Menahem Recanati - Il commento alle preghiere: Perush ha-Tefiloth
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Menahem Recanati - Il commento alle preghiere - Giovanni Carlo Sonnino
Biblioteca della polvere
Biblioteca della polvere
La polvere è la materia del tempo. Tra tutti gli orologi, quello a polvere è il più adatto a rappresentare la caducità del tempo, che scorre silenzioso tra le due ampolle di vetro della clessidra.
La polvere che si deposita è il primo e più evidente indizio dell’inutilizzo delle cose e, quindi, della loro inattualità. E nulla più di uno scaffale di libri impolverati è, oggi, di contro al mondo dell’efficienza della prestazione tecnica, dell’intrattenimento spettacolare e della mobilitazione totale capitalistica, l’emblema dell’inutilità e dell’inattualità.
La Biblioteca della polvere
lo fa proprio, rivendicando, con esso, il gusto eccentrico della ricerca culturale, il valore eversivo dell’erudizione, l’ostinata pazienza della cura, l’inesausta passione per la lettura.
Menaĥem Recanati
IL COMMENTO ALLE PREGHIERE
Perush ha-Tefiloth
traduzione, commento e note a cura di Giovanni Carlo Sonnino e Nahmiel Menaĥem Ahronee
Direttore della Biblioteca della polvere
:
Andrea Tagliapietra
Segretari:
Giuseppe Girgenti (età antica)
Alfredo Gatto (medioevo)
Diego Fusaro (modernità)
Comitato scientifico:
Maurizio Migliori, Giulio D’Onofrio,
Simonetta Bassi, Giovanni Bonacina
INDICE
INTRODUZIONE:
MENAĤEM RECANATI: QABBALISTA E FILOSOFO
Note
Nota dei traduttori
Nota alle trascrizioni
COMMENTO ALLE PREGHIERE
Note
BIBLIOGRAFIA
INTRODUZIONE
MENAĤEM RECANATI: QABBALISTA E FILOSOFO
1) LA VITA
Furono dunque dati alle fiamme nella Città di Recanati per ordine del tribunale della S. Inquisizione 10.000 libri talmudici con altri Commentari di Menechem Recanati Rabbino Hebreo. Qual fosse quel perfido Hebreo, che introdusse in Città sì ossequiosa alla Chiesa, una peste letteraria si perniciosa, con quali arti, con quali aiuti, in qual casa si nascondesse in quel tempo, fu occulto alla Città, ed a’ Cittadini, non fu però nascosto al sempre vegliante Tribunale della S. Inquisizione, che meritamente comandò, che quei fogli sì infetti, perché non contaminassero la purità della Fede Cristiana si dessero subito al fuoco…¹
Questa è la cronaca del gesuita Diego Calcagni del rogo di libri ebraici eseguito a Recanati nel 1554 in seguito alle disposizioni contenute nella bolla Cum sicut nuper di Giulio III. A parte la considerazione che appare inverosimile che la comunità ebraica di Recanati potesse disporre di un patrimonio di 10.000 libri talmudici, emerge come fosse ancora viva e presente la fama del rabbino Menaĥem Recanati e quanto timore si avesse che la sua peste letteraria perniciosa infettasse e contaminasse la purità della Fede Cristiana. L’opera di Recanati ebbe infatti una grandissima importanza non solo in ambito ebraico ma anche nel dibattito teologico e filosofico dell’umanesimo rinascimentale grazie soprattutto al ruolo che ebbe Pico della Mirandola nel riprenderne concetti e principi.
Della vita di Recanati si conosce poco: in una leggenda si racconta che era tanto devoto da voler conoscere con tutte le sue forze i segreti più profondi della Torah, ma non essendo propriamente un genio i suoi sforzi sembravano vani ed egli quindi alternava digiuni a Preghiere, sperando che Dio migliorasse la sua intelligenza per renderlo in grado di capire i misteri della Scrittura. Un giorno in Sinagoga, come sempre immerso nella Preghiera e nel digiuno, si addormentò e fu allora che gli si avvicinò un uomo con un recipiente d’acqua e dopo averlo svegliato, lo invitò a bere. Egli non aveva ancora terminato di bere che l’uomo era scomparso. Tornato, come al solito, ai suoi studi, scoprì che il suo intelletto era perfettamente lucido e in grado di comprendere i sacri testi e i loro segreti. Grazie a questa miracolosa trasformazione egli fu capace di scrivere le opere che lo hanno reso famoso.² Il senso della leggenda è che solo grazie a un intervento divino l’uomo può penetrare i significati più profondi dei testi sacri e che quindi la semplice erudizione non permette di penetrare la complessità dei codici divini iscritti nelle lettere delle parole della Torah, come insegna la Qabbalah.
Giulio Busi ha dimostrato che il filosofo ebreo visse effettivamente a Recanati³ tra la seconda metà del XIII e gli inizi del XIV. È molto probabile inoltre che qui egli abbia svolto la funzione di rabbino, dato che nel 1290 partecipò a Foligno, con il ruolo di protagonista, ad un’assemblea degli ebrei italiani⁴.
Sappiamo che Immanuel Romano, grande intellettuale ebreo, alla fine del Duecento, dimorò nelle Marche in particolare ad Ancona, forse come Rabbino, e successivamente a Fermo e quindi si può supporre l’esistenza di un cenacolo culturale ebraico che aveva trovato ospitalità nelle Marche⁵ di cui l’intellettuale recanatese faceva parte.
2) L’OPERA
L’opera di Menaĥem Recanati spazia da questioni prettamente teologiche legate all’interpretazione dei precetti, a tematiche qabbalistiche e filosofiche. Il suo commento biblico è l’unica opera di un qabbalista italiano ad aver conquistato una larga diffusione nella diaspora soprattutto dopo la sua pubblicazione a Venezia nel 1523. Mentre, come si è detto, nella sua città la sua opera finiva al rogo, nelle comunità ebraiche d’Europa era studiata e ristampata: Il Commento alle Preghiere (Perush ha-Tefiloth) apparve a Costantinopoli assieme al Senso dei precetti (Ta’ame ha-mitzvoth) nell’editio princeps del 1544. Il medesimo testo fu stampato a Basilea nel 1581 ed è questa edizione la base su cui è stata condotta questa prima traduzione in italiano: Il Commento alle Preghiere (Perush ha-Tefiloth).
In tutte le opere è evidente il suo debito alla tradizione qabbalistica e in particolare allo Zohar⁶, al tempo stesso è importante sottolineare che egli non fu solo un abile divulgatore ma che elaborò un originale punto di vista su cui si poggerà come già detto, la riflessione di Pico della Mirandola e in parte il grande cambiamento di prospettiva che segnò l’umanesimo rinascimentale⁷.
Per Menaĥ em la chiave qabbalistica è lo strumento per far convergere tradizioni tra loro apparentemente inconciliabili: la tradizione rabbinica, la tradizione filosofica di impronta neoplatonica e l’aristotelismo averroista.
Nelle due sue opere principali Il Commento alla Torah (Perush ha Torah) e Il Senso dei precetti (Ta’ame ha-mitzvoth), egli infatti commenta e utilizza ampi brani tratti dallo Zohar utilizzando concetti propriamente neoplatonici. È verosimile che egli abbia potuto attingere ai testi fondamentali della Qabbalah attraverso i contatti diretti con gli eruditi ebrei arrivati in Italia dalla Spagna. A questo proposito, risulta che il rabbi ‘Ezra ben Todros, appartenente alla scuola catalana, nel 1313 si trovava a Recanati impegnato nella copiatura di un testo di Selomoh ben Adret (allievo di Mosè Nachmanide)⁸.
Va sottolineato inoltre il contesto del dibattito sviluppatosi in ambito ebraico in Italia, mi riferisco all’insieme di teorie sincretiste che si possono sinteticamente inquadrare nella dottrina della fede razionale
⁹. La discussione sul rapporto fede e ragione si fondava su fonti appartenenti a tradizioni culturali tra loro diverse, ad esempio, il pensatore ebreo Jehudah ben Mosheh Romano citava Agostino per sostenere la tesi della compatibilità della verità di fede con le verità di ragione, giungendo alla conclusione che la poca fede derivasse dal mancato studio della filosofia piuttosto che il contrario, e vi era poi un’indubbia sintonia con i nuovi e scottanti problemi con i quali la Scolastica cristiana aveva osato cimentarsi¹⁰. Si pensi al De arte cabalistica di Reuchlin pubblicato nel 1517.
Se si esamina l’opera di Recanati in questa prospettiva, l’interpretazione di una duplicità nel pensiero ebraico in Italia, basata sulla facile contrapposizione tra una via mistica e irrazionale che avrebbe portato poi il giudaismo europeo a irrigidirsi Qabbalah> e una strada razionalistica che sarebbe confluita in Italia nella corrente filosofica dell’averroismo aristotelico, in realtà rappresenta una semplificazione inadeguata alla complessità del dibattito allora in atto. Bisogna partire infatti dalla constatazione che autori quali Hillèl ben Shemuel ben ‘El’azar da Verona, Jehudah ben Mosheh Romano e Immanuel Romano, i quali vengono spesso classificati in modo semplicistico come
L’opera di Recanati non fu solo importante dunque per la sua influenza sulla Qabbalah cristiana e per la diffusione dello Zohar, ma anche perché rispose ad una duplice esigenza: da un lato conciliare il contenuto della Qabbalah con le speculazioni filosofiche razionaliste che in ambito ebraico prefiguravano il modello di riflessione rinascimentale e dall’altra valorizzare sul piano spirituale i rituali della pratica religiosa ebraica attraverso l’esplicitazione dei significati nascosti dei precetti della tradizione ebraica. In Jehudah Romano, ad esempio, l’unione con l’intelletto agente oltre che con la meditazione filosofica e l’interpretazione della Torah, è possibile attraverso la Preghiera e la liturgia tradizionale che può far accedere alla mistica unione con l’Eterno¹¹.
Recanati non intende discostarsi dalla tradizione, anzi trae dallo Zohar la fonte per eccellenza delle sue riflessioni proprio perché considerata antichissima e quindi nella concezione dell’epoca, autorevolissima. L’oscurità del testo grazie all’arte dell’interpretazione¹² diviene paradossalmente il modo privilegiato per contemplare la strada della conoscenza razionale nella ricerca della riunificazione con la Sapienza divina (Hokmah).
Come Jehudah Romano, anche Menaĥem Recanati è convinto della possibilità di unirsi in vita, con l’Intelletto Agente ed è infatti questo il filo conduttore della sua speculazione che sottende sia al suo Commento ai precetti, sia al Commento alle Preghiere¹³.
Per questo motivo assume un formidabile senso evocativo il concetto di mors osculi (
Nel Commento alla Torah, Recanati riferendosi alla narrazione tradizionale che descrive l’incontro tra Rabba ‘Aqiva e Ben ‘Azza’i in stato di contemplazione mistica, indica questa condizione come il realizzarsi della congiunzione con l’anima superiore tramite l’emanazione divina che dilata gioiosamente la coscienza¹⁵.
L’unificazione mistica è contemplazione dell’En Sof (il Senza Fine) che si esprime con la visione della
Sotto questo profilo è possibile interpretare l’amor Dei intellectualis di Spinoza come la conseguenza dalla letizia prodotta dall’estrema forma di conoscenza metafisica dell’ordine necessario, come una lettura razionalista della devecut (l’unione mistica con Dio) della tradizione ebraica¹⁸.
Fu proprio Recanati a diffondere la teoria secondo cui Mosè sarebbe morto per il bacio di Dio raggiungendo così la particolare condizione della morte estatica e santa, modello per ogni giusto e sapiente che cerca nell’Uno la verità¹⁹.
3) IL COMMENTO ALLE PREGHIERE
La traduzione latina eseguita da Flavio Mitridate per Giovanni Pico della Mirandola è inclusa nel ms. Ebr. 190 della Biblioteca Apostolica vaticana con il titolo De secretis orationum benedictionum.
Il contenuto del testo è costituito dal commento alle principali sezioni della Preghiera ebraica sulla base della tradizione qabbalistica in particolare dello Zohar.
L’opera rientra nel filone che lo studioso israeliano della Qabbalah, Idel definisce teosofico-teurgico: in questa corrente prevale una interpretazione dei precetti e delle Preghiere che tende al superamento della semplice esecuzione formale del rituale quotidiano attraverso la ricerca della verità esoterica di origine divina celata in ogni parola del testo liturgico.
Esiste una vasta letteratura centrata sulla motivazione mistica dei precetti e sul commento al significato nascosto della Preghiera che fiorì in particolare negli ultimi decenni del XIII secolo e che ebbe il massimo compimento all’inizio del XIV secolo nell’opera di Menaĥem Recanati.
L’idea che la fede non possa essere disgiunta dalla conoscenza e che anche la Preghiera sia compresa è un concetto che appartiene alla tradizione talmudica, come si è già detto. Nei significati più nascosti si narra nel Libro dei Padri (il Pirqè Aboth contiene gli ultimi cinque capitoli del quarto libro della Mishnah) che rabbi ‘Elazar ben ‘Azariah disse: se non c’è cultura, non può esserci timore di
Recanati distingue le Sefiroth dall’Essenza divina, queste vengono infatti considerate attributi della volontà divina attraverso una rappresentazione dinamica di un processo che si svolge per gradi a livelli ontologici diversi come tramandato dalla tradizione neoplatonica; la volontà divina corrisponde all’infinitezza che Dio può volere <En Sof>, mentre ciò che Dio ha voluto sono le Sefiroth, intese come manifestazioni della forza divina che si esprimono attraverso la sua presenza nel mondo (Shekinah, la Dimora). Ciò premesso nella visione del pensatore recanatese, la Preghiera costituisce un mezzo per cercare l’unificazione con il divino a patto che vi sia la comprensione profonda del significato qabbalistico. Nel Senso dei precetti scrive: "Un precetto è pregare il Signore, come è detto Servitelo con tutto il vostro cuore (Deut,. 11,13). Qual è l’attività il cui fondamento è nel cuore? È la Preghiera. Disse il saggio Rav. ‘Azriel, sia benedetta la sua memoria, le priorità nella Torah sono la Preghiera e le sue benedizioni e accordare il pensiero con la fede come se fosse unita a Lassu’, per unificare il Nome attraverso le sue lettere che comprendono le dieci Sefiroth così come una fiamma è legata al carbone: Si dica alla saggezza sei la mia sorella e all’intelligenza sei una mia conoscente." (Proverbi 7.4)
Il mondo celeste e il mondo terreno non sono separati, non vi