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La regina del Nilo
La regina del Nilo
La regina del Nilo
Ebook248 pages7 hours

La regina del Nilo

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About this ebook

Egitto/Inghilterra, 1801
Perdere i sensi in pieno deserto egiziano davanti ai piedi della bella Cleo Valsac non faceva parte dei piani di Lord Quintus Bredon. Lui avrebbe dovuto convincere la giovane vedova a lasciare il padre studioso ai suoi scavi polverosi e tornare in Inghilterra dal nobile nonno per trovare un nuovo marito adatto alla sua estrazione. Cleo, però, è una donna che difficilmente accetta le imposizioni, anche se la vicinanza di Quin non la lascia assolutamente indifferente. Lei ignora la vera identità dell'uomo e dove quella tenera passione sarà in grado di portare entrambi.
LanguageItaliano
Release dateMay 10, 2021
ISBN9788830529182
La regina del Nilo
Author

Louise Allen

Tra le autrici più lette e amate dal pubblico italiano.

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    La regina del Nilo - Louise Allen

    Copertina. «La regina del Nilo» di Allen Louise

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Beguiled By Her Betrayer

    Harlequin Historical

    © 2014 Melanie Hilton

    Traduzione di Elena Rossi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3052-918-2

    Frontespizio. «La regina del Nilo» di Allen Louise

    1

    Primavera 1801, Alto Egitto

    C’era ombra, laggiù, e giare d’acqua che si mantenevano fresche grazie alla trasudazione, e stava spuntando la prima vegetazione che correva dal limitare del deserto fino alle rive del Nilo. Disteso sulla sabbia calda della sommità di una duna, Quin cercava di non pensare alla sete, alla calura e al dolore pulsante al braccio sinistro, concentrandosi sulla tenda sottostante.

    Forse tenda non era la parola giusta. Sembrava composta di diversi ambienti interni, circondati da zone ombreggiate formate da paletti e lembi di stoffa che probabilmente di notte sarebbero scesi a formare delle pareti esterne.

    Era un accampamento pulito e ordinato, organizzato in modo impeccabile, sebbene non si vedessero domestici. Su uno dei lati c’era un riparo per gli animali con una staccionata e un abbeveratoio; sull’altro, una tettoia di canne ricopriva un angolo per cucinare. Un sottile filo di fumo saliva dal fuoco protetto, non c’era alcun asino legato allo steccato e l’unico occupante sembrava essere l’uomo in maniche di camicia che sedeva a un tavolo all’ombra di un tendalino; la sua penna si muoveva con regolarità sul foglio che aveva davanti.

    Quin socchiuse gli occhi contro la luce del sole e il pulviscolo. Sulla cinquantina, robusto, capelli castani brizzolati: era certamente il suo bersaglio, o uno di loro, almeno. Sir Philip Woodward, baronetto, antiquario e studioso, marito negligente, vedovo e padre egoista e, molto probabilmente, traditore.

    Con la coda dell’occhio colse un guizzo di vesti che svolazzavano alla brezza leggera. Qualcuno si stava avvicinando. Quin spostò lo sguardo là dove le colonne monumentali del tempio di Koum Ombo si innalzavano dalla sabbia, sovrastando le capanne di fango del piccolo villaggio di pescatori e contadini. La persona che conduceva un asino doveva avere familiarità con la zona, perché non degnò di una sola occhiata le imponenti rovine. Era una donna, vide quando fu più vicina, avvolta nelle pieghe di una tob sebleh blu scuro ma, come la maggior parte delle donne dell’alto Egitto, senza velo. Una domestica, oppure l’altra persona che Quin aveva il compito di trovare?

    Madame Valsac, vedova di Thierry Valsac, capitano dell’armata dell’est di Napoleone, figlia di Sir Philip Woodward e, forse, anche lei traditrice. A differenza del padre, però, la cui sicurezza non premeva particolarmente all’uomo dal volto duro che aveva istruito Quin, Madame Valsac doveva essere prelevata dall’Egitto e riportata sotto la tutela del nonno, che le piacesse o meno, e indipendentemente dalla sua lealtà alla Corona.

    Che quell’operazione potesse rivelarsi problematica, a centinaia di miglia dalla costa e dall’esercito britannico, nel territorio dei temibili Mamelucchi alleati della Francia, nel mezzo di una delle periodiche epidemie di peste, non interessava il gentiluomo di Gibilterra. Per quanto lo riguardava, le qualifiche di Quin erano sufficienti.

    Era un diplomatico che parlava francese e arabo, e sapeva abbastanza di antichità per passare come uno dei savant francesi, gli studiosi lasciati da Napoleone per esplorare l’Egitto sotto la protezione di un esercito mal pagato, in balia delle malattie e poco equipaggiato.

    «Antichità classiche, milord» aveva sottolineato Quin. «La mia conoscenza dell’Egitto è praticamente nulla.» Né sono qualificato nel sequestro di donne, avrebbe potuto aggiungere, ma non l’aveva fatto.

    «Avrete tutto il tempo di informarvi a bordo della nave che vi porterà ad Alessandria» aveva replicato il suo superiore. «Ricordate solo che il Duca di St. Osyth rivuole indietro la nipote, anche se un intero reggimento francese fosse passato nel suo letto. Suo padre non interessa a nessuno ma, se è un traditore, dobbiamo sapere tutto di lui. Poi potrete disfarvene.»

    «Non sono un assassino, signore» aveva obiettato Quin, stavolta con maggiore energia. Era un uomo ambizioso, ma non sarebbe mai arrivato a uccidere. «Allora fategli conoscere un coccodrillo affamato o abbandonatelo nel deserto.»

    Quin batté le palpebre per schiarire la vista e si rese conto che i punti neri che gli ballavano davanti agli occhi non erano mosche.

    La donna con l’asino era ormai vicina. Disse qualcosa superando l’uomo seduto sotto il tendalino, ma lui non rispose. Una domestica, quindi.

    Arrestò l’asino e cominciò a scaricare le pesanti giare d’acqua con i gesti misurati di una persona abituata al lavoro manuale. Riempì il secchio dell’animale, versò altra acqua nelle grandi anfore di riserva e infine portò una brocca in una delle zone ombreggiate, di fronte alla duna dov’era appostato Quin.

    Distratto dalle pulsazioni insistenti alla testa, ci mise un minuto per rendersi conto di quello che stava facendo. La donna sfilò dal capo la tob sebleh, rimosse il panno arrotolato che le legava i capelli e stava slacciando la fascia in vita, prima che lui assimilasse non solo il colore dei suoi capelli – miele brunito, ondulati e decisamente non egiziani – ma anche il fatto che si stava togliendo la tunica per lavarsi.

    Quin non aveva l’abitudine di spiare le donne al bagno non più di quanto desiderasse dare un baronetto in pasto ai coccodrilli. Si alzò, sorpreso da quanto fosse instabile la sabbia su cui posava i piedi. Era venuto il momento di mettere in atto il suo piano.

    Gli bastò muovere un passo lungo la china per rendersi conto che non era la superficie a dargli quella sensazione di instabilità. Diavolo, mi sento male, pensò, cercando di mantenere un controllo precario mentre un po’ scivolava e un po’ correva. Raggiunse la base con un impeto che si ripercosse sulla spina dorsale e fece qualche passo incerto verso la donna. Lei non si mosse, ma rimase a fissarlo in silenzio, le mani bloccate sulla cintura.

    Quin si fermò a una certa distanza. «Bonjour» riuscì a mormorare, prima che le ginocchia gli cedessero e il suolo gli venisse incontro. «Mada...»

    Cleo guardò per un lungo istante la figura riversa, a capo scoperto, avvolta in una galabeeyah polverosa, poi sospirò e chiamò: «Padre!».

    «Sto lavorando. È ora di pranzo?»

    «No. C’è un uomo privo di sensi.»

    «Lascialo lì.» Woodward sembrava irritato per l’interruzione e per niente curioso. Del resto quel fagotto umano afflosciato al suolo era una persona, non un tempio in rovina, o un’iscrizione né tanto meno un affresco, quindi c’era da aspettarsi la sua mancanza di interesse.

    «Morirà e comincerà a puzzare» replicò Cleo, sapendo bene che solo una minaccia diretta al suo benessere poteva smuoverlo.

    Si udì un’imprecazione soffocata, poi il padre la raggiunse. Toccò con la punta dello stivale la sagoma supina, che si mosse leggermente. «Non è morto. E non è egiziano. Senza dubbio è un francese. Dove vuoi che lo porti?»

    «Non lo voglio affatto qui, ma credo sia meglio portarlo sull’altro letto che c’è nella mia stanza.» Cleo scostò i lembi della tenda, tolse dal letto le lenzuola di riserva e alcuni vestiti, lasciando solo il sottile materassino di cotone sopra le corde intrecciate. Quando tornò dal padre, lui aveva sollevato l’uomo e lo stava trascinando per le ascelle.

    Una sgradevole possibilità la colpì. «Presenta dei rigonfiamenti?»

    «Come?» Woodward lasciò cadere con un tonfo il corpo inerte.

    Cleo fece una smorfia. Adesso avrebbe avuto anche un naso rotto da curare. «Alle ascelle, intendo. Se ha la peste, le ghiandole saranno gonfie.»

    «No. Non ha nemmeno la febbre, è disidratato come un osso.» Tornò a trascinare l’uomo all’interno della tenda. Cleo sollevò le lunghe gambe quando raggiunsero il letto e insieme issarono lo straniero, voltandolo sulla schiena. Per miracolo, il naso non era rotto.

    «Un colpo di sole, allora» diagnosticò lei. C’era una macchia di sangue rappreso sulla manica sinistra. «E una ferita.» Il padre le stava già voltando le spalle. «Ho bisogno di togliergli questi abiti.»

    «Sei stata sposata, puoi farlo da sola.» La voce del padre le arrivò dall’esterno. Si sarebbe immerso nella sua corrispondenza finché non gli avesse spinto il cibo sotto il naso.

    «Posso anche essere stata sposata» borbottò Cleo, posando il dorso della mano sulla fronte accaldata dello sconosciuto, «ma non con quest’uomo.» Togliergli i sandali fu la parte più facile, poi fece rotolare il pesante corpo inerte e tirò la tunica di cotone fino a sfilargliela dal capo. La corda che tratteneva le brache di cotone leggero si ruppe, nel processo, così tolse anche quelle. C’era una cintura, in vita, con una borsa di pelle piena di monete. La mise da parte, poi si rialzò per esaminare l’entità del problema.

    Notevole. Alto, con spalle ampie, biondo e snello, aveva l’aria di un uomo che aveva perso di recente le poche riserve di grasso che possedeva, lasciando gli addominali sodi come se fossero stati scolpiti da un artista. E decisamente virile. Lo scultore avrebbe dovuto avere la decenza di dotarlo di una grande foglia di fico, già che c’era...

    Anche se era vedova, non era abbastanza disinvolta da non batter ciglio davanti a uno sconosciuto nudo. Tanto meno uno come quello. Cleo posò lo sguardo sul braccio sinistro, dove una ferita frastagliata correva dalla spalla al gomito, si diede una scossa e si concentrò sulle priorità.

    Era una ferita d’arma da fuoco, non da taglio, concluse, vedendo i lembi infiammati del solco ancora umido. Nel togliergli la tunica si era riaperta, anche se era chiaro che non stava guarendo bene. La prima cosa da fare era dargli da bere e abbassare la temperatura, poi si sarebbe occupata del braccio. Non c’era un medico, né un chirurgo nella piccola guarnigione francese accampata all’estremità del villaggio vicino, quindi non si aspettava alcun aiuto da quella parte.

    L’uomo succhiò avidamente dalla tazza quando gli fece sollevare la testa per farlo bere. L’acqua parve rianimarlo un po’.

    «Piano, non dovete berne troppa in una volta sola» lo ammonì Cleo, ma poi ricordò che lui aveva parlato in francese, prima di crollare. «Lentement

    Lui agitò la testa quando gli portò via la tazza, ma non aprì gli occhi. Ora doveva abbassare la febbre e coprirlo. Si sarebbe occupata della ferita dopo aver dato qualcosa da mangiare al padre.

    «Voi, monsieur, siete una bella seccatura» pronunciò in francese mentre spiegava un lenzuolo e lo immergeva in un secchio d’acqua. «Credetemi, se la mia fata madrina volasse fin qui a offrirmi tutto quello che desidero, un altro uomo da accudire sarebbe in fondo alla lista.» Estrasse il lenzuolo e lo distese ancora gocciolante sul suo corpo nudo. «Ecco. Così va meglio. Per me, almeno.»

    Era la sua fantasia preferita, quella che giungeva nel dormiveglia, rassicurante e insieme eccitante: era sposato con la sua donna ideale. Sentiva il fruscio delle gonne, i passi leggeri, il lieve aroma di un profumo femminile, mentre si muoveva vicino a lui nella stanza. Presto si sarebbe svegliato e lei si sarebbe avvicinata al letto e gli avrebbe sorriso, gli occhi azzurri caldi e pieni d’amore; poteva immaginarla con molta chiarezza: dolce, con lineamenti delicati e labbra morbide e rosate.

    «Caroline.» Le avrebbe teso le braccia e lei avrebbe sciolto i lunghi riccioli biondi e si sarebbe spogliata con un’innocente civetteria che l’avrebbe eccitato prima ancora che si sfiorassero.

    Le sue morbide curve avrebbero aderito al suo corpo possente come se fosse stata fatta apposta per lui. «Oh, Quin» avrebbe mormorato, passandogli le mani sul petto e più giù, ancora più giù...

    L’odore di carne arrosto lo strappò alla sua fantasia. Che cosa stava combinando il personale, per permettere che gli odori di cucina penetrassero nella sua stanza? Era l’ambasciatore, dannazione! Nel sogno, le dita di sua moglie lo accarezzavano, esplorando. I suoi riccioli biondi, inspiegabilmente bagnati, gli ricadevano sul petto mentre lo attirava a sé, tempestandolo di piccoli baci sul viso. Quin sentì il proprio corpo reagire in modo prevedibile. Presto avrebbe fatto l’amore con lei e l’avrebbe accarezzata fino a condurla all’estasi. Poi avrebbero parlato in modo razionale e intelligente, interessati reciprocamente ai pensieri dell’altro, rispettosi dell’opinione di ciascuno dei due. Sarebbe stato un momento pieno di pace e di armonia...

    «Inferno e dannazione!» La voce era femminile, ma quella era l’unica cosa che si accordava al suo sogno. Una sequela di espressioni idiomatiche in arabo gli confermò che chi parlava non era una signora.

    Quin si rese conto di essere cosciente, in preda al dolore, a una sete infernale e a una gran confusione. «Co...» gracchiò. Gli occhi non si volevano aprire, ma per fortuna qualcuno gli accostò una tazza alle labbra.

    «Piano» lo ammonì una voce in francese. La stessa voce di donna, chiara, tagliente, niente affatto seducente. Decisamente poco comprensiva. L’acqua venne allontanata.

    «Merci» riuscì a dire Quin, guardando attraverso le palpebre doloranti. Di certo non è la donna dei miei sogni, pensò, ritrovando un brandello di umorismo in mezzo alla miseria generale. Alta, slanciata, dai capelli castani chiari, un naso dritto e imperioso, lo guardava con aria di controllata impazienza. Intelligente, senza dubbio. Tenera, dolce e arrendevole... no. «Ancora?» aggiunse, speranzoso. «Ehm... encore?» Doveva solo aprire la bocca per bere finché il cervello non avesse smesso di ribollire.

    «Niente acqua per qualche minuto. È pericoloso, quando si è così disidratati. Non siete francese.»

    Così doveva iniziare a pensare, dopotutto. «Ci credereste se vi dicessi che sono americano?»

    «Davvero?» Sembrava che ci credesse. Inarcò le sopracciglia con aria sorpresa, ma non respinse l’idea. Gli americani erano alleati della Francia, naturalmente.

    «È parecchio tempo che non vedo Boston» aggiunse Quin. In realtà stava pensando al porto del Lincolnshire con quel nome, dove vivevano i suoi cugini. Era disposto a morire per il suo paese, ma preferiva non mentire, se poteva. Di solito era sufficiente qualche indicazione fuorviante. Lasciò ricadere le palpebre, poi le sollevò di nuovo quando si rese conto di essere nudo, sotto il panno bagnato che lo copriva dalla clavicola alle dita dei piedi. «Chi ha preso i miei vestiti?» domandò.

    «Io» rispose bruscamente la sua infermiera scontrosa. «Oh, non è il caso di arrossire» aggiunse, vedendolo stringere istintivamente le dita sull’orlo superiore del lenzuolo. «Sono vedova. Posso assicurarvi che per me un uomo vale l’altro.»

    Quin allentò i denti che aveva serrato. Accidenti, non era arrossito. «Invece io posso assicurarvi, madam, che per me una donna non è affatto uguale a un’altra.»

    «Avreste preferito che vi lasciassi morire? Non stavo facendo confronti, quindi non è il caso che vi allarmiate.» Sembrava divertita, anche se non stava sorridendo. C’era qualcosa nel modo in cui gli occhi si increspavano alle estremità, un’ombra di fossetta alla guancia, che svanì non appena ebbe posato lo sguardo sulla sua figura avvolta nel lenzuolo. Ora sì che sarebbe arrossito. «Il lenzuolo si sta asciugando. Sarà meglio che lo cambi, prima di dedicarmi al vostro braccio.»

    Quin udì un rumore di panni agitati nell’acqua, il fruscio delle gonne mentre si muoveva. Si aggrappò all’orlo del lenzuolo con un pudore che lo stupì. Con uno sventolio che gli riempì il viso di gocce d’acqua, un altro lenzuolo bagnato atterrò sopra di lui. «Afferrate il bordo di quello sopra» gli ordinò, tirando l’altro lenzuolo verso i piedi del letto con uno strattone che gli somministrò una frustata di tessuto umido alle parti intime.

    Soffocando l’imprecazione che gli era salita alle labbra, Quin allentò la presa sul lenzuolo. Guardando il proprio corpo, rifletté mestamente che dal modo in cui il tessuto aderiva alle sue forme, tanto valeva che indossasse semplicemente uno strato di pittura bianca. E Dio solo sapeva cosa gli stava succedendo. La sua esperienza con le donne non era tale da farlo arrossire come una verginella quando una di loro posava il suo sguardo su di lui.

    D’altro canto, quella che stava avanzando verso di lui con un bicchiere in mano e un fascio di strumenti dall’aspetto spiacevolmente acuminato nell’altra, non si poteva certo definire una donna qualsiasi.

    «Potete bere ancora un po’ d’acqua e poi vi ripulirò la ferita al braccio.» Sedette su uno sgabello accanto a lui e Quin, irritato, allungò la mano verso il bicchiere, prima che lei potesse portarglielo alle labbra.

    «È solo un graffio.»

    «È un solco in cui potrei infilare un dito e si è infettato. Non vorrei essere costretta ad amputarvi il braccio.»

    «Sul mio cadavere!» Quin riuscì a stento a non mandare di traverso l’acqua. Maledizione a quella donna, non dubitava che sarebbe stata capace di farlo, tenendo legata la vittima al letto.

    «Come volete» replicò lei, stringendosi nelle spalle.

    «Molto bene.» Le tese il bicchiere e scostò il lenzuolo dal braccio sinistro. Stava per mettersi a sedere, ma uno sguardo alla ferita purulenta gli disse che era meglio restare disteso. Non sarebbe stato divertente e non aveva intenzione di dare alla sua tormentatrice la soddisfazione di vederlo svenire.

    2

    Quin doveva ammettere che Madame Valsac sembrava competente. Il suo assortimento di strumenti era pulito e affilato; acqua calda, spugne e pezze di lino erano già pronte. Quando si voltò a osservarlo, si trovò momentaneamente distratto dal colore dei suoi occhi, di un’insolita sfumatura fra il verde e il grigio. Strinse il telaio del letto con l’altra mano e fissò lo sguardo sul suo orecchio destro. Era un bell’orecchio dalla linea elegante, incorniciato dai capelli, e... per tutti i diavoli!

    «Come vi chiamate?»

    Far parlare il paziente per distrarlo dal dolore, pensò Quin, sopportando una fitta in silenzio. «Quintus Bredon» rispose, quando fu in grado di riprendere fiato. «Potete chiamarmi Quin.» Meglio usare una parte del suo vero nome, così ci sarebbero state meno possibilità di errore. «E voi?» Lo sapeva bene, non potevano esserci due donne della sua età insieme a Woodward, ma doveva stare al gioco e, inoltre, non conosceva il nome di battesimo.

    «Madame Valsac. Mio marito era un ufficiale francese. Potete chiamarmi madam

    Grazie, madam!

    Lei fece qualcosa che gli oscurò la vista per un istante; poi, improvvisamente, il dolore si alleviò. «Ecco, adesso è pulita. Come ve la siete procurata?»

    «Mi sono trovato sulla traiettoria di un proiettile sparato da un gruppo di razziatori beduini» rispose con lo stesso tono di cortese indifferenza. «Un’imprudenza da parte

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