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Ascensione: Regni alterati, #1
Ascensione: Regni alterati, #1
Ascensione: Regni alterati, #1
Ebook737 pages10 hours

Ascensione: Regni alterati, #1

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About this ebook

Alcune persone sognano di avere una seconda possibilità nella vita. Per Eli Miller, non è mai stata una scelta.

Eli ha trascorso gran parte della propria vita correndo, facendo tutto quello che era in suo potere per proteggere la sua famiglia. Il suo mondo è piagato dalla guerra, dalla magia incontrollata e da mostri inimmaginabili. Ma nessuna di queste minacce è più pericolosa degli esseri immortali conosciuti come Avventurieri. Essi sono dei giocatori, e Entarra è il loro gioco. I suoi abitanti non sono reali. Tuttavia, per i miliardi di IA quasi senzienti che vi vivono, il mondo di gioco è l'unica cosa che conosceranno mai. È dove sono nate, dove vivono e dove muoiono. Eli non è da meno.

Dopo essere stato attaccato con una strana arma, Eli si risveglia come la cosa che più teme: un Avventuriero. Sforzandosi di far fronte alla sua nuova realtà, si ritrova nel bel mezzo del piano più scellerato di tutti: il suo mondo, e tutto ciò che ama, sta per essere cancellato.

LanguageItaliano
PublisherBF Rockriver
Release dateMay 26, 2021
ISBN9781667402079
Ascensione: Regni alterati, #1

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    Ascensione - BF Rockriver

    Ascensione

    ALTERED REALMS: Libro Primo

    Di B. F. ROCKRIVER

    Proprio ora stavo pensando che ero morto e che ero dovuto ritornare in vita, che avevo dovuto costruirmi una vita io stesso. Solo che il nuovo edificio deve essere costruito con le rovine di quello vecchio. O piuttosto, mi sento come un albero che è stato spazzato via completamente, con soltanto le radici ancora in vita. Alcune delle radici sono morte, altre le devo uccidere, il resto deve ricrescere in qualche modo.

    - Richard Aldington. Tutti Gli Uomini Sono Nemici

    Prologo

    In un’ampia stanza, all’ultimo piano di un edificio che grattava le nuvole, un uomo sedeva piangendo, un’umida foto incorniciata tra le sue mani. I capelli arruffati, le palpebre cadenti e i denti macchiati di caffè erano diventati il suo nuovo aspetto, uno che teneva indosso da settimane. Dall’angolo della stanza, una donna fissava l’uomo, il panico nei suoi occhi. Lei farfugliò qualcosa, e lui la ignorò. Ora non era il momento per le domande.

    La testa e le braccia dell’uomo erano stravaccate sopra la superficie della sua postazione lavorativa un tempo immacolata, quando un display olografico apparve di fronte a lui. La cinghia di cuoio italiana del suo orologio unico nel suo genere pendeva scioltamente dal polso che andava assottigliandosi. Con un sospiro, alzò un dito per scrollarsi di dosso il malumore, mentre il suo cervello cercava di raccapezzarsi attorno alla sua attuale serie di disastri. Com’è potuto succedere?

    Notifiche spuntarono sull’oloproiezione dell’interfaccia del suo computer. Funsero da distrazione dal borbottio ripetitivo e dal pesante respiro della sua visitatrice indesiderata. Da quanto tempo è lì? pensò l’uomo tra sé, intanto che caratteri rosso chiaro iniziavano a lampeggiare, attirando i suoi occhi verso l’alto, di nuovo all’opera, di nuovo nel suo incubo.

    «Accesso negato. I privilegi dell’amministratore universale sono stati revocati» echeggiò nella stanza una voce monotona, accompagnata da un rintocco di campanelle. Le campane a morto ritornarono ad ogni ripetitiva notifica, facendogli sbattere le palpebre alla comparsa di ogni una nuova finestra.

    «Signore» disse una voce timida, riportandolo alla realtà. «Signore, che cosa facciamo? Non possediamo più l’accesso remoto al sistema.» La voce quasi lo costrinse a sollevare completamente la testa. «Dovremmo richiamare qualcuno da lì?»

    «Che si fotta» rispose l’uomo, pulendosi la faccia.

    Posizionando la foto a faccia in giù sulla scrivania, le punte delle dita indugianti sopra i suoi bordi, alzò a sufficienza il capo per lanciare una rapida occhiata a Sarah, la Vice-Presidente delle Operazioni alla sua compagnia.

    «Io sono il migliore tecnico che abbiamo. Il sistema ha bloccato tutti i tentativi esterni di prendere il controllo, e l’unica persona che aveva la priorità è morta.» Emise un lungo sospiro, gravato da giorni di tensione. «Siamo fottuti» disse con una risatina sommessa. «Sono tutti morti.»

    La botta del suo pugno che colpiva la scrivania fece cadere il caffè alla sua collega di lunga data. Lui si alzò, fissando il liquido fumante sul suo pavimento di granito lucidato, e chiuse gli occhi.

    «M-mi dispiace, signore» balbettò lei, inginocchiandosi per ripulire il suo pasticcio.

    Dopo aver tratto diversi respiri profondi, l’uomo scrutò la ragazza a disagio dinanzi a lui. Le mani le tremavano, e il suo labbro inferiore fremeva mentre biascicava tra sé. I suoi capelli erano un macello, e lei stava indossando gli stessi vestiti da giorni.

    Senza un’oncia di esitazione, disse: «Qualcuno deve risolvere questa merda, tanto vale che sia io.» Incrociò lo sguardo con quello dell’alta donna bionda. «Sarah, finché non farò ritorno, sei tu il capo.»

    Sarah raddrizzò la schiena, si alzò e si strofinò gli occhi mentre parlava. «Signore, è sicuro che sia saggio? Non abbiamo più il controllo del sistema.» A braccia conserte, la sua voce divenne salda. «Entrare lì dentro adesso potrebbe essere pericoloso.» Notando che l’uomo non stava più guardando nella sua direzione, lasciò ricadere le mani e sospirò rassegnata. «Cosa accadrebbe se lei non riuscisse a raggiungerlo? Cosa accadrebbe se lei non riuscisse a fare logout? Che cosa farò... faremo, senza di lei? Lei è tutto ciò che ci rimane.»

    «Non preoccuparti per me. Solo non dire una parola di quello che sta succedendo, a nessuno. Non parlare di Entarra Online, del sistema, o di quel che è avvenuto.» Gli occhi dell’uomo si fecero freddi, le luci una volta gioviali dietro di essi offuscatesi mesi addietro. «Sarah, ci sono già più di un milione di persone nella situazione che hai appena descritto. Ma loro non sanno che c’è qualcosa che non va. Per loro, tutto questo è soltanto un qualche stupido bug nel gioco. Sono in pericolo, e molti sono già completamente impossibilitati ad andarsene. Sono bloccati nel mio... nel nostro gioco. Se io non vado lì dentro, all’incirca tre milioni di altri innocenti potrebbero raggiungerli.»

    «Ma signore...» iniziò a dire Sarah.

    Lui la interruppe con un gesto della mano mentre si alzava in piedi. «Se dovesse accadermi qualcosa, o se non dovessi più avere mie notizie per due settimane, allora è tempo di chiamare il Governo del Mondo Unito. Revoca tutti i moduli con la forza, se necessario, e devia tutti i fondi alle assistenze a lungo termine. Liquida ogni attività che abbiamo, se devi. Solo proteggi quante più persone possibili, il più a lungo possibile. Poi fai tutto ciò che puoi per disconnettere il sistema. Spegnerlo, a questo punto, è impossibile.» Fece una pausa e si grattò la barba nuovamente in ricrescita, scaglie di pelle morta che cadevano sul suo abito su misura. «Anzi, inizia i preparativi per quella situazione in questo preciso momento. Se possibile, non esitare a spegnere tutto, anche se noi siamo ancora dentro.» L’uomo si fermò ancora una volta prima di alzare gli occhi, guardando il cielo del tardo pomeriggio attraverso un soffitto di vetro rinforzato. «Poi prega, prega qualunque dio pensi potrebbe darti ascolto, che non si debba arrivare a tanto» concluse, l’ineluttabilità evidente nella sua voce, prima di lasciare la stanza.

    Capitolo 1

    Una fresca brezza da occidente soffiava sulla Baia di Albaluna, verso il lontano Bosco Selvaggio, portando con sé il fetore stantio della morte. La città di Albaporto, con il suo mosaico di arazzi di edifici in legno e pietra, era arroccata su di una bassa scogliera sopra acque gelide. L'acqua salata sbatteva contro i piloni di legno marcio, riempiendo le strade con la sua nebbia corrosiva, mentre sussurri trafelati si dissipavano nel vento.

    «Il Bosco Selvaggio, un cacciatore. Il suo nome è Eli» disse un uomo ad un altro, intanto che una pozza di liquido cremisi si raccoglieva alla base di un'incudine, inondata da una fredda luce verde.

    A miglia dalla città, rintanato in una piccola baracca, un uomo gettò da un lato le sue coperte. I suoi occhi erano ancora chiusi mentre assaporava il basso cinguettare degli uccelli e il fruscio delle foglie dagli alberi circostanti. Oggi è un altro giorno, pensò, coi suoni di uno scoppiettante focolare che danzavano per la cucina e nelle sue orecchie. Un leggero schiocco accompagnò la rottura di verdure appena tagliate, seguito subito dopo da un dolce motivetto sbarazzino, ronzante sullo sfondo. Sua moglie, Kata, stava dando voce ad un semplice canto popolare avventuroso degli Elfi della Furia. Di nuovo uova fritte con porridge di segale e verdure arrosto, pensò, mentre un sorriso si faceva strada sul suo volto.

    La vita di Eli gli calzava come un vecchio guanto; sempre la stessa, sempre sicura. Non aveva bisogno di nulla di sofisticato; non voleva nulla di straordinario. La monotonia e la ripetizione rendevano le cose sicure, maneggevoli. Aveva vissuto in città, e non si era adattata né a lui né a sua moglie. C'erano fin troppe persone e fin troppi problemi. Si svegliava, tagliava la legna, controllava le trappole, si occupava del campo, tagliava altra legna ed insegnava ai suoi figli i numeri e le lettere. Ma oggi era diverso; se lo sentiva nelle ossa. Una leggera brezza batté contro le persiane, facendolo rabbrividire. Le note di testa di grasso di maiale, mescolate con le note di mezzo di dolcezza e le note di fondo di fumo, si affollavano nella stanza. Accenni di putrefazione e decadenza gli rimescolarono le viscere, contaminando gli odori altrimenti graditi.

    I gemelli, Eric e Savannah, erano grandi abbastanza da aiutare con le faccende di casa, ma abbastanza piccoli da trovare ancora il mondo un posto fantastico. Sembravano vedere cose in modi che solo i bambini riuscivano a notare. Un’onnipresente scintilla di immaginazione si riversava negli avvenimenti più mondani. Eli ammirava la puerile abilità dei suoi figli di giocare con un paio di bastoncini per ore, fingendo di essere cavalieri, Avventurieri, o evocatori. Quella meravigliosa abilità di trovare la felicità nelle piccole cose non era ancora svanita, e il pensiero dei loro sorrisi lo colmò di speranza. Le difficoltà della vita vera non gliel’avevano ancora portata via. I piccoli non avevano ancora visto il lato oscuro di questo mondo, la morte e l’infinita sofferenza. Non avevano ancora assistito alla crudeltà di esseri immortali provenienti da un altro mondo. Eli li aveva portati tanto addentro al Bosco Selvaggio proprio per quella ragione. La malvagità dell’umanità non era ancora giunta sin lì, e lui sperava che mai l’avrebbe fatto. Ma sapeva che la sua pace non sarebbe potuta durare in eterno.

    La prossimità al Tempio di Aeryntorr, una struttura derelitta che un tempo ospitava una setta di druidi, teneva le creature più intelligenti a debita distanza. Era stato da tempo dimenticato dalla storia, ma Eli sapeva fin troppo bene dove si trovava. L’aveva scoperto mentre era a caccia e non aveva detto a nessuno della sua ubicazione. Quelle dannate rovine erano state casa di abomini, deformati da poteri inimmaginabili. Nessuno ci entrava da anni, a parte le poche persone che si erano stabilite permanentemente nella foresta.

    Wayland, il fabbro locale, raccontava di aver visto degli Avventurieri dall’aspetto sgradevole aggirarsi per Albaporto. Secondo quanto diceva, aveva notato un piccolo gruppo entrare nella foresta pochi giorni prima del suo incontro con Eli. Il gruppo aveva fatto domande riguardo una roccaforte, che tipi di creature vivessero nel Bosco Selvaggio, e dove avrebbero potuto trovare una guida che li conducesse al Tempio Perduto. Quando avevano lasciato la città, avevano attraversato il cancello occidentale e si erano diretti verso il Tempio e la baracca di Eli.

    Eli si era preparato il giorno in cui era tornato a casa. Teneva sempre il suo arco e il suo coltello da cintura a portata di mano. Istruiva i gemelli su che cosa fare se fossero arrivati degli sconosciuti. Fischi ed espressioni specifici divennero parte del loro programma giornaliero, in caso di attacco. Se il suo amico diceva che non ci si doveva fidare di questi Avventurieri, allora lui lo avrebbe ascoltato, e sarebbe stato pronto quando e se si fossero fatti vivi.

    Wayland era un vecchio amico, essendosi trasferito ad Albaporto al tempo della Guerra delle Tre Fazioni, contemporaneamente a Eli e sua moglie. Lui ed Eli avevano affittato la stessa barca diretta a Scorn, dopo essersene partiti entrambi da Sardona, sulla costa occidentale di Ommuria. Quando Kata aveva dato alla luce i gemelli, erano stati Wayland e il vecchio compagno d’armi di Eli, Derek, a portare loro cibo, acqua e altri beni di prima necessità. Il fabbro di mezza età aveva aiutato Eli con gli utensili, l’attrezzatura, e le riparazioni per anni. Sapeva che il suo amico era eccellente a giudicare le persone, e gli Avventurieri non si curavano degli abitanti di questo mondo. Non si curavano di nulla. Pertanto, Eli si preparava ogni mattina. Controllava regolarmente l’arco, l’ascia, il coltello e le loro trappole d’allarme.

    Gli Avventurieri giungevano a Entarra da un altro piano di esistenza, andando e venendo tra i due a loro piacimento. Alcuni arrivavano in cerca di potere, gloria o ricchezza. Altri accorrevano per vivere le loro contorte fantasie o i loro sogni più sfrenati. Altri ancora, i Forestieri, sceglievano questa destinazione per sfuggire alla loro esistenza nel loro mondo natio. Spesso erano storpi o emarginati, oppure malati o in coma. Molti accettavano Entarra come la loro nuova casa, senza mai andarsene, o "fare logout", com’erano soliti dire. Una cosa però raggruppava tutti gli Avventurieri, nessuno escluso: erano imprevedibili e spesso violenti.

    «Eli» bisbigliò qualcuno in disparte, spezzando la sua catena di pensieri.

    «Eli, so che sei sveglio. Riesco a sentire le rotelle nella tua testa girare da qui» squittì una voce dolce, simile a quella di un topolino, dall’altro lato della stanza. Era Kata. «È quasi ora di svegliare i bambini. La colazione è quasi pronta, ed io non voglio bruciare le verdure.»

    «Ancora cinque minuti» disse lui, tirandosi la pesante coperta di lana sopra la faccia.

    «Eli Miller. Se quei bambini non saranno svegli finché la colazione è calda, il pecari non sarà l’unica pelle a venire conciata quest’oggi» ringhiò Kata in un mezzo sussurro.

    «Ecco il mio segnale» mormorò Eli, pensando che lei non l’avesse udito. Il sorrisetto sul suo volto e la malizia nei suoi occhi nocciola chiaro dissero il contrario.

    Eli si rivestì in fretta e furia e rubò un’occhiata alla splendida figura di Kata. I suoi scombinati capelli rosso fuoco le incorniciavano i tratti affilati del viso mentre lei sgobbava sopra le fiamme da cottura. Le estremità delle sue orecchie a punta facevano capolino tra i ciuffi spessi dei capelli. Alcune ciocche vaganti si erano appiccicate al sudore sopra le sue sottili labbra rosa, ma lei non se n’era accorta. Il vivido colore cremisi offriva un piacevole contrasto alla sua belle pelle oliva. Un rapido cipiglio e un cenno del capo verso la stanza dei figli diede ad Eli la motivazione necessaria per incominciare la giornata. Lei lo beccò ancora una volta a fissarla. Non poteva farci niente; era affascinante. Il suo fisico atletico, gli occhi gentili ma intensi, e le morbide curve femminee lo attiravano a lei come la gravità. Non era fragile o debole, e sapeva più cose sulla sopravvivenza di chiunque altro lui avesse mai conosciuto. Ecco perché l’amava. Perché era in gamba. La sua bellezza era soltanto un incentivo. Senza di lei, sarebbe morto anni prima.

    Un set di abiti da caccia era appeso vicino al fuoco da cottura. Kata doveva averli ripuliti dal sangue di cinghiale del giorno precedente e li aveva messi ad asciugare prima di preparare la colazione. Il laccio li aveva forniti di una bella preda. Un cinghiale selvatico era incappato in una delle trappole che Eli tendeva ogni giorno. Devo essermi dimenticato di pulire i vestiti dopo aver macellato il maiale, pensò l’uomo.

    «Lei è troppo per me» sussurrò tra sé, mentre si infilava i piedi in delle pantofole e si dirigeva verso la stanza sul retro.

    I gemelli stavano ancora dormendo, il loro respiro profondo. Come fosse possibile, con la dolcezza della carne fresca di maiale e lo scoppiettio di un fuoco da cottura nell’aria, Eli non riusciva proprio a capirlo. Fin da bambino, lui poteva sentire il profumo di pancetta da un miglio di distanza.

    «Savannah, Eric. È ora di svegliarsi» bisbigliò, facendo passare le sue forti dita tra i capelli color mogano di Eric. «Vostra madre sta preparando la colazione.»

    All’unisono, i due bambini risposero proprio come il loro padre: «Altri cinque minuti» e si rotolarono su loro stessi.

    Ma mentre si rigiravano nei loro letti, il naso aguzzo di Savannah si arricciò. «Aspetta! Questa è pancetta?» esclamò, gettando da parte le coperte, e balzò in piedi, poi buttò suo fratello giù dal letto.

    Un forte tonfo echeggiò per la stanza quando la fronte di Eric colpì le solide assi del pavimento. «Ahi! Ma che diavolo, Sav? Stavo ancora dormendo» urlò Eric, ora disteso a terra con un’espressione di dolore e confusione sul volto.

    Savannah fece spallucce a suo fratello con un sogghigno, poi indossò le braghe e la tunica sopra il suo pigiama e corse fuori dalla stanza.

    «È solo un po’ di pancetta rimasta dal cinghiale di ieri. Il resto si sta essiccando e sarà pronto la prossima settimana» le disse Eli mentre lei si fiondava in cucina. «E chiedi scusa a tuo fratello.»

    Intanto che aiutava Eric a rimettersi in piedi, Eli esaminò il bernoccolo spuntare sulla fronte di suo figlio. «Penso che ti crescerà un corno» disse con un sorriso. «Se non stai attento, finirai per assomigliare a un Orchetto.»

    Lo sguardo negli occhi verde chiaro di Eric ardeva di rabbia. «Non è divertente» disse, sputando le parole attraverso denti serrati.

    Eric era un bambino calmo e tranquillo, e questa rabbia era qualcosa di nuovo. Il suo comportamento era più simile a qualcuno cresciuto negli agi, anziché in una tenuta nel Bosco Selvaggio. Un pigiama pulito e ben tenuto copriva il suo corpo dinoccolato. Era alto per la sua età, con tratti affilati, labbra sottili e capelli curati del colore della ruggine, un connubio perfetto dei due genitori. I gemelli avevano entrambi un misto di Elfico e Umano, ma Eric pareva aver preso qualcosa in più dal lato di Eli della famiglia. Savannah, invece, era più bassa di suo fratello e molto più robusta. Condividevano gli stessi lineamenti facciali, il colore dei capelli, e i luccicanti occhi smeraldo, ma le sue orecchie terminavano in delle punte più definite, e la sua pelle era di una tonalità più scura. Era la figlia di sua madre fino al midollo, forte, coraggiosa, solidale ed esperta. La sua abilità di rintracciare, allevare e cacciare gli animali affiancava quella di suo padre. Non fosse stato per la sua età e altezza, Eli era sicuro che avrebbe potuto batterlo in una lotta. Era questo fatto risaputo a domare la rabbia del fratello nei suoi confronti.

    Eli alzò lo sguardo nel punti in cui si trovava Eric e non vide nessuno. Suo figlio stava piombando in cucina, i denti ancora serrati e i pugni chiusi in palle strette. L’espressione sul suo volto era aspra e pervasa dall’intenzione. L’uomo in miniatura stava per fare qualcosa di stupido. In pochi passi, Eli fu dietro di lui, pronto ad afferrarlo per la spalla. Ma ci mise un secondo di troppo. Un piccolo pugno, attaccato ad un braccio smilzo, partì verso la nuca di Savannah.

    Clap.

    Lo slancio del colpo si fermò in un istante. La mano di Kata, apparsa dal nulla, si era stretta attorno al pugno di Eric con sufficiente forza da fargli emettere uno squittio di dolore. Eli non l’aveva nemmeno vista muoversi. L’ultima volta che l’aveva vista, stava preparando gli ultimi ritocchi di una colazione dal profumo delizioso. Il polso di Eric si piegò ad una terribile angolazione, il dolore tale da fare abbassare il ragazzino su di un ginocchio, ma non abbastanza da ferirlo. Sua sorella si era voltata e stava ora ridendo in faccia al fratello. «Oh. Sei nei guai. A-ha!»

    Un clangore metallico vibrò nell’aria, il suono di metallo sottile sull’osso. Kata aveva calato il suo mestolo sulla mano che Savannah stava puntando a suo fratello. «Ahi! E quello per che...» iniziò a lamentarsi Savannah, prima di venire interrotta.

    «Non. Iniziare.» Il tono di voce di Kata si fece gelido mentre fissava gli occhi ora ricolmi di lacrime di Savannah. «Sai quello che hai fatto. Chiedi scusa a tuo fratello, poi siediti e mangia la tua colazione.»

    Adesso era Eric a ridere sottovoce. «E tu» disse Kata con calma risolutezza, interrompendo le risa di suo figlio. «La prossima volta che tenti di attaccare tua sorella, non ti fermerò.» Si aprì in un sorriso, spingendo di lato il suo pugno. «Ma non fermerò neanche lei.» Il bambino annuì, la paura chiara nei suoi occhi, poi si sedette di fianco a sua sorella.

    «Ora, la colazione è pronta. Chi vuole mangiare?» disse Eli ridacchiando, prima di piazzarsi accanto a sua moglie.

    Lipidi dolce-salati si sciolsero nella sua bocca quand’egli morse la carne di maiale cotta a fuoco lento, la sensazione che lo colmava di calore. Timo, salvia e un pizzico di menta aggiungevano gli aromi erbacei alla carne che andava dissolvendosi sulla sua lingua. Ciascuno di loro mangiò in silenzio e si godette il raro piacere dei dolcetti. Verdure saltate coltivate nell’orto riposavano in cima a uova fritte in grasso di maiale, e Kata aveva cotto a puntino le uova fresche. Il grasso colava dai loro bordi croccanti su pane di segale tostato raffermo. Un pasto del genere valeva ogni oncia di lavoro spesa per prepararlo.

    Finita la colazione, Eli e i bambini pulirono la casa. Trenta minuti dopo, erano pronti ad iniziare le loro attività quotidiane. Il primo compito di Eli consisteva nel raccogliere legna e ramoscelli prima di controllare le trappole per la selvaggina. I bambini erano andati ad aiutare la loro madre con gli animali. La loro manciata di capre e polli, e le due mucche, li avrebbe tenuti occupati per alcune ore. Una volta conclusi i loro incarichi individuali, avrebbero tutti quanti dato una mano con l’orto e col loro piccolo campo di grano.

    Eli baciò i figli sulle guance e diede a Kata un abbraccio, prima di separarsi. E lui, prima di partire, indossò un paio di calzoni in pelle, legò il coltello da cintura al suo posto, e fece scivolare un farsetto verde in pelle sopra la camicia di lino marrone. Per concludere, controllò il suo arco e la faretra; il padre di Kata aveva costruito l’arco lungo di noce come regalo di nozze. Lunghe venature rettilinee, formate da anelli di un albero antico, davano all’arma un’impressionante forza di trazione che avrebbe potuto uccidere un cervo adulto da sessanta iarde. Dopo la guerra e anni di caccia, non mostrava ancora nessun segno di usura. Era un attrezzo ben realizzato, e uno che Eli non aveva alcun diritto di possedere. La sua corda, ricavata dal tendine di una bestia magica, stava penzoloni. Il padre di Kata, un cacciatore magistrale e saggio leader degli uomini, aveva ucciso l’imponente creatura alata mentre percorreva le grandi pianure di Altea. I ricordi del loro incontro portarono un sorriso sul volto di Eli. Dopo aver esaminato l’arco e assicurato la corda, era quasi pronto.

    L’ultimo pezzo di equipaggiamento di cui aveva bisogno era la sua fidata ascia; giaceva oltre la soglia della baracca, poggiata contro una panchina. Anche quella fu sottoposta ad una rapida ispezione. Un’oncia di prevenzione, pensò l’uomo tra sé mentre dava un’occhiata al suo attrezzo. Un manico di frassino liscio e logoro culminava in una robusta testa a doppio taglio di ferro nero. Entrambe le lame erano più larghe del normale, e si incurvavano verso l’interno alle punte inferiori. Un’estremità dell’ascia aveva il bordo smussato per tagliare i nodi più tosti trovabili nelle querce locali. L’altra l’aveva affilata la notte precedente. Togliendosi uno dei guanti, fece scorrere la mano lungo le lame e il manico della sua arma, alla ricerca di schegge e crepe. Non trovando nulla, infilò l’ascia nella fondina d’ottone attorcigliata alla cintura. Era pronto.

    È ora di mettersi al lavoro, pensò, partendo di corsa verso il bosco.

    Poco prima di entrare nella fitta linea degli alberi, gettò un’ultima occhiata ai suoi bambini. Stavano ridendo e abbracciando una delle loro capre. Quella vista lo fece sogghignare ampiamente, poi si voltò e si diresse al suo primo compito. Diversi lacci e campanelle d’allarme circondavano la sua proprietà. Li aveva piazzati vicino agli alberi per allertarli in caso di intrusi, umanoidi o bestiali che fossero. Dopo trenta minuti trascorsi a setacciare la linea degli alberi più vicina alla sua piccola radura, Eli non trovò niente fuori posto. Dopo un’ultima ispezione ai suoi allarmi con filo, si addentrò nella foresta. Querce rosse, ottime per le riparazioni e il fuoco, crescevano più in profondità nei boschi, divenendo sempre più alte man mano che si proseguiva. Ma c’era un’altra ragione per spingersi ancora più in là per trovare del legname: poteva sentire le sue trappole. Se qualcosa fosse stato abbastanza sfortunato da imbattersi in esse, lui avrebbe potuto raggiungerle con facilità prima che facesse buio. Talvolta, quand’era fortunato, i forti colpi dell’ascia contro un albero avrebbero spaventato un animale, spedendolo dritto in un laccio.

    Dopo soli trenta minuti nella sua ricerca, trovò una sequoia familiare, di dimensione fattibile. Aveva contrassegnato l’albero il giorno prima, in quanto gli restava soltanto un anno di vita. Gli anziani alberi morenti spesso appiccavano dei piccoli incendi o diventavano tane per serpenti pericolosi; dovevano essere rimossi e venire trasformati in grande legna da ardere o oggetti decorativi. Egli afferrò la sua ascia e si mise all’opera, colpendo l’albero più e più volte, fino a che le sue mani non si intorpidirono. Il suo corpo ricadde in movimenti condizionati, mentre il tempo sfumava in una lunga serie di fendenti potenti. I colpi ripetitivi mutarono un’ora in un singolo istante, e il bosco taceva tra un fendente e l’altro, intanto che il mondo si fermava intorno a lui. Una profonda calma lo adescò in un senso di non-esistenza. Lui era soltanto un uomo con un’ascia, niente di più. Passarono le ore. Improvvisamente, un forte tonfo, seguito dal suono di qualcosa che si spezza, echeggiò per la foresta, riportandolo sull’attenti.

    Riempiendo l’aria come lo schiocco di una frusta, il rumore fece agitare le bestioline attorno a lui, come se incerte se dovessero nascondersi o scappare. Facendo un cauto passo indietro, Eli alzò lo sguardo. Si aspettava di vedere l’albero inclinarsi e cadere. Tutto ciò che vide fu il sole, ora allo zenit, mentre sbirciava tra la canopia. Stava tagliando l’albero da ore, eppure nulla era accaduto. Dovrebbe venir giù presto, pensò, esaminando il danno che aveva fatto alla pianta. Poi udì ciò che sembravano essere dei gemiti in lontananza, o il pianto di un animale. Risuonò un altro forte schiocco, facendo entrare in azione la fauna, la quale stavolta fuggì da qualche pericolo sconosciuto. Ora, prestando maggiore attenzione, poteva intuire la direzione da dove il rumore si era originato. «È impossibile che abbia già preso in trappola un altro cinghiale» bisbigliò Eli, prima di riporre l’ascia nella fondina e recuperare l’arco dalla sua schiena. Qualcosa aveva fatto scattare uno dei lacci.

    Capitolo 2

    Eli sfrecciò in mezzo agli alberi, piantando i piedi dal tallone alla punta, le ginocchia piegate e l’equilibrio saldo. Kata gli aveva insegnato a muoversi restando in silenzio. Una fresca brezza riempì l’aria di una fragranza inusuale, mentre gli odori di legna appena tagliata, sottobosco, e animali selvaggi gli avviluppavano i sensi come una nebbiolina leggera. Di nuovo, v’era una orribile, tenue sfumatura di decadenza, di putrefazione e di ferro che andava facendosi sempre più forte intanto che lui correva. Rimaneva sospesa nell’aria come una carcassa, man mano che egli raggiungeva la sua trappola più prossima.

    C’è qualcosa in uno dei miei lacci, pensò Eli, e aumentò il passo per le ultimissime iarde.

    Acquattandosi e nascondendosi nelle ombre, strisciò più vicino, cercando di ottenere una buona visuale. La figura di una creatura umanoide pendeva a dieci piedi dal terreno, la corda del laccio attorno al suo collo. La sua forma rassomigliava a quella di un uomo muscoloso in vestiti stracciati, ma la sua pelle era pallida e molle. Nessun movimento era visibile dall’essere, e nessun animale smangiucchiava i suoi resti. Chi può essere? Da quanto tempo è appeso qui? pensò Eli, poco prima che il corpo iniziasse a dimenare selvaggiamente le braccia, tornando in vita mentre si afferrava il collo nel tentativo di liberarsi.

    Oh merda, è ancora vivo.

    In un lampo, Eli corse all’albero che teneva la figura in aria e sciolse la stretta della corda, facendo calare il corpo di alcuni pollici. Un senso di ingiustizia lo sopraffece quando si fermò ad esaminare l’uomo pendente dall’albero. Chi si è avventurato così lontano nel Bosco Selvaggio, e perché è così vicino a casa mia? I pensieri s’infiltrarono nel suo subconscio mentre l’istinto urlava un avvertimento. Avventurieri.

    Strizzando gli occhi, Eli sollevò una mano per schermarseli dal sole, osservando meglio la situazione. Notò qualcosa di familiare nell’uomo intrappolato. L’aveva già visto prima. Quando il sole cessò di offuscargli la vista, lineamenti noti divennero ancora più evidenti.

    «Wayland! Cazzo, amico» urlò Eli, riconoscendo la faccia del suo vecchio compagno. «Mi dispiace. Ti faccio scendere, ma la caduta farà male.»

    Nel panico, sfoderò il coltello da cintura e tagliò la corda in un singolo, rapido gesto. La forte tensione del laccio si scaricò subito, facendo risuonare un fragoroso clangore metallico sul sentiero di caccia. Un momento dopo, la figura contorcente di Wayland sbatté forte al suolo, seguita dalla testa che si schiantava contro una roccia con un rumore sordo. Un suono nauseante, come quando un sacchetto di carne colpisce il pavimento. Eli stette immobile a guardare inorridito, e sapendo il danno che una caduta di sei piedi poteva fare a un uomo, finì per vomitare. Il suo amico era morto; doveva esserlo. Nessuno sarebbe sopravvissuto a quella caduta. Ricomponendosi, Eli si asciugò le gocce di sudore dagli occhi e la saliva dalle labbra. Precipitandosi verso il corpo ora immoto di Wayland, andò ancora più panico. Si fermò ad alcuni passi di distanza e si inginocchiò, osservando la scena del corpo straziato del suo amico.

    Guardando più da vicino, notò che le mani del suo amico erano storte, le dita spezzate, e pezzi di pelliccia e carne si erano in qualche modo infilati sotto le sue unghie. Dalla gamba destra e dal braccio sinistro di Wayland sporgevano ossa grigio scuro, rassomiglianti a spuntoni macabri. La cima della sua rotula era visibile attraverso la carne, avendo sfondato la pelle sottile, ma neanche una goccia di sangue sgorgava da nessuna delle innumerevoli ferite dell’uomo. Anziché il vitale fluido cremisi, dalla massa ora martoriata cadevano porzioni di un plasma gelatinoso grigio-rosato. Vecchie ferite da perforazione si riaprirono sul torso, rilasciando un miscuglio di zolfo, bile e cibo digerito, simile a un miasma che bruciò la gola e le narici di Eli.

    La vista della faccia molle e senza vita di Wayland gli attorcigliò per la seconda volta le budella. Sangue fresco fuoriusciva dalla bocca, sprigionando vapore, mentre pezzi di carne colpivano il terreno con uno schiocco umido. Uno squarcio liscio e pulito s’estendeva lungo la gola dell’uomo morto da un orecchio all’altro.

    «È impossibile che il laccio abbia fatto tutto questo» mormorò Eli, prendendo fiato ad ogni pausa tra le parole.

    Dopo essersi ripreso, si alzò e girò intorno al cadavere. Da basso giunse il delicato suono di uno schizzo quando Eli pestò qualcosa di viscoso e caldo. Abbassò lo sguardo e vide una profonda pozza di sangue attorno al suo stivale. Il denso liquido cremisi filtrò tra le stringhe e nella sua calza mentre lui restava a guardare, confuso.

    «Oh, ma che cazzo!» esclamò, togliendo il piede zuppo di sangue dalla pozza alta fino alle caviglie.

    Il cadavere ancora sanguinante di un cerbiatto giaceva mutilato a cinque piedi di distanza da dove Wayland ora riposava. Segni di artigli e morsi coprivano quasi ogni parte del suo corpo. Viscere strabordavano da un buco grande quanto un pugno nella sua pancia, come la frutta da un cesto. Gli spenti occhi grigi del cervo adesso fissavano le cosce dell’animale, e la sua piccola testa era ritorta come un brezel.

    Questo sì che è interessante, pensò Eli tra sé, mentre un sospiro roco e gorgogliato rimbombava per il bosco ora silente.

    «Mi chiedo chi sia stato.» Le parole sfuggirono alle sue labbra in un sussurro, proprio quando udì il fruscio delle foglie accanto al cadavere del suo amico.

    Eli si guardò indietro e vide Wayland contorcersi, i suoi polmoni che si sollevavano e si abbassavano instabilmente. Il corpo dell’uomo caduto diede degli strattoni, mentre si rialzava in piedi. Ossa ritornarono al proprio posto con uno schiocco, scricchiolando con la loro opposizione intanto che la creatura, che una volta era un uomo, si rimetteva in sesto. Dita si mossero, e gli occhi si spalancarono, ma non v’era nulla al loro interno. Dietro di essi non traspariva vita; ogni piccola scintilla d’intelligenza era svanita. La sua bocca si aprì, lasciando precipitare al suolo pezzi di carne di cervo assieme ad un altro fiotto di sangue caldo.

    Una gamba avanzò verso Eli, poi l’altra. Le ossa marce squarciarono la carne decadente. Barcollando in avanti, tese le braccia, trasportato dai suoi sgraziati movimenti verso la creatura vivente più vicina, Eli. Muovendosi ad una velocità innaturale, Wayland allungò una mano per afferrare la gola dell’uomo. Le sue dita terminavano in ossa scheggiate anziché in carne, come divorate da un animale famelico. Incapace di reagire, Eli rimase immobile fino a che le mani semi-scheletriche non l’ebbero raggiunto e dita ossute non ebbero graffiato il suo morbido tessuto vivo.

    «W-Wayland? Wayland, che ti è successo? Stai bene?» boccheggiò.

    Dita fredde come il ferro gli strinsero la gola, la loro forza ultraterrena che tentava di distruggere la sua trachea. «Wayland...» Dalla bocca gli sfuggì un urlo soffocato.

    Eli guardò terrorizzato la testa del suo amico inclinarsi, quasi come in segno di riconoscimento. Poi il mostro fece schioccare i denti. Aprendo e chiudendo le mascelle, sbattendole insieme come un animale impazzito, la creatura Non-morta si staccò a morsi una grossa parte della lingua. Ancora niente sangue, pensò Eli, prima che il suo amico scattasse in avanti verso la sua giugulare esposta. L’istinto costrinse Eli a reagire, difatti egli tirò una manata in faccia a Wayland, e questo gesto improvviso lo fece rinvenire dallo stupore. Ansimando, la vista gli si offuscò mentre le dita affilate come pugnali trovavano maggior presa attorno alla sua gola. Stava esaurendo l’ossigeno, e in fretta. Non dovrebbe essere così forte; il suo braccio è quasi staccato, pensò nello stesso momento in cui la sua mano destra scattava verso l’alto, il suo coltello da cintura ancora intatto.

    Conficcandogli la lama nel braccio, il mostro allentò leggermente la morsa sulla sua gola. Con il piccolo rilascio della pressione, l’aria si fece strada a forza nei polmoni disperati di Eli. Il suono di carne che si lacera e di ossa che si spezzano fece disperdere gli uccelli rimasti nelle vicinanze. Sprazzi della violenza appena subita affiorarono alla sua mente, obbligando il suo corpo ad agire.

    Con un movimento rapido, espose il palmo della sua mano libera e lo spedì in faccia a Wayland con sufficiente forza da fargli esplodere il naso. Afferrando l’uomo per la fronte, spostò poi il proprio peso in avanti sul braccio, che ora stava tenendo il volto dell’amico. Se da una parte la forza del colpo aveva evitato che i denti di Wayland azzannassero la trachea esposta di Eli, dall’altra aveva anche fatto perdere l’equilibrio al cadavere ambulante. Dopo aver compiuto un piccolo passo sulla sua destra, Eli posizionò la gamba dietro quella di Wayland. Con tutta la forza e la pressione in suo possesso, si spinse in avanti.

    L’impeto lo scagliò addosso allo zombie quando appoggiò la spalla nella manovra. Ora parallelo a Wayland, il gomito piegato ad un angolo di novanta gradi, scagliò il morto vivente a testa in giù a terra. Qualsiasi senso dell’equilibrio che la creatura possedeva svanì mentre essa cadeva all’indietro, perdendo l’appoggio dei piedi. Dolore sbocciò nel ginocchio di Eli quando colpì il terreno, seguito da tutto il peso del corpo. L’impatto scosse il suolo della foresta con un lieve tremore e uno schiocco, riverberante da un cranio che colpiva una radice esposta. Frammenti d’osso cascarono a terra, schizzando le foglie vicine con un fluido gelatinoso.

    Balzando in piedi, Eli fece due rapidi passi indietro. Con un profondo e ponderato sospiro, elaborò un elemento fondamentale: Questo non è Wayland. È qualcos’altro. La paura, la rabbia e la confusione si riversarono su di lui. Il suo migliore amico era morto. O è Non-morto? La sua mente era incapace di stare calma. Questa cosa ha appena cercato di mangiarmi, pensò, prima che ciò che era rimasto della sua colazione gli riempisse la bocca. La nausea distolse la sua attenzione dalla cosa ai suoi piedi.

    Mentre era impegnato a non vomitare, la figura Non-morta gemette e si raddrizzò, tentando di ritrovare l’equilibrio. Eli riportò gli occhi sull’essere, impallidì, poi deglutì, intanto che la creatura cercava di piantare le proprie gambe sotto se stessa. Lentamente, egli fece scivolare il coltello da cintura nel suo fodero e strinse la mano attorno al manico dell’ascia. Anche se lo scopo principale dell’attrezzo era quello di abbattere alberi, poteva lacerare la carne e spezzare le ossa con facilità. Quando tirò l’arma fuori dalla sua sede, il peso dell’ascia calmò i nervi di Eli, il suo fresco manico di frassino familiare e incrollabile.

    Wayland piantò entrambi i piedi sotto di sé e iniziò a muoversi pesantemente. Quando la sua gamba devastata calò al suolo, le ossa cedettero e si spezzarono. Il rilascio di tessuto connettivo spedì un risonante schiocco ad echeggiare fra gli alberi. Grigie ossa seghettate spuntavano dalla pelle scorticata, lacerandola come un foglio di pergamena strappato. Ora trascinante l’arto distrutto, la creatura arrancò in avanti. Benché lento, il cadavere di Wayland era ancora mobile. Strascicando i piedi, con l’istinto primordiale, il suo braccio buono si protese verso l’altro essere, come se stesse morendo di sete e la carne di Eli fosse un’oasi. La consapevolezza sorse nell’uomo, intanto che lui prendeva la ferma decisione di ciò che doveva fare.

    La vista del fabbro ora riempì Eli di rabbia, mentre sussurrava: «Mi dispiace, amico mio.»

    Con un ultimo passo indietro, si mise nella posizione che utilizzava quando tagliava gli alberi e sgombrò la mente. Spostando il peso del suo corpo, lasciando che si distribuisse su entrambe le gambe, agitò l’arma. La pesante ascia di ferro si schiantò contro la vita di Wayland con la forza che Eli avrebbe usato per abbattere una quercia. L’ascia si conficcò sopra il fianco sinistro con abbastanza forza da tagliare il corpo a metà. La carne si divise, come le onde infrangentesi sulle rocce. Ossa esplosero in centinaia di piccoli frammenti quando il metallo le spaccò con facilità. Piccoli fasci di muscoli e nervi furono tutto ciò che restavano a tenere insieme l’essere grottesco. Intestino e bile fuoriuscirono dal busto distrutto mentre la creatura cadeva al suolo. Le gambe di Wayland stettero immobili per il tempo di un respiro, prima di seguire il resto del suo corpo a terra. Il miasma precedente decuplicò la propria forza, e vari fluidi colarono dallo squarcio nello stomaco di Wayland.

    Tremando troppo violentemente per controllarsi, le scivolose mani di Eli persero la presa sull’ascia, che ruzzolò a terra. Piegandosi su se stesso, si afferrò le ginocchia tremanti in cerca di sostegno. Costringendosi a fare dei profondi e ponderati respiri, tentò di calmare la propria mente, mettendo insieme i pezzi di ciò che era accaduto. Wayland era un brav’uomo, pensò, le lacrime che si formavano nei suoi occhi. Guardando l’ascia ora giacente accanto al corpo, la sua lama sporca di icore nero-rossastro, si rese a un tratto conto di quello che aveva appena fatto. Aveva ucciso il fabbro con la sua stessa ascia.

    «Altrimenti lui avrebbe ucciso me» disse singhiozzando. «Quello non era Wayland, non più. Quello non era Wayland» ripeté, intanto che le lacrime lasciavano delle screziature tra il sangue e il sudiciume che gli coprivano il volto. Mentre piangeva, qualcosa colpì il suo piede. Lo sguardo ancora abbassato, vide che cos’era e gridò: «Oh, andiamo!»

    Wayland, o meglio il suo torace, stava strisciando lungo il terreno con un braccio nel tentativo di afferrare la gamba di Eli. La bocca devastata ancora schioccava, con l’essere che cercava di mordere qualunque cosa riuscisse a trovare. Scacciando disgustato la mano dal suo piede, Eli pestò il cranio già fratturato della creatura. Il fragile involucro osseo scoppiò come un melone che cade da un tavolo, mentre una grossa poltiglia grigio-marrone esplodeva sul suolo della foresta. Cervella imputridite si raccolsero intorno allo stivale marrone-rossastro di Eli, e il braccio della creatura si afflosciò per l’ultima volta. Allungando la mano verso l’ascia caduta, i movimenti dell’uomo erano lenti ed esitanti. Cercando di evitare di entrare in contatto col torso ai suoi piedi, scivolò sulla materia cerebrale. Lo slittamento improvviso fece inciampare Eli e volare la poltiglia sul manico della sua arma.

    Be’, più tardi dovrò ripulire questo disastro, oppure Kata mi... Il pensiero morì sul nascere e lui incominciò a correre a perdifiato verso la sua famiglia, raccattando l’arco lungo la strada.

    Rami si spezzarono e foglie secche scricchiolarono sotto i suoi piedi mentre egli sfrecciava in direzione della sua baracca. Eli sapeva che gli ci sarebbero voluti venti minuti a quel ritmo per ritornare dalla sua famiglia. Immagini di zombie strascicanti nella sua pacifica radura gli attraversarono la mente. Quei pensieri erano come incubi ad occhi aperti; visioni di Kata e dei gemelli attaccati da orrori Non-morti spedirono una scarica di adrenalina nelle sue vene. Devo arrivare a casa. Se ce n’era uno, potrebbero essercene altri.

    Sua moglie avrebbe potuto difendersi meglio di lui. Diavolo, gli aveva insegnato la maggior parte di ciò che conosceva. Ma lei aveva due bambini da proteggere. Più sono le persone di cui devi occuparti, più diventa difficile. Mentre Eli correva, la sua mente galoppava, pensando a cosa stesse facendo risorgere i morti. È quel maledetto Tempio, lo so.

    Alberi gli sfrecciarono accanto durante la sua corsa, i loro rami che incidevano superficialmente la carne. Le gambe gli bruciavano per lo sforzo di scattare per oltre due miglia. Avvicinandosi alla radura, poté vedere un bagliore arancione luminoso filtrare attraverso i varchi nella linea degli alberi. Corse ancora più veloce, i suoi muscoli imploranti ad ogni passo. Le punte dei fuochi danzavano sopra la vegetazione arborea come sbuffi ad una melodia, facendosi sempre più grandi ad ogni falcata. Urla stridule infransero il cielo di tardo pomeriggio, spezzando la misteriosa quiete. Provenivano dalla direzione della sua radura un tempo tranquilla; provenivano da casa sua.

    «No, fermi! Non fatele del male. Vi darò tutto quello che volete.» La voce di Kata riempì l’aria, il suo tono saldo ma supplichevole.

    Eli si arrestò al limite degli alberi, assicurandosi di non esporsi al pericolo. Non conoscendo la situazione, guardò verso il piccolo spazio aperto per verificare la presenza di minacce. Fiamme ruggivano mentre la loro baracca bruciava, inondando l’area di una luce intensa. Tutto il loro bestiame giaceva morto nei recinti, le gole tagliate o le teste schiacciate. Tre figure in armatura sostavano nell’orto di Eli. Erano lontani, al di là dei campi, ma ampiamente a portata di tiro.

    Un uomo stava accanto alla struttura in fiamme, mentre altri due circondavano Kata. Eli vide il fisico esile della figura spezzata di suo figlio. Il corpo distrutto di Eric, sanguinante da diverse ferite, giaceva ai piedi della persona più vicina alla baracca. Respiri incostanti facevano sollevare e abbassare leggermente il petto del ragazzino. La persona torreggiante sopra di lui era un pallido Elfo delle Nubi dall’aspetto spettrale, coperto di abiti scarlatti con fodera nera. Il suo braccio sinistro era avvinghiato al collo di Savannah, come un pitone arrotolato intorno alla sua preda. Un pugnale fluttuava a pochi pollici dal suo occhio sinistro, tenuto sospeso da una corrente d’aria invisibile.

    Lacrime scorrevano sul volto di Savannah, ma lei rimaneva calma e immobile, i denti stretti. I suoi occhi erano aperti, freddi, e privi di paura mentre dardeggiavano da un aggressore all’altro. Eli fece un passo indietro, riparandosi ulteriormente, non volendo rivelare la propria posizione. Qualsiasi movimento improvviso avrebbe potuto scatenare il panico che avrebbe portato alla morte della sua famiglia. Assicurandosi di non produrre alcun suono, allungò la mano verso il suo arco. Intanto che si preparava, tenne gli occhi puntati su sua moglie.

    Kata si parava innanzi alle due figure rimanenti con una spada corta nella mano destra e il suo coltello da stivale nella sinistra. Sangue gocciolante da ferite multiple sul suo corpo e sulla sua faccia le dava un aspetto tremendo. Prima che i predoni catturassero i gemelli, lei li stava affrontando tutti e tre contemporaneamente. Quella vista riempì Eli di panico, rabbia e non poco orgoglio. Sua moglie era una forza della natura; stava tenendo testa a tre Avventurieri.

    «Ehi, Chris» disse una corpulenta figura Nanesca, coperta da una pesante, scura cotta di maglia, al Mago allampanato, facendo aprire in una smorfia la faccia dell’uomo esile. «Voglio dire Koldun. Non vedo nessun cacciatore qui, solo questa pollastrella e i suoi bambini.»

    «Lui è qui, e faresti fottutamente meglio a trovarlo.» L’ordine dell’uomo giunse in un sibilo, come se la sua lingua fosse biforcuta.

    Le restanti due figure continuavano a sventolare le loro armi verso la moglie di Eli. Il Nano nell’armatura massiccia brandiva uno strano scettro nella mano sinistra e una reliquia dagli angoli aguzzi nella destra. Un elmo di cuoio intrecciato gli proteggeva il viso, impedendo a Eli di dare un’occhiata migliore ai suoi lineamenti facciali. La seconda figura era alta sette piedi, indossava pochissima armatura e nessun elmo. La sua stazza lo faceva apparire come un gigante, vicino al suo compagno. Agli occhi di Eli, i tratti rotondi e ammucchiati insieme dell’omaccione rassomigliavano a quelli di un maiale. Due grandi corna scaturivano dalla corona della sua testa, arricciandosi all’indietro in un motivo a spirale. Pareva un Orchetto sovradimensionato o un mezz’Orco. Impugnava una lunga Claymore a due mani con la stessa facilità con cui qualcuno brandiva un ramoscello. E quando agitava l’arma, la sua presa passava da una a due mani in un gesto esperto. L’Essere di Pietra sembrava fuori luogo a Scorn, in quanto essi non erano in buoni rapporti con gli Umani, o i Lupini.

    Koldun parlò da dietro Savannah, stringendo la propria presa sulla sua gola. «Te l’ho detto, noi siamo qui soltanto per delle informazioni e per la vostra roba.» Agitò il braccio libero in arcate regolari. I movimenti del Mago fecero ballonzolare il pugnale nell’aria. «Se tu ci avessi detto ciò che volevamo sentire e consegnato i vostri averi, tutto questo non sarebbe mai accaduto.»

    L’essere brandente l’enorme spada si avvicinò di un passo a Kata. «Voi stupidi png non sapete qual è il vostro posto. Dacci la dannata missione e l’ubicazione del Tempio di Aeryntorr. Poi ce ne andremo.» Sorrise. «Dopo aver preso le vostre cose.» La punta della sua spada danzava in cerchi rapidi mentre lui parlava. «Quel fabbro ci ha detto che voi avreste saputo come trovarlo. Ci ha mandato a cercare qualcuno di nome Eli.» La sua voce graffiante fece una pausa, mentre un sogghigno gli si formava sul volto. «Poco prima che lo sgozzassimo da un orecchio all’altro.»

    La rabbia e l’odio colmarono l’anima di Eli, e le sue mani si allungarono verso la faretra attaccata alla schiena. Loro hanno ridotto Wayland in quello stato. Hanno attaccato la mia famiglia. Hanno raso al suolo la mia casa, pensò, il pugno stretto così forte attorno all’arco da piegarne il legno. In quel momento, seppe che avrebbe ucciso questi uomini. Doveva farlo.

    Eli continuò a guardare, in procinto di attaccare, ma prima che chiunque potesse agire, Kata entrò in azione. Le sue ginocchia si piegarono come una molla pronta a scattare, poi lei si avventò sul tizio con la lama gigante. La donna attaccò il petto scoperto dell’uomo con una rapida finta, costringendolo a bloccarla. Lei poi si spostò sulla sua destra, entrandogli nella guardia. I suoi movimenti si confusero mentre ella affondava il coltello nella carne esposta dell’avambraccio dell’Orchetto. La presa di Kata si allentò per un attimo, il sangue colante lungo il braccio del suo nemico, i tendini recisi. Imperturbato dall’attacco paralizzante, l’uomo sorrise. Era come se non avesse sentito alcun dolore.

    Mormorò sottovoce al Nano, intanto che uno strano bagliore dorato gli avviluppava il corpo. «Non ho bisogno del tuo aiuto. Mi occupo io di questa puttanella.»

    L’imponente guerriero osservò la propria ferita curarsi in un istante. Scuotendo il capo, scoccò un’occhiata severa al Nano, poi si mise in posizione. Un momento dopo, l’uomo corpulento con lo scettro strinse la reliquia nel suo pugno e cantilenò sottovoce, creando un’altra ondata di luce dorata. Cazzo, lo sta curando, pensò Eli tra sé, puntando una freccia sull’uomo che tratteneva Savannah. Ma devo salvare i bambini. Allentò leggermente la presa. Prima di scoccare, Kata volse di poco la testa, come se sapesse che lui era lì, e gli diede il segnale di aspettare.

    Eli stette ad osservare, intimorito e indeciso. Sapeva che sua moglie aveva ragione. Loro non sapevano che lui era lì, e lo stavano cercando. Se avesse reso nota la sua presenza, gli Avventurieri avrebbero ucciso la sua famiglia. Improvvisamente, la cantilena del Nano s’interruppe, e le ferite dell’Essere di Pietra svanirono. Quando il bagliore di guarigione scomparve, l’uomo pesantemente corazzato piantò i piedi e si scagliò contro il suo avversario. Le gambe tozze del Chierico generarono uno slancio ad un ritmo allarmante, permettendogli di chiudere la distanza tra lui e Kata in un batter d’occhio. Notando l’attacco imminente, lei scivolò in avanti nella portata del suo nemico, puntandogli al contempo la spada contro il petto. A pochi pollici dall’impalarsi da solo, egli spostò il proprio peso, evitando la lama. Ora, parallelo a Kata, sollevò l’arma e ruotò il bacino, quindi calò la sua clava spinata sulla faccia esposta della donna. La forza dietro il colpo devastante era sufficiente a disintegrare un piccolo masso.

    Lottando contro l’impulso di cambiare bersaglio, Eli mantenne il proprio arco puntato sul Mago, mentre Kata si difendeva contro i due potenti Avventurieri. Con la grazia e la velocità di una danzatrice, Kata abbassò la sua posa e spazzò una gamba verso la figura tarchiata, fermando la sua avanzata. Quella mossa provocò una momentanea interruzione nel combattimento, resettando il flusso della battaglia.

    «Ve l’ho detto, noi non sappiamo nulla. Potete tenere quello che trovate qui, ma lasciate andare i bambini» ringhiò agli aggressori. «Non c’è bisogno di combattere» gridò poi, infuriata. «Almeno uno di voi morirà qui, quest’oggi.»

    Con la coda dell’occhio, Eli vide la figura robusta spostarsi dietro l’uomo più alto, nel tentativo di entrare nel punto cieco di Kata. Non appena scomparve alla vista, l’uomo alto fece oscillare la sua spada in un grande arco orizzontale, costringendo la donna a rotolare a destra e lasciandosi scoperta. Kata schivò l’attacco, distogliendo lo sguardo dall’Orchetto per seguire i movimenti del Guaritore.

    Eli volle urlare un avvertimento quando il Guerriero sfruttò la distrazione del Nano per sbatterle il suo pugno guantato di ferro in faccia, invece rimase in silenzio. Doveva confidare nella ripresa e resistenza in battaglia di sua moglie. La forza del colpo la buttò a terra. Notando un’altra occasione, l’Orchetto continuò con un ginocchio dritto alla sua mascella. Kata si lanciò all’indietro, atterrando sulla schiena, le braccia premute contro il terreno. L’attacco devastante aveva mancato il suo mento per mera questione di pollici. Vedendo sua moglie fuori dall’immediato pericolo, Eli tirò un sospiro di sollievo.

    Sapeva cosa sarebbe successo ora. In allenamento glielo aveva fatto un migliaio di volte. Come previsto, la donna si rimise in piedi con un agile balzo e un attacco fluido. Un guizzo del suo polso spedì terriccio e pietruzze negli occhi del suo avversario, seguiti da uno dei suoi coltelli da stivale. Facendo alcuni passi indietro, il grosso Avventuriero abbassò la spada e si afferrò il viso.

    «Cazzo!» La parola rimase sospesa nell’aria mentre l’uomo ruggiva infastidito, annaspando per rimuovere i detriti dai suoi occhi temporaneamente accecati.

    Il coltello da cintura si inguainò fino al manico nel collo troppo cresciuto dell’uomo, mozzando tutti i suoni e abbattendolo in un istante. Non era morto, ma sarebbe stato fuori combattimento. Con l’uomo a terra, Eli tirò la corda del suo arco, controllando la mira. Hai solo una possibilità di sorprendere un nemico.

    «Basta così» esclamò la figura abbigliata, il coltello fluttuante che si faceva lentamente strada verso l’occhio di Savannah.

    La punta della lama minacciosa le fece sbattere gli occhi, e un taglio superficiale s’aprì sulla sua pelle. Una singola goccia di sangue sgorgò dalla sua palpebra.

    «Getta le armi e dacci quello che vogliamo» sibilò l’utilizzatore della magia, calciando Eric nelle costole. L’attacco arrestò la respirazione del bambino, ma lui era ancora vivo. «Altrimenti i tuoi figli muoiono.» Eli vide la testa del suo nemico muoversi appena. Un cenno d’assenso seguì un ammiccamento nella direzione del Nano. «Non preoccuparti, però. Dopo che saranno morti, avrò bisogno di nuovi sgherri. Quindi li riporterò in vita» disse con un ghigno. «Poi, ti bloccheremo a terra e ti costringeremo a guardare i tuoi piccoli mangiare i pezzi che staccheremo dal tuo corpo.»

    Eli decise di cambiare posizione, andando alla ricerca di un miglior punto d’osservazione, uno con la visuale libera sull’Elfo magro. Savannah stava ancora in piedi, risoluta, un occhio chiuso. Il sottile rivolo di sangue gocciolante dalla sua palpebra addolorò Eli, rendendolo furioso. Non poteva più aspettare.

    Uno scoppio di incontrollabili risa riempì l’aria. «Ecco, brava bambina» disse l’Elfo lasciando la presa su Savannah. La lama stava ancora aleggiando davanti al suo occhio, mentre lui continuava. «Ma se non hai uno straccio di informazione, allora sei inu...» Le parole dell’uomo furono troncate quando la freccia di Eli si piantò nel suo petto.

    Il tempo rallentò per lui, intanto che una catena di eventi si dispiegava in successione, come se coreografati. Guardandosi il torace, una freccia spuntante dal suo cuore, l’Elfo fece una smorfia. Un singolo, impercettibile spasmo di sottili dita Elfiche mossero il pugnale fluttuante come bloccato nella melassa. Un fiume di sangue seguì gemiti di dolore.

    Eli ruggì: «No!»

    La vista gli si offuscò a causa del volume della voce che scappò dalla sua bocca. La sua mano scoccò un’altra freccia, scagliandola come un razzo attraverso lo spazio. La figura tarchiata schiantò il proprio scettro su un lato della faccia di Kata, facendola cadere a terra. Anche il corpo di Savannah crollò al suolo, un pugnale spuntante dal suo occhio ancora chiuso.

    La freccia volò mentre la mano di Eli scattava di nuovo dietro la sua schiena per afferrarne un’altra. La vista gli si intorbidò quando una fontana di lacrime scaturì dai suoi occhi, mischiandosi col fango, il sangue e lo sporco della sua battaglia precedente. Poteva ancora vedere il suo bersaglio. Due frecce sporgevano dal suo petto come i rami di un albero. Con un ferita che avrebbe ucciso qualsiasi uomo normale, il bersaglio di Eli guardò in basso, osservandosi il busto e rifiutandosi di cadere... rifiutandosi persino di sbattere le palpebre. L’uomo esile strappò via una freccia, alla cui punta si accompagnò un lieve getto cremisi.

    «Chi cazzo c’è là fuori?» urlò l’Elfo per la frustrazione. Poi la consapevolezza lo colpì, portando un ampio sorriso sulla faccia dell’uomo. «È il cacciatore, trovatelo.»

    La terza freccia di Eli si schiantò contro

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