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Granta: I migliori giovani narratori in spagnolo
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Granta: I migliori giovani narratori in spagnolo

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Dieci anni fa, la storica rivista letteraria inglese Granta ha selezionato i 22 migliori giovani narratori di lingua spagnola e pubblicato le loro opere in un’antologia speciale, facendo conoscere un’intera generazione di scrittori emergenti e mettendone in risalto il talento. Questa edizione, uscita nel 2010 e pubblicata anche in spagnolo, ha contribuito al successo internazionale di autori come Federico Falco, Elvira Navarro, Samanta Schweblin, Alejandro Zambra e Andrés Neuman, che si sono poi affermati sul panorama internazionale.
Nel 2021 Granta torna a selezionare la prossima generazione di giovani talenti della letteratura ispanofona, dando spazio a 25 nuove voci e affiancando per la prima volta alle versioni in inglese e in spagnolo anche la versione italiana, disponibile in formato digitale.
LanguageItaliano
Release dateMay 20, 2021
ISBN9788899958183
Granta: I migliori giovani narratori in spagnolo

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    Granta - AA VV

    Note

    Introduzione

    Una decina di anni fa, quando presentammo nel 2010 la prima selezione de «Los mejores narradores jóvenes en español» – la prima delle celebri istantanee generazionali di Granta in una lingua diversa dall’inglese – non avremmo mai potuto immaginare che quando avremmo organizzato e annunciato la tanto attesa seconda lista ci saremmo ritrovati tra le grinfie di una pandemia globale. Granta è un sogno collettivo che ha fatto del tempo la propria speranza, e la vita – quella frenesia – è diventata più che mai adesso ombra e finzione.

    Poiché questo numero non vuole essere una nota a margine di un sogno, ma il sogno stesso, non troverete diari della pandemia (li abbiamo vietati), anche se è inevitabile che le devastazioni di ciò che abbiamo vissuto facciano capolino di tanto in tanto, come un’ombra, mentre sbirciamo dietro il reticolo di parole.

    Gli esercizi generazionali prospettici di Granta alla ricerca di talenti emergenti compiono quasi 40 anni. Nel 1979 due giovani editori iconoclasti, uno dei quali americano, presero in mano la quasi centenaria rivista studentesca dell’Università di Cambridge, provocando presto un grande scandalo: nel terzo numero annunciarono la fine del romanzo inglese. «In sua memoria», si leggeva sulla foto di copertina: una donna in lutto, malinconica e smarrita, che spargeva il suo dolore su una lapide. Nel 1983, poco dopo quella dichiarazione incendiaria che provocò non poche reazioni convulse, gli editori fecero uscire la prima antologia di «The Best Young British Novelists». Il re è morto, lunga vita al re: una nuova generazione di romanzieri irrompe sulla scena. Tra loro c’erano Kazuo Ishiguro, Pat Barker, Julian Barnes, Rose Tremain, Ian McEwan, Martin Amis, William Boyd, Shiva Naipaul e Salman Rushdie.

    A quella lista ormai leggendaria fece seguito il famoso numero 8 di Granta, dedicato al «realismo sporco», che coniò una nuova tendenza della narrativa americana e fece conoscere ai lettori britannici scrittori come Raymond Carver, Richard Ford, Jayne-Anne Phillips e Tobias Wolff. Con quella seconda lista, una nuova e vivace conversazione letteraria transatlantica iniziò nelle pagine di Granta. Dopo il secondo numero dedicato ai migliori giovani romanzieri britannici del 1993, fu la volta degli americani nel 1996, già con Ian Jack alla guida della rivista. Finora sono state presentate quattro selezioni dal Regno Unito, tre dagli Stati Uniti, una dal Brasile e, con questa, due dallo spagnolo.

    Lo scopo di quel rinnovato Granta era aprire strade nel vecchio mondo che avrebbero fornito un canale per la letteratura del nuovo mondo. Gli editori britannici erano lenti a pubblicare la narrativa americana, che Buford diceva essere «impegnativa, diversa e rischiosa». Questa idea, quella di costruire un ponte letterario transatlantico, è uno dei motivi che hanno portato all’edizione spagnola del 2003. Quando la nuova proprietaria di Granta e attuale direttrice Sigrid Rausing ha preso in mano la rivista a Londra nel 2005, ha incoraggiato Granta en español ad andare avanti e ha favorito il nuovo slancio internazionale della pubblicazione. Seguendo la tradizione di outsider della rivista britannica, Granta en español è stato lanciato da due forestieri, una dei quali (io) è un’americana sfacciata, la cui lingua madre non è dunque lo spagnolo. Ci sembrava allora, così come adesso, che la nuova narrativa americana – «impegnativa, diversa e rischiosa» – non fosse sufficientemente conosciuta in Spagna. Molti editori della penisola sono stati lenti a riconoscere il valore della letteratura americana post-Boom. Ma era vero anche il contrario: c’era una scarsa presenza di scrittura spagnola nell’America ispanica. Entrambe le sponde dell’Atlantico non si leggevano.

    «Se buona parte della letteratura spagnola contemporanea sembra oggi eccentrica rispetto a quella europea», ha scritto Aurelio Major, cofondatore di Granta en español, nell’introduzione alla prima selezione del 2010, «quella dell’America Latina è sempre stata un Far West letterario». Quel Far West è composto da quasi venti paesi di lingua spagnola, e ha dato al mondo sei premi Nobel per la letteratura: Gabriela Mistral, Miguel Ángel Asturias, Pablo Neruda, Gabriel García Márquez, Octavio Paz e Mario Vargas Llosa. Anche la letteratura di quell’eccentrico paese all’estremità dell’Europa, da cui provengono cinque Nobel per la letteratura e il primo romanzo moderno in qualsiasi lingua, Don Chisciotte, meritava più attenzione. La curiosità degli editori, e quindi dei lettori stranieri, sembrava essersi saziata con il Boom: se avevano già un gruppo di scrittori famosi, perché lanciarsi nelle acque agitate della nuova scrittura? Tra quelle vele spiegate c’era l’opera di Roberto Bolaño, ma non solo. Granta en español si è proposta di riaprire la conversazione transatlantica tra il nuovo e il vecchio mondo, e di promuovere la traduzione e lo scambio, tra le due lingue, della nuova narrativa che si sta scrivendo nel presente.

    Pubblichiamo ora, nel 2021, la nostra seconda proposta dei migliori giovani narratori di lingua spagnola. Siamo sinceri: la scommessa su venti scrittori sotto i quarant’anni, nella prima lista del 1983, fu principalmente una mossa di marketing, originariamente ideata per lanciare un salvagente al romanzo letterario britannico, ormai assediato, al fine di invogliare più lettori a comprarne le opere. Uno stratagemma eroico. Quel numero inaugurale fu pubblicato in un’epoca in cui gli scrittori erano ancora creature ritirate che evitavano in gran parte i riflettori dei media e, per modestia, preferivano lasciare che fossero le loro opere a parlare per loro. Tuttavia, come afferma Bill Buford nell’introduzione alla selezione del 1993, la prima lista Granta «è diventata, suo malgrado, una potente affermazione sulla cultura letteraria britannica».

    Buford, editore anche della seconda lista, rivela cosa è successo dietro le quinte durante il nuovo processo di selezione, dopo il grande impatto e l’influenza della prima proposta generazionale: come, durante le delibere, furono costretti a cambiare continuamente sede a causa della fatwa contro un membro della giuria, Salman Rushdie, poiché né lui né le sue guardie armate potevano essere visti due volte nello stesso posto; come A. S. Byatt venne mortificato dal fatto che uno dei giurati chiamò Esther Freud una gnocca; come Buford stesso fu costretto a denunciare una riunione clandestina a tarda notte di editori che tramavano per boicottare la selezione; e come un giornalista avesse fatto pressioni per avere l’esclusiva della lista in prima pagina sul suo giornale per poi stroncarla non appena fu divulgata: pensava che così il direttore lo avrebbe premiato con un posto fisso. «Le vie dell’editoria letteraria sono imperscrutabili», fu la conclusione di Buford.

    Quando abbiamo pubblicato la prima selezione in lingua spagnola di Granta nel 2010, la rivista Prospect ha scritto: «La lingua spagnola ha un patrimonio letterario antico e ricco, ma è interessante anche quello che sta succedendo ora. E per una ragione semplice ma importante: la letteratura è molto più del semplice atto di leggere. Deve trattarsi di una conversazione.» La nostra conversazione è iniziata nel 2003, e il primo numero tematico, che offriva sia opere inedite in spagnolo che scritti della rivista londinese, si intitolava Il silenzio sulle labbra di tutti. Susan Sontag ci ha regalato un inedito (con la sua morte l’anno seguente abbiamo perso uno dei nostri più autorevoli difensori e lettori), Guillermo Cabrera Infante, Arthur Miller, Javier Marías, Bernardo Atxaga, Fernando Aramburu, Alma Guillermoprieto, Alberto Ruy Sánchez, Edgardo Cozarinsky e Belén Gopegui l'hanno accompagnata.

    Il bando per il numero che avete tra le mani è stato pubblicato nel marzo 2020, quando la pandemia già incombeva come uno spettro sul mondo. Grazie alla generosità di Ángel Fernández Recuero, direttore di Jot Down, che ci ha aperto la strada digitale, e di Cristóbal Pera, che ha fatto suo il progetto di Vintage come primo coeditore in spagnolo, non siamo stati costretti a rimandarlo. Abbiamo scelto sei scrittori per la giuria, tutti esterni, per evitare i soliti sospetti di influenze, rivalità, invidie o interessi personali che potessero offuscarne il giudizio: i romanzieri Horacio Castellanos Moya, Rodrigo Fresán e Chloe Aridjis; il poeta e cofondatore della rivista in lingua spagnola, Aurelio Major; Gaby Wood, direttrice letteraria della Fondazione Booker; e io, Valerie Miles (nessuno di noi vive nei propri paesi d’origine da diversi decenni, tranne Gaby Wood, ma lei è britannica). Abbiamo difeso con passione le nostre differenze ma, fortunatamente, ci è piaciuta la sfida, ognuno ha cercato di convincere gli altri e i nostri dibattiti sono stati intensi, memorabili e talvolta molto divertenti.

    Come nell’edizione precedente, sono stati considerati come candidati gli scrittori nati a partire dal 1° gennaio 1985, cioè con un’età inferiore ai trentacinque anni, e che hanno avuto almeno un romanzo o un libro di racconti pubblicato o messo sotto contratto. Inizialmente volevamo ridurre la lista a venti scrittori – nel 2010 erano stati ventidue – con la consapevolezza che il nostro compito non era quello di verificare – ecco gli scrittori di questa generazione – bensì di selezionare i «migliori» scrittori di questa generazione – che è un esercizio a volte delicato e doloroso. Tutti i preconcetti che avevamo – una generazione digitale con cervelli sonnolenti e scarsa capacità di attenzione – si sono rivelati assolutamente sbagliati: venti selezioni non sarebbero state sufficienti. Alla fine ci è sembrato che un numero ottimale potesse essere venticinque, e anche così, ogni membro della giuria ha dovuto sacrificare alcuni dei suoi scrittori preferiti sull’altare del consenso. Ogni selezione rappresenta un compromesso. Essere in una giuria è come giocare con la tavola Ouija. Si crea una sorta di campo di forza mentre si discute sulle letture e si confrontano le diverse idiosincrasie del gusto. Espressioni come «lo amo», «lo odio» e «sul mio cadavere» appaiono a volte in un’oscillazione collettiva, da una parte all'altra, finché, quando la moneta cade, la planchette si ferma sul , sulla x della mappa. È così che questa giuria è arrivata al gruppo di scrittori che compongono la seconda lista di Granta in lingua spagnola. Con una giuria diversa, o con la stessa giuria in un giorno diverso, il risultato avrebbe potuto essere diverso.

    Abbiamo ricevuto più di duecento candidature e, durante quei primi strani mesi di reclusione, abbiamo iniziato un processo di lettura esaustiva. Abbiamo finito per ridurre la lista a sessantotto scrittori, grazie anche al prezioso aiuto di Leticia Vila-San-Juan. Purtroppo, abbiamo dovuto scartare alcuni nomi che probabilmente avrebbero trovato posto in questo numero: Daniel Saldaña París (Messico) e Lina Tono (Colombia) sono nati, per esempio, con qualche mese di anticipo, mentre Juan Gómez Bárcena (Spagna) solo con qualche settimana. Inevitabilmente, come accadde nel 2010, quando scrittori come Valeria Luiselli mossero i loro primi passi narrativi poco dopo la chiusura delle delibere, anche questa volta abbiamo letto troppo tardi il lavoro di Lorena Salazar Masso (Colombia), che avremmo voluto considerare. Sappiamo che è molto probabile che abbiamo perso uno scrittore per non aver presentato la propria candidatura, come purtroppo è successo con Juan Cárdenas nel 2010. Per chi ama i numeri: abbiamo iniziato con una lista di centododici uomini e ottantadue donne. La rosa dei preselezionati era composta da ventinove donne e trentanove uomini, e la definitiva da undici donne e quattordici uomini.

    Tredici sono i paesi rappresentati: sei scrittori dalla Spagna, quattro dal Messico, tre dall’Argentina, tre da Cuba, due dal Cile e uno scrittore ciascuno da Colombia, Ecuador, Guinea Equatoriale, Nicaragua, Perù e Uruguay, così come uno scrittore binazionale dal Costa Rica e Porto Rico.

    Ci sono tre differenze significative tra questa selezione e quella del 2010 in termini di origine geografica. La maggiore rappresentazione di scrittori messicani (da uno a quattro), l’irruzione di tre scrittori cubani: Eudris Planche Savón, che risiede sull’isola, Carlos Manuel Álvarez, che vive tra New York, Città del Messico e L’Avana, e Dainerys Machado Vento, che sta svolgendo un dottorato all’Università di Miami, la prima cubana a ricevere un visto da studentessa per frequentare un istituto scolastico statunitense. E va da sé l’inclusione trascendentale di Estanislao Medina Huesca, originario della Guinea Equatoriale.

    Questo gruppo di giovani narratori si esprime in una lingua comune, dove convergono una ventina di nazionalità e un’infinità di permutazioni locali: regioni, città, paesi; un’unica lingua con intricate ramificazioni di tradizione, storia, amalgami razziali e religioni, un’unica lingua usata in territori che abbracciano quattro continenti: Europa, Nord e Sud America e Africa. Sono pochi i paesi di lingua spagnola che non condividono il loro territorio nazionale con altre lingue, co-ufficiali o meno, che alimentano e influenzano questo canale di registri e variazioni sintattiche e lessicali in costante movimento: catalano, basco e galiziano in Spagna (tra gli altri), francese, portoghese e Fang in Guinea Equatoriale (e altre sei lingue indigene), Aymara e Quechua in Perù, Bolivia ed Ecuador – la Bolivia è anche il paese con più lingue co-ufficiali al mondo, trentasette –, Guaraní in Argentina e Paraguay, Náhuatl in Messico, Mapudungún in Cile. È un ricco palinsesto linguistico i cui echi si sentono vividamente in questo numero della rivista.

    La parola per phaseolus vulgaris (fagiolo) è un buon esempio: in Spagna è judías verdes, in Messico ejotes, in Argentina chauchas, in Cile porotos verdes, in Perù vainitas, in Colombia habichuelas. A Nabokov piaceva equiparare le vocali russe alle arance e quelle inglesi ai limoni, ma mi chiedo se le vocali spagnole non siano più simili ai chicchi di un melograno. Dopo il giapponese, lo spagnolo è la lingua più veloce al mondo, quella che pronuncia più sillabe al secondo, il che non sarà una sorpresa per i fan di Almodóvar. La parola più lunga della lingua è «hipopotomonstrosesquipedaliofobia», che significa, appunto, fobia delle parole lunghe. Come non adorare una lingua capace di qualcosa del genere? Una lingua che nasconde nel suo lessico parole come nefelibata, dal greco nephélē, «nuvola» e bátēs, «camminatore». Una parola che alcuni considerano la più bella della lingua, coniata dal nicaraguense Rubén Darío e fatta propria dallo spagnolo Antonio Machado quando scrisse: «Sali, sali, ma sta’ attento, nefelibata, che anche tra le nubi si può sbagliare» [¹] .

    Un’altra differenza sostanziale tra questa selezione del 2021 e quella del 2010 sta nel fatto che molti di questi giovani scrittori prestano particolare attenzione alle qualità sonore della lingua scritta. A volte ci riferiamo allo stile distintivo di uno scrittore come alla sua «voce», spesso come un cliché, o come un sinonimo per non ripetere la parola «scrittore» così tante volte in un testo. La preoccupazione compositiva di catturare l’intonazione e i giri di frase idiomatici più sottili delle diverse aree geografiche è ora molto evidente. Nella lista del 2010, invece, se le storie vengono ridimensionate geograficamente e vengono rimossi i marcatori specifici, non è facile distinguere la nazionalità dello scrittore. Questo non accade ora. E non mi riferisco solo al dialogo, ma alle gradazioni che si sentono anche nella narrazione in terza persona. Si rinuncia allo spagnolo «neutro» – metropolitano o nomade – per cogliere l’esuberanza delle cadenze e delle melodie, dei timbri e delle tonalità, ma sempre optando per la naturalezza, senza scadere nel barocco. È impossibile leggere i testi di Eudris Planche Savón e Dainerys Machado e non ripeterli con un accento cubano nel nostro orecchio interno, anche quando i personaggi di Eudris adottano accenti inglesi o francesi, o non sentire l’intonazione languida e costiera del colombiano José Ardila, o il pizzicato canario di Andrea Abreu, o la convulsione della danza Inti Raymi nel ritmo delle frasi di Mónica Ojeda, o le sorprendenti singolarità dello spagnolo agile e spedito di Estanislao Medina Huesca, tipico di un paese linguisticamente isolato sulla costa dell’Africa occidentale, o l’ordine impeccabile nelle sillabe, quasi da metronomo, della peruviana Miluska Benavides in una trama ordinata intorno a un suono misterioso. Si può sentire il bisbiseo messicano nel narratore incorporeo in seconda persona di Aniela Rodriguez; o i suoni dello slang cileno nel racconto di Paulina Flores, la cui narratrice scivola dentro e fuori la storia in modo astuto, senza mai disorientare il lettore.

    Il testo sul retro di copertina della prima selezione statunitense del 1996 iniziava così: «Chi sono i migliori giovani romanzieri degli Stati Uniti d’America?» Questa è una domanda infelice. La scrittura non può essere misurata come si misurano i milionari, gli atleti e gli edifici: il più ricco, il più veloce, il più alto. E nell’introduzione, Tobias Wolff, uno dei giurati, scrive: «L’iniziativa di scegliere venti scrittori come rappresentanti di una generazione è un processo che evidenzia soprattutto i pregiudizi della giuria. Questo non vuol dire che la nostra lista non sia eccellente, perché include molti scrittori eccentrici e persino visionari.» Venticinque anni dopo questa affermazione è ancora vera. Virginia Woolf sostiene che un lettore che giudica con grande simpatia e allo stesso tempo con grande severità aiuta gli scrittori a migliorare la qualità del loro lavoro, perché alza il livello di ciò che ci si aspetta da loro: «Ma non sono forse criminali i libri che hanno sprecato il nostro tempo e la nostra fiducia? E gli scrittori di libri falsi, di libri fasulli, libri che ammorbano e imputridiscono l’aria, non sono forse i più insidiosi nemici della società, corruttori e profanatori? Che i nostri giudizi siano severi, dunque, e che ogni libro venga confrontato con il più grande nel suo genere.» [²]

    Gli standard che esigiamo e i giudizi che diamo influenzano l’ambiente letterario, la portata e l’influenza della scrittura. E si giudica confrontando. Questi scrittori sono stati selezionati per le loro voci uniche e l’orecchio eccezionale perché a noi, come giuria, piace questo tipo di narratori? O si tratta piuttosto di una tendenza della narrativa attuale? È difficile dirlo con certezza in questo momento. Non c’è nulla di nuovo nel sottolineare gli aspetti sonori: si pensi a narratori come Cabrera Infante, Rulfo o Arlt. Ma è sorprendente che così tanti scrittori sotto i trentacinque anni diano priorità, in questa selezione, alla sonorità sul significato.

    Come ha sottolineato il redattore di Granta, Ian Jack, presentando la terza lista di giovani scrittori britannici, uno dei problemi più intricati è stato quello di dover valutare allo stesso tempo autori affermati e autori con un solo libro alle spalle. Ci prendiamo il rischio di nominare qualcuno che è all’inizio della sua carriera? Risulta sempre più sicuro scegliere scrittori la cui età è vicina alla data limite e che hanno pubblicato un secondo o terzo romanzo, alcuni perfino già tradotti. O scrittori i cui libri sono stati pubblicati da prestigiose case editrici o grandi gruppi. Ma non è insolito che il secondo o terzo libro di uno scrittore non sia all’altezza del primo. E dobbiamo anche tener conto della vibrante ascesa delle case editrici indipendenti in Spagna e in America Latina, molto sensibili ai giovani talenti. Questa lista evidenzia e celebra in modo particolare il loro lavoro. In essa ci sono quattro scrittori degli anni Novanta: Irene Reyes-Noguerol, la più giovane della squadra, è nata nel 1997. Questo significa che gli scrittori veterani, nati nel 1985, hanno avuto dodici anni in più per leggere, scrivere e pubblicare (metà della vita di Reyes-Noguerol). Come giuria abbiamo voluto raccogliere questa sfida, andare oltre i confini dello stabilito, prendere dei rischi e seguire le intuizioni, anche a costo di sbagliare.

    Volevamo sapere se i cambiamenti di mentalità e moralità derivanti dal #MeToo e dai movimenti femministi, considerando i diversi muri di vetro infranti in quest’ultimo decennio, stessero davvero liberando il talento e l’immaginario femminile, e se sì, in che modo: in quantità, in qualità o entrambe. Abbiamo visto che le donne partecipano molto più di prima e che il loro contributo diventa sempre più fondamentale. Nel 2010 abbiamo ricevuto 228 candidature, 163 da uomini e 65 da donne. Questa volta abbiamo ricevuto 194 candidature, 112 da uomini e 82 da donne. Anche se ci sono meno donne nel 2021, undici contro quattordici, tra i cinque scrittori nati negli anni Novanta quattro sono donne. Ed ecco il dato rivelatore: la maggior parte delle candidature ricevute da scrittori nati negli anni Novanta, e anche alcuni già in questo secolo, sono provenute da donne. La letteratura, come tutte le opere dell’immaginazione, è un’arte il cui substrato è il tempo, e spesso persiste un effetto Doppler rispetto a ciò che accade nel mondo: non è immediato, bisogna dare tempo al tempo. È chiaro che c’è una nuova generazione di scrittrici. Abbiamo ricevuto più candidature di donne che di uomini in paesi come Spagna e Argentina, e lo stesso numero in Cile.

    Quello che abbiamo letto e che ora condividiamo con i lettori in queste pagine mostra che sono in gran parte le donne a sperimentare nuove direzioni. Le scrittrici di questo numero sono ambiziose, osano, la loro scrittura è indomita e sfrenata, a volte scrivono per rabbia, per passione, e le loro narrazioni hanno un enorme vigore e una forza avvolgente. Abbiamo anche pensato a scrittrici le cui opere ci hanno interessato, ma che non sono state incluse nella selezione, come Karen Villeda, Olivia Gallo, Raquel Abend Van Dalen, Alba Ballesta, Natalia Farfán Ospina o Natalia García Freire. Questa energia torrenziale è particolarmente evidente nei testi che aprono e chiudono il numero, la feroce cosmografia andina di Mónica Ojeda e l’ode pindarica di Cristina Morales alle donne che praticano sport di combattimento. Narrazioni di ragazzi in un bordello, o di violenza gratuita, ci sembrano ormai insopportabili, inequivocabilmente fuori moda. Una curiosità: uno degli scrittori più spesso citati nelle candidature, oltre all’onnipresente Bolaño, «un grande fantasma incappucciato, simile a una collina di neve nell’aria» è Sylvia Plath. Anche tra gli scrittori. È possibile che Esther Greenwood stia togliendo a Holden Caulfield il posto privilegiato nell’immaginario dell’angoscia adolescenziale? Plath, quella di «Lady Lazarus»: «Dalla cenere / sorgo con i miei capelli rossi / e divoro gli uomini come aria.» [³] Attenzione!

    Cerchiamo opere dell’immaginazione scritte in spagnolo. Finzioni. Coscienze catturate sulla pagina. Cantastorie. Niente saggi, niente memorie, niente reportage. Niente selfie photoshoppati per farli sembrare fiction. Storie che si allontanano dalla mera testimonianza, dall’uso e dall’abuso molto stancante della prima persona, dalle figurazioni dell’io. Originalità. Atteggiamento. Sì, atteggiamento. Scrittori che scrivono come se la loro vita dipendesse da questo. Scrittori che scrivono su argomenti di cui non avevamo idea e che non pensavamo ci potessero interessare. Scrittori che presentano mondi inespressi di persone che non hanno avuto una voce propria o che non abbiamo saputo ascoltare. Cose familiari che ci appaiono strane e ci incantano di nuovo. Scrittori come quelli di prima, che non hanno conosciuto Instagram. Scrittori che non sono solo lettori, ma anche rilettori. Quelli che potranno, in futuro, continuare a mettere insieme frasi che ci fanno correre un brivido lungo la schiena e ci fanno drizzare i capelli. Quelli che sono in grado di farlo in questo momento. Scrittori che osano, e anche se la loro ambizione è forse eccessiva, ci provano comunque. Eravamo disposti a leggere con un occhio al futuro e queste erano le nostre linee guida.

    Alcuni scrittori di talento non sono entrati in lista, o perché si dedicano a generi che non consideriamo o perché i loro meriti narrativi non sono ancora così rilevanti come il resto delle loro opere. Per esempio, la poetessa Elena Medel, o Jazmina Barrera, il cui saggio, Sobre los faros, ci è piaciuto molto. O Santiago Wills, che finora ha scritto solo reportage. La prosa frizzante e affascinante di Juliana Delgado Lopera è scritta in inglese, il che l’ha resa ineleggibile. E ci sono altri scrittori promettenti che, per vari motivi, alla fine non siamo riusciti a includere: Antonio J. Rodríguez, Bruno Lloret, Vanessa Londoño, Giancarlo Poma Linares, Luis Othoniel Rosa. O Gabriel Mamani che ci ha portato notizie dei migranti boliviani che vivono a San Paolo. O Fabricio Calalpa, che saluto qui, le cui storie vengono da uno strano e suggestivo spazio immaginativo.

    Cosa può trovare il lettore in queste pagine? Chloe Aridjis lo spiega così: «Narrazioni riflessive e altre più chiassose, alcune crude e istintive, altre raffinate ed erudite, narrazioni che intrecciano cultura alta e cultura popolare, altre che offrono una quiete poetica o un’aura ultraterrena, opere in cui l’autore crea un’elaborata realtà alternativa, e altre in cui l’autore è un costrutto. La lingua spagnola viene usata in una forma nuova e appassionante». Un altro membro della giuria, il romanziere Rodrigo Fresán, commenta: «Il termine/aggettivo interessante è ambiguo. Da qui, l’uso dell’espressione Che tu possa vivere tempi interessanti, apocrifamente attribuita alla cultura cinese, che può essere tanto una maledizione quanto una benedizione, ma resta sempre degna di attenzione. Al di là delle ovvie benedizioni per la qualità di tutto ciò che è incluso qui, mi sembra che il fascino antropologico aggiunto di questa antologia abbia l’interessante attrattiva di essere un campione eloquente di come si possa scrivere nella giusta direzione/intenzione per una generazione, sì, maledetta dagli eccessi di una vita online e dalle facili e volgari tentazioni della cosiddetta – e intesa come una novità che è molto, molto lontana dall’essere tale – Letteratura del sé, la compulsione testimoniale, l’autofinzione che si schianta inevitabilmente per eccesso o mancanza di velocità, e tutto il resto. In questo senso, mi piace pensare che ci sia qui un gesto di certa resistenza a un’epoca/moda e un occhio di riguardo per l’atemporale e per ciò che è destinato a rimanere, impegnandosi in ciò che ha sempre nutrito e dato luogo e tempo alla buona scrittura: la narrazione di un mondo proprio e la ricerca di uno stile al momento di esplorarlo e farlo conoscere. In breve: benvenuti nelle opere di scrittori decisamente interessanti.»

    Abbiamo scoperto molto più umorismo, satira e ironia in questa generazione che nella precedente, presenti nella scrittura di Michel Nieva, Cristina Morales, Eudris Planche Savón, Dainerys Machado Vento, Estanislao Medina Huesca, Mateo García Elizondo, Paulina Flores e Andrea Abreu, nella tradizione del realismo sporco, ma con una dose maggiore di comicità. Tutti impiegano l’umorismo con diversi gradi di ironia e sarcasmo. È una tendenza che si adatta bene alla propensione per l’oralità e il suono, e che forse ha colpito la giuria, che l’ha trovata particolarmente interessante in questi tempi pandemici. Siamo stati d’accordo nel considerare gli scrittori cubani come una ventata d’aria fresca: dall’irascibile protagonista di Machado Vento come eccellente studio del carattere, all’uso di Planche Savón del dialogo e dei monologhi interiori di Hemingway per appropriarsi e satireggiare Garden Party di Katherine Mansfield e Bella di giorno di Buñuel. Il frammento di romanzo di Michel Nieva impiega materiali tratti da manga e Philip K. Dick, dal cabaret (politico) in un’Argentina futura dove le zanzare sono più di quello che sembrano. E Mateo García Elizondo sospende la nostra incredulità portando un criminale e il suo animale domestico vegetale in comunione mistica con il cosmo. O Cristina Morales, che è pura provocazione declamatoria. Quando Bolaño vinse il Premio Rómulo Gallegos nel 1999, la giuria dichiarò che il premio riconosceva in parte «l’uso dell’umorismo, così poco frequente nella letteratura di lingua spagnola», una valutazione preoccupante in una tradizione che discende dal Don Chisciotte, il più esilarante dei romanzi. Bolaño rispose che «una delle virtù di qualsiasi opera letteraria è l’umorismo ma soprattutto il sarcasmo, perché è una presa di posizione contro la serietà e la noia: condimenti che permettono di aprire finestre inaspettate nei luoghi più strani. Dove non ti aspetti di trovare qualcosa e la trovi, sorprendi la realtà. E l’umorismo scopre il retro della realtà, il suo volto nascosto». Accogliamo l’umorismo dei nuovi scrittori a braccia aperte. Ne abbiamo bisogno.

    Alcuni racconti lasciano intravedere una mitopoiesi indigena, uno dei contributi più preziosi della letteratura iberoamericana. Nel racconto del nicaraguense José Adiak, il narratore propone una versione indigena della nascita di Cristo e della strage degli innocenti: per centinaia di anni, i miti giudeo-cristiani sono stati assorbiti dalle potenti sensibilità indigene del continente, poi riformulati e raccontati oralmente. Questo è un registro che vediamo anche in Mónica Ojeda, e nel racconto rulfiano di Aniela Rodríguez di un uomo che causa la morte del figlio per negligenza. O in Miluska Benavides e la sua profonda storia generazionale intorno alla città mineraria di San Juan de Marcona. Un po’ più distante è lo stupefacente resoconto di José Ardila sulla crudeltà innocente dei bambini e la potente immagine di una nonna afro-colombiana ritratta come Madonna della Misericordia.

    Altri scrittori privilegiano la teatralità, piuttosto che il cinematografico, ed è possibile immaginare le loro narrazioni adattate per il palcoscenico; come la favola da incubo raccontata da Irene Reyes-Noguerol, o quella di Camila Fabbri, su come le disfunzioni familiari si trasmettono di generazione in generazione, o quella di Gonzalo Baz, la cui prosa sobria nasconde un meccanismo molto complesso, circolare, quasi a orologeria, che sembra espandersi durante la lettura, come se ogni sezione fosse una goccia d’acqua che gonfia una spugna secca. Aura García-Junco è una delle scrittrici che più palesemente esplora le possibilità formali nel suo allusivo e frammentario racconto di corrispondenze, mentre Alejandro Morellón in poche pagine ci introduce in un mondo vetroso e visionario di simmetrie nabokoviane. Sono incluse anche narrazioni dalla struttura più tradizionale, che sono sostenute dalla forza della lotta contro la realtà (politica) da lucidità e convinzione, come possiamo vedere nelle storie di Carlos Manuel Álvarez, David Aliaga o Diego Zúñiga, che crea un grande racconto a scatole cinesi. Aliaga fornisce un resoconto dell’esperienza ebraica, collegando così la Spagna alla tradizione europea. C’è stato anche spazio per profonde meditazioni sulla letteratura e l’arte, come vediamo nelle opere di Carlos Fonseca e Martín Felipe Castagnet, o più filosofiche ed esistenziali nel racconto di Munir Hachemi, che dialoga con la storia di Estanislao Medina Huesca sulla corruzione e gli abusi di potere nell’ambiente che ci circonda.

    Il lettore noterà alcuni motivi ricorrenti nei racconti: la figura della nonna salvatrice o i bambini perduti o diseredati. Si può anche notare una sorta di «suite delle statue», come mi piace chiamarla: spero che il lettore, scoprendo i suoi tre movimenti, si chieda: perché le statue? Perché ora? Con il racconto apocalittico e poliamoroso di Andrea Chapela, Anelli di Borromeo, stringiamo un ultimo nodo. Si tratta di un flusso. O di flow, come dice Buda Flaite di Paulina Flores, il suo affascinante e precoce personaggio che non si identifica in modo binario: gli scrittori di lingua spagnola stanno ripensando il concetto di amore e gli stereotipi di genere in modo rotondo e affascinante. Sono idee che giacciono nel nostro inconscio collettivo e che nei racconti ritroviamo trasformate dalla narrazione.

    L’arte vive di discussione, scrive Henry James, di esperimenti, di curiosità, della varietà dei tentativi, dello scambio delle idee e del confronto dei punti di vista. È ciò che ci permette di trascendere l’ambiente del quotidiano e toccare l’universale. Raccontiamo storie; condividiamo segreti, sogni, gioie, paure, dolori e avversioni; consapevoli che l’immaginazione è il tonico, il balsamo, il lenitivo che guarisce tutto. Esorcizza i nostri demoni e torna ad abbagliare un mondo disincantato. Quelli di noi che dedicano la loro vita alle arti, e in particolare alla letteratura, sanno che questa è la ragione del nostro sforzo: la geometria della trasformazione, delle corrispondenze, delle connessioni;

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