava al Festival?

    Le prove si facevano negli studi Rai di Torino. Ero stata accompagnata da mia mamma, perché mio papà, in quel periodo, lavorava nella compagnia Mondaini-Vianello. Aveva trovato un sostituto ed era venuto a Sanremo per assistere alle tre serate del Festival. I suoi colleghi si erano fatti sistemare un televisore in camerino e, quando cantavo io, a turno, andavano a vedere come cantava la figlia di Prestieri (ride). Quell’anno cantavo Casetta in Canadà, Le trote blu a due voci con Natalino Otto e La cremagliera delle Dolomiti, che era in programma in una quarta serata dopo la gara vera e propria. Ad accompagnarmi c’erano il Quartetto Vocale Poker di Voci e naturalmente l’orchestra del Maestro Trovajoli. L’atmosfera era un po’ tesa, nonostante le tante prove, volevamo dare il meglio, ricordare tutte le parole, e inoltre c’era la diretta televisiva, se non ricordo male, fino a Roma. Il Maestro mi aveva fatto degli arrangiamenti bellissimi, moderni, e io ogni tanto inserivo una notina swing e lui mi sorrideva. Casetta in Canadà, pur arrivando solamente al quarto posto, è stata l’unica canzone di quell’edizione a restare nel tempo, tanto che viene ricordata ancora oggi. Pensa che uno dei carri del Carnevale di Viareggio di quell’anno era dedicato a me e a questa canzone. Avevano realizzato un pupazzo di cartone colorato che mi assomigliava di viso con su scritto Casetta in Canadà: lo avevo visto dai giornali. Era davvero una grande soddisfazione per un debutto. A Sanremo mi hanno invitata poi nel 1958, l’anno in cui mi sono ammalata di asiatica e, la prima sera in Timida serenata, ho dovuto rinunciare al duetto con Aurelio Fierro. Nella seconda cantavo Cos’è un bacio e Ho disegnato un cuore che, essendo due pezzi semplici, ho mimato con la poca voce rimasta, ma non sono entrati in finale. Timida serenata, invece, essendo finalista, dopo essermi imbottita di farmaci, sono riuscita a cantarla col mio collega nella serata finale. Nel 1960 ho cantato A come amore in coppia con Flo Sandon’s e Splende l’arcobaleno con Wilma De Angelis e nel 1962 L’ombrellone abbinata a Johnny Dorelli e Innamòrati con Gene Colonnello.

    Mi piacerebbe che mi parlassi di Natalino Otto…

    Natalino era una persona deliziosa, mi ha messo subito a mio agio facendomi i complimenti. Sapeva che arrivavo dal jazz e lui era il Mister swing italiano. Christian, vieni qua mi diceva, non mi chiamava mai Gloria. Al termine del Festival poi, mi ha fatto un grande regalo che adesso ti racconto. Il Maestro Trovajoli, nel frattempo, mi aveva confermato nei suoi programmi radiofonici e mi aveva anche comunicato che avrei partecipato con la sua grande orchestra al Festival Internazionale di Venezia. Erano rappresentate le varie nazioni europee. Siccome non sapevano cosa farmi cantare, Natalino mi ha presa in disparte raccontandomi di aver appena inciso una canzone che sarebbe stata adatta a me, uno swing all’americana, e che se mi fosse piaciuto, avrebbe comunicato alla sua casa discografica di non far uscire il suo disco. La canzone si intitolava Stupidella, io l’ho ascoltata, mi è piaciuta ed è stata un grandissimo successo. Natalino era così, un uomo buono e altruista.

    Qual è lo spettacolo più bello che ricordi?

    Ne ricordo molti, sicuramente uno dei più belli è stato proprio quel Festival a Venezia che si era tenuto in Piazza San Marco. La Rai aveva detto a Trovajoli di non esagerare con la modernità negli arrangiamenti, di non dimenticare che la sua musica doveva far ricordare l’Italia. Lui, allora, aveva fatto cantare a Fausto Cigliano due pezzi napoletani mentre a un soprano alcune romanze liriche, tipicamente italiane e ha abbozzato, però, quando ha ascoltato l’esibizione delle prime orchestre, alle quali avevano lasciato maggior libertà di espressione, è andato su tutte le furie, anche perché, la sua era un’orchestra alla Stan Kenton, immagina un po’. Al termine della rassegna, nelle sere seguenti, siamo stati tutti invitati a esibirci al Lido, con una formazione ridotta per motivi di spazio; quando è stato il nostro turno, Trovajoli mi ha detto: Cosa vuoi cantare Gloria?. E io: Mi piacerebbe cantare Che m’è ‘mparato a ffà (era una sua composizione). E lui, di rimando: Come sei furba. E io: Maestro, io canto sempre questa canzone e poi lei l’ha scritta per Sophia Loren che è napoletana come me. Ed è scoppiato a ridere.

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